La devoluzione dei beni digitali
Maria Antonietta Pulitanò
Sommario: 1. Il mutamento antropologico della identità: la profilazione dei dati e delle informazioni nel capitalismo della sorveglianza; 2. Nuove forme di interazione tra «Intelligenza Artificiale» e tecnologie informatiche in ambito giuridico: la possibile configurabilità di un «testamento digitale»; 3. Il trasferimento dei beni digitali e il mandato post mortem exequendum.
- Il mutamento antropologico della identità: la profilazione dei dati e delle informazioni nel capitalismo della sorveglianza
Nell’epoca della globalizzazione, della contaminazione linguistica e ordinamentale, la persona manifesta la propria personalità anche attraverso dei comportamenti che sono alimentati e ricondotti alla infosfera[1] e alla cultura digitale, reclamando così nuove istanze sociali e financo giuridiche, volte alla comprensione della comunicazione nella infosfera, della decisione algoritmica e della vulnerabilità che lo spazio digitale favorisce, manifestando così l’esistenza di una Intelligenza Artificiale «umano-centrica»[2].
La persona diventa, nella persuasione sociologica che “navigo ergo sum”[3], sintesi di elementi digitali, in una prospettiva che valorizza l’impatto della tecnologia nella vita dell’uomo fino al punto da intravederne una «mutazione antropologica»[4] che si riflette soprattutto nella proiezione identitaria nella rete di internet e nella possibile titolarità di beni digitali[5].
Prima della prevalenza della infosfera nelle dinamiche di rilevanza dei diritti fondamentali, infatti, la cultura giuridica delle tecnologie era volta al riconoscimento della persona umana, secondo quelli che sono i valori ed i riferimenti della Costituzione e della normativa positiva delle fonti del diritto, secondo i quali le formazioni sociali costituiscono luoghi promozionali della personalità umana, ove nascono e si sviluppano specifiche consuetudini culturali e, conformemente a queste, peculiari stili di vita. La corsa del capitalismo tecnologico, con la sua forza auto-referenziale, accelera verso inediti confini, che superano la classica ricostruzione dell’esistenza scandita dalle «sfere della realtà»[6], contemplando nuovi orizzonti: tra questi si scorge la possibilità di valutare una soggettività giuridica dei Robot. Assistiamo sempre più voracemente ad una “dipendenza” dalla Robotica, da parte innanzitutto dei medici ma anche di tutti gli altri professionisti, in quelle che sono attività caratterizzanti la loro professione. Informatica e tecnologia, tuttavia, non possono sostituirsi al diritto, semmai possono fungere da strumento idoneo per contribuire a conferire al diritto un valore aggiunto. La nostra è una “società tecnologica” ma dobbiamo prestare attenzione alla “societas” (nella locuzione infatti “società” è un sostantivo mentre “tecnologia” è un aggettivo), intesa costituzionalmente come luogo promozionale della personalità, perciò la tecnologia è un mezzo ulteriore che la persona può utilizzare per raggiungere i suoi interessi ma non deve essere annichilita o fagocitata da essa. Com’è stato rilevato «[i]l diritto, meglio l’orgoglio superbo dei giuristi che essi chiamano “diritto”, tratta l’intelligenza artificiale con la solita supponenza. Vuole, appunto, sussumere, sottoporre il mutamento tecnologico alle proprie usate categorie, convinte che esse siano l’ordine del mondo. La sussunzione è mera supponenza. (…) I cantori della Rete come portatrici di una logica alternativa, con sue proprie anarchiche leggi, i profeti laici e giocherelloni di internet come antirealtà libera da ogni principio paterno immaginabile, sono quasi del tutto scomparsi. Dominano gigantesche macchine capitalistiche, oligopoli globali, potenze di controllo e di influenza indescrivibili»[7].
La quantità esponenziale di dati elettronici ha portato all’elaborazione concettuale della c.d. identità digitale[8] e del c.d. homo numericus[9], ovvero di quel complesso di informazioni che l’uomo “cede” alla rete nel momento in cui “stipula” un contratto social o “attiva” un account di indirizzo di posta elettronica. Con queste operazioni tecnologiche, che sembrano poste in essere gratuitamente, la persona diventa essa stessa il fulcro della contrattazione, poiché i suoi “data”, le sue informazioni diventano “merce di scambio” nei contratti che stipula con il provider, senza trascurare le decisioni algoritmiche e la riduzione ad oggetto dei dati informativi da parte della macchina, la quale è la vera protagonista capace di decidere l’identità del soggetto a cui sono riferibili quei dati, attraverso decisioni conclusive. Difatti, come osservato, così si determina un processo inverso da quello che caratterizzava l’era prima dell’avvento di internet, «[c]on altre parole: se all’autodeterminazione individuale si sostituisce l’etero-determinazione informatica, l’uomo è (divenuto) materia prima del processo tecnologico»[10], un processo che conferisce nei fatti una «indipendenza» al cyberspazio secondo i sostenitori di una visione cyberanarcoide, contestata da coloro che non ne individuano presupposti normativi[11].
L’uomo della società algoritmica, perciò, da soggetto dell’informazione diventa una categoria merceologica, una mera estrazione di dati controllati costantemente dal capitalismo della sorveglianza; l’attività di profilazione dei dati dell’utente e l’aggregazione delle sue preferenze di consumo diventano oggetto di questa nuova contrattazione che ha determinato la nascita della c.d. identità digitale e di converso della c.d. eredità digitale[12]. In altri termini, i dati del cibernauta, allineati alla circolazione esistente nell’ambiente digitale, una volta “digitalizzati” si oggettivizzano e, quindi, per un verso diventano suscettibili di utilizzazione economica, per altro verso sono destinati ad acquisire i caratteri morfologici della rete, ovvero la perennità e la tendenziale ubiquità[13].
L’insieme dei dati e delle informazioni che si cedono ai dispositivi elettronici, attraverso un dispositivo mobile o con un social network, costituiscono dei “contenitori” che fungono da veri e propri «archivi digitali». Per esempio è archivio digitale l’insieme dei dati, sanitari e non, raccolti in ospedale, che compongono la cartella (digitale) clinica del paziente[14]. In senso lato, poi, tutti gli strumenti informatici creano ed usano archivi digitali[15], che non sono altro che mappature dei dati e delle informazioni che il privato comunica e diffonde in rete. Ma questi archivi finiscono per essere talmente predatori da divenire “onnivori”[16], divorando i diritti fondamentali della persona, così come il civilista e il costituzionalista li hanno ricostruiti, depotenziandoli al punto tale da farli divenire “recessivi” rispetto alla intelligenza artificiale.
La contemporaneità reclama, dunque, per lo studioso del diritto successorio una nuova esigenza finalizzata a governare gli interessi emergenti nella infosfera e nell’Internet delle cose o Internet of Things[17], e contemporaneamente lo inducono a cercare di dare risposta all’interrogativo se esista o meno compatibilità tra le tradizionali tecniche di successione mortis causa e la trasmissione del patrimonio digitale[18]. Sorge perciò l’interrogativo metodologico se sia possibile applicare (ancora) alla successione digitale i criteri generali rintracciabili nella disciplina generale del codice civile o se questi criteri subiscano una deviazione, una alterazione che conduce l’interprete ad una sua rimeditazione.
- Nuove forme di interazione tra «Intelligenza Artificiale» e tecnologie informatiche
in ambito giuridico: la possibile configurabilità di un «testamento digitale»
Tra le modalità con cui appare realizzabile una successione c.d. digitale si annoverano il legato di password, il mandato post mortem exequendum e l’incarico conferito all’esecutore testamentario[19]. Meno percorribile, invece, appare la realizzazione di un testamento digitale, la cui ammissibilità è subordinata al riconoscimento di funzioni ulteriori rispetto a quelle che la legge tradizionalmente riserva al testamento; difatti il testamento non può essere considerato esclusivamente uno strumento con finalità devolutivo-attributiva[20] ma (proprio per garantire la realizzazione di interessi che travalicano una finalità prettamente patrimoniale-attributiva), altresì, uno strumento funzionale ad una attività di regolamentazione di tutti gli interessi, anche di natura non patrimoniale, facenti capo al disponente: si tratta, dunque, di un atto che consente non soltanto la «trasmissione della ricchezza (c.d. funzione attributiva), ma, quale atto di autonomia negoziale (risultato conforme nell’essenza alla volontà che vi è manifestata), “regolamenta” post mortem tutti gli interessi, anche strettamente personali, del testatore»[21].
Perciò è idoneo andare oltre il “tertium non datur”, che riconduceva la successione per causa di morte nel nostro ordinamento esclusivamente alla fonte testamentaria[22] e a quella legale, in considerazione dell’assenza espressa di una delazione c.d. ex contractu.
Infatti, la dottrina osserva come «quando la trasmissibilità attiene ai rapporti digitali del dominus lo strumento contrattuale non sembra, a dire il vero, né alieno né improponibile, collegandosi direttamente all’oggetto della successione ereditaria (in stretto collegamento con l’elaborazione delle c.d. “nuove proprietà”[23]) e superando la vexata quaestio della intrasmissibilità dei diritti della personalità. A tal proposito, giova precisare che, per quanto la formula sia suggestiva, la locuzione “testamento digitale” è pur sempre adoperata in senso atecnico, costituendo, infatti, una mera locuzione verbale con la quale si intende descrivere una delle (varie) modalità tramite cui è possibile trasferire a terzi i digital goods»[24].
È innegabile che un testamento digitale, oltre a dover superare le ritrosie della intrasmissibilità di cose intimamente collegabili alla persona (al punto tale da costituire atti intuitus personae), determina ipso iure il rischio di vanificazione della segretezza e della volontà del de cuius se le credenziali di accesso sono inserite direttamente nel corpo della scheda testamentaria. Ecco che, in questa prospettiva, occorre tenere distinte la tipicità del testamento (come unico strumento mortis causa e di ultima volontà con il quale si può validamente disporre di tutte le proprie sostanze per il periodo successivo alla morte) dalla atipicità del suo contenuto (volendo con questa differenza terminologica solamente indicare una diversa valenza meramente descrittiva e non qualitativa) che può essere tanto di natura attributiva quanto di natura non attributiva, non essendo più relegato il testamento nelle classiche distinzioni di tipicità e atipicità, ovvero di patrimonialità e non patrimonialità.
Una volta che si contempla la possibilità di considerare il testamento come un “contenitore” di disposizioni dal più vario contenuto, appare possibile disquisire di «testamento digitale», locuzione con la quale si vuole indicare tutte quelle «problematiche connesse alla trasmissione a causa di morte del patrimonio digitale – il c.d. digital asset – comprendente tutte quelle informazioni ed interessi che il singolo individuo genera per effetto del proprio contatto con dispositivi digitali (sia on line che off line), sia [a]l documento testamentario redatto mediante l’ausilio di strumenti tecnologici e digitali»[25].
Del resto nella direzione voluta dal legislatore, di agevolare l’accesso alle procedure informatiche dell’atto notarile, si colloca la possibilità che il privato possa nelle sue intenzioni prediligere una sottoscrizione anche mediante acquisizione digitale della propria firma autografa, mediante dispositivi touch screen dotati di pennino e, come tali, idonei a riportare la sottoscrizione. Ciononostante la legge con il suo formalismo non consente la ricevibilità di un testamento pubblico informatico a distanza, come quello eseguibile a mezzo di strumenti digitali, poiché la previsione di cui all’art. 52-bis l. not.[26] richiede alle parti di sottoscrivere personalmente l’atto in presenza del notaio.
Indubbia è l’incompatibilità sussistente tra il documento digitale e il testamento olografo, di cui all’art. 602 c.c., che prevede quale caratteristica principale la autografia dell’intero documento e non soltanto della sottoscrizione[27]. Questo testamento presenta evidenti difficoltà di coordinamento con le attuali innovazioni tecnologiche, al punto tale da fare riflettere il giurista in merito ad un «adeguamento della nozione di olografia ai nuovi standard tecnologici in continua evoluzione»[28].
Si potrebbe, altresì, discutere sulla realizzazione di un testamento digitale per mezzo di video testamento[29] conservato con idonei dispositivi elettronici che sono depositati presso il notaio di fiducia, come se si trattasse di un testamento segreto[30]. La compatibilità di questa sottoscrizione, nel significato di testamento segreto, con il sistema successorio trova alcune ritrosie, tra cui che questo testamento, ex art. 604, comma I, c.c., «scritto con mezzi meccanici, deve portare la sottoscrizione del testatore anche in ciascun mezzo foglio, unito o separato», e che, secondo la disposizione di cui all’art. 605, comma II, c.c., il testatore deve consegnare personalmente al notaio la scheda testamentaria, e il verbale di ricevimento deve essere scritto sulla stessa carta in cui è involto il testamento (art. 605, comma III, c.c.). Non ci sono divieti espliciti sulla circostanza che la sigillatura possa essere sostituita da meccanismi idonei a criptare l’intero documento o tramite password che consentano l’accesso al file a cui il documento testamentario si riferisce, osservando le volontà del testatore condivise con il notaio. Queste possibilità, teoricamente sono prospettabili ma si prestano a criticità di tipo esecutivo, come la eventualità che il testatore non sia riuscito a condividere le sue password, oppure si pensi alla obsolescenza degli strumenti digitali utilizzati dal testatore quando era in vita.
Sulla possibilità, invece, di realizzare un video testamento[31] depositato in una chiavetta usb presso il notaio di fiducia, alcuna dottrina si mostra favorevolmente[32], constatando che dal video è possibile «cogliere l’autenticità delle disposizioni di volontà e la loro tangibile riconduzione all’autore, rendendo il supporto video quasi un deterrente capace di rilevare le incertezze del testatore nell’esporre le proprie volontà»[33], svolgendo così di fatto una «interpretazione autentica perché appunto non mediata da un testo cartaceo»[34]. La transizione dal testamento olografo ad un surrogato digitale, secondo una parte di dottrina, non contrasta con i principi che costituiscono le formalità successorie, seppur possa apparire una trasformazione «a tratti fantasiosa»[35].
Militano a favore dell’utilizzo di dispositivi finalizzati alla videoregistrazione l’adozione di tale prassi in diversi settori nei quali, principalmente, emerge la condizione di vulnerabilità del disponente. Si pensi, ad esempio, alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”[36], che autorizza l’adozione di DAT «espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare» (art. 4, comma 6, l. n. 219/2017).
La cultura della tecnologia, studiata e adoperata in funzione del diritto, non è da escludere che possa in futuro ampliare le tipologie di disposizioni di volontà[37], purché siano finalizzate non solo a garantire la paternità delle attribuzioni[38] ma soprattutto a tutela del disponente, della sua volontà e fragilità.
In questa logica, dunque, la dottrina ritiene «ammissibile un testamento redatto su un portale protetto (attraverso il sito del CNN o intermediario qualificato e, soprattutto, attraverso il funzionamento della blockchain a garanzia della inalterabilità del testamento) a cui il disponente accede identificandosi o attraverso l’iride (via webcam[39]) o per mezzo dello SPID (o di entrambi) e anche attraverso ulteriori funzioni crittografiche come hash o otp, per poi redigere il proprio testamento con una procedura guidata che termina con la firma elettronica, qualificata o digitale, del testatore»[40].
Del resto se nel 2020 l’avanzamento della tecnologia ha determinato la nascita di un Eurovision Song Contest dedicato solo alle canzoni composte dalle varie forme di IA, non sembra inverosimile che nel prossimo futuro, «software intelligenti», al pari di quelli creati per la produzione musicale, possano essere utilizzati sul fronte delle certificazioni per validare l’autenticità o meno di determinati documenti. In tal modo, sul versante delle problematiche testamentarie, sarebbe possibile certificare la corrispondenza dell’atto di disposizione mortis causa al de cuius e garantirne l’integrità fino al momento dell’apertura del testamento.
Seppur una trasposizione della realtà giuridica nel mondo digitale possa apparire esacerbata, in casi particolari potrebbe sussistere in capo al disponente l’esigenza di ottenere un testamento digitale, magari limitato ad una cerchia di beni digitali che possa aggiungersi alle classiche forme devolutive, ipotizzando così l’ausilio e il progresso dell’Intelligenza Artificiale che si «sostituisce» al pubblico ufficiale, facendo sorgere nuovi interrogativi e quesiti di teoria generale, specie relativamente al profilo di una presunta e autonoma soggettività della Intelligenza Artificiale[41].
- Il trasferimento dei beni digitali e il mandato post mortem exequendum
Le dinamiche tecnologiche fanno convogliare all’interno della infosfera tutti i beni digitali di pertinenza del disponente, lasciando trapelare in superficie solo frammenti di informazioni. Questa frammentazione dell’oggetto digitale determina in capo all’interprete della fenomenologia giuridica l’esigenza di una composizione sistematica della destinazione post mortem[42] dei cespiti digitali.
In linea generale si può osservare come sia ineludibile il fatto che i dati digitalizzati «costituiscono beni mobili [e i]n quanto tali, i dati personali digitalizzati possono costituire oggetto di diritti reali [e perciò anche per questi diritti] alla pari che in tutti gli altri diritti reali in genere, può allora darsi la successione mortis causa»[43]. Per procedere nella indagine appare prioritario operare la distinzione tra “beni digitali in senso stretto” e “internet-account”, giacché nonostante entrambi abbiano in comune il fatto che per fruire del loro contenuto è necessario possedere delle specifiche credenziali di accesso, tra di loro sussistono specifiche differenze.
Con la locuzione “Beni digitali in senso stretto” si intende fare riferimento a quei documenti digitali, quali foto, video, e-mail, files, etc., che possono essere archiviati sia attraverso metodologie on line che off-line; si tratta di “beni non fisici” che vengono acquistati online (si pensi alle canzoni, ai film o ai giochi) e pagati con denaro attraverso sistemi di e-banking; questi beni possono essere conservati all’interno di dispositivi (rectius, archivi) digitali e sono di proprietà del singolo soggetto. Viceversa, con la locuzione di “internet-account”, si attribuisce ad un singolo utente l’accesso ad uno specifico servizio o ad uno o più beni determinati: il classico esempio è quello dell’account di posta elettronica (per es. Gmail o Yahoo), oppure l’account che viene utilizzato per l’identità social, come con i social network (Facebook, Twitter, LinkedIn, Instagram), o l’account che si utilizza per effettuare operazioni tramite il portale on-line della propria banca (home-banking). In questi casi, però, l’utente non utilizza l’account come proprietario, poiché gli account sono sempre di proprietà del gestore del servizio, il quale concede all’utente la facoltà di creare delle proprie credenziali (username e password) per accedere e utilizzare il servizio.
Con riferimento al trasferimento di questi beni diverse sono le problematiche, dalla tecnologia utilizzata dal defunto alla suddivisione delle operazioni d’individuazione del patrimonio relitto a seconda che i beni siano contenuti all’interno di supporti “fisici” (compact disc, dvd, chiavette usb, hard disc interni o esterni, microchip, tablet, pc, notebook, etc.) o “virtuali” (cloud, web-storage).
Nel primo caso, infatti, i supporti fisici, qualora siano di proprietà del defunto, seguono le sorti dei beni materiali, cioè diventano di proprietà degli eredi legittimi, ai quali verrà trasferito, dunque, il diritto reale del de cuius, secondo la disciplina contenuta nel codice civile[44]. La conoscenza dei contenuti digitali che il defunto ha acquistato in rete è subordinata alla procedura di acquisto di tali beni: infatti, a titolo esemplificativo si pensi all’utilizzo dei servizi di Apple Store, che in base alle regole contrattuali non possono essere trasferiti né inter vivos e né mortis causa a soggetti diversi rispetto al titolare.
Viceversa se i beni digitali sono memorizzati su supporti virtuali è prevista la possibilità per gli eredi di poterne ottenere copia, a seguito di motivata richiesta; ma se i beni digitali sono contenuti negli account digitali, le regole appaiono più problematiche poiché le piattaforme digitali si differenziano tra loro e, dunque, gli eredi per avere conoscenza di tali cespiti digitali sono costretti, ad inviare delle specifiche richieste ai fornitori dei servizi digitali, avvalendosi degli strumenti giuridici messi a disposizione (oltre a dover sopportare ingenti costi economici) sia dalla legge italiana che europea, che dai precedenti giurisprudenziali.
In entrambi i casi si tratta di beni in senso lato definiti digitali[45] che determinano l’intersecarsi di diversi profili giuridici, soprattutto di diritto successorio e di diritto contrattuale. Questa pianificazione, come detto, prende il nome, anche se formalmente atecnico, di “eredità digitale”. La dottrina si è domandata se questo trasferimento fosse attuabile attraverso la successione a titola particolare con il legato di password[46] e di credenziali generiche, oppure di legato di posizione contrattuale[47].
La difficile applicabilità di questi istituti per la programmazione successoria del patrimonio digitale ha portato la dottrina[48] a ritenere elettivo lo strumento del mandato post mortem exequendum[49]. Questa figura negoziale, inter vivos, si contraddistingue per il suo oggetto (di natura non patrimoniale) «che si concretizza in una serie, più o meno complessa, di incarichi gestori conferiti dal mandante (coincidente con il futuro de cuius) al mandatario e da eseguirsi dopo la morte del primo (post mortem, appunto). Si tratta di un negozio che il de cuius conclude con il mandatario inter vivos ma i cui effetti sono sottoposti alla condizione sospensiva dell’evento morte, poiché solo dopo questo momento il mandatario potrà compiere quelle attività individuate ex ante dal mandante (oramai, de cuius) come direttamente funzionali al soddisfacimento di un suo interesse»[50]. Classico esempio è quello di chi prevede con alcune disposizioni, in conformità con la legge sul diritto d’autore[51], la pubblicazione postuma di opere inedite, che durante la vita il titolare ha deciso di affidare a terzi, attraverso un contratto di mandato, con il quale attribuiva a loro il potere di decidere sia come e quando procedere alla pubblicazione dell’opera inedita, dopo la sua morte; oppure le disposizioni con cui il de cuius impartisce istruzioni sulla propria sepoltura, potendo esercitare il proprio ius eligendi sepulchrum affidando l’incarico, per es., ad una c.d. “società di cremazione”.
Perciò, in questi casi, la morte funge da elemento condizionante (o secondo alcuni di efficacia[52]) per l’esecuzione dell’atto da porre in essere; in altri termini il mandato trae dall’evento morte la propria legittimazione causale (ecco che si definisce c.d. causa “mortis”)[53].
La giurisprudenza è solita distinguere tra le figure di mandato post mortem, un mandato post mortem exequendum[54], un mandato mortis causa[55] ed, infine, un mandato post mortem in senso stretto[56]. Queste ricostruzioni portano a giudicare «nel nostro ordinamento giuridico (…) valido ed efficace il mandato conferito ed accettato durante la vita del mandante avente a oggetto un incarico (anche se di contenuto patrimoniale) da eseguirsi dal mandatario dopo la morte del mandante stesso, per conto di questo» (ad es., la consegna al terzo donatario di un bene già donatogli in vita dal mandante) [57].
La dottrina ritiene particolarmente idoneo il ricorso al mandato post mortem «nel settore delle tecnologie informatiche e, in particolare, in ordine alle credenziali di accesso (pin, password, username) a risorse online o fisiche per conoscere il “profilo” creato su piattaforme di social network, files contenenti documenti riservati, corrispondenza personale, opere inedite, informazioni finanziarie, fotografie e così via»[58]. Infatti, a differenza del legato di password che ha contenuto patrimoniale, il mandato post mortem exequendum ha contenuto non patrimoniale, conferendo al mandatario un’attribuzione patrimoniale già effettuata durante la vita del defunto, per la quale il beneficiario dovrà limitarsi a compiere atti di mera esecuzione materiale.
Soffermando la presente indagine alla trasferibilità di un patrimonio digitale, appare idonea l’utilizzazione del negozio atipico di mandato post mortem «per attività meramente esecutive di accordi dispositivi già conclusi e perfezionati in vita dal mandante/de cuius, oppure di disposizioni testamentarie particolari, (…) meri atti materiali di esecuzione dopo la morte, ad esempio la mera consegna delle credenziali al soggetto che ha già acquistato validamente (inter vivos o mortis causa), per poter entrare in possesso dei dati cui le credenziali dànno accesso»[59]. Trattandosi in queste ipotesi di beni digitali, non sembrano sussistere problematiche di compatibilità con lo strumento contrattuale del mandato e le esigenze di tutela del de cuius, il quale può confidare sulla segretezza delle sue disposizioni, poiché il mancato inserimento delle credenziali di accesso ai beni digitali nella scheda testamentaria favorisce la loro segretezza e conoscibilità al solo mandatario. Inoltre, milita a favore di questa ricostruzione che predilige lo strumento del mandato post mortem exequendum per regolare la sorte dei dati personali dopo il decesso dell’utente, non solo la circostanza che la dottrina[60], specialmente quella notarile[61], abbia accolto con favore il mandato post mortem, ma soprattutto il fatto che quest’ultimo sia stato riconosciuto con l’art. 2-terdecies, d.lgs. n. 196/2003[62], disposizione che garantisce un ampio riconoscimento all’autonomia privata dell’interessato[63].
[1] Sul punto L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2017.
[2] In tali termini R. Messinetti, Comunicare nell’infosfera. La vulnerabilità della persona digitale, in federalismi.it, 2021, fasc. 18, pp. IV-XVII. L’autrice, nel ricercare strumenti capaci di tutelare la persona dalle nuove forme di vulnerabilità coniate dalla società digitale, evidenzia come l’egemonia «dei c.d. big data e dell’intelligenza artificiale paleserebbe l’inadeguatezza della metafora della sorveglianza per evocare quella del processo di Kafka: la vulnerabilità dell’individuo esposto, nell’infosfera, a infiniti e indefiniti trattamenti dei dati personali “che lo riguardano”; a processi ininterrotti di ricostruzione e utilizzazione della sua identità sui quali egli – come, forse, nessuno – non esercita alcun controllo» (pp. VI-VII).
[3] Il brocardo navigo ergo sum o digito ergo sum appare più esaustivo della contemporanea antropologia, sempre più incline ad assecondare la pervasività della tecnologia, al punto tale da superare il c.d. “accedo ergo sum”, secondo la nota ricostruzione di J. Rifkin, L’era dell’accesso. La rivoluzione della New economy, trad. di P. Canton, Mondadori, Milano, 2000.
[4] Mutazione antropologica che non dipende da una mutazione biologica ma, come evidenziato da Pasolini in relazione alla sua epoca di riferimento, è una mutazione culturale. Una mutazione che non vuole essere espressiva di un approccio critico rispetto alla modernità ma riflessiva rispetto alle condizioni del vivere presente che conducono l’uomo a perdere la gioia per ritrovarla in uno sterile edonismo posto al servizio del consumismo ed oggi, infine, della tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale.
[5] Sul punto, diffusamente, A. Vesto, Successione digitale e circolazione dei beni online. Note in tema di eredità digitale, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2020, spec. p. 10 e pp. 73-89, ove l’autrice si sofferma sul c.d. «patrimonio digitale».
[6] La ricostruzione teorica è di A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto del diritto6, Giuffrè, Milano, 2008, pp. 303-305. Nella concezione dell’a. alle sfere delle realtà corrispondono determinati stili di vita, a seconda della intensità più o meno elevata di alcune attitudini umane; il mondo reale «è un sistema concentrico di sfere di realtà via via più complesse: sfera fisica, sfera organica, sfera animata, sfera umana […]. Le quattro sfere di realtà […] sono rispettivamente le sfere dei corpi, degli organismi, degli animali, degli uomini. […] esiste tra le varie sfere nonché tra le rispettive classi un rapporto concentrico di estensione decrescente e di complessità crescente, cosicché la classe dei corpi comprende la classe degli organismi, questa comprende la classe degli animali, e quest’ultima a sua volta la classe degli uomini [… ;] alle diverse sfere corrispondono livelli diversi di realtà, dal livello inferiore della sfera fisica […] al livello superiore della sfera umana» (cit.).
[7] P. Femia, Essere norma. Tesi sulla giuridicità del pensiero macchinico, in Il trattamento algoritmico dei dati tra etica, diritto ed economia, (a cura di) P. Perlingieri, S. Giova e I. Prisco, Atti del 14° Convegno Nazionale, 9-10-11 maggio 2019, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2020, p. 67.
[8] Sul punto l’attenzione della dottrina è numerosa. Cfr.: M. Foglia, Identità digitale, trattamento dei dati e tutela della persona, in Rass. dir. civ., 2021, fasc. 1, pp. 80-104; G. Garofalo, Identità digitale e diritto all’oblio: questioni aperte all’indomani dell’approvazione del GDPR, in Dir. fam. pers., 2021, fasc. 3, pp. 1505-1518; M. Bianca, La “filter bubble” e il problema dell’identità digitale, in MediaLaws, 2019, fasc. 2, pp. 39-53; T. Pasquino, Identità digitale della persona, diritto all’immagine e reputazione, in E. Tosi(a cura di), Privacy Digitale. Riservatezza e protezione dei dati personali tra GDPR e nuovo Codice Privacy, Giuffrè, Milano, 2019, p. 103 ss.; G. Alpa, L’identità digitale e la tutela della persona. Spunti di riflessione, in Contr. impr., 2017, fasc. 3, pp. 723-727; I. Tardia, L’identità digitale tra memoria e oblio, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 2017; S. Landini, Identità digitale tra tutela della persona e proprietà intellettuale, in Riv. dir. industr., 2017, fasc. 4-5, pp. 180-201; G. Resta, Identità personale e identità digitale, in Dir. inf., 2007, fasc. 3, pp. 523-524. Con riferimento alla trasformazione delle professioni legali si veda anche E. Picozza, Le trasformazioni del diritto e la loro incidenza sulle attività professionali legali, in Aa.Vv., La trasformazione delle professioni legali. Legal Engineering, Blockchain, Metaverso, Iot e altre tecnologie nella digital economy, (a cura di) L. Cappello, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 39 – 54.
[9] La categoria dell’homo numericus è stata rilevata dai sociologi Moises de Lemos Martins e Pierre Mounier. Con «l’homo numericus, si entra nella dimensione del post-umano» (S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Bari, Laterza, 2012, p. 197), nella fattualità di quelle che sono visibili come «mutazioni antropologiche» (cit., p. 315). Le attività che la persona pone in essere in Internet, nello spazio digitale, sono realizzabili per il tramite di quello che viene definito “corpo elettronico” (S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit., p. 318), giacché nella rete «insieme alla trasformazione del corpo muta la collocazione della persona nel sistema delle relazioni. Il corpo umano si inserisce in una rete sempre più vasta di sistemi informatici e robotici – una rete che consente di estendere la nostra capacità di comunicare e agire» (cit., p. 367).
[10] R. Messinetti, Comunicare nell’infosfera, cit., p. XVI. Per equilibrare tale situazione fondamentale appare l’introduzione «nei sistemi di IA e nei processi algoritmici [del] principio della trasparenza come “explainability”: un principio necessario per una IA umano-centrica e umano-genica e perciò “trustworthy”» (cit., p. XVII).
[11] In merito allo sviluppo delle posizioni antitetiche, al dibattito transatlantico sulla regolamentazione dei nuovi attori del web, «tra autoregolamentazione da una parte (sponda statunitense) e necessità di una hard law (di matrice europea) dall’altra» si rimanda ad O. Pollicino, I codici di condotta tra self-regulation e hard law: esiste davvero una terza via per la regolazione digitale? Il caso della strategia europea contro la disinformazione online, in Riv. trim. dir. pub., 2022, fasc. 4, pp. 1051-1068, spec. pp. 1052-1054.
[12] Con il termine eredità digitale si intende fare riferimento ad una pluralità eterogenea di beni e rapporti giuridici, come: accounts, documenti digitali off-line; messaggi di posta elettronica e comunicazioni via chat; ecc. Per approfondimenti si rimanda ad: A. Vesto, Successione digitale, cit., passim; A. Maniaci e A. d’Arminio Monforte, L’eredità digitale tra silenzio della legge ed esigenze di pianificazione negoziale, in Corr. giur., 2020, fasc. 11, pp. 1367-1377; M. Cinque, L’“eredità digitale” alla prova delle riforme, in Riv. dir. civ., 2020, fasc. 1, pp. 72-100; A. Magnani, L’eredità digitale, in Not., 2014, fasc. 5, pp. 519-532; C. Camardi, L’eredità digitale. Tra reale e virtuale, in Dir. inf., 2018.
[13] Il modello creato da Google, poi replicato da società come Amazon e Facebook, è finalizzato a sviluppare, attraverso lo strumento della computazione algoritmica, indagini predittive sempre più accurate. I social e i siti web cui accediamo attraverso le procedure c.d. di login, fornendo i nostri dati personali e dichiarando le nostre inclinazioni di consumo, mettono in moto un meccanismo di “raccolta dati” (estrazione) capace di avviare un processo produttivo basato sulla predittività delle nostre future scelte di consumo. La dottrina, sul punto, ha osservato come il «sistema algoritmico introdotto da Google non ha soltanto reso possibile la creazione di un nuovo modello di business – consistente nell’estrazione dei dati, nella loro lavorazione in prodotti predittivi e nella loro vendita -, ma ha determinato un’evoluzione più sofisticata del capitalismo cognitivo. Infatti, le soluzioni tecnologiche che permettono di realizzare prodotti predittivi conducono le società a non limitarsi a trarre vantaggio dalla cattura delle esternalità positive generate dalla produzione di contenuti effettuata dagli utilizzatori, ma a dotarsi di strumenti per una raccolta pervasiva dei dati che essi rilasciano a ogni movimento che effettuano online. L’utilizzatore deve essere seguito, controllato, perché è fonte di una nuova materia prima: per questo, è possibile parlare di capitalismo della sorveglianza» (A. Quarta, Mercati senza scambi. Le metamorfosi del contratto nel capitalismo della sorveglianza, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2020, pp. 42-43).
[14] In argomento si rimanda ad A. Marchese, Profili civilistici dell’information technology in àmbito sanitario, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2021, spec. pp. 183 ss., ove l’a. nella decodifica digitale delle informazioni sanitarie presenti nella cartella clinica elettronica pone in luce la valorizzazione dei dati sanitari secondo la logica dei beni comuni, giungendo ad una riflessione di tali dati alla stregua di «beni epistemici».
[15] In questi termini, cfr. F. Di Ciommo, Archivi digitali (onnivori) e diritti fondamentali (recessivi), in Il trattamento algoritmico dei dati tra etica, diritto ed economia, (a cura di) P. Perlingieri, S. Giova e I. Prisco, Atti del 14° Convegno Nazionale, 9-10-11 maggio 2019, Edizioni Scientifiche Italiane, 2020, pp. 231-269. L’a., infatti, distingue che «altro è parlare di archivi di informazioni conservate in formato digitale e governate (o, se si preferisce, trattate) dall’uomo, altro è considerare gli archivi che costantemente alimentano (e sono incisi dalla c.d. intelligenza artificiale e cioè da) l’attività di software che operano (e, dunque, di nuovo, se si preferisce: trattano dati) senza necessità di intervento umano» (cit., p. 232).
[16] L’espressione è di F. Di Ciommo, Archivi digitali (onnivori) e diritti fondamentali (recessivi), cit., p. 231 ss.
[17] Con tale formulazione si fa riferimento all’insieme delle tecnologie che consentono di collegare ad Internet qualunque dispositivo o apparato. Per approfondimenti si rimanda a F. Faini, Big data e Internet of Things: Data Protection e Data Governance alla luce del Regolamento Europeo, in G. Cassano, V. Colarocco, G. Battista Gallus e F.P. Micozzi (a cura di), Il processo di adeguamento al GDPR. Aggiornato al D.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, Giuffrè, Milano, 2018, p. 259 ss.
[18] Sul punto, per un ulteriore approfondimento di carattere generale, si rimanda a: V. Putortì, Patrimonio digitale e successione “mortis causa”, in Giust. civ., 2021, fasc. 1, pp. 163-193; A. d’Arminio Monforte, La successione nel patrimonio digitale, Pacini Giuridica, Pisa, 2020.
[19] Per un approfondimento in merito agli strumenti attuativi della successione digitale si rimanda ad A. Vesto, Successione digitale, cit., spec. pp. 131-207. Cfr. altresì al recente contributo di G.M. Marsico, Patrimonio ed eredità digitale: tra legato di password, esecutore testamentario e mandato “post mortem”, in Familia, 2022, fasc. 4, pp. 543-564.
[20] Sul punto, per tutti G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, rist., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2010.
[21] G. Perlingieri, Invalidità delle disposizioni «mortis causa» e unitarietà della disciplina degli atti di autonomia, in Dir. succ. fam., 2016, fasc. 1, p. 139.
[22] Inoltre «la politica del diritto testamentario si muove non troppo trasparentemente sul duplice binario della tutela della sovranità dispositiva del testatore in contrapposizione alla tutela distributiva della ricchezza all’interno della famiglia (si tratta, espressa con altre parole, di una contrapposizione tra individualismo e paternalismo testamentario)» [M. Grondona, Le disposizioni a favore di persona incerta e il problema della trasparenza testamentaria (ovvero: il giudice quale policy-maker di una politica del diritto successorio?), in S. Pagliantini e A.M. Benedetti (a cura di), Profili sull’invalidità e la caducità delle disposizioni testamentarie, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2013, p. 173].
[23] Sul punto v. A. Zoppini, Le “nuove proprietà” nella trasmissione ereditaria della ricchezza, cit., pp. 185-248; A. Gambaro, Dalla new property alle new properties (Itinerario, con avvertenze, tra i discorsi giuridici occidentali), in V. Scalisi (a cura di), Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Giuffrè, Milano, 2004, p. 167 ss.
[24] A. Vesto, Successione digitale, cit., p. 134.
[25] I. Sasso, Il formalismo testamentario nell’era digitale tra Stati Uniti e Italia, in Rass. dir. civ., 2018, fasc. 1, p. 189.
[26] Secondo l’art. 52-bis della l. 16 febbraio 1913, n. 89, “Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili”, aggiunto dalla lett. d) del comma 1 dell’art. 1, d.lgs. 2010, n. 110, «1. Le parti, i fidefacenti, l’interprete e i testimoni sottoscrivono personalmente l’atto pubblico informatico in presenza del notaio con firma digitale o con firma elettronica, consistente anche nell’acquisizione digitale della sottoscrizione autografa. 2. Il notaio appone personalmente la propria firma digitale dopo le parti, l’interprete e i testimoni e in loro presenza».
[27] Sul punto si rinvia a: G. Branca, Dei testamenti ordinari, Artt. 601-608, in A. Scialoja e G. Branca (a cura di), Comm. cod. civ., Bologna-Roma, 1986, p. 66; F. Degni, Della forma dei testamenti, in Codice civile. Libro delle Successioni per causa di morte e delle Donazioni, commentario diretto da M. D’Amelio, Firenze, 1941, p. 422; L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Giuffrè, Milano, 1947, p. 345.
[28] Sulla riflessione cfr. I. Sasso, Il formalismo testamentario, cit., p. 217. Altresì S. Patti, Il testamento olografo nell’era digitale, in Riv. dir. civ., 2014, fasc. 5, p. 1009, ove l’a. osserva che la previsione normativa potrebbe prevedere un riferimento alla possibilità che il testamento olografo sia «scritto per intero, datato e sottoscritto di mano dal testatore, anche mediante strumenti informatici».
[29] Sull’ammissibilità di questa ricostruzione vedi M. Grondona, Il testamento filmato negli Stati Uniti d’America, in Aa.Vv., Tradizione e modernità del diritto ereditario nella prassi notarile, Atti dei Convegni Roma, 18 marzo 2016 – Genova, 27 maggio 2016, Vicenza, 1 luglio 2016, Gruppo 24 ore, Milano, 2016, p. 228, ove l’a., esaminando con favore questa possibilità, afferma che «il testamento filmato, ma in senso più ampio il testamento elettronico (il c.d. e-will), possa diventare un istituto destinato ad affiancarsi al testamento tradizionale [… per] una possibile, direi anzi auspicabile, riforma generale del nostro diritto delle successioni» (cit., pp. 230-231).
[30] Per una disamina si richiama, senza spirito di esaustività: A. Genovese, Il testamento segreto, in G. Bonilini (diretto da), Trattato di diritto delle successioni e donazioni, II, La successione testamentaria, Milano, 2009, p. 1367 ss.; A. Palazzo, Testamento e istituti alternativi, in G. Alpa e S. Patti (diretto da), Tratt. teorico-pratico di diritto privato, Cedam, Padova, 2008, p. 123 ss.; G. Tamburrino, voce Testamento (diritto privato), in Enc. dir., XLIV, Giuffrè, Milano, 1992, p. 490 ss.
[31] Le legislazioni dell’Indiana e della Louisiana ammettono la validità del testamento filmato. Sul punto v. M. Grondona, Il testamento filmato, cit., pp. 237-239.
[32] M. Grondona, Il testamento filmato, cit. Tra la dottrina favorevole si rinvia altresì a F. Cristiani, Riflessioni a proposito di «testamento digitale». La prospettiva del diritto internazionale privato, in Nuova giur. civ. comm., 2013, pp. 495-505, il quale ritiene possibile la redazione di un testamento redatto attraverso l’utilizzazione di tecnologie informatiche, in conformità con quelle che sono le previsioni di cui il diritto internazionale privato, tenendo dunque in considerazione gli elementi sia di estraneità rispetto al territorio del foro sia di collegamento con il territorio e/o la popolazione di altri Stati. In particolare, secondo l’a., in linea con il principio del favor validitatis di cui all’art. 48 della l. 31 maggio 1995, n. 218, «l’atto si intende redatto in Italia e secondo la legge italiana, [… giacché si ha] un atto testamentario redatto all’estero ma trasmesso in deposito al notaio in Italia tramite email, o comunque redatto per atto pubblico nel quale il testatore e i testimoni si trovino in Paesi diversi ma il notaio rogante riceva l’atto in Italia» (cit., p. 505).
[33] A. Vesto, Successione digitale, cit., p. 150.
[34] M. Grondona, Il testamento filmato, cit., p. 235. Su questa precipua funzione la dottrina appare critica osservando che non sia possibile «escludere con certezza la presenza di un soggetto non ricompreso nell’inquadratura del filmato che costringa il testatore a dettare determinate disposizioni» (I. Sasso, Il formalismo testamentario, cit., p. 221).
[35] I. Sasso, Il formalismo testamentario, cit., p. 223. L’Autrice osserva che il «passaggio ad un surrogato digitale del testamento olografo dovrebbe essere, infatti, effettivo e non imbrigliato in formalità ulteriori: sarebbe sufficiente che il testatore nell’esporre le proprie volontà renda ben chiaro che quanto sta dichiarando corrisponde al suo volere relativamente alla sorte dei propri rapporti patrimoniali (e non) per il tempo in cui avrà cessato di vivere, sicché la stessa apposizione della firma per sigillare il contenuto di queste sarebbe superflua. Non si nasconde che la soluzione proposta potrebbe apparire a tratti fantasiosa e di certo contraria a molte delle regole che attualmente governano la disciplina della redazione del testamento olografo; sembra, però, che essa non sia contrastante con i princípi che costituiscono il fondamento di dette formalità, nonché in linea con la necessità di assumere coscienza che l’attuale sistema non è destinato a durare» (cit., pp. 223-224).
[36] La legge è stata pubblicata in G.U. 16 gennaio 2018, n. 12. Per un approfondimento che fa riferimento ai primi commenti della legge si richiama: P. Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, in Nuova giur. civ. comm., 2018, fasc. 2, pp. 247-252; G. De Marzo, Prime note sulla legge in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, in Foro it., 2018, fasc. 3, cc. 137-143; G. Baldini, Prime riflessioni a margine della legge n. 219/17, in BioLaw Journal, Rivista di BioDiritto, 2018, fasc. 2, pp. 97-151; S. Canestrari, Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una “buona legge buona”, in Corr. giur., 2018, fasc. 3, pp. 301-305; D. Carusi, La legge “sul biotestamento”: una luce e molte ombre, in Corr. giur., 2018, fasc. 3, pp. 293-300; F. Felis, Gli atti di disposizione del proprio corpo e D.A.T. Testamento biologico. Limiti e condizioni, in Vita not., 2018, fasc. 1, pp. 145-172.
[37] In argomento v. A. Dellaquila, Verso un testamento olografo informatico? Prospettive e riflessioni, in Not., 2022, fasc. 3, pp. 226-234, in cui l’autrice si sofferma, con una prospettiva de iure condendo, sulla possibilità di pubblicare un testamento olografo informativo, nell’intento di aprire gli orizzonti del rapporto tra successione a causa di morte e strumento informatico.
[38] Basti solo pensare all’impronta digitale o alla identificazione biometrica.
[39] Secondo gli standard previsti dalla FIDO (Fast Identity Online) a garanzia di una autenticazione protetta.
[40] A. Vesto, Successione digitale, cit., p. 154. L’autrice infatti ritiene che non si possa escludere in futuro che «l’intelligenza artificiale lambisca il procedimento successorio, per es. attraverso un software capace di determinare l’attivazione automatica di un testamento “intelligente” costituito con uno smart contract (destinato a dare esecuzione alle volontà digitali del disponente) che si mette in moto, automaticamente, al momento della notifica del decesso del de cuius, compiendo le dichiarazioni di volontà espresse dal disponente, come il trasferimento di beni digitali oppure l’esecuzione di un mandato post mortem exequendum» (cit., p. 155).
[41] Si pensi a tal fine alla definizione proposta dalla comunicazione della Commissione Europea, Bruxelles 25 aprile 2018, COM (2018) 237 final, «L’intelligenza artificiale per l’Europa» (in ec.europa.eu) secondo cui «L’Intelligenza Artificiale (IA) non è fantascienza: fa già parte delle nostre vite. Che si tratti di utilizzare un assistente personale virtuale per organizzare la nostra giornata lavorativa, viaggiare in un veicolo a guida autonoma o avere un telefono che ci suggerisce le canzoni o i ristoranti che potrebbero piacerci, l’IA è una realtà. Oltre a renderci più facile la vita, l’IA ci aiuta a risolvere alcune tra le sfide più ardue al mondo: dal trattamento delle malattie croniche o dalla riduzione dei tassi di incidenti stradali mortali alla lotta contro il cambiamento climatico o alla prevenzione delle minacce alla sicurezza informatica» (§1).
Si legge nella Comunicazione che l’IA indica sistemi che mostrano un comportamento intelligente analizzando il proprio ambiente e compiendo azioni, con un certo grado di autonomia, per raggiungere specifici obiettivi. E come il motore a vapore o l’elettricità nel passato, l’IA sta trasformando il nostro mondo, la nostra società.
A tal proposito era già intervenuto il Parlamento europeo con la Risoluzione del 16 febbraio 2017 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103(INL)), «Norme di diritto civile sulla robotica», in G.U.U.E., 18.07.2018, C 252/239. Il testo invita alla implementazione dei sistemi di Intelligenza Artificiale per addivenire ad una infrastruttura digitale che garantisca una «connettività universale» (§8 Ricerca e innovazione), uno sviluppo della tecnologia robotica per integrare le capacità umane e non a sostituirle (§3 Principi generali), quasi a voler disegnare uno statuto delle c.dd. «persone elettroniche».
Per una indagine in merito all’I.A., sia nei processi in cui predominano algoritmi predittivi e a volte c.dd. «captativi», sia nei processi pensati a tutela della persona umana con l’algoritmo “protettivo”, si rimanda a R. Trezza, La tutela della persona umana nell’era dell’intelligenza artificiale: rilievi critici, in federalismi.it, 2022, fasc. 16, pp. 277-305.
[42] Sull’ammissibilità dei negozi post mortem cfr. V. Barba, I patti successorî e il divieto di disposizione della delazione. Tra storia e funzioni, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2015, spec. pp. 88-110.
Per un approfondimento di carattere generale si rinvia a V. Barba, Negozî post mortem ed effetti di destinazione. Interferenze con la disciplina dei legittimarî: la riduzione delle liberalità indirette, in Riv. dir. priv., 2016, fasc. 1, pp. 49-84.
[43] A. Zaccaria, La successione mortis causa nei diritti di disporre di dati personali digitalizzati, in Studium Iuris, 2020, fasc. 11, p. 1370.
[44] Anche se gli eredi, acquisito il supporto fisico se non conoscono le credenziali di accesso, non potranno accedere ai contenuti ivi inseriti.
[45] Al suo interno è, altresì, possibile avanzare ulteriori formule distintive. I beni digitali, infatti, possono distinguersi in base alla loro natura, “patrimoniale” in un caso e “non patrimoniale” in caso differente. Precisamente, i beni a contenuto “non patrimoniale” si caratterizzano per essere attratti alla sfera personale, rectius familiare del disponente; si tratta di beni (per es. e-mail, scritti personali, lettere confidenziali, fotografie) che sono suscettibili di essere valutati se sono manifestativi di interessi individuali, affettivi, familiari, sociali. Viceversa si hanno beni a contenuto “patrimoniale” quando essi manifestano una determinata o determinabile utilità economica (per es. fotografie scattate da un professionista; progetti di un architetto; opere professionali suscettibili di valoro economico).
[46] Sul punto cfr. L. Di Lorenzo, Il legato di password, in Notariato, 2014, fasc. 2, p. 149, ove l’a. specifica come si tratti di un legato con un «oggetto complesso, caratterizzandosi per un oggetto immediato (le password) ed un oggetto mediato (il contenuto cui le password danno accesso)».
[47] La dottrina definisce il legato di posizione contrattuale come «una disposizione testamentaria a titolo particolare avente per oggetto l’attribuzione dell’intera posizione contrattuale di cui il de cuius è titolare, in quanto derivante [da] un contratto precedentemente già concluso. Da ciò discende che la predetta posizione contrattuale, di cui il testatore deve risultare titolare, per poter costituire oggetto di un valido legato, deve essere liberamente trasferibile, ossia la preventiva trasferibilità deve essere autorizzata dalla controparte o dalla legge» (L. Di Lorenzo, I legati a contenuto atipico e tipico nella prassi notarile, in Not., 2015, fasc. 34, pp. 61-62). Per una ricostruzione cfr. P. Mazzamuto, Il legato di contratto. Fattispecie e rimedi, in Giappichelli, Torino, 2018.
[48] A. Vesto, Successione digitale, cit., p. 182 ss.
[49] Sul punto, la dottrina che nel tempo si è dedicata a questa indagine, ha sottolineato come «l’aggiunta del termine exequendum, spesso ricorrente nel lessico dottrinale e giurisprudenziale, vale soltanto a individuare il negozio bilaterale la cui esecuzione, differita alla morte del mandante, si estrinsechi in un’attività materiale o in uno o più atti meramente esecutivi rispetto ad un’attribuzione patrimoniale già realizzata, inter vivos, dal dominus. In tal modo caratterizzando tale figura e distinguendola dal mandato a causa di morte che ha per oggetto, invece, un’attività dispositiva di beni compresi nell’asse ereditario. Tale conclusione, ormai da tempo recepita dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, incentra il criterio distintivo tra le diverse fattispecie riconducibili allo schema del mandato sulla natura dell’affare che forma oggetto dell’incarico e dà luogo ad una soluzione che può definirsi intermedia tra la tesi più restrittiva, che considera il mandato da eseguirsi dopo la morte del mandante sempre e comunque nullo, ancor prima che per il divieto dei patti successori, per l’inderogabilità della regola mandatum mortem finitur (art. 1722, n. 4, c.c.), e l’opinione di coloro i quali, traendo argomento dalla libera revocabilità del contratto, escludono ogni interferenza con la ratio del divieto posto dall’art. 458 c.c.» (V. Putortì, Mandato post mortem e divieto dei patti successori, in Obbl. contr., 2012, fasc. 11, p. 737). In linea generale la dottrina ha mostrato interesse per il mandato post mortem, tra cui si ricorda: L. Vizzoni, Mandato post mortem e c.d. eredità digitale, in C. Granelli (a cura di), I nuovi orientamenti della Cassazione civile, Giuffrè, Milano, 2019, pp. 149-159; G. Sicchiero, Contratti “post mortem”, patti successori ed art. 28 l.n., in Vita notarile, 2018, fasc. 2, pp. 557-563; S.T. Barbaro, Validità degli accordi “post mortem” e scelta della disciplina applicabile, in Rass. dir. civ., 2017, fasc. 4, pp. 1565-1604; V. Putortì, Gli incarichi post mortem a contenuto non patrimoniale tra testamento e mandato, in Pers. merc., 2012, fasc. 3, pp. 137-149; N. Di Staso, Il mandato post mortem exequendum, in Fam. pers. succ., 2011, pp. 685-694; L. Coviello jr., Il «Mandatum post mortem», in Riv. dir. civ., 1930, I, p. 1-58; P. Bonfante, Mandato «post mortem», ora in Scritti giuridici vari, III, Torino, 1921, p. 262 ss.
[50]A. Vesto, Successione digitale, cit., p. 184.
[51] Cfr. l’art. 24 della l. 22 aprile 1941 n. 633, secondo cui “il diritto di pubblicare le opere inedite spetta agli eredi dell’autore o ai legatari delle opere stesse, salvo che l’autore non abbia espressamente vietato la pubblicazione o l’abbia affidata ad un terzo”.
[52] In questi termini, U. Carnevali, Negozio fiduciario e mandato post mortem, in Giur. comm., 1975, fasc. 1, p. 704. In tal senso, altresì, S. Stefanelli, Destinazione post mortem dei diritti sui propri dati personali, in MediaLaws – Riv. dir. dei media, 2019, fasc. 1, p. 143, ove l’autrice asserisce che «è essenziale (…) che la morte non costituisca causa dell’attribuzione, ma termine alla cui scadenza si consolidano gli effetti attributivi in favore del beneficiario, ricadendosi altrimenti nella nullità per violazione dell’art. 458 c.c.».
[53] Sul punto F. Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, Giuffrè, Milano, 1990, pp. 160-161.
[54] A differenza delle altre due figure, legittimo ed efficace è il mandato post mortem exequendum che soddisfa le esigenze dell’era digitale (si pensi all’accesso alle piattaforme social e agli account di posta elettronica del disponente), poiché consente che le disposizioni contenute nel contratto di mandato (riguardanti rapporti di natura non patrimoniale) possano trovare realizzazione nel momento successivo alla morte del dante causa.
[55] Più precisamente il contenuto del mandato mortis causa realizza scopi prettamente dispositivi e attributivi di diritti, che fanno giungere a terzi (sebbene non attraverso il testamento) beni compresi nell’asse ereditario; perciò la ricostruzione tradisce la natura di questo mandato in una ipotesi di patto successorio vietato dalla legge.
[56] Con il mandato post mortem in senso stretto il disponente, per mezzo di un atto unilaterale, incarica un altro soggetto allo svolgimento di una determinata attività giuridica dopo la sua morte.
[57] Cass. civ., sez. III, ord. 15.05.2018, n. 11763, in DeJure.
[58] V. Putortì, Gli incarichi post mortem, cit., p. 144.
[59] C. Camardi, L’eredità digitale, cit., p. 87.
[60] Tra cui, G. Bonilini, Concetto, e fondamento, della successione mortis causa, in G. Bonilini (diretto da), Trattato di diritto delle successioni e donazioni, vol. I, La successione ereditaria, Giuffrè, Milano, 2009, spec. pp. 26-30; N. Di Staso, Il mandato post mortem, cit., p. 685.
[61] Secondo cui il mandato post-mortem è generalmente valido purché non tenda a realizzare un’attribuzione patrimoniale: U. Bechini, Password, credenziali e successione mortis causa, CNN, Studio n. 6-2007/IG, approvato dalla Commissione Studi di Informatica Giuridica del Consiglio Nazionale del Notariato l’11 maggio 2007 (in notariato.it), p. 6.
[62] Art. 2-terdecies (Diritti riguardanti le persone decedute).
1. I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione.
2. L’esercizio dei diritti di cui al comma 1 non è ammesso nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, l’interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest’ultimo comunicata.
3. La volontà dell’interessato di vietare l’esercizio dei diritti di cui al comma 1 deve risultare in modo non equivoco e deve essere specifica, libera e informata; il divieto può riguardare l’esercizio soltanto di alcuni dei diritti di cui al predetto comma.
4. L’interessato ha in ogni momento il diritto di revocare o modificare il divieto di cui ai commi 2 e 3.
5. In ogni caso, il divieto non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi.
La disposizione, introdotta dal D.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, dunque, valorizza l’autonomia privata del de cuius e la sua autodeterminazione informativa.
[63] Sul punto si ritiene che l’art. 2-terdecies Codice privacy assuma il ruolo di indice della trasmissibilità a causa di morte dell’identità digitale: in tali termini, cfr. V. Iorio, Identità digitale e trasmissione a causa di morte, in Dir. succ. fam., 2022, fasc. 1, pp. 91-121.