di Pietro Fontana
La pronuncia dell’Adunanza Plenaria 23 aprile 2021, n. 7 si inserisce nell’incessante dialogo giurisprudenziale degli ultimi anni vertente sulla natura giuridica della responsabilità della pubblica amministrazione per la ritardata conclusione del procedimento amministrativo.[1]
L’occasione che ha consentito all’Alto Consesso di prendere posizione sul tema è originata da un contenzioso promosso da una società operante nel settore delle energie rinnovabili al fine di conseguire il risarcimento dei danni subiti a causa del ritardo con cui l’amministrazione regionale aveva autorizzato la realizzazione e gestione di alcuni impianti fotovoltaici. A dire del ricorrente, il ritardo nel rilascio delle richieste autorizzazioni avrebbe inciso sul costo dell’investimento, divenuto antieconomico a seguito dell’abrogazione del regime tariffario incentivante ex art. 7 d.lgs. n. 387 del 2003,[2] vigente al momento della domanda.[3]
Ciò trattasi, e rilevato un contrasto giurisprudenziale di settore in ordine alla qualificazione giuridica della responsabilità della P.A.,[4] il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana ha deferito all’Adunanza Plenaria, in particolare, due questioni: in primo luogo, la domanda attiene al se la sopravvenienza normativa interrompa il nesso causale tra l’inerzia dell’amministrazione e il danno lamentato a titolo di lucro cessante dalla società ricorrente; in seconda battuta, il consesso siciliano ha richiesto lumi ai giudici di Palazzo Spada in ordine alla determinazione del quantum risarcibile in conseguenza del ritardo.
Non del tutto celata, tra le righe della rimessione, appare la preferenza dei giudici siciliani per una revisione critica del regime della responsabilità dell’Amministrazione, che viene accostata maggiormente al modello della responsabilità contrattuale, traendo linfa, l’obbligazione risarcitoria, da un fascio di rapporti ovvero da un contatto quantomeno procedimentale tra pubblica amministrazione e privato.[5]
Così tratteggiata la questione, l’Adunanza Plenaria si è da subito confrontata con l’ultima questione posta, quella relativa alla natura giuridica da iscriversi alla responsabilità della P.A. nel caso di che trattasi, così ritenendola prioritaria sul piano logico.[6] Ad uno sguardo critico, infatti, le questioni specifiche sottoposte all’attenzione dell’Alto Consesso attengono allo stadio degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria; di talché, è giocoforza premetterne la relativa qualificazione giuridica, poi affrontando partitamente gli aspetti applicativi dei singoli elementi costitutivi che, nonostante il regime prescelto, possano presentare un tratto di specialità rispetto alla disciplina prescelta.
La responsabilità in cui incorre l’amministrazione per l’esercizio delle sue funzioni pubbliche, secondo la Plenaria, è inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito.[7] E ciò discende anzitutto dalla considerazione che il rapporto giuridico amministrativo, nascente da un provvedimento o da un atto o da un comportamento amministrativo, è caratterizzato da un’asimmetria che mal si concilia con la paritarietà che fonda le teorie sul contatto sociale.[8]
In questa occasione, pertanto, il massimo organo della giustizia amministrativa ha ribadito l’orientamento maggioritario che ricollega il prisma della responsabilità dell’amministrazione pubblica alla regola generale del neminem laedere.[9]
Il dibattito sulla natura della responsabilità de qua aveva visto contendersi il campo essenzialmente altre tre teorie: contrattuale, precontrattuale e speciale.
Secondo la prima impostazione, condivisa dal giudice rimettente, la responsabilità viene attratta nello schema nello schema degli artt. 1218 e ss. c.c., ritagliando una posizione maggiormente favorevole per il danneggiato,[10] attraverso la valorizzazione del contatto procedimentale qualificato, di cui sono espressione gli istituti partecipativi previsti dalla l. 7 agosto 1990, n. 241.[11]
Il modello della responsabilità precontrattuale,[12] invece, valorizza il portato generale del principio di buona fede ex art. 1337 c.c., cui si ricollega l’afflato solidaristico dell’art. 2 Cost., così prospettando in capo alla pubblica amministrazione un addebito a titolo di culpa in contrahendo.[13]
Da ultimo, giova segnalarsi quell’orientamento interpretativo che inquadra la responsabilità della pubblica amministrazione in una forma sui generis, caratterizzata dalla lesione dell’interesse legittimo qualificata dall’illegittimo esercizio del potere autoritativo.[14]
L’irriducibilità a vincolo obbligatorio del potere autoritativo della P.A.[15] e la non paritarietà delle parti del rapporto amministrativo, ambedue titolari di situazioni soggettive attive, guidano il percorso argomentativo dell’Adunanza Plenaria verso l’extracontrattualità della responsabilità in esame.
Ad ulteriore supporto della natura aquiliana, l’Alto Consesso richiama la svolta giurisprudenziale sostanzialistica sull’interesse legittimo, che da interesse occasionalmente protetto è divenuto interesse correlato ad un bene della vita coinvolto nell’esercizio della funzione pubblica.[16]
Del pari, lo stesso Codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ispirato ai criteri di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale,[17] sottolinea la Plenaria, ha accolto il modello aquiliano nel disciplinare l’azione di condanna al risarcimento di cui all’art. 30 c.p.a. In particolare, fanno riferimento, il comma 2 al «danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria», e il comma 4 al «danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento».
L’adesione al modello aquiliano restituisce centralità al giudizio sulla spettanza del bene della vita, considerato imprescindibile dalle note Sezioni Unite 22 luglio 1999, n. 500: a ciò sembra fare rapido accenno l’Adunanza Plenaria laddove sottolinea che l’ingiustizia del danno, ossia il danno c.d. evento, deve dimostrarsi in giudizio, diversamente da quanto avviene per la responsabilità da inadempimento contrattuale.[18] In tale ultima ipotesi, la disamina sull’ingiustizia del danno è integralmente assorbita dalla violazione della regola contrattuale, cui l’ordinamento attribuisce forza precettiva in ragione dell’autonomia negoziale.[19]
Accertata positivamente la ingiusta lesione di un interesse giuridico meritevole di tutela (danno-evento), legato secondo un nesso di causalità materiale alla condotta antigiuridica, attiva o omissiva, dell’amministrazione,[20] residuano da determinarsi le conseguenze pregiudizievoli (danno-conseguenza) che derivano dalla lesione che fonda la pretesa risarcitoria. Il danno conseguenza, così come nel diritto civile, va allegato e provato.
Sul punto, la Plenaria, sottolinea la rilevanza dell’accertamento del nesso di causalità giuridica che lega il danno-evento al danno-conseguenza, dal momento che lo stesso si svolge tenendo conto dell’eventuale concorso del fatto colposo del creditore. Dunque, ricostruendo la questione sul piano normativo, l’art. 2056 c.c., regola del regime extracontrattuale della responsabilità, richiama l’art. 1227, comma 2 c.c. che, a differenza del primo comma che disciplina il nesso di causalità materiale condotta-evento, evoca un principio di causalità giuridica, rilevante in sede di determinazione del quantum risarcibile: «il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza».
Come ha chiarito l’Adunanza Plenaria nella sentenza 23 marzo 2011, n. 3, l’applicazione di una siffatta impostazione nel perimetro pubblicistico implica la nascita di un onere di cooperazione del privato, financo di attivarsi con ogni strumento procedimentale o processuale utile a salvaguardare il bene della vita sotteso all’interesse legittimo, così da delimitare le conseguenze risarcitorie, con il solo limite delle attività straordinarie o gravose.[21]
L’individuazione del danno conseguenza, ossia del quantum risarcitorio, osserva la Plenaria, è poi calibrata, in forza del rinvio a molteplici fonti normative contenuto nell’art. 2056 c.c., sugli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.
Un ruolo centrale riveste l’art. 1223 c.c., secondo cui il risarcimento del danno comprende la perdita subita dal creditore, il c.d. danno emergente, e il mancato guadagno, il c.d. lucro cessante «in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta».
La regola della consequenzialità immediata e diretta, al pari del summenzionato meccanismo di cui all’art. 1227, comma 2 c.c., opera in funzione limitatrice delle conseguenze dannose risarcibili comprese nella serie causale originata dal fatto illecito, nel cui genus si ricomprende l’atto illecito dell’amministrazione.[22]
Così delineati i lineamenti essenziali del thema decidendum, l’Adunanza Plenaria procede alla disamina della questione deferitale, applicando le coordinate esegetiche tracciate.
Allora, i giudici di Palazzo Spada rilevano che la questione di che trattasi investe il piano della causalità giuridica come sopra specificato.
Infatti, è del tutto incontroverso che il ritardo o l’inerzia dell’amministrazione – dapprima già contestato ex art. 117 c.p.a. dall’impresa ricorrente – abbiano determinato la lesione del bene «tempo», integrando l’ingiustizia del danno la dimostrazione che il superamento del termine di legge ex art. 2 l. 7 agosto 1990, n. 241 ha impedito al privato di ottenere il provvedimento ampliativo favorevole.
Il rapporto di causalità giuridica è, invece, l’oggetto della questione controversa rimessa all’Adunanza Plenaria, ossia il legame eziologico tra danno-evento e danno-conseguenza.[23]
In altri termini, il dubbio del giudice rimettente si incentra sulla possibilità di imputare alla Regione siciliana il mancato accesso al regime tariffario incentivante previsto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, a causa della sopravvenienza normativa di cui all’art. 65 del d.l. n. 1 del 2012.
La soluzione del problema dell’imputabilità risulta strettamente dipendente dalla risposta che si fornisca ad un quesito di fondo: può la sopravvenienza normativa essere ritenuta un fattore causale autonomo, in grado perciò di recidere il nesso di consequenzialità immediata e diretta evocato dall’art. 1223 c.c. tra la ritardata conclusione dei procedimenti autorizzativi e il mancato accesso al regime incentivante? L’interprete che intendesse offrire risposta positiva, si osservi, sarebbe di conseguenza indotto a configurare il ritardo dell’amministrazione come mera occasione rispetto al pregiudizio lamentato dalla società ricorrente.
L’Adunanza Plenaria, prima di rispondere al quesito ed enucleare i principi regolatori del caso concreto, precisa anche che il mancato accesso al regime tariffario incentivante rientra nel concetto di lucro cessante, e non di danno emergente. Pertanto, a differenza di quest’ultimo che consiste in un decremento patrimoniale certo, il lucrum cessans è valutabile attraverso un accertamento probabilistico, riferendosi al possibile incremento patrimoniale: infatti, il giudizio ipotetico è rivolto a stabilire se il guadagno prevedibile si sarebbe concretizzato con ragionevole grado di probabilità se non fosse intervenuto il fatto ingiusto altrui. Con riferimento, allora, alle tecniche risarcitorie utilizzabili, l’Alto Consesso richiama la tematica della risarcibilità della chance, che, come noto, non ha ancora rinvenuto un approdo giurisprudenziale stabile in ordine alla teoria utilizzabile a fini reintegratori,[24] ovvero la liquidazione equitativa di cui all’art. 2056, comma 2 c.c.
Ritornando sul quesito testé precisato, afferente all’incidenza della sopravvenienza normativa come fattore causale autonomo produttivo del pregiudizio consistente nel mancato accesso al regime incentivante, l’Adunanza Plenaria sottolinea la necessità di valutare come il novum normativo operi nella sequenza causale.
Inquadrata in quest’ottica la quaestio iuris, l’Alto Consesso ritiene che, con riferimento al periodo di tempo anteriore alla modifica normativa che ha soppresso gli incentivi, sussiste senz’altro un rapporto di consequenzialità che consente di imputare al ritardo della Regione il pregiudizio patrimoniale subito dalla società ricorrente a causa del mancato accesso agli incentivi tariffari. Il ritardo, infatti, lungi dal tradursi come mera occasione del pregiudizio, ne è stata dunque la causa.
Invero, con riferimento al periodo successivo alla sopravvenienza normativa, occorre stabilire se le erogazioni sarebbero comunque cessate. In tale ipotesi, il pregiudizio sarebbe riconducibile alla sopravvenienza legislativa e, così, non più imputabile all’amministrazione. Laddove, invece, l’interessato avrebbe comunque avuto diritto a mantenere il regime agevolativo, in quanto la legge faccia salvi gli incentivi già in corso di erogazione, il novum legislativo non sarebbe in grado di recidere il nesso eziologico che lega il ritardo al danno conseguenza, così potendo considerarsi il pregiudizio imputabile direttamente ed immediatamente al ritardo dell’amministrazione.
Tali considerazioni, aggiunge l’Adunanza Plenaria, si inserirebbero a pieno nella natura polifunzionale della responsabilità civile,[25] intesa non solo come strumento di reintegrazione della sfera giuridica del danneggiato, espressione dell’indifferenza patrimoniale del rimedio risarcitorio; ma anche nella funzione dissuasiva, tesa ad addossare all’autore di condotte colpose ingiustamente lesive di altrui interessi patrimoniali le relative conseguenze; infine, risulterebbero altresì coerenti alla moderna funzione di equa ripartizione dei rischi connessi ad attività pericolose ma potenzialmente pregiudizievoli per i terzi, secondo il brocardo cuius commoda eius et incommoda.
I giudici di Palazzo Spada, poi, concludono sostenendo che in un quadro giurisdizionale, forgiato sui principi di effettività della tutela giurisdizionale e sulla pluralità dei rimedi a disposizione del privato contro l’inerzia dell’amministrazione, quest’ultima sottostà sul piano risarcitorio ai rischi a lei imputabili, cagionati dal suo comportamento antigiuridico.
In definitiva, ad onta della configurazione della sopravvenienza normativa alla stregua di un factum principis, nondimeno l’ingiustificato ritardo nel rilascio del provvedimento ingenera una responsabilità in capo all’amministrazione coerente con la funzione dei termini del procedimento: «definire un quadro certo relativo ai tempi in cui il potere pubblico deve essere esercitato e dunque è ragionevole per il privato prevedere che sia esercitato».
[1] L’art. 2-bis l. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dall’art. 7, co 1, lett. c), della l. 18 giugno 2009, n. 69, recita: «1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento».
«1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’ articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 . In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento».
Sul punto, più ampiamente, si rinvia a M. Clarich, Termine del procedimento e potere amministrativo, Giappichelli, Torino, 2005. In generale, sul procedimento amministrativo, è opportuno richiamare M.A. Sandulli, Codice dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2011; V. Cerulli Irelli, Il procedimento amministrativo, Jovene, Napoli, 2007; inn tema anche A.M. Sandulli, Il procedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1940.
[2] Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.
[3] L’art. 65 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 ha impedito l’accesso al regime tariffario incentivante di che trattasi.
[4] Si intende fare riferimento alla responsabilità da provvedimento o, come nel caso di che trattasi, da inosservanza dolosa o colposa del termine legale di conclusione del procedimento. Sul tema sia concesso rinviare, tra i tanti, alle opere di G. Avanzini, Responsabilità civile e procedimento amministrativo, Cedam, Padova, 2005; F. Elefante, La responsabilità della pubblica amministrazione da attività provvedimentale, Cedam, Padova, 2002; M.C. Cavallaro, Potere amministrativo e responsabilità civile, Giappichelli, Torino, 2004; B. Boschetti, Danno e responsabilità nella funzione amministrativa, Cedam, Padova, 2012; M. Carrà, L’esercizio illecito della funzione pubblica ex art. 2043 c.c., Giuffrè, Milano, 2005.
[5] Su questo aspetto si tornerà più avanti, ove si dedicherà un maggiore approfondimento al tema della responsabilità da inadempimento, mettendone in luce le differenze ontologiche e di regime giuridico rispetto al modello aquiliano di responsabilità.
[6] In linea generale, può farsi in tale sede soltanto accenno alle innumerevoli conseguenze in termini di disciplina che scaturiscono dall’adesione all’una o all’altra tesi sulla natura giuridica della responsabilità. A rigore, le ricadute pratiche sono notevoli sotto diversi punti di vista: situazioni giuridiche ristorabili, disciplina in punto di onere probatorio, quantificazione del danno risarcibile, termine prescrizionale, mora debendi, rivalutazione monetaria, interessi legali. Esprime perplessità sulla rigidità della distinzione tra i due modelli di responsabilità N. Lipari, Le categorie del diritto civile, Milano, Giuffrè, 2013, 196.
[7] L’Adunanza Plenaria ha in questa sede ribadito l’orientamento dominante all’interno della giurisprudenza amministrativa e di legittimità. Si pensi, il modello aquiliano era già stato sostenuto con riferimento al danno da attività provvedimentale dalla celebre pronuncia Cass. sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Foro it., 1999, 2487, con note di R. Caranta, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, I, ivi, 3202 ss. e F. Fracchia, Dalla negazione della risarcibilità degli interessi legittimi all’affermazione della risarcibilità di quelli giuridicamente rilevanti: la svolta della suprema corte lascia aperti alcuni interrogativi, ivi, 3212 ss.
[8] Attorno al contatto sociale, in termini critici sia concesso rinviare a R. Chieppa, Viaggio di andata e ritorno dalle fattispecie di responsabilità della pubblica amministrazione alla natura della responsabilità per danni arrecati nell’esercizio dell’attività amministrativa, in Dir. proc. amm., 2003, 699-700; delle stesse perplessità è L. De Lucia, Procedimento amministrativo e interessi materiali, in Dir. amm., 1/2005, 94.
[9] Sulla natura di clausola generale della formula del neminem laedere e sulla sua portata precettiva, si rinvia ai rilievi svolti da Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, cit., ove, in particolare, si legge: «(..) l’art. 2043 c.c. non costituisce norma secondaria (di sanzione) rispetto a norme primarie (di divieto), ma racchiude in sé una clausola generale primaria, espressa dalla formula danno ingiusto, in virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell’ingiustizia, in quanto lesivo di interessi ai quali l’ordinamento, prendendoli in considerazione sotto vari profili (esulanti dalle tematiche del risarcimento), attribuisce rilevanza».
[10] Si pensi, ad esempio, all’irrilevanza del giudizio sulla spettanza del bene della vita ai fini risarcitori, rinvenendo l’obbligo risarcitorio-reintegratorio la sua fonte nella lesione dell’affidamento del privato; o, ancora, in punto di onere della prova a seguito dello storico arresto della Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, con nota di V. Mariconda, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro, in Corr. giur., 2001, 1565 ss. La Suprema Corte nella citata pronuncia del 2001, afferma il principio fondamentale, secondo cui: «(..) il creditore, sia che agisca per l’adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento». Sul tema, sia concesso rinviare a G.F. Ricci, Questioni controverse in tema di onere della prova, in Riv. dir. proc., 2014, 342 e D. Imbruglia, Effettività della tutela e ruolo del giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 987;
Si tenga, però, anche presente che, ove si propenda per la minoritaria tesi contrattualistica, troverà applicazione l’art. 1225 c.c., a tenore del quale: «Se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione».
[11] Sommariamente, si richiamano gli istituti del capo III della l. n. 241/1990 di cui agli artt. 7 (Comunicazione di avvio del procedimento), 9 (Intervento nel procedimento), 10 (Diritti dei partecipanti al procedimento), 10-bis (Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza).
[12] Attorno alla tesi della consistenza di diritto soggettivo della posizione lesa dall’annullamento di provvedimento favorevole, sub specie di diritto all’integrità patrimoniale, si rinvia a G. Grasso, Sul rilievo del principio del legittimo affidamento nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, in Il nuovo modello di amministrazione tra il principio di autoritarietà ed unilateralità ed i moduli consensuali nella organizzazione e nell’esercizio delle potestà pubbliche, a cura di A. Di Taranto, Roma, 2005; C.E. Gallo, La lesione dell’affidamento sull’attività della pubblica amministrazione, in Dir. Proc. Amm., fasc. 2, 2016.
[13] La dottrina, sul punto, distingue due ipotesi di responsabilità precontrattuale: la responsabilità precontrattuale c.d. spuria o atecnica, discendente dall’adozione di provvedimenti amministrativi illegittimi, e la responsabilità precontrattuale c.d. pura o tecnica, che si sostanzia nella violazione delle regole di correttezza e buona fede oggettiva. Mentre la prima, quanto a regime, è assimilabile alla responsabilità extracontrattuale, quella pura, invece, è attratta al modello contrattuale ovvero aquiliano a seconda che si acceda o meno alla teoria del contatto sociale. Con riferimento a quest’ultima è intervenuta di recente l’Adunanza Plenaria, in tema di appalti pubblici, rilevando che la responsabilità precontrattuale della P.A. può configurarsi anche prima dell’aggiudicazione definitiva, sia prima che dopo la pubblicazione del bando, a prescindere dalla trattativa, che può anche mancare. A tali conclusioni l’Alto Consesso è pervenuto valorizzando il principio di buona fede e correttezza che, in quanto posto a presidio della libertà di autodeterminazione dei privati ed espressione dei valori solidaristici, deve permeare l’intero procedimento teso all’aggiudicazione, a prescindere dalla relativa fase, pubblicistica o privatistica, dello stesso. Sul ripudio dell’ideale suddivisione dicotomica dell’attività contrattuale della P.A. e sulle altre interessanti prese d’atto si rinvia alla sentenza Cons. Stato, Ad. Plen., sent. 4 maggio 2018, n. 5, con nota di F. Trimarchi Banfi, La responsabilità dell’amministrazione per il danno da affidamento nella sentenza dell’adunanza plenaria n. 5 del 2018, in Corr. giur., 2018, 12, 1555-1560. Per un commento sulla pronuncia dell’Alto consesso n. 5/2018, sia rinvia a M.L. Chiarella, La responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione, tra buona fede, efficienza e tutela dell’affidamento, in www.federalismi.it., 2016.
Circa la dimensione unionale del principio del legittimo affidamento, si rinvia agli scritti di L. Alla, Il legittimo affidamento nel diritto europeo e nel diritto interno, inwww.amministrazioneincammino.luiss.it, 2012 e S. Antoniazzi, Recenti conferme della Corte di giustizia circa la ricostruzione di un principio fondamentale di tutela dell’affidamento nell’ordinamento comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2002, 1130 ss.
Sulla responsabilità precontrattuale, tra i tanti, imprescindibile il rinvio a M.S. Giannini, La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica, in Scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo, Milano, Giuffrè, 1963, 269 e ss. Interessante sul punto anche il lavoro di V. Molaschi, Responsabilità extracontrattuale, responsabilità precontrattuale e responsabilità da contatto: la disgregazione dei modelli di responsabilità della pubblica amministrazione, in Foro it., III, 2002. Tra i tanti, sia concesso rinviare, inoltre, a G. Racca, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione tra autonomia e correttezza, Jovene, Napoli, 2000. Cristallino, sul punto, C. Castronovo, L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto, in Scritti in onore di L. Mengoni, Milano, Giuffrè, 1995, I, 148 ss.
Deve darsi infine conto della recente ordinanza della Cass., sez. un, 25 maggio 2021, n. 17329, rinvenibile in Leggi d’Italia, 2021. Ad avviso della Suprema Corte, sarebbe perfino ipotizzabile una «fase prodromica precontrattuale» parallela alla fase amministrativa fino alla stipulazione del contratto, frutto del provvedimento di aggiudicazione; il contratto sostituirebbe integralmente i diritti soggettivi di tale fase prodromica. Quanto riportato è stato affermato al fine di attrarre nella giurisdizione ordinaria le controversie di tal fatta, posto che la responsabilità precontrattuale in casi siffatti non consegue dal procedimento amministrativo, che ne costituisce solo l’occasione, ma il suo afflato potrebbe avere nel futuro prossimo anche risvolti sostanziali.
[14] Aderisce a questa tesi Cons. St., sez. VI, 14 marzo 2005, n. 1047, in Urbanistica e appalti, 2005, 1067 ss.
[15] Sul potere amministrativo, la letteratura è sterminata. Ex multis, si rinvia a G. Miele, Potere, diritto soggettivo e interesse, in Riv. dir. com., 1944, 115 ss; G. Guarino, Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. dir. pubbl., 1949, 264 ss; S. Romano, Poteri e potestà, in Frammenti di un dizionario giuridico, Giuffrè, Milano, 1983, 17 ss. V. Cerulli Irelli, Il potere amministrativo e l’assetto costituzionale delle funzioni di governo, in Dir. pubbl., I, 2011, 33 ss.
[16] Per l’originaria concezione del carattere condizionato del diritto rispetto al potere discrezionale e sulla teoria della degradazione risalente a O. Ranelletti, sia concesso rimandare a A. Amorth, Figura giuridica e contenuto del diritto subiettivo affievolito, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, II, Padova, Cedam, 1940, 201, ove si legge che emergeva un diritto soggettivo affievolito, qualificato come «una pretesa giuridica che ha consistenza e valore di diritto nei confronti dei terzi, mentre ha natura di interesse legittimo rispetto all’Amministrazione che, per suo provvedimento, l’ha chiamata in vita e al cui potere discrezionale rimane soggetta».
[17] Sull’effettività della tutela, ex multis, si rinvia a F. Guzzi, Effettività della tutela e processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 2003, 191; S. Tarullo, Il giusto processo amministrativo. Studio sull’effettività della tutela giurisdizionale nella prospettiva europea, Milano, Giuffrè, 2004. Il principio di effettività della tutela giurisdizionale trova riconoscimento peraltro anche a livello unionale, attraverso la previsione dell’art. 47 della Carta di Nizza. Quest’ultima gode dello stesso valore giuridico dei Trattati istitutivi, ai sensi dell’art. 6 TUE.
[18] Il giudizio prognostico sulla fondatezza dell’istanza e, quindi, sulla spettanza del bene della vita riveste un ruolo centrale laddove il danno, da diniego illegittimo del provvedimento ampliativo o da ritardo ingiustificato, derivi dalla lesione di un interesse legittimo pretensivo. Tale giudizio reca con sé il rischio che il giudice, sia pure virtualmente e nella sola prospettiva risarcitoria, si sostituisca all’amministrazione; peraltro, tale rischio incrementa proporzionalmente l’aumento dei margini di valutazione di cui gode l’amministrazione. Ad attività vincolata, per sua natura o per effetto del giudicato amministrativo di annullamento giurisdizionale del diniego sostituito con un diniego diversamente motivato, anch’esso annullato, corrisponde un rischio di eccesso c.d. giurisdizionale sostanzialmente azzerato. Sul tema dei poteri vincolati è doveroso rinviare a A. Orsi Battaglini, Attività vincolata e situazioni soggettive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 3, 1988. Per converso, si rinvia al pensiero autorevole ed attuale di M.S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 1939
Più spinosa la questione afferente alle aree coperte da discrezionalità tecnica, entro cui viene da sempre in evidenza il problema della natura e dell’intensità del sindacato del giudice amministrativo; definitivamente, con riguardo alle ipotesi di discrezionalità pura, il rischio che il giudice amministrativo si sostituisca all’amministrazione è lampante. Non a caso, è con riferimento a tali evenienze che buona parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato propende per il diverso giudizio prognostico della perdita di chance.
[19] Sul magistrale insegnamento apportato alla comunità degli studiosi dalla teoria dell’atto giuridico e delle differenze con la categoria del negozio giuridico deve giocoforza rinviarsi a F. Santoro Passarelli, voce Atto giuridico, in Enc. dir., vol. IV, Giuffrè, 1959.
[20] Il nesso di causalità materiale che deve intercorrere tra condotta antigiuridica e danno ingiusto (danno-evento) involge essenzialmente un giudizio prognostico teso a verificare se l’attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita, sotteso all’interesse legittimo. Questo accertamento è governato dalle regole penalistiche di cui agli artt. 40 e 41 c.p., ossia regolato dalla teoria condizionalistica, integrata dal modello della sussunzione sotto leggi scientifiche e corretta dalla teoria della causalità adeguata.
[21] Il c.d. superamento temperato della pregiudizialità amministrativa, ad opera del Codice del processo amministrativo, emerge con nettezza dalla formulazione dell’art. 30, co 3 c.p.a. che, come osservato dall’A.P. n. 3/2011, evoca l’art. 1227, co 2. In una tutela ormai di rapporto, anche il comportamento del soggetto privato deve essere valutato dal giudice: nello spirito del codice del processo, pertanto, l’omessa proposizione dell’azione demolitoria non è più ritenuta una preclusione di rito, ma un fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile. Allora, si è posto il problema di quali fossero gli strumenti di tutela della cui mancata attivazione il giudice del risarcimento deve tener conto, alla luce dell’ampia formulazione normativa del comma 3 dell’art. 30 c.p.a. La valutazione del limite costituito dall’apprezzabile sacrificio va senz’altro compiuta caso per caso, alla luce del principio di buona fede ex art. 1175 c.c. e di solidarietà ex art. 2 Cost. La più volte richiamata pronuncia dell’Alto Consesso n. 3/2011 ha anche fornito risposta positiva sulla possibilità di includere nell’ordinaria diligenza l’onere di avanzare la richiesta di una misura cautelare, purchè si tenga conto delle circostanze di fatto e delle condizioni soggettive della parte.
[22] L’approccio metodologico seguito in questo passo e l’intento classificatorio intende ispirarsi a quell’autorevole dottrina già richiamata alla nota 17, cui si deve rinviare.
[23] Il termine rapporto/legame/nesso deriva dal latino nectere, cioè legare; e lega una condotta, atto umano dal latino ago-agere, elemento agente, e d’altra parte l’evento, dal latino evenio – evenire, ossia il risultato della condotta.
[24] A contendersi ancora oggi il campo sono le due contrapposte teorie della chance ontologica, che non ammette valutazioni statistiche e considera dunque la chance un bene risarcibile ex professo, e quella della chance eziologica, che richiede un coefficiente probabilistico frutto di accertamento prognostico pari almeno al 50%. Mentre aderendo a quest’ultima impostazione, la valutazione risarcitoria è calibrata sul lucro cessante, per la chance ontologica a spiccare come autonoma prospettiva risarcitoria è il danno emergente. La V Sezione del Consiglio di Stato nel 2018 ha investito del contrasto l’Adunanza Plenaria – si trattava del caso di un affidamento diretto di un appalto avvenuto in luogo di una procedura ad evidenza pubblica – ma l’Alto Consesso ha deciso di restituire gli atti alla Sezione, lasciando aperta la questione.
[25] Testimonianza dell’ormai nota polifunzionalità della responsabilità civile è la pronuncia della Cass., sez. un. 5 luglio 2017, n. 16601, in Corr. giur., 2017, 8-9, 1042, con nota di C. Consolo, Riconoscimento di sentenze, specie usa e di giurie popolari, aggiudicanti risarcimenti punitivi o comunque sopracompensativi, se in regola con il nostro principio di legalità (che postula tipicità e financo prevedibilità e non coincide pertanto con il, di norma presente, due process of law); si rinvia anche al commento di G. Corsi, Le Sezioni Unite: via libera al riconoscimento di sentenze comminatorie di punitive damages, in Danno e resp., 2017, 4, 419.
Sul tema, illuminanti le pagine di A. Di Majo, Risarcimento anche con funzione punitiva – principio di legalità e di proporzionalità nel risarcimento con funzione punitiva, in Giur. it., 2017, 8-9, 1787. Sempre di recente, M. Astone, Responsabilità civile e pluralità di funzioni nella prospettiva dei rimedi. Dall’astreinte al danno punitivo, in Contr. e impr., 2018, 1, 276.