SOMMARIO: 1.L’ambito di applicazione dell’articolo 2129 c.c. 2.Il rapporto tra l’art.1229 c.c. e 2093 c.c. 3. Gli effetti della c.d.  privatizzazione del pubblico impiego.

  1. L’ambito di applicazione dell’articolo 2129 c.c.

L’art.2129 c.c è una norma di rinvio alle disposizioni della sezione III  del titolo II, del libro V del codice civile (artt.2096-2129), per la regolamentazione del lavoro dipendente da “enti pubblici”, “salvo che il rapporto non sia regolato da una specifica legge[1]. Un analogo rinvio è previsto dallo Statuto dei lavoratori (art.37, Legge n.300 del 1970), che estende a tutti i dipendenti degli enti pubblici le norme statutarie “salvo  che la materia sia diversamente regolata da norme speciali”. Per quanto riguarda gli impiegati civili dello Stato vanno considerati il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, nonché le relative norme di esecuzione approvate con D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686 e con D.P.R. 30 aprile 1958, n. 571.              L’art. 98 delle “disposizioni per l’ attuazione del codice civile”   integra la fattispecie ribadendo che <<le richiamate norme si applicano altresì ai rapporti d’impiego dei dipendenti di enti pubblici anche se non inquadrati sindacalmente, in quanto il rapporto non sia diversamente disciplinato da leggi e regolamenti speciali >>.                                                       In verità, la materia  era espressamente disciplinata dal  diritto ammnistrativo,  e solo in seguito alla “ privatizzazione del pubblico impiego”,  la normativa codicistica  ha preso su quella pubblica.  Più precisamente , l’art.2 del d.lgs.n.29/1993 dice espressamente che i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche sono disciplinate dalla disposizione del libro V capo I titolo II del codice civile (lavoro nell’impresa) e dalle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, salvo i limiti stabiliti dal presente Decreto per il perseguimento degli interessi generali cui l’organizzazione e l’azione amministrativa sono indirizzate[2].L’art.2129 c.c, quindi, continua ad applicarsi a tutti quei rapporti che, sono assoggettati ai rispettivi ordinamenti e  riguardano:  magistrati ordinari, amministrativi e contabili,  avvocati dello stato, personale militale e di polizia, della carriera diplomatica e prefettizia, professori universitari. Espressamente esclusi dalla privatizzazione ai sensi dell’art.3 del d.lgs. 165 del 2001[3].               Tale  personale-in quanto rimane a disciplina pubblica-è sottoposto alla giurisdizione ammnistrativa esclusiva (non solo interessi legittimi, ma anche diritti), ai sensi dell’art.63,co,4 del T.U 165/2001[4].                      Nel settore pubblico rimane preclusa la possibilità per il dipendente che sia utilizzato-anche illegittimamente-in mansioni superiori di maturare il diritto alla promozione automatica. In tali casi può essere corrisposta solo la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore (art.52,comma 5,d.lgs.165/2001).

Su questa regola si è espressa la Corte costituzionale, con sentenza 22 del 31 marzo 1995, n. 101[5],  dichiarando, tra l’altro, non fondata la questione di legittimità del combinato disposto degli  artt. 2126 e 2129 del codice civile, in riferimento all’art. 97 Cost., “in quanto estendenti all’impiego pubblico i principi sulla retribuzione della prestazione di fatto”. Su detta dichiarazione la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato il diritto del dipendente pubblico, con assegnazione di mansioni superiori anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiore  rispetto a quella posseduta, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex artt.36 Cost. e 2126 c.c., e quindi alle corrispondenti differenze retributive, anche per il periodo precedente alla riforma normativa[6].

2.Il rapporto tra l’art.1229 c.c. e 2093 c.c.

L’art.2129 c.c. va letto in combinato disposto con l’art.2093 c.c. che comporta l’estensione agli “enti pubblici economici”  di tutta la disciplina del codice civile sul lavoro subordinato ( libro V). Gli enti pubblici economici sono gli enti che esercitano in modo esclusivo o prevalente attività imprenditoriale e tale attività deve essere un mezzo per realizzare un fine speculativo e non un fine pubblicistico. Il rapporto di lavoro in tali enti ha natura privatistica. La giurisdizione spetta, infatti, al giudice ordinario[7]. La giurisprudenza ha pertanto ribadito che ai dipendenti degli enti pubblici economici (art.2093 c.c.) a differenza dei dipendenti pubblici non economici ( art.2129 c.c.)non si applichi la regola del concorso pubblico (sancito dall’ art.97 Cost.)per l’accesso all’impiego. (Cass.sez.lav.,5219/1998).

L’ente pubblico economico è stato lo strumento originario e tipico dell’intervento dello Stato nell’economia tramite un soggetto pubblico, anche in forma societaria, ma comunque sottoposto per l’esercizio della sua attività al diritto civile; per, poi, lasciar spazio ad un soggetto privato, quale la società a partecipazione pubblica, divenuta egemone nella stagione della “privatizzazione” dell’ultimo decennio del secolo scorso[8]. L’art. 2129 c.c.,  pur con riguardo gli enti pubblici in genere, dà per presupposto l’art. 2093 c.c., prevedendo che le disposizioni della sezione seconda, titolo secondo, capo primo del libro quinto “si applicano ai prestatori di lavoro dipendenti da enti pubblici, salvo diversamente regolato dalla legge”. L’esito, pertanto, è stato il progressivo ridimensionamento del rilievo accordato a tale potere di auto-organizzazione, con conseguente assoggettamento al diritto comune del lavoro ed al giudice ordinario.

L’art. 2093 c.c., prevede a tutt’oggi l’applicabilità agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali dell’intero libro V (co. 1) e a quelli non inquadrati limitatamente alle imprese esercitate (co. 2). Dopo il venir meno dell’inquadramento previsto dal sistema corporativo, esso è sì sopravvissuto, ma riconducendo la distinzione fra il primo e secondo comma a quella fra un ente pubblico che svolge esclusivamente o prevalentemente un’attività di impresa ed  un ente pubblico che svolge un’attività d’impresa in via marginale: cioè da un requisito formale (l’inquadramento) ad un requisito sostanziale (l’attività svolta). Quelli di cui al co. 1, cioè che esercitano esclusivamente o prevalentemente un’attività economica, sono stati sinteticamente definiti sia dalla dottrina che dalla legislazione come enti pubblici economici, assoggettati al diritto del codice civile, salvo, come dice il comma terzo, che sia diversamente previsto dalla legge.

3. Gli effetti della c.d.  privatizzazione del pubblico impiego

Il percorso della  c.d. privatizzazione del pubblico impiego prende il via con la legge quadro n.93 del 1983, che pur conservando il regime pubblicistico, affiancava alla legge una contrattazione collettiva, efficace non per se stessa ma per essere stata recepita  in decreti del Presidente della Repubblica[9].            La privatizzazione verrà  (scandita da due leggi delega, n.421/1992 e n.59/1997), caratterizzanti una  prima e una seconda fase ed ha riguardato un ambito assai ampio, ma non illimitato, così da dar vita ad un doppio regime: quello assoggettato alla riforma, restituito al diritto privato, sì da doversi indicare come impiego alle dipendenze delle Pubbliche amministrazione; e quello escluso dalla riforma, mantenuto sotto il diritto amministrativo, sì da potersi continuare a chiamare impiego pubblico. . Nel 2001 si arriva al  T.U. sul pubblico impiego (d.lgs.165 del 2001) che è  stato più volte rivisitato  a seguito di successivi interventi normativi, fra cui la c.d. Legge Brunetta ,d.lgs n. 150 del 2009 e i d.lgs. nn.74 e 75 del 2017[10].  Rimasero  escluse dalla privatizzazione  alcune categorie particolari di dipendenti pubblici, in ragione delle funzioni od attività svolte (vedi infra,par.1). Le stesse Regioni non sono tenute ad un’applicazione integrale della disciplina, costituendo le disposizioni del T.U., per quelle a statuto ordinario, <<principi fondamentali, ai sensi dell’art.117 della Costituzione>>; e, per quelle a statuto speciale, ivi comprese le provincie autonome di TRENTO E Bolzano, <<norme fondamentali di riforma economico-sociale>>(art.1,comma 3). La riforma ha dunque comportato una conversione delle fonti, intese in senso a-tecnico, con il passaggio dal diritto ammnistrativo al diritto del lavoro . Da un lato  fonti pubblicistiche  per l’organizzazione degli uffici, dall’altro  fonti privatistiche per la regolazione del rapporto di lavoro.      Si è distinto altresì  il potere di indirizzo politico spettante agli organi di governo (art.4,comma 1),  dal potere gestionale proprio dei dirigenti (art.4, comma “). L’art.2, rubricato “Fonti” del T.U. del pubblico impiego  ha previsto al suo secondo comma, che << i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa>>; ed al suo terzo comma che <<i rapporti individuali di lavoro siano regolati contrattualmente>>. Di conseguenza l’atto di assunzione non è più un provvedimento amministrativo, ma un vero e proprio contratto col lavoratore, se pur normalmente individuato tramite procedure selettive (art.35,comma 1).Gli atti di gestione del rapporto non sono più amministrativi, ma privatistici. L’art. 5, rubricato “Potere di organizzazione”, al suo secondo comma, prevede altresì che <<le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro>>. In sintesi si distingue  tra atti di macro-organizzazione ex art.2 comma 1del T.U (rimasti nell’area pubblica) e atti di micro-organizzazione ( passati nell’ area privatizzata) che riguarda tutto ciò che non è ricompreso nell’elencazione dell’art.2 del T.U, e quindi “l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro.(art.5,comma 2,T.u.165/2001).  Le relative controversie passano dalla competenza del giudice ammnistrativo a quella del  giudice  del lavoro[11] . La formula generale dell’attribuzione di <<tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro>>, che ricalca, ampliandola, quella di cui all’art.409 c.p., è fatta seguire dall’esplicita inclusione delle <<controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte>>(art.63 del d.lgs.n.165 del 2001).


[1] M.RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, Il Mulino,Bologna,1978.

[2] S.BATTINI-S.CASSESE ( a cura di), Dall’impiego pubblico al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Giuffrè, Milano,1997.

[3] F.CARINCI, Una riforma <<conclusa>>.Fra norma scritta e prassi applicativa, in AA.VV., Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, a cura di F.CARINCI, L.ZOPPOLI, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da F.Carinci,Utet,Torino,2004,XLIII.                

[4] D.BORGHESI, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, Cedam,Padova,2002.

[5] Corte Costituzionale, 31marzo 1995,n.101 : L’assegnazione temporanea di un dipendente pubblico a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio e’ un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell’amministrazione, di per se’ quindi non in contrasto con i principi dell’art. 97 Cost.; al lavoratore spetta in tal caso un trattamento retributivo corrispondente alle funzioni di fatto espletate, in forza del principio di proporzionalita’ retributiva la cui applicabilita’ all’impiego pubblico non puo’ essere messa in discussione. La protrazione dell’assegnazione a funzioni superiori oltre il termine (generalmente trimestrale) fissato dalla legge non da’ luogo, nel settore pubblico, all’automatica acquisizione della qualifica superiore (come invece previsto dalla disciplina privatistica del codice civile), ma non puo’ giustificare una restrizione dell’applicabilita’ del principio costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato, salvo che venga dimostrato che l’assegnazione alle funzioni superiori e’ avvenuta con abuso d’ufficio e con la “connivenza” del dipendente: nel qual caso, la pretesa al piu’ favorevole trattamento economico dovrebbe essere respinta ‘ex’ art. 2126 cod. civ.. (Non fondatezza – in riferimento all’art. 97 Cost. – della questione di costituzionalita’ degli artt. 2126 e 2129 cod. civ., in quanto applicabili anche all’impiego pubblico, nella parte in cui non prevedono per tale settore limiti di operativita’ temporale). – v. S. n. 236/1992, nonche’ S. nn. 57/1989, 296/1990 e O. nn. 408/1990, 337/1993.

[6] Si veda Cass.sez.Un.,11 dicembre 2007,n.25837 :In materia di pubblico impiego contrattualizzato – come si evince anche dall’art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993, nel testo, sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, ora riprodotto nell’art. 32 del d.lgs. n. 165 del 2001, l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.; che deve trovare integrale applicazione – senza sbarramenti temporali di alcun genere – pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni. (Principio di diritto enunciato ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ., per la particolare importanza della questione di diritto risolta). (Rigetta, App. Perugia, 8 Novembre 2005)

[7] Si veda Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 14852 del 28 giugno 2006: Le controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende municipalizzate, incluse quelle esercenti il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, in considerazione della natura privatistica del rapporto stesso con tali aziende, che integrano strutture con connotati di impresa, autonome rispetto all’organizzazione pubblicistica del Comune. Appartiene, pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario anche la cognizione della domanda con cui un soggetto faccia valere (come nella specie) il suo diritto all’assunzione alle dipendenze di un’azienda municipalizzata, in virtù proprio della natura privatistica dell’attività svolta, anche con riferimento all’espletamento delle procedure concorsuali. (Dichiara giurisd. rimette sez.semplici, App. Roma, 11 Giugno 2002).

[8] F.CARINCI, Rapporto di lavoro e società a partecipazione pubblica: l’evoluzione legislativa, in Lavoro, Diritti, Europa,19 novembre 2018.

[9] M.D’ANTONA, La neolingua del pubblico impiego riformato,LD,1996,237.

[10] M.NAPOLI,A.GARILLI ( a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra innovazioni e nostalgia del passato (d.lgs.27 ottobre 2009,n.150), NLCC,2011,1073; U.CARABELLI, La riforma Brunetta: un breve quadro sistematico delle novità legislative e alcune considerazioni critiche, in WPCSDLE Massimo D’Antona,n.101/2010; A.BIANCO, A.BOSCATI, R.RUFFINI, La riforma del pubblico impiego e della valutazione, Maggioli editore, Rimini,2017;A.GARILLI,A.RICCOBONO,C.DEMARCO,A.BELLAVISTA,M.MARINELLI,M.NICOLOSI,A.GABRIELE ( a cura di), Il lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione dopo la riforma Madia, Cedam,2018.

[11] Ex multis Corte Cost.31 marzo 1995, n.101 e Cass.Sez.Lav., 26 settembre 2007,n.20170.

La corte evidenzia che :  La violazione, da parte dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro, dell’obbligo di adibire il dipendente alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti (art. 52, comma primo, d.lgs n. 165 del 2001), va accertata, in concreto, anche mediante l’esame delle disposizioni regolamentari, riguardanti le mansioni originarie e quelle della nuova destinazione, allorché non sia in contestazione che le mansioni effettivamente esercitate siano quelle astrattamente contemplate dalle disposizioni medesime. (Nella specie, la S.C., sulla scorta del richiamato principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, in relazione all’accertamento concernente l’assunta dequalificazione professionale subita da un Comandante della Polizia municipale, non aveva approfondito l’indagine sulle mansioni regolamentari allegate dalla parte, che ne aveva richiamato il tenore letterale). (Cassa con rinvio, App. Napoli, 5 Dicembre 2005). In particolare  Cass.sez.Un.,16 settembre 2007,n.23739: Con riferimento al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto gli atti di gestione del rapporto di lavoro che incidono su situazioni giuridiche soggettive del dipendente, tutelate secondo le disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, adottati dagli organi preposti con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art. 4 del d.lgs. n. 29 del 1993, ora art. 5 del d.lgs. n. 165 del 2001). (Nella specie la S.C. ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario rispetto ad un atto di trasferimento di un ingegnere dalla ASL all’ARPA, adottato sulla base di atti generali dell’amministrazione emanati in esecuzione di una legge di riorganizzazione regionale). (Cassa e dichiara giurisdizione, App. Brescia, 8 Aprile 2006).

IL CONTRATTO DI LAVORO PER I DIPENDENTI DA ENTI PUBBLICI

SOMMARIO: 1.L’ambito di applicazione dell’articolo 2129 c.c. 2.Il rapporto tra l’art.1229 c.c. e 2093 c.c. 3. Gli effetti della c.d.  privatizzazione del pubblico impiego.

  1. L’ambito di applicazione dell’articolo 2129 c.c.

L’art.2129 c.c è una norma di rinvio alle disposizioni della sezione III  del titolo II, del libro V del codice civile (artt.2096-2129), per la regolamentazione del lavoro dipendente da “enti pubblici”, “salvo che il rapporto non sia regolato da una specifica legge[1]. Un analogo rinvio è previsto dallo Statuto dei lavoratori (art.37, Legge n.300 del 1970), che estende a tutti i dipendenti degli enti pubblici le norme statutarie “salvo  che la materia sia diversamente regolata da norme speciali”. Per quanto riguarda gli impiegati civili dello Stato vanno considerati il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, nonché le relative norme di esecuzione approvate con D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686 e con D.P.R. 30 aprile 1958, n. 571.              L’art. 98 delle “disposizioni per l’ attuazione del codice civile”   integra la fattispecie ribadendo che <<le richiamate norme si applicano altresì ai rapporti d’impiego dei dipendenti di enti pubblici anche se non inquadrati sindacalmente, in quanto il rapporto non sia diversamente disciplinato da leggi e regolamenti speciali >>.                                                       In verità, la materia  era espressamente disciplinata dal  diritto ammnistrativo,  e solo in seguito alla “ privatizzazione del pubblico impiego”,  la normativa codicistica  ha preso su quella pubblica.  Più precisamente , l’art.2 del d.lgs.n.29/1993 dice espressamente che i rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche sono disciplinate dalla disposizione del libro V capo I titolo II del codice civile (lavoro nell’impresa) e dalle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, salvo i limiti stabiliti dal presente Decreto per il perseguimento degli interessi generali cui l’organizzazione e l’azione amministrativa sono indirizzate[2].L’art.2129 c.c, quindi, continua ad applicarsi a tutti quei rapporti che, sono assoggettati ai rispettivi ordinamenti e  riguardano:  magistrati ordinari, amministrativi e contabili,  avvocati dello stato, personale militale e di polizia, della carriera diplomatica e prefettizia, professori universitari. Espressamente esclusi dalla privatizzazione ai sensi dell’art.3 del d.lgs. 165 del 2001[3].               Tale  personale-in quanto rimane a disciplina pubblica-è sottoposto alla giurisdizione ammnistrativa esclusiva (non solo interessi legittimi, ma anche diritti), ai sensi dell’art.63,co,4 del T.U 165/2001[4].                      Nel settore pubblico rimane preclusa la possibilità per il dipendente che sia utilizzato-anche illegittimamente-in mansioni superiori di maturare il diritto alla promozione automatica. In tali casi può essere corrisposta solo la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore (art.52,comma 5,d.lgs.165/2001).

Su questa regola si è espressa la Corte costituzionale, con sentenza 22 del 31 marzo 1995, n. 101[5],  dichiarando, tra l’altro, non fondata la questione di legittimità del combinato disposto degli  artt. 2126 e 2129 del codice civile, in riferimento all’art. 97 Cost., “in quanto estendenti all’impiego pubblico i principi sulla retribuzione della prestazione di fatto”. Su detta dichiarazione la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato il diritto del dipendente pubblico, con assegnazione di mansioni superiori anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiore  rispetto a quella posseduta, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ex artt.36 Cost. e 2126 c.c., e quindi alle corrispondenti differenze retributive, anche per il periodo precedente alla riforma normativa[6].

2.Il rapporto tra l’art.1229 c.c. e 2093 c.c.

L’art.2129 c.c. va letto in combinato disposto con l’art.2093 c.c. che comporta l’estensione agli “enti pubblici economici”  di tutta la disciplina del codice civile sul lavoro subordinato ( libro V). Gli enti pubblici economici sono gli enti che esercitano in modo esclusivo o prevalente attività imprenditoriale e tale attività deve essere un mezzo per realizzare un fine speculativo e non un fine pubblicistico. Il rapporto di lavoro in tali enti ha natura privatistica. La giurisdizione spetta, infatti, al giudice ordinario[7]. La giurisprudenza ha pertanto ribadito che ai dipendenti degli enti pubblici economici (art.2093 c.c.) a differenza dei dipendenti pubblici non economici ( art.2129 c.c.)non si applichi la regola del concorso pubblico (sancito dall’ art.97 Cost.)per l’accesso all’impiego. (Cass.sez.lav.,5219/1998).

L’ente pubblico economico è stato lo strumento originario e tipico dell’intervento dello Stato nell’economia tramite un soggetto pubblico, anche in forma societaria, ma comunque sottoposto per l’esercizio della sua attività al diritto civile; per, poi, lasciar spazio ad un soggetto privato, quale la società a partecipazione pubblica, divenuta egemone nella stagione della “privatizzazione” dell’ultimo decennio del secolo scorso[8]. L’art. 2129 c.c.,  pur con riguardo gli enti pubblici in genere, dà per presupposto l’art. 2093 c.c., prevedendo che le disposizioni della sezione seconda, titolo secondo, capo primo del libro quinto “si applicano ai prestatori di lavoro dipendenti da enti pubblici, salvo diversamente regolato dalla legge”. L’esito, pertanto, è stato il progressivo ridimensionamento del rilievo accordato a tale potere di auto-organizzazione, con conseguente assoggettamento al diritto comune del lavoro ed al giudice ordinario.

L’art. 2093 c.c., prevede a tutt’oggi l’applicabilità agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali dell’intero libro V (co. 1) e a quelli non inquadrati limitatamente alle imprese esercitate (co. 2). Dopo il venir meno dell’inquadramento previsto dal sistema corporativo, esso è sì sopravvissuto, ma riconducendo la distinzione fra il primo e secondo comma a quella fra un ente pubblico che svolge esclusivamente o prevalentemente un’attività di impresa ed  un ente pubblico che svolge un’attività d’impresa in via marginale: cioè da un requisito formale (l’inquadramento) ad un requisito sostanziale (l’attività svolta). Quelli di cui al co. 1, cioè che esercitano esclusivamente o prevalentemente un’attività economica, sono stati sinteticamente definiti sia dalla dottrina che dalla legislazione come enti pubblici economici, assoggettati al diritto del codice civile, salvo, come dice il comma terzo, che sia diversamente previsto dalla legge.

3. Gli effetti della c.d.  privatizzazione del pubblico impiego

Il percorso della  c.d. privatizzazione del pubblico impiego prende il via con la legge quadro n.93 del 1983, che pur conservando il regime pubblicistico, affiancava alla legge una contrattazione collettiva, efficace non per se stessa ma per essere stata recepita  in decreti del Presidente della Repubblica[9].            La privatizzazione verrà  (scandita da due leggi delega, n.421/1992 e n.59/1997), caratterizzanti una  prima e una seconda fase ed ha riguardato un ambito assai ampio, ma non illimitato, così da dar vita ad un doppio regime: quello assoggettato alla riforma, restituito al diritto privato, sì da doversi indicare come impiego alle dipendenze delle Pubbliche amministrazione; e quello escluso dalla riforma, mantenuto sotto il diritto amministrativo, sì da potersi continuare a chiamare impiego pubblico. . Nel 2001 si arriva al  T.U. sul pubblico impiego (d.lgs.165 del 2001) che è  stato più volte rivisitato  a seguito di successivi interventi normativi, fra cui la c.d. Legge Brunetta ,d.lgs n. 150 del 2009 e i d.lgs. nn.74 e 75 del 2017[10].  Rimasero  escluse dalla privatizzazione  alcune categorie particolari di dipendenti pubblici, in ragione delle funzioni od attività svolte (vedi infra,par.1). Le stesse Regioni non sono tenute ad un’applicazione integrale della disciplina, costituendo le disposizioni del T.U., per quelle a statuto ordinario, <<principi fondamentali, ai sensi dell’art.117 della Costituzione>>; e, per quelle a statuto speciale, ivi comprese le provincie autonome di TRENTO E Bolzano, <<norme fondamentali di riforma economico-sociale>>(art.1,comma 3). La riforma ha dunque comportato una conversione delle fonti, intese in senso a-tecnico, con il passaggio dal diritto ammnistrativo al diritto del lavoro . Da un lato  fonti pubblicistiche  per l’organizzazione degli uffici, dall’altro  fonti privatistiche per la regolazione del rapporto di lavoro.      Si è distinto altresì  il potere di indirizzo politico spettante agli organi di governo (art.4,comma 1),  dal potere gestionale proprio dei dirigenti (art.4, comma “). L’art.2, rubricato “Fonti” del T.U. del pubblico impiego  ha previsto al suo secondo comma, che << i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa>>; ed al suo terzo comma che <<i rapporti individuali di lavoro siano regolati contrattualmente>>. Di conseguenza l’atto di assunzione non è più un provvedimento amministrativo, ma un vero e proprio contratto col lavoratore, se pur normalmente individuato tramite procedure selettive (art.35,comma 1).Gli atti di gestione del rapporto non sono più amministrativi, ma privatistici. L’art. 5, rubricato “Potere di organizzazione”, al suo secondo comma, prevede altresì che <<le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro>>. In sintesi si distingue  tra atti di macro-organizzazione ex art.2 comma 1del T.U (rimasti nell’area pubblica) e atti di micro-organizzazione ( passati nell’ area privatizzata) che riguarda tutto ciò che non è ricompreso nell’elencazione dell’art.2 del T.U, e quindi “l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro.(art.5,comma 2,T.u.165/2001).  Le relative controversie passano dalla competenza del giudice ammnistrativo a quella del  giudice  del lavoro[11] . La formula generale dell’attribuzione di <<tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro>>, che ricalca, ampliandola, quella di cui all’art.409 c.p., è fatta seguire dall’esplicita inclusione delle <<controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte>>(art.63 del d.lgs.n.165 del 2001).


[1] M.RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, Il Mulino,Bologna,1978.

[2] S.BATTINI-S.CASSESE ( a cura di), Dall’impiego pubblico al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Giuffrè, Milano,1997.

[3] F.CARINCI, Una riforma <<conclusa>>.Fra norma scritta e prassi applicativa, in AA.VV., Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, a cura di F.CARINCI, L.ZOPPOLI, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da F.Carinci,Utet,Torino,2004,XLIII.                

[4] D.BORGHESI, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, Cedam,Padova,2002.

[5] Corte Costituzionale, 31marzo 1995,n.101 : L’assegnazione temporanea di un dipendente pubblico a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio e’ un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell’amministrazione, di per se’ quindi non in contrasto con i principi dell’art. 97 Cost.; al lavoratore spetta in tal caso un trattamento retributivo corrispondente alle funzioni di fatto espletate, in forza del principio di proporzionalita’ retributiva la cui applicabilita’ all’impiego pubblico non puo’ essere messa in discussione. La protrazione dell’assegnazione a funzioni superiori oltre il termine (generalmente trimestrale) fissato dalla legge non da’ luogo, nel settore pubblico, all’automatica acquisizione della qualifica superiore (come invece previsto dalla disciplina privatistica del codice civile), ma non puo’ giustificare una restrizione dell’applicabilita’ del principio costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato, salvo che venga dimostrato che l’assegnazione alle funzioni superiori e’ avvenuta con abuso d’ufficio e con la “connivenza” del dipendente: nel qual caso, la pretesa al piu’ favorevole trattamento economico dovrebbe essere respinta ‘ex’ art. 2126 cod. civ.. (Non fondatezza – in riferimento all’art. 97 Cost. – della questione di costituzionalita’ degli artt. 2126 e 2129 cod. civ., in quanto applicabili anche all’impiego pubblico, nella parte in cui non prevedono per tale settore limiti di operativita’ temporale). – v. S. n. 236/1992, nonche’ S. nn. 57/1989, 296/1990 e O. nn. 408/1990, 337/1993.

[6] Si veda Cass.sez.Un.,11 dicembre 2007,n.25837 :In materia di pubblico impiego contrattualizzato – come si evince anche dall’art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993, nel testo, sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, ora riprodotto nell’art. 32 del d.lgs. n. 165 del 2001, l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.; che deve trovare integrale applicazione – senza sbarramenti temporali di alcun genere – pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni. (Principio di diritto enunciato ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ., per la particolare importanza della questione di diritto risolta). (Rigetta, App. Perugia, 8 Novembre 2005)

[7] Si veda Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 14852 del 28 giugno 2006: Le controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti delle aziende municipalizzate, incluse quelle esercenti il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, in considerazione della natura privatistica del rapporto stesso con tali aziende, che integrano strutture con connotati di impresa, autonome rispetto all’organizzazione pubblicistica del Comune. Appartiene, pertanto, alla giurisdizione del giudice ordinario anche la cognizione della domanda con cui un soggetto faccia valere (come nella specie) il suo diritto all’assunzione alle dipendenze di un’azienda municipalizzata, in virtù proprio della natura privatistica dell’attività svolta, anche con riferimento all’espletamento delle procedure concorsuali. (Dichiara giurisd. rimette sez.semplici, App. Roma, 11 Giugno 2002).

[8] F.CARINCI, Rapporto di lavoro e società a partecipazione pubblica: l’evoluzione legislativa, in Lavoro, Diritti, Europa,19 novembre 2018.

[9] M.D’ANTONA, La neolingua del pubblico impiego riformato,LD,1996,237.

[10] M.NAPOLI,A.GARILLI ( a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra innovazioni e nostalgia del passato (d.lgs.27 ottobre 2009,n.150), NLCC,2011,1073; U.CARABELLI, La riforma Brunetta: un breve quadro sistematico delle novità legislative e alcune considerazioni critiche, in WPCSDLE Massimo D’Antona,n.101/2010; A.BIANCO, A.BOSCATI, R.RUFFINI, La riforma del pubblico impiego e della valutazione, Maggioli editore, Rimini,2017;A.GARILLI,A.RICCOBONO,C.DEMARCO,A.BELLAVISTA,M.MARINELLI,M.NICOLOSI,A.GABRIELE ( a cura di), Il lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione dopo la riforma Madia, Cedam,2018.

[11] Ex multis Corte Cost.31 marzo 1995, n.101 e Cass.Sez.Lav., 26 settembre 2007,n.20170.

La corte evidenzia che :  La violazione, da parte dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro, dell’obbligo di adibire il dipendente alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti (art. 52, comma primo, d.lgs n. 165 del 2001), va accertata, in concreto, anche mediante l’esame delle disposizioni regolamentari, riguardanti le mansioni originarie e quelle della nuova destinazione, allorché non sia in contestazione che le mansioni effettivamente esercitate siano quelle astrattamente contemplate dalle disposizioni medesime. (Nella specie, la S.C., sulla scorta del richiamato principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, in relazione all’accertamento concernente l’assunta dequalificazione professionale subita da un Comandante della Polizia municipale, non aveva approfondito l’indagine sulle mansioni regolamentari allegate dalla parte, che ne aveva richiamato il tenore letterale). (Cassa con rinvio, App. Napoli, 5 Dicembre 2005). In particolare  Cass.sez.Un.,16 settembre 2007,n.23739: Con riferimento al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto gli atti di gestione del rapporto di lavoro che incidono su situazioni giuridiche soggettive del dipendente, tutelate secondo le disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, adottati dagli organi preposti con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (art. 4 del d.lgs. n. 29 del 1993, ora art. 5 del d.lgs. n. 165 del 2001). (Nella specie la S.C. ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario rispetto ad un atto di trasferimento di un ingegnere dalla ASL all’ARPA, adottato sulla base di atti generali dell’amministrazione emanati in esecuzione di una legge di riorganizzazione regionale). (Cassa e dichiara giurisdizione, App. Brescia, 8 Aprile 2006).