di Andrea Lestini

Sommario: 1. Premessa – 2. Le questioni – 2.1. Sulla distinzione tra condizione risolutiva di inadempimento e clausola risolutiva espressa – 2.2. Sulla condizione sospensiva di adempimento – 3. Sulla ammissibilità della clausola di (in)adempimento. La unitaria soluzione della giurisprudenza e i criteri di interpretazione – 4. Una conclusione: “l’atto dell’osservazione” ed “il fenomeno osservato”

1. Premessa

In una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, e segnatamente nella sentenza n. 35524 del 19 novembre 2021, l’istituto giuridico della condizione di cui all’art. 1353 c.c. si lega indissolubilmente al tema della autonomia privata ed in specie al potere delle parti, previsto dall’art. 1322, comma primo, c.c. di determinare liberamente entro i limiti imposti dalla legge il contenuto del contratto.

La questione, chiaramente, è antica e pur essendo stata affrontata, in altre occasioni, mediante una serie di distinguo, si inserisce all’interno di un consolidato orientamento giurisprudenziale, il quale consente allo stato di delineare una soluzione unitaria, come tale valevole tanto per l’ipotesi di c.d. condizione sospensiva di adempimento quanto per quella risolutiva di inadempimento.

2. Le questioni

Il discorso si inquadra nel più ampio contesto delle tutele contrattuali che, come noto, riguarda la capacità dell’autonomia privata di modulare diversamente la scansione normativa dei rimedi sinallagmatici.

Il dibattito [1], in particolare, si è incentrato per un verso sulla possibilità di regolare pattiziamente, ed in modo difforme dalla legge, l’alternativa tra tutela satisfattiva (domanda di adempimento) e tutela risolutoria [2], cosicché l’attenzione degli interpreti ha riguardato specialmente l’ammissibilità e i limiti delle deroghe convenzionali alla disciplina generale dell’azione di risoluzione di cui agli artt. 1453-1462 c.c. [3]; per altro verso, invece, le considerazioni in materia si sono focalizzate sulla possibilità dei privati di predisporre convenzionalmente congegni (risolutori) diversi da quelli normativamente previsti, e dunque alternativi alla risoluzione per inadempimento [4].

Sotto quest’ultimo profilo, occorre dunque domandarsi, in primo luogo, se i contraenti possano validamente prevedere come evento condizionante il concreto adempimento o inadempimento di una delle obbligazioni principali del contratto [5]; inoltre, nell’ipotesi di risposta affermativa a tale interrogativo, si rende altresì necessario analizzare l’esistenza e l’effettiva portata di quella convenzione, onde stabilire, sulla base delle regole che disciplinano l’interpretazione dei contratti, se il contratto sia sottoposto, nel caso concreto, a condizione sospensiva ovvero risolutiva.

2.1. Sulla distinzione tra condizione risolutiva di inadempimento e clausola risolutiva espressa

Ebbene, al fine di meglio comprendere le soluzioni che sono state prospettate in relazione ai quesiti proposti, giova preliminarmente operare una breve digressione in ordine ai rapporti intercorrenti tra la condizione risolutiva di inadempimento e la clausola risolutiva espressa.

Si tratta, infatti, di figure affini, dai confini labili, caratterizzate da inevitabili punti di contatto, ma che ciononostante si caratterizzano per le differenze in punto di elementi costitutivi delle relative fattispecie, di interessi concretamente perseguiti dalle parti, nonché di opponibilità nei confronti dei terzi.

 Eppure, si ricorderà [6] come, storicamente, nel Codice del 1865 [7] la risoluzione per inadempimento fosse costruita proprio come duplice condizione risolutiva sottintesa [8], nel senso che in tutti i contratti sinallagmatici l’inadempimento dell’obbligazione di una parte costituiva la tacita condizione risolutiva dell’obbligazione corrispettiva [9].

Vero è anche, però, che se da un lato gli effetti di tale condizione non operavano automaticamente (sicché non era mancato chi ebbe a dubitare che si fosse in presenza di un’effettiva condizione) [10] dall’altro lato le parti potevano comunque inserire nel contratto una condizione risolutiva espressa [11], non specificamente disciplinata e nella prassi variamente denominata [12].

Nel nuovo Sistema [13], frutto del Codice Civile del 1942, superato il precedente meccanismo della condizione risolutiva (tacita) d’inadempimento, il punto di riferimento è costituito esclusivamente dall’art. 1456 c.c.: tale norma prevede infatti che le parti possono «convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite».

Così, mediante l’inserimento di tale clausola [14], i paciscenti, anziché affidarsi, in caso di inadempimento, alla risoluzione giudiziale (disposta dal giudice, con sentenza costitutiva, in presenza di un inadempimento di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c.), convengono espressamente [15] che la risoluzione conseguirà di diritto alla dichiarazione del contraente fedele di volersi avvalere, appunto, della clausola risolutiva espressa [16].

Rimane, tuttavia, estranea all’ambito di applicazione della norma la clausola redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto [17], proprio in ragione del fatto che le parti devono identificare [18] le specifiche obbligazioni e le specifiche modalità di adempimento che sono considerate centrali e imprescindibili nell’economia del contratto [19]; ne deriva che ogni altra locuzione o previsione che non identifichi la tipologia di inadempimento sanzionato è destinata  a rimanere una clausola di stile [20] priva di qualsiasi rilievo [21].

Trattando di tali argomenti è altresì utile sottolineare come la risoluzione del contratto richieda, in generale, che l’inadempimento sia imputabile alla parte inadempiente [22], pur potendosi all’opposto sostenere [23] che tale indice può apparire sfumato (stante la disciplina di cui all’art. 1218 c.c.) ovvero che l’autonoma volontà pattizia può comunque prevedere diversamente [24].

A fianco di tale clausola ci si chiede, allora, se vi sia spazio, anche e soprattutto in nome dell’autonomia privata, per l’altro e diverso istituto della condizione (risolutiva) di inadempimento (sulla condizione sospensiva di adempimento v. par. 2.2).

Il discorso, finalizzato ad individuare punti di contatto e differenze tra concetti dogmaticamente distinti, può prendere le mosse dalla considerazione secondo cui l’inadempimento di un’obbligazione è il necessario presupposto della sola clausola risolutiva espressa, mentre nell’art. 1353 c.c. si definisce la condizione [25] come un evento futuro e incerto, la quale dunque rappresenta il modo di essere del contratto, ossia un accordo subordinato all’evento condizionante [26].

La rilevanza teorico-pratica del fenomeno si giustifica in quanto l’apposizione della condizione di inadempimento si porrebbe in alternativa alle figure di risoluzione, pur essendo soggetta ad una diversa disciplina [27], soprattutto in punto di automaticità degli effetti e della loro opponibilità erga omnes, oltre che di natura obiettiva della omessa esecuzione della prestazione e di gravità dell’inadempimento [28].

Come anticipato, dunque, tutto ruota intorno al fatto che nella condizione (risolutiva) di inadempimento, l’evento dal quale dipende l’inefficacia delle prestazioni si riferisce ad una condotta della parte [29]; inoltre, in senso critico rispetto alla ammissibilità della figura in esame, è stato autorevolmente detto che l’ordinamento, con l’introduzione dell’art. 1456 c.c., ha per converso vietato ai privati di adoperare altre specie di clausole risolutive [30].

La tradizionale e tralatizia obiezione all’ingresso, nel nostro ordinamento, di una condizione risolutiva di inadempimento, si appoggiava dunque sui problemi di coordinamento con la clausola risolutiva espressa e sulla incompatibilità tra contenuto dell’obbligazione ed evento esterno condizionante, in quanto, tra l’altro, detta condizione sarebbe stata meramente potestativa [31].

Tali considerazioni toccavano così un problema limitrofo, e cioè a dire della ammissibilità della condizione meramente potestativa, anche se, per il vero, l’art. 1355 c.c. riferisce la nullità alle sole condizioni meramente potestative sospensive; invero, l’opinione maggioritaria si è senz’altro espressa, da tempo [32], nel senso della ammissibilità e validità di tale tipologia di condizione, laddove sia meramente potestativa risolutiva [33].

Con riferimento a tale aspetto, d’altronde, in via del tutto assorbente, appare parimenti persuasivo il rilievo per cui l’interesse [34] della parte eventualmente inadempiente alla controprestazione sembrerebbe tale da escludere in radice la mera potestatività della condizione [35]. Infatti [36] si è soliti escludere l’arbitrio mero sia qualora l’avveramento dell’evento dedotto in condizione dipenda da seri ed apprezzabili interessi della parte [37], sia nel caso in cui, ai fini dell’avveramento dell’evento, venga in rilievo un piano di interessi diverso da quello proprio del negozio condizionale [38].

Ecco allora che, inquadrata la condizione in esame nell’ambito della potestativa semplice, il nodo attorno cui si sono contrapposte le diverse impostazioni in materia [39] si riduce all’assenza di accidentalità, di incertezza e di estrinsecità [40] proprie della condizione in genere; elementi, questi, tuttavia ritenuti sussistenti nella condizione de qua da quella dottrina che ha evidenziato come l’accidentalità vada considerata solo in astratto [41] e che l’incertezza attenga al mero dato fattuale [42].

In particolare, al fine di sostenere la validità di tale pattuizione si afferma che in realtà ciò che si deduce in condizione non è l’evento giuridico dell’adempimento (conseguibile anche in via coattiva), bensì il fatto storico dell’inadempimento, inteso come comportamento – indubbiamente incerto – dell’altra parte [43]; quanto al profilo dell’estrinsecità si è detto, poi, che gli interessi tutelati dalla condizione risolutiva di inadempimento sono estrinseci rispetto all’interesse alla prestazione, in quanto volti alla «ricomposizione qualitativa del patrimonio dell’alienante per l’ipotesi di mancata attuazione del sinallagma contrattuale» [44].

In definitiva, se il dibattito attorno alla condizione risolutiva di inadempimento ha riguardato principalmente i profili relativi ai rapporti con la clausola risolutiva espressa, resta ora da vedere – prima di prendere in considerazione la unitaria soluzione recentemente offerta dalla giurisprudenza – la possibilità di dedurre in condizione (la quale si atteggerà, dunque, come sospensiva) l’adempimento delle parti.

2.2. Sulla condizione sospensiva di adempimento

Un discorso unitario sul punto non può prescindere, come detto, da una distinta considerazione della condizione di adempimento da quella di inadempimento [45].

La progressiva rilevanza, in chiave di autotutela privata, di una condizione (sospensiva) avente a oggetto, quale evento futuro e incerto, l’esecuzione delle prestazioni convenute dalle parti induce, infatti, ad alcune ulteriori riflessioni.

Il problema, come accennato, non è, in tale prospettiva, quello di verificare la compatibilità dell’istituto con la clausola risolutiva espressa, bensì di capire se l’adempimento – quale elemento essenziale e integrante della struttura del rapporto ed in quanto evento destinato a realizzarsi nel futuro – partecipi anche degli altri elementi propri della condizione; ci si chiede pertanto se vi sia compatibilità o meno tra la doverosità giuridica che caratterizza l’adempimento ed i requisiti dell’incertezza ed estrinsecità, propri appunto della condizione.

Alle considerazioni sopra svolte (par. 2.1) può allora aggiungersi [46], affinché la condizione possa dirsi estrinseca, come sia sufficiente che essa non alteri la struttura tipica del contratto cui accede, come nell’ipotesi in cui le parti intendano attribuire rilevanza giuridica ad interessi estranei allo schema tipico ovvero quando l’interesse ulteriore che si vuol realizzare sia quello di integrare dall’esterno i meccanismi di tutela degli interessi interni [47].

Quanto alla presunta indeducibilità in condizione di elementi essenziali [48], è stata poi all’opposto sostenuta la tesi della distinzione [49], nella dinamica del contratto, tra momento programmatico, nel quale le parti si prospettano il raggiungimento di un determinato risultato (e, quindi, ove opererebbe l’impossibilità di dedurre in condizione i comportamenti delle parti, data l’inconciliabilità tra obbligo e condizione), e momento esecutivo ove, viceversa, il concreto adempimento di una delle prestazioni già concordate, presentando i caratteri della futurità e dell’incertezza, potrebbe essere utilizzato quale evento condizionante.

Con riferimento al problema insorto intorno alla qualificazione della condizione sospensiva di adempimento come meramente potestativa (come tale nulla ex art. 1355 c.c., a differenza di quella risolutiva) si è ulteriormente replicato, come già anticipato, che la condizione de qua può essere ravvisata soltanto ove l’efficacia del contratto sia stata subordinata ad un comportamento volontario il cui compimento o la cui omissione non rappresentino la risultante della valutazione ponderata di seri od apprezzabili motivi ma dipendano dall’esercizio di una scelta del tutto arbitraria della parte [50]; se ne deve conseguentemente dedurre, pertanto, che «nel caso in cui l’adempimento all’impegno assunto dalla parte non sia rimesso puramente e semplicemente all’arbitrio della stessa (…) ma, pur dipendendo dalla sua volontà, si presenti per la stessa quale scelta alternativa, capace di soddisfare un suo interesse determinato, rispetto all’inadempimento, idoneo a sua volta a soddisfare un diverso suo specifico interesse, non ricorre un’ipotesi di condizione meramente potestativa, bensì di condizione potestativa semplice, la quale non influisce in alcun modo sulla validità del negozio» [51].

Sotto altro profilo il giurista, a fronte di tale composito panorama, non tarda infine a domandarsi se un contratto, pur inefficace per il mancato avveramento della condizione sospensiva, possa ciononostante essere risolto in danno della parte colpevole di aver violato il dovere di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1358 c.c.

Ebbene, secondo la giurisprudenza in materia [52], il contratto, benché rimasto inefficace per il mancato avveramento della condizione può tuttavia essere dichiarato risolto per essere stati violati, oltre che il generico dovere di lealtà e correttezza imposto dall’art. 1375 c.c., lo specifico obbligo previsto dall’art. 1358 c.c. di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede.

Si rammenta, infatti, che tale ultima norma codicistica – rappresentando una specificazione del principio generalmente gravante sui contraenti ai sensi degli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c., il quale, in una lettura costituzionalmente orientata, non solo impone a ciascuna parte di comportarsi secondo lealtà, ma altresì obbliga alla salvaguardia, entro i limiti di un tollerabile sacrificio, dell’utilità dell’altro contraente – prescrive ai contraenti (durante il periodo di pendenza della condizione) di comportarsi secondo buona fede, attuando un contegno che non danneggi l’altra parte e ne preservi le ragioni [53].

In particolare [54], come noto, il contratto sottoposto a condizione sospensiva può ritenersi perfettamente concluso e, anche se non ancora efficace, già produce obbligazioni preliminari o prodromiche – da osservarsi dai contraenti durante la pendenza della condizione – il cui inadempimento può conseguentemente dar luogo ad una responsabilità contrattuale e ad una pronuncia di risoluzione per mancato rispetto degli obblighi di comportarsi secondo buona fede nonché di astenersi da quanto possa pregiudicare gli interessi dell’altro contraente e di compiere quanto sia del caso necessario affinché l’evento condizionante si verifichi.

Ne deriva [55], quindi, che al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 1358 c.c., l’eventuale domanda di risoluzione del contratto per inadempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti con il contratto sottoposto a condizione sospensiva deve essere rigettata nel caso in cui la condizione non si sia verificata. Infatti, intanto si può parlare di inadempimento contrattuale in quanto sussista un contratto efficace; viceversa, come è ovvio, il mancato avveramento della condizione impedisce al contratto di produrre i propri effetti con conseguente impossibilità di parlare di inadempimento.

3. Sulla ammissibilità della clausola di (in)adempimento. La unitaria soluzione della giurisprudenza e i criteri di interpretazione

Si dischiude, a questo punto, un’altra strada che attraversa i piani di indagine precedentemente toccati.

Ci si riferisce alla nota massima [56] secondo cui pur costituendo la condizione un elemento accidentale del negozio giuridico e come tale distinto dagli elementi essenziali del contratto astrattamente previsti per ciascun contratto tipico dalle rispettive discipline, in ogni caso, «non vi è dubbio che – stante il principio generale dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. da cui deriva il potere delle parti di determinare liberamente entro i limiti imposti dalla legge il contenuto del contratto anche in ordine alla rilevanza attribuita all’uno piuttosto che all’altro degli elementi costitutivi della fattispecie astrattamente disciplinata – i contraenti possono validamente prevedere come evento condizionante (in senso sospensivo o risolutivo dell’efficacia) il concreto adempimento o inadempimento di una delle obbligazioni principali del contratto, con la conseguenza in tal caso che, ove insorga controversia sulla esistenza ed effettiva portata di quella convenzione difforme dal modello legale, spetta alla parte che la deduca a sostegno della propria pretesa fornirne la prova ed al giudice del merito compiere una approfondita indagine per accertare la volontà dei contraenti» [57].

La soluzione unitaria che si è venuta delineando impone però anche una attenta analisi del concreto contenuto, della determinazione circa l’effettiva portata e significato della condizione apposta al contratto, onde verificare se lo stesso sia sottoposto a condizione sospensiva ovvero risolutiva.

Tale accertamento, unitamente a quello volto a verificare l’avveramento di detta condizione, richiede – si ribadisce costantemente [58] – un’indagine devoluta al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se condotta nel rispetto delle regole che disciplinano l’interpretazione dei contratti.

Tema, questo, reso probabilmente complesso dall’ampio ed antico dibattito volto a stabilire se il dato letterale e la comune intenzione delle parti rappresentino criteri ermeneutici sussidiari ovvero concorrenti [59].

Invero, deve necessariamente darsi contezza di come allo stato – nonostante la condivisibile impostazione segnata e seguita da autorevole dottrina [60] e giurisprudenza [61] – sempre maggiori appaiono le teorie che negano, con diverse argomentazioni, la possibilità di ricorrere, a fronte di espressioni chiare e di non equivoca significazione, a criteri interpretativi ulteriori rispetto a quello strettamente letterale.

In tale contesto e filone giurisprudenziale si inserisce anche la iniziale pronuncia, da cui queste brevi note hanno tratto la propria origine, laddove si afferma che «il criterio del riferimento al senso letterale delle parole adoperate dai contraenti si pone come strumento di interpretazione fondamentale e prioritario, con la conseguenza che, ove le espressioni adoperate nel contratto siano di chiara e non equivoca significazione, la ricerca della comune intenzione delle parti resta esclusa, rimanendo superata la necessità di ricorrere ad ulteriori criteri contenuti nell’art. 1362 e ss. c.c., i quali svolgono una funzione sussidiaria e complementare (…). In tal senso (…) ove il testo del contratto abbia un significato chiaro ed univoco, non sono ammissibili ulteriori indagini integrative che potrebbero condurre a risultati arbitrari» [62].

4. Una conclusione: “l’atto dell’osservazione” ed “il fenomeno osservato”

Tratteggiare una conclusione, dinanzi alla complessità e delicatezza degli argomenti trattati, appare impresa non particolarmente agevole.

Il giurista proverà, allora, utilizzando le categorie che gli sono proprie ad individuare, a meri fini descrittivi, solamente il fondamento della clausola di (in)adempimento e a rintracciare nel sistema alcune peculiari ipotesi normative che tale clausola hanno espressamente disciplinato.

Evidentemente «l’atto dell’osservazione conforma il fenomeno osservato» [63], onde si scoprirà che è l’angolo visuale prescelto che ha consentito di trovare, nella autonomia privata il momento di sintesi degli istituti trattati.

Quando il Legislatore ha infatti inserito nel T.U.B. una nuova fattispecie di mutuo denominata «credito immobiliare ai consumatori» [64] nonché una ulteriore forma di prestito bancario chiamato «finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di un bene immobile sospensivamente condizionato» [65] è apparso sin da subito indubbio che fosse stata codificata la condizione – dichiaratamente sospensiva [66] – di inadempimento, ammettendosi espressamente che l’efficacia della pattuizione e la conseguente possibilità del creditore di avvalersene fossero subordinati, appunto, all’inadempimento del debitore [67].

Ed è del pari evidente, del resto, come tali fattispecie [68], inserendosi nello spazio disegnato dal c.d. patto marciano [69], hanno dato consistenza normativa ad una figura («che in tal modo ha ricevuto espresso riconoscimento nel nostro sistema positivo assurgendo a tipo contrattuale legale») [70] la quale, precedentemente, era sempre stata espressione esclusivamente dell’autonomia privata, e come tale sottoposta al controllo di meritevolezza (oltre che di liceità) da parte della giurisprudenza [71].

Così, in definitiva, è ancora una volta quell’autonomia privata [72] – oggi invocata a sostegno dell’ammissibilità delle condizioni di adempimento e di inadempimento, anche quali utilissimi strumenti per addivenire ad una regolamentazione del rischio contrattuale [73] – che, vedendo restringere, dall’emanazione del codice civile ad oggi, i propri limiti [74], correlativamente raggiunge orizzonti sempre diversi e maggiori, permettendo al sistema di consentire ed attuare la circolarità del diritto [75]: che poi il modello delineato dai privati resti sul piano della tipicità sociale, assurga nel tempo a tipicità giurisprudenziale o venga recepito nella tipicità normativa rappresenta un elemento inevitabilmente legato alla forza espressiva ed espansiva che l’istituto di riferimento sarà in grado di avere nel corso del tempo.

[1] G. Amadio, Inattuazione e risoluzione: la fattispecie, in V. Roppo (a cura di), Trattato del contratto, vol. V, t. 2, Milano, 2006.

[2] B. Sirgiovanni, Autonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento, Cedam, 2019; A. Gallarati, Il contratto irresolubile o quasi. Profili di sostenibilità della clausola “exclusive remedy” nell’economia del contratto, in Contr. Impr., 2016; A. Lestini, La c.d. “clausola di irresolubilità”: tra sopravvenienze e rimedi contrattuali preventivi, in RatioIuris, 2021.

[3] U. Carnevali, Brevi note in tema di disponibilità convenzionale della disciplina della risoluzione per inadempimento, in Contr., 5/2021, pag. 598.

[4] G. Auletta, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, pag. 96.

[5] G. Petrelli, Clausole condizionali e prassi notarile, in Not., 2/2001, pag. 165.

[6] G. Benedetti, La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., 1/1991, pag. 667 ss., e Id., Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1997, pag. 65.

[7] Si veda l’art. 1165, comma 1, Cod. Civ. 1865: «La condizione risolutiva è sempre sottintesa nei contratti bilaterali, pel caso in cui una delle parti non soddisfaccia la sua obbligazione».

[8] B. Colosimo, La condizione risolutiva di inadempimento, in Obbl. Contr., 2008, pag. 215 ss.

[9] L. Martone, Condizione risolutiva d’inadempimento, in NGCC, 2008, pag. 71 ss.

[10] F. Ricci, Corso teorico-pratico di diritto civile, VI, Utet, 1880, pag. 166.

[11] L. Martone, Condizione risolutiva d’inadempimento, cit.

[12] A. Smiroldo, Profili della risoluzione per inadempimento, Milano, 1982, pag. 109 ss.

[13] D. Barbero, ll sistema del diritto privato (a cura di A. Liserre, G. Floridia), Utet, 2001.

[14] Nella manualistica, cfr. E. Gabrielli (a cura di), Diritto Privato, Torino, 2020, pag. 647.

[15] La clausola risolutiva espressa costituisce un patto accessorio rispetto al contratto e può essere stipulata anche in un momento diverso rispetto allo stesso: così C.M. Bianca, Diritto civile, V, Milano, 1994, pag. 313.

[16] V. Roppo, Il contratto, Milano, 2011, pag. 906.

[17] Cass., sez. III, 27/01/2009, n. 1950; Trib. Roma, sez. VI, 03/07/2020, n. 10115.

[18] E. Gabrielli (a cura di), Diritto Privato, cit., pag. 647.

[19] La principale funzione della clausola risolutiva espressa è infatti quella di prescrivere le modalità di inadempimento considerate ex se gravi (i.e.: di non scarsa importanza), sottraendole alla valutazione giudiziale ex art. 1455 c.c.

[20] V. Roppo, Il contratto, cit., 905.

[21] Trib. Roma, sez. VI, 31/05/2019, n. 11572; peraltro, secondo C.d.A. Bologna, sez. I, 13/06/2018, n. 1600 «una clausola di tal tipo è nulla per indeterminatezza dell’oggetto».

[22] F.D. Busnelli, Clausola risolutiva, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, pag. 197.

[23] L. Martone, Condizione risolutiva d’inadempimento, cit.

[24] R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto civile, Utet, 2004, pag. 658.

[25] G. Petrelli, La condizione “elemento essenziale” del negozio giuridico, Milano, 2000, pag. 247.

[26] M. Origoni, Clausola risolutiva espressa e condizione risolutiva d’inadempimento, tra giudizio sulla rilevante gravità dell’inadempimento e giudizio ex fide bona, in Contr., 5/2020, pag. 558.

[27] M. Origoni, Clausola risolutiva espressa e condizione risolutiva d’inadempimento, tra giudizio sulla rilevante gravità dell’inadempimento e giudizio ex fide bona, cit.

[28] M. Grandi, Importanza dell’inadempimento e condizione nel contratto, in St. Iuris, 9/2017, pag. 984; peraltro, con riferimento al principio di buona fede tanto nella condizione di (in)adempimento quanto nella clausola risolutiva espressa si veda Cass., sez. I, 10/11/2015, n. 22951 («In applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, la condizione di adempimento, sospensiva o risolutiva, si considera non avverata nel momento in cui la mora del soggetto obbligato abbia assunto il carattere di un inadempimento di non scarsa importanza, per la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con il vano decorso del termine di adempimento, il cui accertamento, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, è riservato al giudice di merito») e Cass., sez. VI, 22/02/2019, n. 5401 («In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, il giudice deve valutare il comportamento dei contraenti secondo il principio generale della buona fede, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa»).

[29] O, comunque, rimesso alla sfera di controllo di una o di entrambe le parti.

[30] G. Fusco, L’adempimento come condizione del contratto, in Vita not., 1983, pag. 308.

[31] E. Gabrielli (a cura di), Diritto Privato, cit., pag. 653.

[32] F. Laurent, Principes de Droit Civil, XVII, Bruylant libr. éd., 1878, pag. 170.

[33] Cass., sez. III, 03/08/2004, n. 14813; Cass., sez. II, 15 settembre 1999, n. 9840; recentemente, nella giurisprudenza di merito, cfr. C.d.A. L’Aquila, 27/02/2020, n. 339: «La condizione risolutiva è valida anche se meramente potestativa, in quanto l’ art. 1355 c.c. limita la nullità, nell’ambito delle condizioni meramente potestative, a quelle sospensive».

[34] F. Messineo, Il contratto in genere, in Trattato Cicu-Messineo, XXI, Milano, 1973, pag. 178.

[35] R. Lenzi, In tema di adempimento come condizione: ammissibilità, qualificazione e disciplina, in Riv. notar., 1986, pag. 95; F. Patti, La condizione di adempimento, in Vita not., 2000, pag. 1173; Cass., 24/11/2003, n. 17859.

[36] F. Besozzi, La condizione di inadempimento, in Contr., 7/2004, pag. 674.

[37] Cass., 20/06/2000, n. 8390.

[38] A.C. Pelosi, La proprietà risolubile nella teoria del negozio giuridico condizionato, Milano, 1975, pag. 28.

[39] Per l’ammissibilità della clausola si veda, per esempio R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, cit., pag. 146; C. Maiorca, Condizione, in Dig. Disc. priv., sez. civ., III, Utet, 1987, pagg. 279 e 382; G. Amadio, La condizione di inadempimento, Cedam, 1996; Id., Atto dovuto ed evento condizionale, in St. Iuris, 1998, p. 1048 ss; Id., Modello condizionale e tutela risolutoria, in St. Iuris, 1998, pag. 1188; F. Galgano, Il negozio giuridico, Milano, 1988, pag. 144; R. Lenzi, In tema di adempimento come condizione: ammissibilità, qualificazione e disciplina, cit., pag. 87; Id, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela, Milano, 1996; F. Patti, La condizione di adempimento, cit., pag. 1163; E. Marmocchi, Della condizione di adempimento della prestazione, in Riv. not., 1993, pag. 483; A. Iannacone, L’adempimento dedotto in condizione, in Giur. it., 1995, pag. 329; R. Calvo, Deducibilità dell’adempimento in condizione e autonomia negoziale, in Giur. It., 1994, pag. 901; F. De Cristofaro, Sulla c.d. condizione di adempimento, in Corr. giur., 1997, pag. 1103.

In senso critico cfr. F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, pag. 199; C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 1998, pagg. 516 ss.; G. Fusco, L’adempimento come condizione del contratto, cit., pag. 304 ss.; Id., Ancora in tema di adempimento come condizione, in Vita Not., 1984, 291, G. Gazzara, La vendita obbligatoria, Milano, 1957, pagg. 58 ss.; G. Castiglia, Promesse unilaterali atipiche, in Riv. dir. comm., 1/1983, pag. 375.

[40] Cfr. A. Falzea, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, pag. 226.

[41] G. Amadio, La condizione di inadempimento, cit., pag. 107 s.; C. Maiorca, Condizione, cit., pag. 282.

[42] R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, cit., pag. 147.

[43] C. Maiorca, Condizione, cit., pag. 282.

[44] G. Amadio, Atto dovuto ed evento condizionale, cit., 1051. Viceversa (F. Besozzi, La condizione di inadempimento, cit., pag. 674), se la condizione è sospensiva, l’obiettivo cui tende la condizione di adempimento è quello del mantenimento di tale patrimonio sino a che la controprestazione non viene adempiuta.

[45] E. Gabrielli (a cura di), Diritto Privato, cit., pag. 524.

[46] A. Di Majo Giaquinto, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, pag. 178; R. Lenzi, In tema di adempimento come condizione: ammissibilità, qualificazione e disciplina, cit., pagg. 88 ss.

[47] De Cristofaro, Sulla c.d. condizione di adempimento, cit., pag. 1103.

[48] F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, pag. 305 ss.

[49] A. Di Majo Giaquinto, L’esecuzione del contratto, cit., pagg. 177 ss.; E. Marmocchi, Della condizione di adempimento della prestazione, cit., pagg. 481 ss.; G. Capozzi, Dei singoli contratti, Milano, 1989, pag. 37; R. Lenzi, In tema di adempimento come condizione: ammissibilità, qualificazione e disciplina, cit., pag. 90; Scarlatelli, La c.d. condizione di adempimento: un problema ancora aperto, in Vita not., 1995, pag. 180.

[50] Testualmente, Cass., sez. II, 24/11/2003, n. 17859.

[51] Cass., sez. II, 24/11/2003, n. 17859.

[52] Così Cass. 22/03/2001 n. 4110.

[53] Di recente, nella giurisprudenza di merito, si veda Trib. Catania, sez. V, 24/04/2020, n. 1421.

[54] In tal senso, testualmente, Cass. 18/03/2002 n. 3942.

[55] Così Cass. 18/03/2002 n. 3942.

[56] Cass. 12/10/1993 n. 10074; Cass., 12/07/2013 n. 17287; Cass. 24/06/2008 n. 17181; Cass. 03/03/1997 n. 1842; Cass. 08/08/1990 n. 8051; Cass.; Cass. 16/02/1983 n. 1181; 24/02/1983 n. 1432; Cass., 10/10/1975 n. 3229; Cass., 08/11/1967 n. 2701; Cass., 08/02/1963 n. 222.

[57] Cass., sez. VI, 19/11/2021, n. 35524.

[58] Cass., sez. VI, 19/11/2021, n. 35524, che richiama Cass. n. 1547/2019; Cass. n. 1887/2018; Cass. n. 27320/2017; Cass. n. 4483/1996.

[59] Si è cercato di ripercorrere le diverse posizioni in A. Lestini, Sulla mera apparenza della chiarezza ed univocità del testo: l’interpretazione letterale e gli altri criteri legali d’interpretazione soggettiva del contratto, in La Nuova Procedura Civile, 2021.

[60] M. Casella, Interpretazione del negozio giuridico (dir. priv.), in Enc. Dir., XXVIII, Milano, 1978; N. Irti, Princìpi e problemi di interpretazione contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 4/1999, p. 1146; C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, cit., p. 421; F. Viola, G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 1999; G. Sicchiero, Studi preliminari sulla clausola del contratto, in Contr. Impr., 1999, p. 1194.

[61] Cass., Sez. Lav., 12/02/2019, n. 4078; Cass., Sez. I, 28/06/2017, n. 16181; Cass., Sez. III, 15/07/2016, n. 14432; Cass., Sez. III, 28/03/2006, n. 7083; Cass., Sez. III, 11/01/2006 n. 261; Cass., Sez. III, 01/06/2004, n. 10484; Cass., Sez. II, 23/12/1993, n. 12758.

[62] Cass., 19/11/2021, n. 35524.

[63] N. Irti, L’uso giuridico della natura, Roma-Bari, 2013.

[64] Cfr. d.lgs 21 aprile 2016, n. 72 che ha inserito nel TUB, al titolo VI, un “Capo I bis” intitolato «Credito immobiliare ai consumatori» nel quale sono stati collocati gli artt. da 120-quinquies a 120-noviesdecies.

[65] Cfr. d.l. 3 maggio 2016, n. 59 convertito nella l. 30 giugno 2016, n. 119, con il quale è stato aggiunto nel TUB l’art. 48 bis.

[66] S. Ambrosini, La rafforzata tutela dei creditori privilegiati nella l. N. 119/2016: il c.d. patto marciano, in Il dir. fallim. 5/2016, pag. 1081.

[67] S. Ambrosini, La rafforzata tutela dei creditori privilegiati nella l. N. 119/2016: il c.d. patto marciano, cit.

[68] G.B. Barillà, Pegno non possessorio e patto marciano: dalla tutela statica del credito alle nuove forme di garanzia, in Giur. Comm., 4/2017, pag. 583 ss: «Si può peraltro rilevare come il meccanismo (…) di cui al patto marciano, sia presente, almeno indirettamente, anche in altre norme codicistiche: si pensi all’art. 1851, in materia di anticipazione bancaria; all’art. 1963, in merito all’anticresi; all’art. 1982, in tema di cessione dei beni ai creditori e all’art. 2803, riguardante il pegno irregolare»; M. Bussani, Il problema del patto commissorio. Studio di diritto comparato, Torino, 2000, pag. 217.

[69] Cfr. C.M. Bianca, Il divieto del patto commissorio, Milano, 1957; F. Anelli, L’alienazione in funzione di garanzia, Milano, 1997; G. D’amico, S. Pagliantini, F. Piraino, T. Rumi, I nuovi marciani, Torino, 2017.

[70] A. Luminoso, Patto marciano e sottotipi, in Riv. Dir. Civ., 6/2017, pag. 1398.

[71] Così G. D’Amico, La resistibile ascesa del patto marciano, in Eur. Dir. Priv., 1/2017, pag. 1 ss.

[72] E. Gabrielli, L’autonomia privata. Dal contratto alla crisi d’impresa, Cedam, 2020; Id., L’autonomia privata. Teoria del contratto e diritto comparato, Cedam, 2021.

Alcuni aspetti dell’autonomia privata sono presi in considerazione in A. Lestini, L’interesse meritevole di tutela nella c.d. clausola “valore a nuovo” e l’atipicità del contratto, in RatioIuris, 2022; Id., Il contratto di “banqueting” nella giurisprudenza, in RatioIuris, 2021; Id., Persona, famiglia e autonomia privata, in RatioIuris, 2021.

[73] G. Petrelli, Clausole condizionali e prassi notarile, cit., pag. 165; M. Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1975, pag. 4.

[74] E. Gabrielli, “Pinocchio”, il “Grillo Parlante” e il problema del pegno rotativo: spiegazioni … a richiesta (fra il serio e il faceto), in Riv. Not., 2002, pag. 547.

[75] G. Lener, La meritevolezza degli interessi nella recente elaborazione giurisprudenziale, in Riv. dir. civ., 2020, III, pag. 615.