di Renato Rolli, Valeria Bilotto e Fabiana Bruno[1].

  1. Premessa.

Gli ultimi anni normativi sono stati contraddistinti da un notevole numero di provvedimenti amministrativi volti a sradicare e/o a evitare l’infiltrazione mafiosa nelle pubbliche amministrazioni. La ratio di tutta la documentazione antimafia[2] è quella della prevenzione: si cerca ex ante[3] di evitare commistioni e contaminazioni tra amministrazioni e imprese in odore di contiguità mafiosa, svincolandosi dalla rigidità (e dalla staticità) tipica degli strumenti (penali) prima utilizzati[4]. La recente attività di legislazione antimafia muove, cioè, dalla consapevolezza dell’insufficienza degli strumenti penalistici[5], relegati negli angusti spazi lasciati liberi dal connotato meramente repressivo della materia penale e dalla subalternità del giudice alla cingente regola di giudizio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio[6]”; e cerca, quindi, di individuare strumenti normativi nuovi e più flessibili che consentano più rapidamente il contrasto all’inquinamento criminoso dell’economia[7].

Il carattere della procedura di interdittiva[8] è, come accennato, un carattere preventivo[9] e prescinde dalle responsabilità penali nei confronti dei soggetti che hanno rapporti economici con la pubblica amministrazione. Essa trova la sua ragion d’essere in accertamenti effettuati dai diversi organi di polizia che devono poi, necessariamente, essere valutati dal Prefetto, figura basilare per l’avvio della procedura di interdittiva in questione. La competenza di quest’ultimo si basa sul principio di “logica anticipazione della soglia di difesa sociale” che permette di avviare il procedimento nel momento in cui, da elementi indiziari[10] e sintomatici[11], si constatino sufficienti elementi del pericolo di ingerenza mafiosa nell’attività imprenditoriale pubblica.

Il bisogno di impedire le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico-sociale, senza pregiudicare drasticamente la libertà di iniziativa economica, ha indotto il legislatore ad arricchire il sistema tradizionale delle misure interdittive di ulteriori strumenti. Tra queste ultime è compreso il controllo giudiziario, disciplinato dall’art. 34 bis d.lgs. 159/2011. Si tratta di una misura di prevenzione che assume le caratteristiche di uno strumento palliativo, capace di contemperare interessi contrapposti e di evitare misure più incisive, quali il commissariamento antimafia od il sequestro dei beni. La ratio del controllo giudiziario è una ratio conservativa[12]: si attiva un’opera di decontaminazione delleattività imprenditoriali sostanzialmente sane (o non del tutto compromesse), sì da restituirle al libero mercato, depurate dagli agenti inquinanti, consentendo, quindi, la prosecuzione utile e libera dell’attività di impresa.

Tra controllo giudiziario c.d. volontario e interdittive esiste uno stretto legame di interdipendenza. In primo luogo perché il controllo giudiziario c.d. volontario (quello cioè disciplinato dall’art. 34 bis co. 6 del D.Lgs. 159/2011) può essere concesso dal giudice solo se viene contestualmente impugnata l’interdittiva antimafia. In secondo luogo, guardando la fattispecie dall’angolo prospettico dei poteri dell’autorità amministrativa competente, il Prefetto[13] potrebbe valutare l’esito positivo del controllo giudiziario, quale sopravvenienza rilevante ai fini dell’aggiornamento e della rivalutazione dell’interdittiva prefettizia[14]. Tale interdipendenza è vieppiù confermata dal dato normativo: l’art. 34 bis co. 7 del d.lgs. 159/2011 afferma che “(i)l provvedimento che dispone (…) il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’art. 92 co. 2 nonché gli effetti di cui all’art. 94”[15]. Proprio tale elemento normativo ha originato il dubbio della sospensione[16] o meno del giudizio amministrativo a fronte dell’ammissione alla misura del controllo, originando tutta una prassi basata sulla contestazione del potere-dovere del giudice amministrativo di decidere i ricorsi (e gli appelli) contro interdittive antimafia, quando l’impresa “abbia chiesto e ottenuto dal Tribunale di prevenzione la misura del controllo giudiziario”[17].

La prassi, in uno con il dato normativo, hanno animato, in tempi recenti, un cospicuo dibattito, dottrinale[18] e, soprattutto, giurisprudenziale, confluito in due ordinanze di rimessione all’Adunanza Plenaria: l’ordinanza n. 5615 del 6 luglio 2022, risolta dall’Adunanza Plenaria n. 6/2023; e l’ordinanza n. 4578 del 6 giugno 2022, risolta dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 7/2023.

  • La questione controversa: l’ordinanza di rimessione n. 5615 del 6 luglio 2022.

L’ordinanza di rimessione n. 5615/2022 prende linfa dall’appello proposto da una società fornitrice di servizi per la riforma della sentenza del TAR Napoli, la quale aveva respinto il ricorso promosso avverso il diniego del Prefetto di Caserta di iscrizione dell’impresa ricorrente nelle c.d. white list[19]. Nelle more del giudizio di appello, il ricorrente veniva ammesso a controllo giudiziario c.d. volontario, disposto con decreto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 26 maggio 2021, e in ragione di ciò ha ripetutamente chiesto il rinvio dell’udienza di discussione davanti al Consiglio di Stato, osservando che “vi sarebbe l’esigenza di attendere gli esisti della fase del controllo disposto dal Tribunale di prevenzione”.

Il Collegio, dopo aver delineato il quadro storico-normativo di riferimento, la ratio degli istituti delle interdittive e del controllo giudiziario c.d. volontario, passa in rassegna i cinque orientamenti esistenti in relazione al rapporto tra interdittive e controllo giudiziario c.d. volontario. Dopo aver evidenziato le criticità di ciascuno degli orientamenti esposti, il Collegio dichiara contestualmente di aderire alla tesi della autonomia dei procedimenti perché più aderente al dato testuale dell’art. 34 bis co. 6 e perché più coerente con la ratio dell’istituto, volto alla prosecuzione – per quanto possibile – dell’attività economica dell’impresa. Sicché, secondo il Collegio, “pur essendovi una loro iniziale correlazione, i due giudizi possono avere un autonomo sviluppo, poiché la misura preventiva “assolve alla sua funzione preventivo-risanatrice anche laddove il giudizio amministrativo di impugnazione si sia risolto in senso negativo per l’impresa ricorrente”[20]. La connessione ricavabile dall’art. 34 bis, co. 6 tra il giudizio impugnatorio e il controllo giudiziario a domanda opera “esclusivamente (nel) momento genetico-applicativo di quest’ultim(o), senza espressamente condizionarne la vigenza alla perdurante pendenza del primo”.

Tale conclusione, a parere del Collegio, è confermata da una serie di argomenti letterali, sistematici e teleologici.

Anzitutto, afferma il Collegio, “nessuna disposizione di legge impone che sia necessaria la perdurante pendenza del giudizio amministrativo affinché sia esaminata o decisa l’istanza di controllo giudiziario o affinché perdurino gli effetti della pronuncia di accoglimento del Tribunale di prevenzione. Qualora si dovesse ritenere che per la perduranza del controllo giudiziario occorra la duratura pendenza del giudizio amministrativo, si affermerebbe una regola non prevista dalla legge e che in concreto risulterebbe sfavorevole all’impresa che voglia in primis ottenere l’annullamento dell’atto del Prefetto e, in subordine, mantenere almeno il beneficio del controllo giudiziario”. In secondo luogo, il co. 6 dell’art. 34 bis richiede esclusivamente che il ricorso al TAR sia stato proposto prima della formulazione dell’istanza da parte dell’impresa e non contiene alcuna disposizione sulla caducazione degli effetti della pronuncia del Tribunale di prevenzione. In terzo luogo, il comma 7 del medesimo art. 34 bis “non esige che si tratti di un atto che rimanga sub iudice, per tutta la durata del controllo e comunque si riferisce al solo momento in cui il giudice ‘dispone’ il controllo giudiziario”. Peraltro, sottolinea il Collegio, la durata del controllo è fissata da Tribunale della prevenzione, secondo tempistiche autonome e non coordinate con quelle del giudizio sull’interdittiva. Del resto, se l’art. 34 bis avesse voluto disporre diversamente, avrebbe quantomeno dovuto precisare se a rilevare fosse la sentenza di primo o di secondo grado. In quarto luogo, richiamando l’arresto delle SU n. 46898 del 2019, il Consiglio di Stato ribadisce la diversità degli ambiti decisori riservati al giudice amministrativo (giudice dell’atto e dei fatti del passato) e del Tribunale di prevenzione (quale giudice possibile ‘emenda’ dell’impresa coinvolta nella agevolazione occasionale), tale per cui in linea di principio le valutazioni dei due ordini giurisdizionali si basano su presupposti diversi ed hanno un oggetto diverso.

In conclusione, il Collegio ha affermato di condividere la giurisprudenza per la quale “la caducazione della misura del controllo non costituisce una conseguenza immediata ed ineluttabile dell’eventuale esito negativo del giudizio di annullamento instaurato avverso il provvedimento interdittivo” e ciò in quanto l’art. 34 bis co. 6 “limita la correlazione tra il giudizio impugnatorio e la suddetta misura preventiva esclusivamente al momento genetico-applicativo di quest’ultima, senza espressamente condizionarne la vigenza alla perdurante pendenza del primo” (Cons. Stato Sez. III, n. 3973 del 2022): il controllo giudiziario “assolve alla sua funzione preventivo-risanatrice anche laddove il giudizio amministrativo di impugnazione si sia risolto in senso negativo per l’impresa ricorrente” (Cons. Stato, Sez. III, n. 3973 del 2022).

Ciononostante, valutati i profili dell’attuale contrasto giurisprudenziale, il Collegio ha ritenuto necessario deferire la questione all’Adunanza Plenaria, formulando il seguente quesito di diritto: “se l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, ai sensi dell’art. 34 bis, comma 6, del codice n. 159 del 2011, comporta che il giudice amministrativo – nel corso del giudizio di primo grado o di quello d’appello avente per oggetto la presupposta interdittiva antimafia – debba sospendere il giudizio, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., o debba rinviare l’udienza eventualmente già fissata”.

  • Segue. L’ordinanza di rimessione n. 4578 del 6 giugno 2022[21].

Di segno nettamente opposto è la conclusione proposta dalla seconda ordinanza di rimessione (sebbene prima in ordine temporale). L’ordinanza trae origine dall’appello proposto dalla società Senesi S.p.A (un’impresa attiva nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti) per la riforma della sentenza del TAR Marche con la quale era stato respinto il ricorso n. 9414/2019 avverso l’informativa interdittiva antimafia emessa dall’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Fermo. Nelle more del giudizio, la Prefettura di Fermo aveva altresì disposto la gestione straordinaria e temporanea ai sensi dell’art. 32 comma 10 d. l. 90/2014 con riferimento alla prosecuzione del contratto di appalto per i servizi di igiene urbana e degli altri contratti pubblici in corso di esecuzione. Il ricorrente, tra i motivi di ricorso in appello, indicava la sua ammissione al controllo giudiziario volontario, disposta con Ordinanza della Corte di Appello di Perugia che avrebbe, pertanto, dovuto determinare la sospensione del provvedimento interdittivo.

Il Collegio, passati in rassegna i vari orientamenti sul tappeto, ribadita la ratio dell’art. 34 bis e richiamata la propria costante giurisprudenza sul rapporto tra l’impugnazione dell’informazione interdittiva antimafia ed il giudizio per l’ammissione al controllo giudiziario volontario, perveniva al convincimento secondo cui “considerato che, una volta disposto il controllo giudiziario, la sospensione degli effetti interdittivi conseguenti all’informazione antimafia deve operare indefettibilmente per tutto il tempo della misura del controllo giudiziario adottata dal Tribunale in sede di prevenzione, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, anche il giudizio amministrativo relativo all’informazione antimafia debba essere sospeso o, comunque, ne deve essere rinviata la trattazione del merito, salva ulteriore prosecuzione all’esito della misura, sino a quando la sospensione degli effetti interdittivi non abbia esaurito il proprio corso” (Cons. St., sez. III, ord., 23 febbraio 2021, n. 1557)[22]. Chiariva, poi, che la sospensione ex lege – ai sensi dell’art. 34 bis comma 7 Codice Antimafia – degli effetti interdittivi scaturenti dall’informazione prefettizia è temporanea poiché la sospensione è una misura provvisoria e funzionale ad un accertamento definitivo, destinata a durare finché pende il giudizio di impugnazione contro l’interdittiva antimafia. Specificava, ancora, che se il giudice amministrativo annulla l’informativa antimafia, allora vengono meno gli effetti interdittivi ed anche la misura del controllo giudiziario in quanto non possono essere più sospesi gli effetti di un provvedimento definitivamente annullato; diversamente, se il giudice amministrativo respinge il ricorso contro il provvedimento prefettizio, gli effetti interdittivi siconsolidano e non sono più suscettibili di sospensione per effetto di un provvedimento provvisorio adottato dal giudice di prevenzione.

Il Collegio, tuttavia, rilevato che la mancata sospensione del giudizio amministrativo in pendenza del procedimento del controllo giudiziario volontario ex art. 34 bis comma 6 Codice Antimafia potrebbe dar luogo anche in futuro a contrasti giurisprudenziali forieri di incertezze, riteneva di dover rimettere la questione all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99 comma 1 c.p.a. formulando i seguenti quesiti:

“1. Se la proposizione della domanda per il controllo giudiziario volontario e la successiva ammissione del soggetto economico a tale misura determini o meno, oltre alla sospensione degli effetti interdittivi dell’informazione amministrativa antimafia ex art. 34 bis comma 7 Codice Antimafia, anche la sospensione necessaria ai sensi dell’art. 79 comma 1 c.pa. e dell’art. 295 c.p.c del giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione dell’informazione prefettizia, per la necessità di attendere che, all’esito della misura concessa dal giudice della prevenzione sulla base di una prognosi favorevole, il Prefetto rivaluti, in sede di aggiornamento ai sensi dell’art. 91 comma 5 Cod. Antimafia, la situazione dell’operatore economico per adottare, se del caso ed all’esito del controllo giudiziario, un’informativa liberatoria che determinerebbe la cessazione della materia del contendere nel giudizio amministrativo, quantomeno ai fini impugnatori; 2. Se la proposizione della domanda per il controllo giudiziario volontario e la successiva ammissione del soggetto economico a tale misura determini o meno, oltre alla sospensione degli effetti interdittivi dell’informazione amministrativa antimafia ex art. 34 bis comma 7 Codice Antimafia, anche la sospensione necessaria ai sensi dell’art. 79 comma 1 c.pa. e dell’art. 295 c.p.c del giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione delle misure adottate dal Prefetto ai sensi dell’art. 32 comma 10 d.l. n. 90/2014, oltre che per le ragioni riportante al punto 1), anche per la necessità di garantire la prevalenza del controllo giudiziario rispetto a tali misure amministrative; 3. Se la mancata sospensione del giudizio amministrativo del giudice di primo grado nelle ipotesi 1) e 2) costituisca un error in procedendo da dedurre in appello contro la sentenza che abbia pronunciato nel merito, tale da determinare la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 comma 1 c.p.a o se invece determini solo la necessità per il giudice di appello di sospendere direttamente il giudizio ai sensi dell’art 79 comma 1 c.p.a e dell’art. 295 c.p.c.”[23]

  • Le decisioni dell’Adunanza Plenaria: la sentenza n. 6/2023.

Con la prima delle due sentenze, la n. 6 del 13 febbraio 2023, l’Adunanza Plenaria ripercorre brevemente la questione di fatto sottesa all’ordinanza di rimessione del 6 luglio 2022 n. 5615 e perimetra l’oggetto dell’indagine proprio sui rapporti esistenti tra il giudizio di impugnazione dell’informazione interdittiva antimafia e il c.d. controllo giudiziario volontario, o a domanda, previsto dall’art. 34 bis, co. 6, del d.lgs. 159/2011, incentrando l’analisi sulla necessità o meno di sospendere il giudizio amministrativo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in ragione degli effetti sostanziali discendenti dalla presentazione della domanda di ammissione al controllo giudiziario c.d. a domanda.

Ribadita la ratio di decontaminazione sottesa al controllo giudiziario e il generale principio di progressività che informa il sistema delle misure di prevenzione, la Plenaria compendia brevemente gli orientamenti riportati nell’ordinanza di rimessione: la tesi della pregiudizialità processuale e la tesi dell’acquiescenza.

Anticipando quelle che saranno le proprie conclusioni, la Plenaria ritiene “che, sulla base delle disposizioni vigenti, vada affermata la tesi dell’autonomia dei procedimenti e che l’ammissione al controllo giudiziario – a domanda dell’impresa destinataria di un’interdittiva antimafia – non impedisce che vada definito senza riardo il giudizio amministrativo di impugnazione contro quest’ultima”.

Secondo la Plenaria (qui in commento), infatti, non possono trovare accoglimento né la tesi della pregiudizialità processuale, né la tesi dell’acquiescenza.

Quanto alla tesi della pregiudizialità, la stessa non è condivisibile per una serie di argomentazioni letterali e sistematiche. Anzitutto, come già sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la tesi della pregiudizialità non ha una base testuale. Non è, poi, neppure una soluzione imposta da ragioni di ordine sistematico, giacché l’interdittiva svolge la propria funzione preventiva rispetto alla penetrazione nell’economia delle organizzazioni di stampo mafioso di tipo “statico” (e cioè sulla base di accertamenti di competenza dell’autorità prefettizia rivolti al passato), laddove, invece, il controllo giudiziario persegue anche finalità di carattere “dinamico” di risanamento dell’impresa interessata dal fenomeno mafioso e quindi, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, oltre al presupposto dell’occasionalità dell’agevolazione mafiosa, richiede una prognosi favorevole del Tribunale sul superamento della situazione che ha dato luogo all’interdittiva. Proprio l’esigenza di risanamento dell’impresa si impone vieppiù laddove sia accertata in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso.

A conforto di tale assunto, la Plenaria richiama proprio l’art. 34 bis, co. 7 del d.lgs. 159/2011: nessuno degli effetti previsti dalla norma (cioè la sospensione degli effetti dell’incapacità a contrarre, derivanti dall’interdittiva, e la sospensione del termine fissato per gli adempimenti prodromici al rilascio dell’informazione antimafia), infatti, presuppone che il giudizio sull’interdittiva rimanga pendente perché si tratta di effetti totalmente compatibili con la conseguita inoppugnabilità dell’interdittiva, all’esito del rigetto della relativa impugnazione. Quand’anche fosse accertata in via definitiva l’esistenza di infiltrazioni mafiose, nondimeno si consente all’impresa di risanarsi sotto il controllo dell’autorità giudiziaria proprio perché lo scopo specifico del controllo giudiziario è quello di “evitare la definitiva espulsione dal mercato dell’impresa permeata dalle organizzazioni malavitose”.

Proprio la valorizzazione della funzione risanatrice del controllo giudiziario consente all’Adunanza Plenaria si sottolineare come tra i due istituti esiste sì un rapporto di successione, ma tale rapporto successorio non è impedito dall’accertamento del condizionamento con effetto di giudicato, attraverso il rigetto dell’impugnazione contro l’interdittiva. Quindi, sebbene la funzione risanatrice muove dal presupposto accertato dal Prefetto in sede di informazione antimafia, tuttavia, “si basa su un’autonoma valutazione prognostica del Tribunale della prevenzione penale che si propone di pervenire al suo superamento, quando il grado di condizionamento mafioso dell’impresa non sia considerato a ciò impeditivo”.

La Plenaria, poi, conforta le proprie risultanze con il dato giurisprudenziale, richiamando anzitutto la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite penali, del 19 novembre 2019 n. 46898, che ha affermato che il controllo giudiziario costituisce una “risposta alternativa da parte del legislatore: perché alternativa è la finalità di queste, volte non alla recisione del rapporto col proprietario, ma al recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo”, contraddistinta dal presupposto dell’ “occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi” e dalla valutazione prognostica incentrata “sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano” sulla base del controllo prescrittivo del Tribunale. Nella medesima direzione si colloca anche la giurisprudenza più recente sempre della Corte di Cassazione (Cass. pen., I, 10 novembre 2022 n. 42646) dove, peraltro, si precisa che la definitività dell’interdittiva “non determina la stabilità ed intangibilità dell’interdizione precludendo sine die all’azienda di contrattare con l’Amministrazione” e che, al contrario, l’impedimento a richiedere il controllo si pone in contrasto con la “natura necessariamente provvisoria e temporanea dell’informativa”.

Pertanto, la connessione esistente tra i due istituti (che come sottolineato dalle SU n. 46898/2019 si manifesta in relazione al “grado di assoggettamento dell’attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie”) non è tale da sfociare in un rapporto di stretta pregiudizialità-dipendenza e, quindi, da richiedere la sospensione del giudizio di impugnazione. Del resto – ricorda l’Adunanza Plenaria – ammettere l’espediente della sospensione del giudizio in ipotesi di tal fatta determinerebbe una frustrazione della funzione tipica del processo, “da strumento di tutela delle situazioni giuridiche soggettive ed attuazione della legge, a mero strumento per l’attivazione di ulteriori mezzi di tutela”. Inoltre, incalza la Plenaria, verrebbe alterata la funzione della sospensione del processo: da strumento preventivo rispetto al rischio di contrasto di giudicati, diverrebbe lo strumento per realizzare obiettivi di politica legislativa, esorbitanti dai compiti del giudice nella sua soggezione alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.). Nella descritta prospettiva, quindi, la sospensione verrebbe argomentata secundum eventum litis, posto che “una decisione di accoglimento del ricorso contro l’interdittiva avrebbe in sé l’effetto di riportare l’impresa alla piena e libera concorrenza, sulla base dell’accertamento che essa non è mai stata interessata da fenomeni di inquinamento mafioso. (…) La sospensione del processo finisce dunque per essere intesa come rimedio rispetto a potenziali decisioni sfavorevoli”. Nessun rapporto di pregiudizialità-dipendenza è ravvisabile tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva e il controllo giudiziario, al di là di quello individuabile in sede di verifica dei presupposti di quest’ultimo; sicché non viene integrata l’esigenza sottesa all’art. 295 c.p.c. Ciononostante, avverte la Plenaria, “tutte le circostanze del caso concreto potranno essere valutate dal giudice amministrativo ai sensi dell’art. 73, co. 1 bis, del cod. proc. amm.”.

A fortiori, secondo la Plenaria, non può condividersi la tesi dell’acquiescenza derivante dalla formulazione della domanda ai sensi dell’art. 34 bis d.lgs. 159/2011 da parte dell’impresa destinataria dell’interdittiva.

In conclusione, sul quesito posto dall’ordinanza di rimessione, l’Adunanza Plenaria afferma il seguente principio di diritto: “la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34 bis co. 6 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva”.

  • Segue. La decisione n. 7/2023.

Con la seconda sentenza, la n. 7 dello stesso 13 febbraio 2023, l’Adunanza Plenaria arricchisce il perimetro di indagine già tracciato con la precedente sentenza n. 6/2023, soffermandosi anche sulle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione, previste dall’art. 32 co. 10 del D.L. 90/2014, per il completamento dell’esecuzione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione dall’impresa destinataria di un’informazione antimafia interdittiva.

La Plenaria, passata in rassegna l’ordinanza di rimessione e la tesi dalla stessa avallata (cioè quella della necessaria sospensione del giudizio amministrativo in pendenza del procedimento del controllo giudiziario), afferma icasticamente la non condivisione del ragionamento proposto: secondo la Plenaria, dall’analisi della giurisprudenza di legittimità (richiamata dall’ordinanza di rimessione per suffragare la propria tesi della sospensione necessaria) non è possibile trarre una presa di posizione specifica ed espressa sulla necessità che il giudizio di impugnazione, pendente quando il controllo giudiziaria viene chiesto, non venga definito prima che quest’ultimo non sia concluso.

In particolare:

  • il principio espresso dalla Cassazione nella sentenza del 12 aprile 2019, n. 16105, è relativo ad una fattispecie in cui il controllo era stato chiesto quando il giudizio amministrativo contro l’interdittiva era già stato definito, ed è stato condivisibilmente negato per questa ragione;
  • negli altri precedenti richiamati non si poneva la questione delle conseguenze derivanti dalla definizione del giudizio di impugnazione sopravvenuta rispetto ad una procedura di controllo giudiziario;
  • anche l’ultimo procedente in ordine cronologico (Cass. pen., n. 42646 del 10 novembre 2022) non è idoneo a comprovare la necessità della sospensione: in quel caso, infatti, è stato giudicato illegittimo il diniego di ammissione al controllo giudiziario chiesto sulla base della domanda di aggiornamento ex art. 91 co. 5 d.lgs. 159/2011 di un’impresa raggiunta da un’interdittiva consolidata, posto che la definitività dell’interdittiva non determina la stabilità e intangibilità dell’interdizione precludendo sine die all’azienda di contrattare con l’Amministrazione e che, al contrario, l’impedimento a richiedere il controllo si pone in contrasto con la misura necessariamente provvisoria e temporanea dell’informativa.

Quindi, sebbene sussista una connessione tra i due istituti, la stessa si appunta sull’accertamento del requisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose effettuato dall’organo amministrativo con l’informazione antimafia; tale accertamento rappresenta, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario. La Plenaria, quindi, ribadisce le conclusioni già rassegnate nella precedente sentenza n. 6/2023: non esiste un rapporto di pregiudizialità talmente invasivo da giustificare la sospensione del processo. Ferma, infatti, la connessione tra gli istituti, la valutazione richiesta al giudice penale, diversamente da quella richiesta al Prefetto, non è una valutazione statica (una mera fotografia del passato), ma un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, connotata da condizionamento e/o agevolazione di soggetti o associazioni criminali, volta al risanamento dell’impresa e alla progressione della stesa verso il riallineamento con il contesto economico sano, quandanche sia accertata in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso.

Secondariamente, la Plenaria non condivide l’orientamento della pregiudizialità sposato dall’ordinanza di rimessione per una serie di argomentazioni letterali. Anzitutto, come già sottolineato nella precedente sentenza della stessa Plenaria n. 6/2023, la tesi della pregiudizialità non ha una base testuale. Non è, poi, neppure una soluzione imposta da ragioni di ordine sistematico, giacché – come detto – l’interdittiva svolge la propria funzione preventiva rispetto alla penetrazione nell’economia delle organizzazioni di stampo mafioso sulla base di accertamenti di tipo “statici”, laddove, invece, il controllo giudiziario persegue una finalità di carattere “dinamico”, di risanamento dell’impresa interessata dal fenomeno mafioso, richiedendo una prognosi favorevole del Tribunale sul superamento della situazione che ha dato luogo all’interdittiva.

A conferma di tale assunto, la Plenaria richiama – come già aveva fatto nella precedente sentenza n. 6/2023 – proprio l’art. 34 bis, co. 7 del d.lgs. 159/2011 poiché “nessuno degli effetti previsti dalla norma presuppone che il giudizio sull’interdittiva (…) rimanga pendente”: si tratta di effetti totalmente compatibili con la conseguita inoppugnabilità dell’interdittiva. Perciò, quand’anche fosse accertata in via definitiva l’esistenza di infiltrazioni mafiose, nondimeno si consente all’impresa di risanarsi sotto il controllo dell’autorità giudiziaria proprio perché lo scopo specifico del controllo giudiziario è quello di “evitare la definitiva espulsione dal mercato dell’impresa permeata dalle organizzazioni malavitose”. La valorizzazione della funzione risanatrice del controllo giudiziario consente di formulare un giudizio di autonomia tra gli istituti.

La medesima tesi, incalza la Plenaria, non è poi praticabile neppure sul piano logico-sistematico, specie con riguardo alla natura e alla funzione dell’istituto della sospensione ex art. 295 c.p.c. Ricalcando quanto già affermato nella precedente Plenaria n. 6/2023, il Collegio ritiene che ammettere l’espediente della sospensione del giudizio in ipotesi di tal fatta determinerebbe una frustrazione della funzione tipica del processo, “da strumento di tutela delle situazioni giuridiche soggettive ed attuazione della legge, a mero strumento per l’attivazione di ulteriori mezzi di tutela”, nonché una alterazione ingiustificata della funzione della sospensione del processo: da strumento preventivo rispetto al rischio di contrasto di giudicati, diverrebbe lo strumento per realizzare obiettivi di politica legislativa, esorbitanti dai compiti del giudice nella sua soggezione alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.). Nella prospettiva descritta dall’ordinanza di rimessione (e ovviamente non condivisa dalla Plenaria), la sospensione verrebbe argomentata secundum eventum litis, finendo per rappresentare un “rimedio rispetto a potenziali decisioni sfavorevoli”. Nessun rapporto di pregiudizialità-dipendenza è ravvisabile tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva e il controllo giudiziario, al di là di quello individuabile in sede di verifica dei presupposti di quest’ultimo; sicché non viene integrata l’esigenza sottesa all’art. 295 c.p.c., non è necessario sospendere il giudizio, ferma restando la possibilità per il giudice di valorizzare “tutte le circostanze del caso concreto potranno (…) ai sensi dell’art. 73, co. 1 bis, del cod. proc. amm.”.

Da ultimo, la Plenaria inserisce un ulteriore argomento sistematico volto a comprovare la contrarietà alla tesi della necessaria sospensione del processo: si fa riferimento alle misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale di cui all’art. 94 bis. Ebbene l’identità del presupposto applicativo (i.e. l’occasionalità delle situazioni di agevolazione mafiosa), è sintomatica di una analogia della funzione. Per cui “su questa base si giustifica la prevalenza legislativamente attribuita a quest’ultimo, espressa dal co. 3 del medesimo 94 bis con la cessazione delle misure amministrative nel caso in cui sia disposto il controllo giudiziario. Nessuna disposizione è stata invece prevista per regolare i rapporti tra interdittiva e controllo giudiziario. Con argomentazione a contrario è dunque evincibile l’assenza di condizionamenti reciproci tra i due istituti ulteriori rispetto alla connessione genetica prevista dal più volte richiamato co. 6 dell’art. 34 bis”.

Considerazioni analoghe, infine, secondo la Plenaria vanno svolte con riferimento al rapporto tra il controllo giudiziario e il commissariamento dell’impresa appaltatrice previsto dall’art. 32, co. 10, del D.L. n. 90/2014. Invero, l’assenza di disposizioni di coordinamento tra i due istituti e la non ultrattività di una gestione separata “ad contractum” ipotizzata dall’ordinanza di rimessione in caso di sopravvenienza del controllo giudiziario, “non costituisce ragione sufficiente per sospendere il giudizio di impugnazione delle misure previste dalla disposizione da ultimo richiamata, non solo – ed ovviamente – in caso di accoglimento del ricorso, ma anche di rigetto, per il quale l’ordinanza stessa suppone la prevalenza della misura, più favorevole per l’impresa, prevista dall’art. 34-bis del codice delle leggi antimafia”.

In conclusione, sul quesito posto dall’ordinanza di rimessione, l’Adunanza Plenaria afferma il seguente principio di diritto: “la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34 bis, co. 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione né del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva, né delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese previste dall’art. 32, co. 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, per il completamento dell’esecuzione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione dall’impresa destinataria di un’informazione antimafia interdittiva.

  • Conclusioni

Le due sentenze dell’Adunanza Plenaria, come sopra analizzate, consegnano un punto fermo: la connessione esistente tra l’istituto del controllo giudiziario e l’interdittiva antimafia non basta a integrare la ratio sottesa all’istituto della sospensione del giudizio di cui all’art. 295 c.p.c. I due procedimenti si dipanano diacronicamente nel tempo, correndo a velocità diversificate e su binari contigui, ma non coincidenti o intersecabili. Una siffatta ricostruzione, a ben vedere, non è nuova nel panorama giuridico italiano: basti pensare al rapporto esistente tra le misure di prevenzione, personali e patrimoniali, e il procedimento penale volto ad accertare la responsabilità personale dell’imputato. I piani di operatività sono, anche in questo caso, disallineati e interdipendenti.

Tuttavia, seppur incidenter tantum la Plenaria, in entrambe le sentenze, lascia aperto uno spiraglio: il giudice, infatti, potrà comunque valutare sulla base del proprio prudente apprezzamento le circostanze del caso concreto ai fini del rinvio di cui all’art. 73 co. 1 bis c.p.a.


[1] Seppur frutto di un lavoro unitario, è possibile attribuire a Renato Rolli i paragrafi nn. 1 e 6, a Valeria Bilotto i paragrafi nn. 2 e 4 e a Fabiana Bruno i paragrafi 3 e 5.

[2] Tra la recente letteratura, si v. di modo particolare, V. SALAMONE, La documentazione antimafia nella normativa e nella giurisprudenza, editoriale scientifica, v.17, pg186.187, Napoli, 07/2019

[3] F.G. SCOCA “Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata” in www.giustamm.it n. 6 del 2018.

[4] Sul versante penalistico, un quadro di insieme ci può essere dato da B. ROMANO e G. TINEBRA, Il Diritto penale della criminalità organizzata, Giuffrè, 2013

[5] Per ulteriori considerazioni, si veda P. ARLACCHI, La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, Milano, 2010, 17, il quale descrive, anche nel prosieguo del testo, il processo di trasformazione delle mafie storiche in piattaforme finanziarie ed imprenditoriali

[6]  Sul punto, si veda J. DELLA TORRE, Il lungo cammino della Giurisprudenza italiana sull’“oltre ogni ragionevole dubbio”, in Diritto Penale Contemporaneo, 2014.

[7] Si veda anche M. MAGRI “La “decriminalizzazione” dell’economia e dei pubblici uffici mediante poteri amministrativi discrezionali: uno sguardo di insieme” in Istituzioni del Federalismo, n. 1/2022, ove si legge: “che la capacità di metamorfosi delle mafie sia arrivata a un punto tale da richiedere un ripensamento qualitativo degli strumenti e non solo un potenziamento delle forze in campo, emerge già dal saggio di Nando Dalla Chiesa e Federica Cabras, che analizza «tendenze e prospettive» del fenomeno mafioso nel Nord Italia, là dove la presenza dei clan è tutt’altro che sradicata, ma, concludono gli Autori, non può più dirsi “rimossa” dall’immaginario collettivo

[8] Una disamina accurata è stata realizzata da A. MEZZOTERO, Le informative prefettizie antimafia: natura, tipologie ed effetti interdittivi, in Giur. Merito, 2009, 1074 ss.

[9] Si veda, sul punto, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 3 del 6 aprile 2018.

[10] P.M. ZERMAN, Interdittive Antimafia: Lotta alle infiltrazioni nelle imprese, vanno valutati fatti concreti, ilsole24ore.com, 09/2019.

[11] A tal riguardo, interessante è una recentissima decisione del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2807 del 20.03.2023 in merito al rilievo da dare a fatti che, quando troppo risalenti nel tempo, non sono in grado di rivelare un pericolo concreto e attuale di infiltrazione e condizionamento mafioso dell’impresa individuale: “Se è vero che il mero trascorrere del tempo, in assenza di elementi di discontinuità nella condotta del reo, non priva necessariamente i precedenti penali di ogni significato ai fini della prognosi sulle condotte future, va sottolineato che nel caso in esame, vi è un elemento di discontinuità che, come rilevato dal TAR non poteva essere ignorato. Si tratta della più aggiornata delle valutazioni espresse, in ordine alla dissociazione di –OMISSIS- dal contesto criminale della Sacra Corona Unita, da un organo preposto a vigilare sulla fase esecutiva delle sopra richiamate condanne. (…) Quanto piuttosto, in positivo, proprio il dichiarato, e quindi trasparente coinvolgimento di –OMISSIS- nella gestione dell’esercizio pubblico, circostanza che nella interdittiva, e nella prospettazione dell’appello, assume la funzione di collegare il soggetto controindicato all’impresa che si assume da lui infiltrata o condizionata; ma che, una volta venuta meno, per mancanza di elementi, la connotazione negativa attuale del soggetto, può ben essere richiamato – al contrario – come fa l’appellata, quale elemento integrante del percorso riabilitativo intrapreso dal coniuge, e quindi quale prova dell’ormai conclamata estraneità a circuiti criminali.”

[12] Si veda M.A. SANDULLI “Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziario” in www.giustiziainsieme.it del 10 maggio 2022.

[13] Per un maggiore approfondimento dei poteri del Prefetto, anche e soprattutto con riferimento al contraddittorio, si veda Cfr. R. ROLLI, M. MAGGIOLINI “Interdittiva antimafia e contraddittorio procedimentale (nota a Cons. Stato, sez. III, 10 agosto 2020 n. 4979” in www.giustiziainsieme.it, 19 novembre 2020. Si segnala, da ultimo, TAR-Lazio, Sez. I ter, sent. n. 5440 del 29.03.2023 che, nell’accogliere il ricorso della ricorrente, sottolinea come alcuni rilievi fattuali, in uno con la richiesta della società di ammissione alla procedura del controllo giudiziario ex art. 34 bis co. 6 d.lgs. 159/2011 “appaiono escludere le dedotte esigenze di celerità ed avrebbero dovuto deporre per l’acquisizione di maggiori elementi conoscitivi anche tramite la comunicazione di avvio del procedimento”.

[14] Per un maggior approfondimento si veda si rinvia a R. ROLLI, V. BILOTTO, F. BRUNO “Interdittive antimafia e il loro difficile (e travagliato) rapporto con il controllo giudiziario volontario: un quadro di insieme in attesa dell’Adunanza Plenaria” in www.ratioiuris.it del 15 febbraio 2023

[15] Per un maggiore approfondimento dei presupposti, si rinvia a Cassazione, Sez V, sentenza n. 34526, 2 luglio 2018; Cfr. Tribunale Catanzaro 19 febbraio 2018, inedito in archiviodpc.dirittopenaleuomo.org. Per una maggiore e più puntuale disamina si rinvia a BRESCIA-CAVALIERE-MOTTURA “Amministrazione e controllo giudiziario”, Giuffrè, 2021.

[16] T. BENE “Tentativi di aggressione alle risorse pubbliche. Il rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia” in Diritto Penale Contemporaneo, n. 1/2022.

[17] Per una approfondita panoramica sui poteri cognitivi del giudice penale si rinvia a G. AMARELLI, “La Cassazione riduce i presupposti applicativi del controllo giudiziario volontario ed i poteri cognitivi del giudice ordinario”, in www.sistemapenale.it del 10 marzo 2022.

[18] Si veda M.A. SANDULLI “Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziario” cit.

[19] Per un approfondimento sul tema delle c.d. white list, si veda V. MONTARULI,” La White list nella legislazione antimafia”, diritto. it, 11/2012; E. BORBONE, White list: quadro attuale e possibili sviluppi, Altalex, 11/2012

[20] Orientamento sostenuto da ultimo da Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 3973 del 19 maggio 2022.

[21] Per una disamina più approfondita sull’ordinanza di rimessione, si rinvia a R. ROLLI, V. BILOTTO, F. BRUNO “Interdittive antimafia e il loro difficile (e travagliato) rapporto con il controllo giudiziario volontario: un quadro di insieme in attesa dell’Adunanza Plenaria”, cit.

[22] Così ancora, testualmente, Cons. St., sez. III, ord., 5 luglio 2021, n. 5134 nonché, ex plurimis, Cons. St., sez. III, ord., 20 ottobre 2021, n. 7039, Cons. St., sez. III, ord., 23 febbraio 2021, n. 1557, Cons. St., sez. III, ord., 10 luglio 2019, n. 4873, Cons. St., sez. III, ord., 31 luglio 2018, n. 4719.

[23] Punto 27 dell’ord. di rimessione n. 4578 del 6 giugno 2022.