di Carabetta Stefano

Sommario:    1. Finalità e ambito di applicazione della legge n. 112 del 2016. – 2. La disciplina del trust nella legge “sul dopo di noi”. – 3. Gli “special needs trusts”. – 4. Il trust come operazione soggettivamente complessa. – 5. Trust, proprietà “scomposta” e “incongruenza del mezzo rispetto allo scopo”.

1. Finalità e ambito di applicazione della legge n. 112 del 2016

La legge n. 112 del 22 giugno 2016, recante «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare»[1], ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento italiano il trust quale «situazione affidante»[2], alternativa al contratto di affidamento fiduciario[3] e al vincolo di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c. [4] – per la gestione del patrimonio destinato a favore di soggetti disabili privi di assistenza[5].

Il provvedimento è noto anche come «legge sul dopo di noi» in quanto – come si riscontra anche dalla relazione di accompagnamento alla proposta di iniziativa parlamentare – l’obiettivo che il legislatore si prefigge di raggiungere è quello di consentire ai genitori di persone disabili di provvedere per il “dopo”, il momento, cioè, in cui a causa dell’età avanzata o della morte non potranno più assistere il figlio incapace di affrontare autonomamente i problemi della vita quotidiana.

Le due precondizioni essenziali affinché possa trovare applicazione la legge in esame, infatti, sono la disabilità grave[6] del beneficiario e l’assenza del sostegno familiare. Sebbene il testo normativo non contenga precisazioni in tal senso, dal tenore sistematico dell’ordito legislativo, che fa espresso riferimento alla mancanza di entrambi i genitori, emerge chiaramente che i possibili destinatari della tutela sono esclusivamente i figli[7] e, d’altra parte, che il sostegno familiare si riduce in effetti al solo sostegno genitoriale.

In tale direzione, la legge è dichiaratamente «volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità»[8] in attuazione dei principi in materia sia di diritto interno, di matrice costituzionale, sia di diritto sovranazionale, in particolare quelli espressi nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006[9].

2. La disciplina del trust nella legge “sul dopo di noi”

            Le disposizioni dettate dalla legge n. 112 del 2016 si concentrano prevalentemente nell’enunciazione delle agevolazioni fiscali dettate per incentivare l’istituzione di trust, oltre che il ricorso alle altre misure (contratto di affidamento fiduciario e vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645 ter c.c.), e nella individuazione del contenuto che detti istituti devono presentare per poter beneficiare del trattamento di favore ai fini tributari.

Il legislatore, pur non fornendo una regolamentazione generale del trust[10], attraverso le norme sulle agevolazioni fiscali, ha conferito indirettamente e implicitamente piena legittimazione e riconoscimento al trust interno, sancendo la definitiva “benedizione” dell’istituto di matrice anglosassone[11] e risolvendo la querelle sulla sua ammissibilità[12] che per lungo tempo ha animato il dibattito in dottrina e in giurisprudenza[13].

            Avendo specifico riguardo al trust e limitando l’esame a quelle disposizioni con contenuto prevalentemente sostanziale di diritto privato, si deve osservare come la legge n. 112 del 2016, dopo aver precisato che la stessa è volta ad agevolare, fra l’altro, la costituzione di trust (art. 1, comma 3), incentivi tale operazione stabilendo che i beni e i diritti conferiti in trust istituiti in favore delle persone con disabilità grave sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni (art. 6, comma 1)[14].

            Siffatto trattamento di favor fiscale, funzionale ad incentivare le operazioni di trust, è ammesso a determinate condizioni.

Innanzitutto, il trust deve perseguire come finalità esclusiva l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti e la suddetta finalità deve essere espressamente indicata nell’atto istitutivo (art. 6, comma 2)[15].

            Quanto alla forma del negozio, poi, il comma 3, lett. a) dell’art. 6 richiede che il negozio sia concluso per atto pubblico. Siffatta opzione normativa dimostra come il legislatore del 2016 sia stato influenzato piuttosto che dalla lettera della previsione contenuta nell’art. 3 della Convenzione de L’Aja del 1985 – secondo la quale per l’applicabilità della stessa è necessario che i trust siano «costituiti volontariamente e comprovati per iscritto», richiedendo dunque la semplice forma scritta ad probationem – dalla regola invalsa nella prassi che ha in concreto fatto sempre ricorso all’atto pubblico, elevando di tale guisa il trust a negozio solenne.

La legge impone, altresì un contenuto minimo obbligatorio. A tal proposito, l’art. 6, comma 3, lett. b) stabilisce che l’atto istitutivo deve identificare in maniera chiara e univoca i soggetti coinvolti e i rispettivi ruoli; deve descrivere la funzionalità e i bisogni specifici delle persone gravemente disabili, in favore delle quali il trust è posto in essere; deve indicare le attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni dei beneficiari, comprese le attività finalizzate a ridurre il rischio della istituzionalizzazione delle medesime persone con disabilità grave[16].

L’atto istitutivo del trust deve, inoltre, individuare gli obblighi del trustee con riguardo al progetto di vita e agli obiettivi di benessere che lo stesso deve promuovere in favore dei beneficiari, adottando ogni misura idonea a salvaguardarne i diritti; deve indicare, ancora, gli obblighi e le modalità di rendicontazione a carico del trustee (art. 6, comma 3, lett. c)).

Le lett. d) ed e) dell’art. 6, comma 3 prescrivono un rapporto di esclusività rispettivamente soggettiva e oggettivo-funzionale: sotto il primo profilo, gli esclusivi beneficiari del trust devono essere le persone gravemente disabili; sotto il secondo profilo, i beni, di qualsiasi natura, conferiti nel trust devono essere destinati esclusivamente alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust ovvero dei fondi speciali o del vincolo di destinazione.

Merita di essere sottolineata anche la previsione di cui alla lett. f) del medesimo articolo nella parte in cui dispone che l’atto istitutivo del trust deve individuare il soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte al trustee e tale soggetto deve essere individuabile per tutta la durata del trust. Si tratta della figura del guardiano mutuata dal protector del diritto di common law.

Il rapporto che origina da tali operazioni deve essere necessariamente ad tempus. Si stabilisce, infatti che l’atto istitutivo del trust indichi il termine finale nella data della morte della persona con disabilità grave (art. 6, comma 3, lett. g)) e, per tale evenienza, l’atto istitutivo del trust deve pure stabilire la destinazione del patrimonio residuo (art. 6, comma 3, lett. h))[17].

3. Gli “special needs trusts”

            Il trust disciplinato dalla legge n. 112 del 2016 rievoca la figura degli «special needs trusts» della common law statunitense[18].

Tale espressione non corrisponde a una definizione precisa nelle leggi federali, ma viene piuttosto usata in senso lato per fare riferimento ai trust istituiti in favore dei soggetti bisognevoli di assistenza sanitaria «to ensure that disabled beneficiaries […] maintain their eligibility to receive Medicaid benefits»[19].

In realtà, nella maggior parte dei casi la regolamentazione del trust è la risultante di «an amalgamation of state constitutional law, state statutory law, common law, uniform laws, and scholarly opinions»[20].

In tale quadro, assumono particolare importanza i «Restatements of the Law of Trusts»elaborati dall’American Law Institute (ALI), un organismo composto da professori universitari, giudici, avvocati ed esperti di diritto, nato nel 1923 con l’obiettivo di migliorare i testi legislativi[21] e fare fronte alla crescente “uncertainty” and “complexity” del sistema legale americano attraverso un processo di estrazione della “black letter law” dalla giurisprudenza consolidata. Nella materia de qua sono stati elaborati il il Restatement (first) of Trusts (del 1935), il Restatement (second) of Trusts (del 1959), il Restatement (third) of Trusts (del 2003).

Inoltre, molti Stati si sono dotati di un Uniform Trust Code sulla base di un omologo modello che, sebbene non vincolante, è stato predisposto dalla National Conference of Commissioners on Uniform State Laws – un comitato di redazione composto da professori e studiosi di prestigiose Università e Istituzioni, diretto da Maurice Hartnett, un giudice della Suprema Corte del Delaware – con l’intento di farlo adottare ufficialmente dal maggior numero di Stati al fine di rendere uniforme la normativa in materia[22].

Nella prassi, in alcuni casi, il ricorso allo special needs trust è dettato – come accade per il trust di cui alla legge “Sul dopo di noi” – dalla semplice esigenza di dotare di un patrimonio i disabili privi di sostegno, per il loro periodo di vita successivo alla morte dei propri genitori, affidandone la gestione a un terzo fiduciario al fine di fare fronte alle loro esigenze di vita e di cura attraverso i proventi derivanti da tale amministrazione.

Nella maggior parte dei casi, invece, in considerazione del peculiare sistema sanitario americano fondato non già sulla copertura universale bensì su criteri di natura essenzialmente privatistica, l’istituzione del trust per gli special needs rappresenta la migliore formula giuridica per consentire ai beneficiari di partecipare anche al Medicaid e al Medicare, rispettivamente ilprogramma federale sanitario che aiuta le famiglie a basso reddito a sostenere i costi di un’assicurazione sanitaria e il programma di assicurazione medica riservato essenzialmente agli over 65 e ai soggetti disabili.

In tali ipotesi, l’effetto segregativo tipico del trust consente, invero, di ovviare alle preclusioni legali che deriverebbero nel caso di trasferimento patrimoniale diretto inter vivos o mortis causa e di conseguente accrescimento del patrimonio dell’avente causa.  I beneficiari degli special needs trusts, infatti, non ricevendo i beni in proprietà, mantengono lo status di c.d. “eligibility” rispetto ai suddetti programmi governativi, rientrando nei limiti patrimoniali di legge ma conservando ad un tempo indirettamente, per il tramite cioè della gestione del trustee, la disponibilità del patrimonio familiare, o di una porzione di esso per fare fronte alle necessità ulteriori non finanziabili con gli aiuti statali o federali.

In altri termini, in tali ipotesi l’obiettivo degli special needs trusts è quello di migliorare la qualità di vita di un soggetto senza privarlo della possibilità di accesso all’assistenza sanitaria pubblica in quanto i beni concessi in trust si qualificano come “non-countable assets”.

            Esiste, ancora, una ulteriore forma di special needs trust, quelloautodichiarato e autodestinato (selfsettled), istituito a favore dello stesso disponente che si trova già al momento dell’istituzione in una condizione di vulnerabilità ovvero istituito per la possibilità di un proprio bisogno in futuro a causa di eventuali lesioni o disabilità future[23]. Questa peculiare forma di trust si caratterizza per il fatto che l’atto istitutivo di regola contiene una clausola di “payback provision”che, mentre consente al beneficiario di godere in vita degli aiuti medici, dopo la morte compensa lo Stato per l’assistenza ricevuta attraverso il trasferimento dei beni residui del trust nella misura prestabilita. Pagato il debito nei confronti dello Stato, sussiste la possibilità di devolvere i beni residui del trust dopo la morte del beneficiario sempre che siano stati nominati nell’atto istitutivo altri “remainder beneficiariespost mortem[24].

Al contrario, gli special needs trusts istituiti a beneficio di terze parti non devono contenere la payback provision e lasciano il costituente nella libertà incondizionata di nominare ab initio remainder beneficiaries che possano succedere nella situazione di vantaggio dopo la morte del primo beneficiario.

Un particolare tipo di special needs trusts è il pooled trust, così definito per il fatto di essere gestito da una pooled trust company, un’organizzazione no-profit che assume il ruolo di trustee e che consente di spalmare le spese di amministrazione, altrimenti esose, in ragione del numero elevato di conferenti.

La peculiarità di tale formula consiste nella creazione, in virtù dei joinder agreements, di un fondo comune nel quale confluiscono, pur rimanendo separati, i conferimenti di ogni singolo trust (cc.dd. “subaccounts”)e, quindi, nella contitolarità in capo ad un unico soggetto, l’organizzazione no profit, di una pluralità di posizioni a titolo di trustee.

            Tali forme di trust sono particolarmente diffuse poiché oltre a consentire significativi risparmi di spesa al settlor, offrono allo stesso e al beneficiario la garanzia di competenze altamente qualificate e professionali con riferimento non solo alla gestione patrimoniale ma anche alla possibilità di accesso ai programmi governativi federali. La mancata conoscenza di siffatti programmi da parte del trustee, per converso, ove comporti la perdita in capo al soggetto disabile degli eventuali benefici riconosciuti agli stessi, determina responsabilità gravi in capo al gestore.

Di portata più ampia sono nell’ordinamento inglese i “trusts for vulnerable beneficiaries[25]che godono di un trattamento fiscale di vantaggio e sono istituiti a favore di persone mentalmente o fisicamente disabili destinatari in atto o in potenza di una misura di assistenza (quale l’indennità di accompagnamento o la pensione di invalidità) ovvero minori di 18 anni (relevant minor), che abbiano perso uno o entrambi i genitori, incapaci di provvedere autonomamente alla gestione del proprio patrimonio[26].

Al pari di quanto oggi prevede la legge n. 112 del 2016 anche i “trusts for vulnerable beneficiaries” devono avere come beneficiari esclusivi soggetti vulnerabili.

4. Il trust come operazione soggettivamente complessa

            Dall’esame del trust disciplinato dalla legge “sul dopo di noi” e dalla comparazione con la gli special needs trusts emerge una chiara affinità tra le due figure che, a sua volta, è la ragione dalla quale ha preso le mosse l’origine storica dell’istituto.

Lo strumento, sia nel nostro ordinamento sia in quello di common law,infatti, è funzionale a pianificare la gestione del patrimonio per il periodo in cui i titolari non saranno più in vita e il figlio gravemente disabile sarà incapace di provvedere autonomamente a se stesso[27].

La ratio che sta a fondamento dell’istituto è analoga a quella che spingeva i cavalieri proprietari terrieri, chiamati a combattere le crociate, a trasferire in trust i propri averi ad una persona di fiducia affinché li gestisse nell’interesse della famiglia del settlor[28].

            Per la peculiare situazione in cui è destinato a trovare applicazione l’istituto, non sembra potersi revocare in dubbio che l’operazione attraverso la quale si concretizza il trust per il “dopo di noi” presenti una organizzazione soggettivamente complessa[29].

Dall’unica definizione normativa rinvenibile nel nostro ordinamento – quella contenuta nell’art. 2, comma 1, della Convenzione de L’Aja del 1985, ai sensi della quale «Per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee, nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico» – se ne trae che dal punto di vista soggettivo, le figure caratterizzanti il trust sono: il settlor (o costituente o disponente o grantor), cioè il soggetto che dispone la creazione del patrimonio separato e che vi imprime una particolare destinazione; il trustee (o gestore o fiduciario), investito del potere e gravato dall’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare e gestire i beni nel rispetto dei termini del trust e delle norme di legge; il beneficiario (beneficiary), la parte che beneficia della gestione dei beni confluiti nel patrimonio separato[30]. Nello schema prefigurato dalla legge n. 112 del 2016 risulta, ancora, la possibile presenza di un quarto soggetto, il controllore (o garante o protector), che ha compiti di vigilanza sull’amministrazione posta in essere dal trustee e, talvolta, anche sostitutivi o di co-gestione.

Nell’ambito di una fattispecie standard i genitori assumono la veste di costituenti-disponenti mentre beneficiario necessario ed esclusivo del trust, per espressa previsione dell’art. 6, comma 3, lett. d), è il soggetto gravemente disabile; il trustee per il periodo successivo alla morte dei genitori non può che essere un soggetto terzo; infine, il guardiano, in ragione del ruolo di garante e controllore dell’operato del trustee,è inevitabilmente un soggetto diverso da questi[31].

            Si tratta, in ogni caso, di un’operazione che – salve le condizioni fissate dalla legge per poter beneficiare del regime fiscale agevolato – lascia ampi margini di discrezionalità nella sua concreta costruzione e si presta perciò ad essere declinata in una molteplicità di forme diverse[32]. Si può considerare, dunque, il trust, come uno strumento di gestione patrimoniale particolarmente duttile e flessibile, a “geometria variabile”, “amorfo” o proteiforme[33].

L’elasticità del trust si rinviene anche con riguardo alla regolamentazione dello stesso. Sussiste, invero, innanzitutto la possibilità di scegliere la legge regolatrice del trust nell’ambito delle leggi dei Paesi che disciplinano espressamente tale istituto. E la scelta avviene sulla base della concreta tipologia del trust che si intende istituire e degli obiettivi che si vogliono perseguire[34]. L’unico limite è dato dal rispetto delle norme imperative e dei principi generali vigenti nell’ordinamento.

La regolamentazione del trust d’altra parte può anche essere espressione dell’autonomia negoziale del disponente, nel caso di dichiarazione unilaterale, ovvero della libera pattuizione di questi con il trustee nel caso di negozio bilaterale. Ad ogni modo, anche nella legge “sul dopo di noi” l’istituto mantiene invariata la propria natura di “negozio di destinazione”[35] poiché conserva quale effetto tipico quello di imprimere un vincolo funzionale ai beni conferiti.

Tutte le caratteristiche appena descritte sono in linea con le origini del trust[36], cherappresenta una delle più importanti creazione del diritto dell’equity[37]di common law,tanto da essere considerato come «a province of the common law»[38].

5. Proprietà “scomposta” e “incongruenza del mezzo rispetto allo scopo”

Le caratteristiche principali che di regola sono presenti nel trust in generale sembrano ancora più accentuate nel caso dell’istituto disciplinato dalla legge n. 112 del 2016[39].

Dal punto di vista degli effetti non vi è dubbio che esso produca una vicenda traslativa della proprietà[40], ma il risultato che ne deriva in capo al trustee è quello di una proprietà conformata, vincolata e funzionale, in ogni caso sui generis.

La situazione giuridica che viene a configurarsi, infatti, si presenta alla stregua di proprietà “scomposta” o “disgregata”[41] in quanto connotata da una dissociazione dei poteri che tradizionalmente sono stati ritenuti binomio inscindibile in capo al proprietario[42].

Alla titolarità della situazione dominicale in capo al trustee[43], legittimato attivo al potere dispositivo e, in concreto, all’amministrazione dei beni, fa da contraltare l’effettivo godimento sostanziale del beneficiario, il quale – seppure formalmente titolare di un semplice diritto relativo di credito nei confronti del trustee,azionabile attraverso strumenti di tutela di natura personale – è in realtà il soggetto nella cui sfera giuridica si producono effettivamente gli effetti tipici del godimento in quanto legittimato a ricevere i proventi dell’amministrazione altrui[44].

La situazione di vantaggio ascritta al trustee, per converso,si riduce alle utilità percepite quale compenso remunerativo assimilabile in maggior misura ad una retribuzione da lavoratore dipendente o da professionista.

Ancorché, quindi, il trustee non sia qualificabile come nudus minister, come ha chiarito la Corte di Giustizia CE con la sentenza 17 maggio 1994, n. C-294/92[45], è parimenti innegabile che la situazione a lui intestata non sia pienamente sovrapponibile a quella del proprietario di cui all’art. 832 c.c., ma si presenti invece giuridicamente ibrida, quale “appartenenza gravosa”[46], concepita alla stregua di un ufficio di diritto privato[47] che partecipa ad un tempo di poteri ma anche di obblighi, indirizzata come tale al precipuo soddisfacimento  dell’interesse di un soggetto diverso.

Si tratta, in altri termini, come è stato felicemente intuito, di «un altro modo di possedere»[48] ossia di una proprietà “nell’interesse altrui”[49] poiché essa per il modo in cui è destinata a funzionare è assiologicamente orientata a realizzare gli interessi di un soggetto (solo apparentemente) estraneo allo schema proprietario tradizionalmente inteso, quelli del beneficiario disabile.

Il potere dispositivo del trustee, inoltre, non è assoluto né è espressione di un’autodeterminazione piena e incondizionata, bensì è limitato e vincolato oltre che eterodeterminato, almeno nelle sue direttrice fondamentali, dalle istruzioni del disponente (fornite ab initio o anche in fieri) e, in certa misura, anche dal controllo del protector, (il c.d. guardiano o garante o controllore).

La presenza di quest’ultima figura nell’architettura del trust per il “dopo di noi” è, peraltro, fortemente sintomatica della peculiarità della situazione giuridica che si instaura in capo ai vari soggetti dell’operazione e, in pari tempo, del timore avvertito dal legislatore che simili fattispecie possano prestarsi a rischi di abuso a fronte di una base assiologica – qual è quella che attiene alla posizione del beneficiario affetto da disabilità grave – che non può tollerare secondo l’ordinamento giuridico attentati di sorta.

Già con riferimento alla fiducia di tipo romanistico – nella quale il fiduciante trasferiva al fiduciario la piena proprietà di determinati beni e non aveva altri strumenti di tutela se non quello del risarcimento del danno – la dottrina segnalava il rischio di abuso derivante dalla possibilità per il fiduciario, il cui «potere» era più ampio del «dovere», di esercitare il diritto ricevuto per scopi estranei a quelli convenuti[50].

Mutuando quanto è stato osservato a proposito del negozio fiduciario di origine romanistica, può affermarsi che anche nella fattispecie in esame sussista il rischio di «incongruenza o inomogeneità del mezzo rispetto allo scopo»[51] e il conseguente e correlato rischio di abuso da parte del trustee. Da qui la previsione contenuta nell’art. 6, comma 3, lett. h) della legge n. 112 del 2016, che impone quale contenuto obbligatorio dell’atto istitutivo del trust la presenza di un «soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte all’atto dell’istituzione del trust». 

Proprio l’asservimento funzionale del diritto di proprietà attribuito al trustee a vantaggio degli interessi del beneficiario vulnerabile spiega le ragioni che hanno indotto il legislatore a circondare i poteri del primo di strumenti di garanzia dell’effettivo rispetto dei limiti di legge e negoziali.

Dal quadro appena descritto, risulta auto-evidente come l’idea di proprietà concepita dal legislatore del 2016 e in generale dal paradigma del trust sia distante da quella disciplinata dal codice civile. D’altronde, che l’istituto proprietario – come ha felicemente intuito un insigne Studioso del secolo passato[52] – abbia conosciuto già da molti anni un processo di progressiva “frantumazione” e scissione in una pluralità di statuti normativi è acquisizione ormai pacifica. Ciò che merita ancora una volta di essere segnalato è, però, che la ragione genetica della pluralità dei diversi tipi e statuti proprietari «non è solo di struttura, e cioè di poteri e obblighi visti in numero ed estensione, ma anche e soprattutto di funzione, ossia di centri di e piani di interessi tutelati»[53], così come accade chiaramente nel contesto del trust per il “dopo di noi”.


[1] Per un commento alla legge, oltre ai rinvii bibliografici che seguiranno, vedi A. Di Landro, La destinazione patrimoniale a tutela dei soggetti deboli. Riflessioni sulla l. 22 giugno 2016, n. 112, in favore delle persone con disabilità grave, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 1, p. 47 ss.; G. Amore, Criticità sistematiche e rilevanza normativa del trust nella “legge sul dopo di noi”, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 6, p. 1197 ss.; V.R. Camposeo, Gli strumenti per l’assistenza ai disabili: note sugli aspetti civilistici della l. n. 112/2016 – (c.d. “dopo di noi”), in Notariato, 2017, 4, p. 433 ss.; F. Azzarri, I negozi di destinazione patrimoniale in favore dei soggetti deboli: considerazioni in margine alla l. 22.6.2016, n. 112, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1, p. 120 ss.; G. Visconti, Legge “dopo di noi”: l’affidamento alle onlus di beneficenza di trust, fondi speciali e beni vincolati, in Cooperative e enti non profit, 2017, 8-9, p. 38 ss.; N. Atlante-L. Cavalaglio, I fondi speciali nel contratto di affidamento fiduciario previsti dalla legge “Dopo di noi”: una nuova ipotesi di patrimonio separato?, in Riv. not., 2017, 2, p. 227 ss.

[2] La formula, coniata da M. Lupoi, Le situazioni affidanti, Torino 2006, p. 15, è ripresa da M.C. Andrini, Le situazioni affidanti e la c.d. legge “dopo di noi” (l. n. 112/2016) parte prima: il trust e l’art. 2645-ter c.c., in Riv. dir. civ., 2018, 3, p. 623, e riutilizzata dall’Autrice ivi nella continuazione sul n. 4 dello stesso anno, Le situazioni affidanti e la c.d. legge “dopo di noi” (l. n. 112 /2016). parte seconda: i vincoli di destinazione ed il contratto di affidamento fiduciario.

[3] I primi studi in materia si devono, infatti, già prima dell’emanazione della legge n. 112 del 2016 a M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008; Id., Atti istitutivi di trust e contratti di affidamento fiduciario, Milano, 2010; Id., Il contratto di affidamento fiduciario, in Riv. not., 2012, p. 516 e Id., Il contratto di affidamento fiduciario, Milano 2014. Dello stesso Autore, dopo l’entrata in vigore della legge in commento, L’affidamento fiduciario nella vita professionale, Milano, 2018; Id., le ragioni della proposta dottrinale del contratto di affidamento fiduciario, in Contr. impr., 2017, 3, p. 734 ss.

Facendo riferimento ai primi studi di M. Lupoi, G. Boletto, Tassazione indiretta dei negozi di destinazione patrimoniale alla luce della legge n. 112 del 2016 (c.d. “Dopo di noi”), in Nuova giur. civ. comm. 2017, 4, p. 580 ss., afferma che il contratto di affidamento fiduciario è una figura di recente elaborazione dottrinale di cui la legge “sul dopo di noi” rappresenta il primo riconoscimento normativo.

Sull’argomento si rimanda, inoltre, a G. Amore, Trust, vincoli di destinazione – e affidamento fiduciario nella legge del “dopo di noi” (prima parte), in Studium iuris, 2019, 6, p. 718 ss.; Id., Trust, vincoli di destinazione – e affidamento fiduciario nella legge del “dopo di noi” (seconda parte), in Studium iuris, 2019, 7-8, p. 895 ss. Nel primo saggio l’Autrice chiarisce (p. 901, nota 39) che, prima della legge n. 112 del 2016, già la legge n. 3 del 2012 utilizza «il contratto di affidamento fiduciario» per fare riferimento agli accordi di ristrutturazione tra debitore e creditori contenenti il programma di liquidazione, di custodia e di distribuzione del ricavato ai creditori sebbene qui, diversamente da quanto accade nel contratto omologo ex legge “sul dopo di noi”, il pactum fiduciae sia di tipo funzionale e non oggettivo, non riguardando cioè l’assetto dei beni.

Si vedano, ancora, M.R. Mazzone, La funzionalità del contratto di affidamento fiduciario, in Trusts e att. fiduc., 2016, p. 351 ss.; G. Baralis, Autotutela e autorizzazioni nell’àmbito del contratto fiduciario, in Quad. fond. it. notar., 2017, vol. 20, n. 1, p. 145 ss.

Per una comparazione con istituti stranieri omologhi si vedano F. Cerri, Trust, affidamento fiduciario e fiducie. Tre modi di declinare la fiducia nel quadro del diritto europeo, Milano, 2015; P. Pardolesi, Trust, fiducie e contratto di affidamento fiduciario: omologazione contrattuale?, in Trusts e att. fiduc., 2020, 5, p. 503 ss.

[4] In tema vedi, tra gli altri, F. Gigliotti, Trust interno e atto di destinazione, in Giust. civ., 2016, 4, p. 743 ss.; G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., 2006, p. 161 ss.; M. Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter c.c. quale frammento di trust, in Trusts e att. fiduc., 2006, p. 169 ss.; G. Oberto, Atti di destinazione (ex art. 2645-terc.c.) e trust: analogie e differenze, in Contr. impr./Eu., 2007, p. 351 ss.; A. Di Landro, L’art. 2645-ter c.c. e il trust. Spunti per una comparazione, in Riv. not., 2009, 3, p. 583 ss.; P. Manes, La norma sulla trascrizione degli atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti, in Contr. impr., 2006, p. 626 ss.

[5] Dell’argomento si era già occupata alcuni anni prima dell’emanazione della legge in esame A. Di Landro, La protezione dei soggetti deboli tra misure di protezione, atti di destinazione e trust, in Trusts e att. fiduc., 2009, p. 493 ss.

[6] La disabilità grave cui fa riferimento la norma è quella definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ed attiene ad una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione riducendo l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale  nella  sfera  individuale o in quella di relazione.

[7] Cfr. M.C. Andrini, Le situazioni affidanti e la c.d. legge “dopo di noi” (l. n. 112/2016) parte prima: il trust e l’art. 2645-ter c.c., cit., 625.

[8] Sono le testuali parole contenute nell’art. 1, comma1 della legge in commento.

[9] L’art. 1, comma 1 della lege n. 112/2016 richiama espressamente i principi stabiliti dagli articoli 2, 3, 30, 32 e 38 della Costituzione, dagli articoli 24 e 26 della Carta di Nizza e dagli articoli 3 e 19, con particolare riferimento al comma 1, lettera a), della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18.

[10] Lo denunciano anche A. Di Landro, La destinazione patrimoniale a tutela dei soggetti deboli. Riflessioni sulla l. 22 giugno 2016, n. 112, in favore delle persone con disabilità grave, cit., p. 56; G. Amore, Criticità sistematiche e rilevanza normativa del trust nella “legge sul dopo di noi”, cit., p. 1200 ss.

[11] Di benedizione ha già parlato G. De Nova, Il contratto alieno, Torino, 2010, p. 58, con riferimento alla introduzione dell’art. 2645 ter c.c. In tal senso successivamente G. Munari, Alcune considerazioni in tema di trust, in Giur. it., 2019, 8-9, p. 1835.

[12] Il problema dell’ammissibilità del trust interno si era posto in particolare all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 364 del 16 ottobre 1989 con la quale è stata ratifica e resa esecutiva nel nostro ordinamento la «Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento», adottata a L’Aja il 1° luglio 1985. Dall’art. 13 della citata Convenzione si evince che il trust interno ricorre nei casi in cui gli elementi importanti (i significant elements) dello stesso – e, cioè, il luogo in cui sono ubicati i beni oggetto di trust, il luogo in cui deve essere realizzato lo scopo del trust nonché il luogo di cittadinanza e di residenza del disponente e del beneficiario – si trovano tutti all’interno del territorio nazionale e, quindi, presenta come unici elementi di internazionalità la legge straniera di regolazione del trust (quella scelta dal disponente ex art. 6, comma 1, ovvero quella applicabile in base ai criteri di collegamento e al principio di prossimità cui all’art. 7 della Convenzione) ed eventualmente il luogo di residenza abituale del trustee o, comunque, il luogo di amministrazione del trust.

[13] Sulla questione dell’ammissibilità del trust interno vedi, tra gli altri, V. Scalisi, Ancora in ordine all’ammissibilità del trust interno, in F. Alcaro-R. Tommasini, Mandato fiducia e trust. Esperienze a confronto, Milano, 2003, p. 187 ss., ora in Id., Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, con il titolo Il trust interno. Problemi di ammissibilità, p. 725 ss. L’Autore sostiene – già molto tempo prima del riconoscimento normativo avvenuto con la legge n. 112 del 2016 – che il trust interno sia ammissibile in quanto attraverso la legge n. 364 del 16 ottobre 1989 di ratifica della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 il legislatore ha espresso un giudizio di meritevolezza ex art. 1322, comma 2, c.c. assicurando cittadinanza nel nostro sistema di diritto positivo all’atto istitutivo di trust c.d. interno, quale negozio atipico dotato di propria legittimità teorica e normativa. Al fine di conciliare tale conclusione con il principio di universalità della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., lo Studioso propone di limitare l’effetto segregativo tipico dell’istituto di common law nel caso di insolvibilità del trustee.

La giurisprudenza ha avversato per molto tempo il trust interno considerato come negozio in frode alla legge. Vedi, ex multis, Tribunale di Udine 10 marzo 2015, in Corr. giur., 2016, p. 1097 ss.; Tribunale di Monza 13 ottobre 2015, in www.ilcaso.it; Corte d’Appello di Trieste 29 luglio 2016. La Corte di Cassazione ormai ne riconosce l’ammissibilità come ha fatto con la sentenza del 9 maggio 2014, n. 10105.

[14] Si tratta dell’imposta prevista dall’articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni (art. 6, comma 1).

[15] Cfr. M.C. Andrini, Le situazioni affidanti e la c.d. legge “dopo di noi” (l. n. 112/2016) parte prima: il trust e l’art. 2645-ter c.c., cit., p. 630.

[16] Vedi G. Amore, Trust, vincoli di destinazione e affidamento fiduciario nella legge del “dopo di noi”, in Studium iuris, 2019, 6, p. 718.

[17] L’art. 6 precisa, inoltre, alcune misure di carattere fiscale, stabilendo che: «In caso di premorienza del beneficiario rispetto ai soggetti che hanno istituito il trust, i trasferimenti di beni e di diritti reali a favore dei suddetti soggetti godono delle medesime esenzioni dall’imposta sulle successioni e donazioni di cui al presente articolo e le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa» (comma 4). Al di fuori di tale ipotesi, «in caso di morte del beneficiario del trust istituito a favore di soggetti con disabilità grave, come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge, il trasferimento del patrimonio residuo, ai sensi della lettera h) del comma 3 del presente articolo, è soggetto all’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni, in considerazione del rapporto di parentela o coniugio intercorrente tra disponente, fiduciante e destinatari del patrimonio residuo» (comma 5). Ulteriori agevolazioni sono previste dai successivi commi: «Ai trasferimenti di beni e di diritti in favore dei trust istituiti in favore delle persone con disabilità grave come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge, le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa» (comma 6); «Gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonché le copie dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni posti in essere o richiesti dal trustee sono esenti dall’imposta di bollo prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642» (comma 7); «In caso di conferimento di immobili e di diritti reali sugli stessi nei trust i comuni possono stabilire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, aliquote ridotte, franchigie o esenzioni ai fini dell’imposta municipale propria per i soggetti passivi di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23» (comma 8); «Alle erogazioni liberali, alle donazioni e agli altri atti a titolo gratuito effettuati dai privati nei confronti di trust si applicano le detrazioni previste dall’articolo 83, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, e le deduzioni di cui al comma 2 del predetto articolo 83 con il limite ivi indicato elevato al 20 per cento del reddito complessivo dichiarato e comunque nella misura massima di 100.000 euro annui» (comma 9).

[18] Tali trust sono anche chiamati con formula analoga “special treatment trusts” o “special purpose trusts”. Nel Massachusetts è invalsa la formula di “supplemental needs trusts”in luogo di quella di “special needs trusts”.

[19] M.F. Radford-C. Bryan, Irrevocability of special needs trusts: the tangled web that is woven when English feudal law is imported into modern determinations of Medicaid eligibility, in NAELA Journal, 2012, vol. VIII, n. 3, pp. 2, 8. Si veda pure V. Dussault K. e Lauterbach J, Special Needs Trust: powerful planning tools for disabled individuals, in Journal of financial planning,2002, vol. 15, 1, p. 70 ss.

[20] Cfr. ancora M.F. Radford-C. Bryan, Irrevocability of special needs trusts: the tangled web that is woven when English feudal law is imported into modern determinations of Medicaid eligibility, cit., p. 11.

[21] Sulla origine e sullo sviluppo dell’American Law Institute vedi E. White, The American Law Institute and the Triumph of Modernist Jurisprudence, in Law and History Review, 1997, vol. 15, n. 1, p. 1 ss. Lo strumento di cui si avvale l’American Law Institute per perseguire i propri obiettivi di riordino e di semplificazione delle leggi sono i Restatments, che, sebbene non siano una normativa ufficiale, costituiscono di fatto dei testi di particolare autorevolezza e utilità per il legislatore, per le Corti, per gli avvocati e, in generale, per tutti gli studiosi di diritto. 

[22] La NCCUSL, nota anche come Uniform Law Commission (ULC), «creates all the Uniform Acts, including the UTC. This organization was established in 1892 and its purpose is to provide the states with model statutes in important areas of statutory law in order to maintain a degree of uniformity». Sono le parole di C. Bogdanski, The Uniform Trust Code and the Common Law: an Analysis of three Sections of the Code that deviate from the Common Law and why the drafters changed the law, in Cardozo Law Review, 2016, vol. 37, p. 1913. L’Autrice mette in luce come sebbene il codice nasca con il dichiarato intento di seguire i Restatements, di fatto si registrano alcune deviazioni per la pressione delle lobbies bancarie. In merito vedi pure D.M. English, The Uniform Trust Code (2000): Significant Provisions and Policy Issues, in Missourj Law Review, 2002, vol. 67, p. 143,  ss.

[23] I primi due tipi sono definiti “third-party” special needs trusts; il secondo “self-settled” special needs trusts o first party special needs trusts. Per una panoramica delle diverse tipologie di special needs trusts vedi B.D. Jackins-R.S. Blank-K.W. Shulman-P.M. Macy-H.H. Onello, Special Needs Trust Administration Manual: A Guide for Trustees, Lincoln, 2005, p. 2 ss.

[24] Tali beneficiari di secondo grado sono di regola individuati tra i membri familiari affetti da disabilità. Vedi B.D. Jackins-R.S. Blank-K.W. Shulman-P.M. Macy-H.H. Onello, Special Needs Trust Administration Manual: a Guide for Trustees, cit., p. 4.

[25] Sono anche definiti “disabled trust”. Cfr. J. Garton- G. Moffat-G. Bean-R. Probert, Moffat’s Trusts Law, Cambridge, 2015, p. 101 ss.; J.G. Goldsworth, Lexicon of Trust & Foundation Practice, Saffron Walden, 2016.

[26] Per una approfondimento vedi A. Di Landro, La destinazione patrimoniale a tutela dei soggetti deboli. Riflessioni sulla l. 22 giugno 2016, n. 112, in favore delle persone con disabilità grave, cit., p. 53, nota 11; Id., Trust e separazione patrimoniale nei rapporti familiari e personali, Napoli, 2010, p. 342 ss.

[27] Da questo punto di vista il trust si presenta come tipico comportamento inattuoso o programmatico della realizzazione degli interessi. Sulla distinzione tra comportamenti attuosi e inattuosi e su ulteriori classificazioni con riferimento ai comportamenti nel diritto vedi A. Falzea, voce Comportamento, in Enc. dir., VII, Milano, 1961, p. 135 ss.; Id., voce Manifestazione (teoria generale), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, p. 442 ss.; V. Scalisi, voce Manifestazione in senso stretto, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, p. 476 ss., ora in Id., Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, Milano, 1998, p. 74 ss.

[28] Sulle origini del trust vedi A. Gambaro, voce Trust, in Dig. disc. priv. – sez. civ., Torino, 1999, p. 449 ss.; N. Luisi, Brevi considerazioni sull’origine romanistica della struttura negoziale del trust, in M.L. Biccari (a cura di), Fiducia, trust, affidamenti, un percorso storico comparatistico, in Studi urbinati di scienze giuridiche, politiche ed economiche, 2015, vol. 66, p. 51 ss.; J.B. Ames, The Origin of Uses and Trusts, in Harvard Law Review, 1908, vol. 21, n. 4, p. 261 ss. 

[29] Cfr. in generale sulla struttura dell’operazione A. Gallarati, Il trust come organizzazione complessa, Milano, 2010. Al di fuori della fattispecie di cui alla legge n. 112 del 2016, da un punto di vista soggettivo, oltre allo schema classico che contempla un disponente che nomina il trustee, conferendogli determinati beni e individuando il beneficiario, possono aversi anche ulteriori e ben diverse fattispecie semplificate o complesse. Si pensi, ad esempio all’ipotesi del trust cosiddetto “autodichiarato” nella quale la figura del disponente coincide con quella del trustee oppure alla diversa ipotesi del trust “autodestinato” nella quale il medesimo soggetto rivesta il ruolo del disponente e quello di beneficiario.

[30] Cfr. G. Amore, Trust, vincoli di destinazione – e affidamento fiduciario nella legge del “dopo di noi” (seconda parte), cit., p. 895; M.C. Andrini, Le situazioni affidanti e la c.d. legge “dopo di noi” (l. n. 112/2016) parte prima: il trust e l’art. 2645-ter c.c., cit., p. 636 ss.

[31] Accanto a questo schema base, può ipotizzarsi, nello specifico caso del trust per il “dopo di noi”, il rapporto potrebbe nascere come autodichiarato per il periodo in cui i genitori sono ancora in vita.

[32] Che si tratti di un istituto multiforme lo riconosce espressamente anche la Corte di Cassazione, da ultimo con la sentenza n. 16700 del 21 giugno 2019, in GT – Riv. Giur. Trib., 2019, 7, p. 590 ss., con nota di A. Busani, La Cassazione si stabilizza: imposte in misura fissa per l’atto di dotazione di qualsiasi tipologia di trust. Secondo l’Autore «[…] il trust può rispondere a finalità eterogenee: di famiglia; di garanzia; di liquidazione e pagamento; di realizzazione di un’opera pubblica; di solidarietà sociale; di realizzazione di interessi meritevoli di tutela a favore di persone disabili, pubbliche amministrazioni o altri soggetti».

[33] Cfr. M. Lupoi, «”The shapeless trust” – Il trust amorfo», in Vita not., 1995, 1, p. 51 ss. M. Graziadei, Fiducia e trust in Italia, in Studi urbinati di scienze giuridiche politiche ed economiche, 2015, vol. 66, p. 368, avverte, però: «Il diritto inglese ha stabilito norme rigorose in materia di conflitti di interesse, e detta regole solide circa l’amministrazione dei beni affidati ai trustee. Solo qualche sprovveduto può pensare che con il trust si possa fare di tutto e di più. Nell’impostare l’architettura del rapporto esiste una geometria da rispettare, e nel darvi attuazione non si ha mano libera: la legislazione e i precedenti resi dalle corti inglesi in questa materia tolgono ogni dubbio in proposito».

[34] Cfr. M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, Milano, 2016, p. 309.

[35] Così S. Bartoli, La tutela del patrimonio familiare¸ Milano, 2018, p. 2, dove precisa che la formula è riassuntiva di ipotesi specifiche nelle quali determinati beni o diritti vengono vincolati ad uno scopo opponibile ai terzi andando a costituire un patrimonio separato. Sul tema vedi, inoltre, G. D’Amico, La proprietà “destinata”, in Riv. dir. civ., 2014, p. 525 ss.; F. Gigliotti, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in Nuova giur. civ. comm., 2014, p. 362 ss.; G. Perlingieri, Il controllo di meritevolezza degli atti di destinazione ex art. 2645-ter cod. civ., in Foro napoletano, 2014, p. 54 ss.

[36] L’origine dell’istituto quale creazione dei tribunali d’equità dei Paesi di common law è precisata anche nel Preambolo della Convenzione. Per una ricostruzione della storia del trust vedi M. Lupoi, Trusts, Milano, 2001, p. 5 ss.

[37] Lo mettono in luce anche H. Hansmann-U. Mattei, The Functions of Trust Law: a Comparative Legal and Economic Analysis, in New York University Law Review, 1998, 5, p. 435.             

[38] Cfr. C. Bogdanski, The Uniform Trust Code and the Common Law: an Analysis of three Sections of the Code that deviate from the Common Law and why the drafters changed the law, cit., p. 1908, la quale richiama quanto espressamente enunciato anche nei Restatements (Second) and (Third) of Trusts.

[39] A. Busani, Il trust. Istituzione, gestione, cessazione, Milano, 2020.

[40] Tale aspetto è stato chiarito dalla Corte di Giustizia CE con la sentenza 17 maggio 1994, n. C-294/92.

[41] Di proprietà “disgregata” ha parlato P. Rescigno, Per uno studio sulla proprietภin Riv. dir. civ., 1972, p. 20 per sostenere che non vi è una sola proprietà ma più proprietà.

[42] È la posizione assunta per lungo tempo dalla Corte Costituzionale ribadita anche nella sentenza n. 5 del 30 gennaio 1980 in tema di indennità espropriativa.

[43] In questi termini ha statuito la già citata Corte di Giustizia CE con la sentenza 17 maggio 1994, n. C-294/92.

[44] Nonostante la diversa ricostruzione operata dalla Corte di Lussemburgo nella citata sentenza 17 maggio 1994, n. C-294/92, secondo M.C. Andrini, Le situazioni affidanti e la c.d. legge “dopo di noi” (l. n. 112/2016) parte prima: il trust e l’art. 2645-ter c.c., cit., p. 636, nelle operazioni di trust è ravvisabile uno «sdoppiamento, proprio dei negozi di common law, dello statuto della proprietà in proprietà formale e proprietà sostanziale, con attribuzione delle stesse a due soggetti diversi: il Legal Owner ed il Beneficial Owner».

[45] Nel noto caso Webb (padre) contro Webb (figlio) i Giudici di Lussemburgo con la sentenza del 17 maggio 1994 hanno precisato che non vi è doppia proprietà, quella legale (legal ownership) in capo al trustee e quella equitativa (equitable ownership) in capo al beneficiario, ma una sola ed esclusiva situazione reale di dominio, quella del trustee[45].

[46] A. Gambaro, Appunti sulla proprietà nell’interesse altrui, in Trusts e att. fiduc., 2007, p. 172.

[47] Cfr. L. Santoro, Il trust in Italia, Milano, 2009, p. 239 ss. Sull’ufficio di diritto privato in generale vedi S. Pugliatti, Esecuzione forzata e diritto sostanziale, Milano, 1935, p. 27 ss., ora in Id., Scritti giuridici, Milano, 2008, p. 735 ss., spec. p. 815 ss.

[48] Così si esprime A. Gambaro, Appunti sulla proprietà nell’interesse altrui, cit., p. 170.

[49] Ancora A. Gambaro, Appunti sulla proprietà nell’interesse altrui, cit., passim. Anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2043 del 27 gennaio 2017, ha avallato tale ricostruzione  e ha confermato che il trustee amministra i beni «nell’interesse di uno o più beneficiari». Il riferimento è alla sentenza della Suprema Corte n. 2043 del 27 gennaio 2017, in Giur. it., 2017, p. 1817 ss., con nota di M. Rizzuti La soggettività dei patrimoni destinati ai fini della trascrizione.

[50] In tal senso S. Pugliatti, Fiducia  e  rappresentanza  indiretta,  in  Rivista  italiana  per  le  scienze  giuridiche,  1948,  p.  182  ss.,  ora  Id., Diritto  civile.  Metodo,  teoria,  pratica, Milano 1951, p. 201 ss., spec. p. 250 metteva in luce come nel caso della fiducia gli effetti del negozio vadano oltre lo scopo pratico perseguito.

[51] Sono le parole di V.M. Trimarchi, voce Negozio fiduciario, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, p. 33 ss., il quale riprende e sviluppa le osservazioni di Pugliatti. Ma già nella dottrina tedesca, sul finire del diciannovesimo secolo, H. Regelsberger, Zwei Beiträge zur Lehre von der Cession, in Archiv für die civilistische Praxis, 1880, LXIII, p. 173, teorizzava il pericolo di «Missverhältnis zwischen Zweck und Mittel».

[52] Il riferimento è a S. Pugliatti, i cui principali studi sulla proprietà sono raccolti in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1964.

[53] Così V. Scalisi, Il nuovo volto della proprietà da “potere” a “titolo” di godimento, in Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, p. 477, già pubblicato in Riv. dir. civ., 1985, I, p. 221 ss. e in Atti del XVII Congresso nazionale giuridico-forense, Messina-Taormina 16-21 settembre 1983, Messina, 1984, p. 868 ss., con il titolo Proprietà e governo democratico dell’economia