- Premessa – 2. Gli strumenti del legislatore contro le infiltrazioni delle organizzazioni criminali: la documentazione antimafia. In particolare, l’informazione interdittiva antimafia – 3. Problemi applicativi delle interdittive: dal contraddittorio eventuale al contradditorio necessario della recente riforma (D.L. 6 novembre 2021 n. 152). – 4. Segue. La (ancora) attuale sofferenza costituzionale dell’istituto delle interdittive – 5. Il superamento del sistema tradizionale delle misure interdittive: il controllo giudiziario e, in particolare, il controllo c.d. volontario o a domanda. – 6. Il rapporto tra le interdittive e il controllo giudiziario: dalle ragioni del “conflitto” all’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria – 7. La rimessione all’Adunanza Plenaria: questioni sostanziali e processuali tra interdittive e controllo volontario. – 8. Conclusioni.
Di Renato Rolli, Valeria Bilotto, Fabiana Bruno*
1. Premessa.
“La mafia è un fenomeno umano”. Così Giovanni Falcone, magistrato ucciso da Cosa Nostra, definiva il fenomeno mafioso, per sottolinearne lo spirito di sopravvivenza, la capacità intrinseca delle organizzazioni criminali di stampo mafioso di adattarsi al mutare del panorama sociale ed economico di riferimento.
Infatti, i fenomeni mafiosi e criminali odierni sono ben lontani dall’originaria impalcatura delle c.d. “mafie storiche”: si è passati, cioè, da un’organizzazione ancorata a legami squisitamente familiari, che si limitava ad affermare il controllo sul territorio locale, sul “latifondo”, a organizzazioni che, invece, riescono a sfruttare legami economici al fine di consolidare il proprio potere e il proprio controllo sul territorio interregionale, infiltrandosi in ogni fibra del tessuto economico nazionale e internazionale. Ci si riferisce ai più moderni itinerari di consolidamento del potere criminale che passano per l’impresa mafiosa, costruita mediante l’uso distorto di strumenti negoziali e capace di introdurre sul mercato una nutrita serie di vantaggi competitivi, sconosciuti all’impresa “legale”[1]. La mafia diventa imprenditrice di sé stessa.
La c.d. evoluzione economico-contrattuale del fenomeno mafioso ha, conseguentemente, allertato il legislatore che, consapevole dell’insufficienza delle strategie di contrasto tipicamente repressive o preventive, ha ritenuto sempre più necessaria la predisposizione di strumenti capaci di aggredire gli aspetti economici ed imprenditoriali del fenomeno associativo[2].
È in tale rinnovato contesto socio-economico e nella consapevolezza della capacità quasi “camaleontica”[3] del fenomeno mafioso e delle organizzazioni criminali di adattarsi ai nuovi scenari dell’economica mondiale e nazionale, che si inserisce la rinnovata legislazione sulla documentazione antimafia.
Il presente lavoro, muovendo da un inquadramento sistematico della documentazione antimafia e, in particolare, dell’informazione interdittiva antimafia, ripercorrerà le tappe evolutive dell’istituto dell’interdittiva, il suo problematico inquadramento costituzionale, per soffermarsi, in conclusione, su un tema, oggi, al vaglio dell’Adunanza Plenaria: il rapporto tra l’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario volontario.
2. Gli strumenti del legislatore contro le infiltrazioni delle organizzazioni criminali: la documentazione antimafia. In particolare, l’informazione interdittiva antimafia.
L’essenza della legislazione antimafia è contenuta nel D.lgs. n. 159/2011 nel cui Libro II è possibile rinvenire le “Nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia”. Per documentazione antimafia si intende quell’insieme di provvedimenti amministrativi atti a rendere edotta la pubblica amministrazione dell’esistenza, a carico di soggetti che vogliono porsi in relazione con essa, di eventuali situazioni problematiche (sostanzialmente determinate dai c.d. «indici di mafiosità») che divengono ostative a tale relazione[4]. Il concetto di documentazione antimafia si articola nella comunicazione antimafia e nella informazione interdittiva antimafia.
La comunicazione antimafia è normativamente definita come “l’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 del Codice Antimafia e, cioè, l’applicazione, con provvedimento definitivo, di una delle misure di prevenzione personali previste dal Libro I, Titolo I, Capo II del Codice Antimafia e irrogate dall’autorità giudiziaria, ovvero condanne penali con sentenza definitiva o confermata in appello per taluno dei delitti consumati o tentati enucleati all’art. 51, comma 3 – bis c.p.p. e di competenza delle Direzioni distrettuali antimafia” (art.84, comma 2, D.lgs. n. 159/2011). In altri termini, trattasi di uno strumento avente contenuto vincolato, di tipo accertativo: si fotografa il cristallizzarsi di una situazione di permeabilità mafiosa tipizzata nel provvedimento di prevenzione
- che irroga cioè una misura di prevenzione personale – emesso dal Tribunale[5]. È, quindi, un atto di verifica, un atto accertativo della sussistenza o meno delle ipotesi previste dalla legge.
L’informazione interdittiva antimafia, invece, concreta un’altra forma di documentazione antimafia avente però – diversamente dalla comunicazione antimafia
- un contenuto squisitamente discrezionale.
Si tratta di un atto di natura provvedimentale, frutto dell’esercizio di un potere affidato all’autorità amministrativa[6] (i.e. il Prefetto), capace di incidere negativamente sulla sfera giuridica dei destinatari[7].
L’informativa attesta la sussistenza, o meno, di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare la scelta o gli indirizzi della società o delle imprese interessate (art. 84, comma 3, D.lgs. n. 159/2011). Più precisamente, la valutazione del rischio di infiltrazione mafiosa viene effettuata dalla Prefettura e ha ad oggetto non il rapporto tra impresa e pubblica amministrazione, ma il soggetto, l’impresa in sé, considerata “in odore” di infiltrazione mafiosa, a rischio di condizionamento mafioso. L’emissione di una informazione antimafia scaturisce, pertanto, dal “prudente” apprezzamento del Prefetto e il positivo vaglio probabilistico della sussistenza del rischio della permeabilità mafiosa determina, quale effetto del provvedimento, l’incapacità del soggetto. Si tratta non già di un’incapacità generale, ma un’incapacità in ambito pubblico, nel rapporto con la pubblica amministrazione: in altri termini, il destinatario dell’interdittiva antimafia non è capace di instaurare rapporti con la pubblica amministrazione. È un’incapacità in ambito pubblico, che riguarda sia l’instaurazione di un rapporto amministrativo sia l’instaurazione di un rapporto obbligatorio-contrattuale. Questa incapacità, tuttavia, non è un’incapacità totale, ma parziale, specifica, proprio perché interessa i soli rapporti tra l’impresa e la pubblica amministrazione. Ed è, altresì, una incapacità tendenzialmente temporanea, legata alla permanenza in vita dell’interdittiva: l’incapacità viene meno allorquando viene meno l’interdizione.
L’informativa antimafia si caratterizza, dunque, per essere un provvedimento amministrativo di natura cautelare e preventiva, con una funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione dell’infiltrazione mafiosa[8]. Tale natura disvela, evidentemente, la ratio sottesa all’informativa stessa: una finalità anticipatoria e, più precisamente, lo scopo di prevenire il grave pericolo del condizionamento mafioso, ovvero il pericolo dell’ingerenza mafiosa nell’azienda coinvolta.
Al contempo, la natura cautelare e la funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, si ripercuote sulle modalità di accertamento di tale pericolo ad opera del Prefetto. Infatti, “l’interdittiva non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi, in base ai quali non sia illogico o irragionevole ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo occorre, pertanto, non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, ma soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata”[9]. Esiste, quindi, un’ampia discrezionalità della pubblica amministrazione nell’esercizio del potere di inibizione che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali: è sufficiente, cioè, un giudizio prognostico, latamente discrezionale, sul pericolo di ingerenza della criminalità organizzata nel tessuto sociale dell’impresa. Sicuramente, a fronte della realizzazione di c.d. “reati spia” esiste un’indicazione sintomatica ex lege[10] dell’attualità e della concretezza del periculum[11]. Ma anche condotte non penalmente rilevanti[12] e finanche condotte risalenti nel tempo[13] possono essere utilizzate dall’organo amministrativo ai fini dell’accertamento della sussistenza del pericolo di infiltrazione, purché il quadro indiziario complessivo poggi su elementi chiari, precisi e concordanti[14], capaci di testimoniare, secondo la logica del più probabile che non, l’esistenza di un attuale[15] e concreto rischio di ingerenza.
L’accertamento di tale pericolo, però, pur presentando delle forti richiami analogici al sistema penalistico[16] e pur, a volte, essendo legato a filo doppio ai provvedimenti penali, in realtà, se ne distanzia totalmente. Come noto, infatti, l’irrogazione della pena, da parte del giudice penale, dipende dal raggiungimento della certezza nel processo: il giudice condanna perché è comprovata nel giudizio la responsabilità dell’autore del reato oltre ogni ragionevole dubbio. La logica penalistica dell’oltre ogni ragionevole dubbio si giustifica a fronte dei diritti che vengono in gioco e che sono coinvolti nel procedimento penale, riconducibili sotto l’egida della libertà personale[17]. L’irrogazione di una pena, cioè, pregiudica – sebbene solo temporalmente, salvo l’ergastolo – la libertà personale del condannato. Proprio la diversità degli interessi coinvolti e l’incapacità dell’interdittiva di ledere la libertà personale del soggetto coinvolto, in uno con la natura di provvedimento amministrativo discrezionale, esclude l’interdittiva dalla logica penalistica e, conseguentemente, dai criteri di accertamento che animano il procedimento penale. Come più volte affermato dal Consiglio di Stato[18], “la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343)”.
3. Problemi applicativi delle interdittive: dal contraddittorio eventuale al contradditorio necessario della recente riforma (D.L. 6 novembre 2021 n. 152).
Si è detto come il fine ultimo dell’interdittiva è evitare che un soggetto destinatario di un tentativo di infiltrazione mafiosa possa entrare in rapporto con la pubblica amministrazione, tale per cui l’effetto promanante dalla misura interdittiva è un’incapacità pubblica di intrattenere rapporti (di qualsiasi genere) con la pubblica amministrazione. In altri termini, l’effetto interdittivo è posto a presidio di valori costituzionalmente rilevanti, che alimentano e reggono l’intera impalcatura dell’organizzazione della pubblica amministrazione: l’imparzialità, il buon andamento, la legalità dell’azione amministrativa.
Orbene, proprio la tutela di valori presidiati dalla Costituzione aveva legittimato il legislatore nazionale, con l’avallo anche della giurisprudenza euro-unitaria, all’introduzione di un regime procedimentale differenziato rispetto al classico procedimento amministrativo, contraddistinto dalle garanzie partecipativa enucleate dalla l. 241/1990. In particolare, l’art. 93 co. 7 del codice antimafia prevedeva un contraddittorio[19] meramente eventuale: il contraddittorio si instaurava solo se la PA, nell’esercizio della sua discrezionalità, lo avesse ritenuto necessario. Analizzando la norma, dal lato dell’impresa, nell’ambito del procedimento il privato non ha un diritto soggettivo al contraddittorio, ma un interesse legittimo, perché il contraddittorio passa attraverso una valutazione discrezionale della PA sulla opportunità o meno del contraddittorio.
La previsione normativa del contraddittorio quale momento meramente eventuale ha fatto sorgere, in seno alla giurisprudenza, un acceso contrasto.
Secondo una prima tesi, la previsione normativa, che non garantisce il contraddittorio e che, conseguentemente, qualifica la situazione giuridica del privato alla stregua (non di un diritto al contraddittorio, ma) di un interesse legittimo pretensivo, solleva un problema di compatibilità della norma con i principi generali del contraddittorio nonché con il diritto UE[20] e con l’art. 97 della Costituzione[21].
Una seconda tesi[22], all’opposto, ha sostenuto la piena compatibilità della norma sia con la Costituzione sia con il diritto UE. Il principio del contraddittorio, infatti, pur essendo un principio fondamentale, non ha valenza assoluta, nel senso che ammette deroghe laddove la deroga sia giustificata dalla necessità di tutelare interessi superiori. L’esigenza di tutela dell’ordine pubblico giustificherebbe una deroga al contraddittorio. In questa prospettiva, è evidente la conciliabilità dell’eventualità del contraddittorio allorquando il Prefetto deve emettere un’interdittiva: in altri termini, il contraddittorio è eventuale da un lato per ragioni di speditezza, di riservatezza, di urgenza; dall’altro lato, e soprattutto, il contraddittorio è previsto come eventuale per ragioni di ordine pubblico. La finalità è, cioè, quella di prevenire i tentativi di infiltrazione mafiosa che possano condizionare gli indirizzi della PA. La garanzia del contraddittorio consentirebbe al destinatario di conoscere la probabile e imminente adozione dell’atto: nel caso dell’interdittiva, il contraddittorio, la partecipazione, consentirebbe al destinatario di avere conoscenza della imminente e probabile adozione dell’interdittiva e in qualche modo si riorganizzi[23], reagisca, mutando, ad esempio, gli assetti societari, le cariche societarie, avendo il tempo di avvalersi di prestanome, cercando in ultima istanza di evitare l’interdittiva. Ebbene, la norma non garantirebbe il contraddittorio, prevedendolo come eventuale, rimettendo la valutazione alla PA, proprio per scongiurare a tale pericolo. Sono le sottese ragioni di ordine pubblico che giustificano la deroga al principio del contraddittorio. Peraltro, sottolineava questo orientamento, il codice antimafia non esclude a priori il contraddittorio, ma ne rimette la valutazione alla PA procedente, che valuta caso per caso, in relazione al caso concreto, se attivare o meno la garanzia procedimentale del contraddittorio. In questa prospettiva, la finalità dell’interdittiva (che è impedire in via preventiva qualsiasi rapporto pubblicistico con il soggetto inquinato da legami con la mafia) giustifica l’attenuazione (non l’eliminazione) delle garanzie procedimentali. Tale attenuazione sarebbe, tuttavia, recuperata e compensata dal sindacato del g.a. sull’atto, sul provvedimento. Infatti, il provvedimento interdittivo è sì caratterizzato da una valutazione discrezionale, ma questa valutazione si sostanzia in una prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa: c’è, in altri termini, una valutazione probabilistica da parte della PA sulla permeabilità mafiosa dell’impresa, dati quei fatti. Nel solco di questo accertamento compiuto dall’amministrazione si deve, poi, muovere anche il giudice amministrativo che va proprio a sindacare il ragionamento probabilistico compiuto dalla PA (cioè la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa). Sicché, come riguardo ai fatti, il sindacato è pieno ed effettivo, anche riguardo alla valutazione della permeabilità il sindacato è pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction[24], sì da consentire al g.a. di sindacare il ragionamento, la valutazione probabilistica compiuta dalla PA[25].
L’esigenza della partecipazione effettiva mediante un contraddittorio procedimentale è stata finalmente soddisfatta dal D.L. 6 novembre 2021, n. 152 – G.U. 6 novembre 2021, n. 265 che all’art. 48 rubricato “Contraddittorio nel procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia”, norma che ha fondamentalmente accolto le critiche mosse dalla dottrina più avveduta[26]. Invero, il nuovo art. 92 co. 2 bis del Codice Antimafia prevede, oggi, che il Prefetto nel caso in cui ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva ne dia tempestiva comunicazione al soggetto interessato. L’eventuale destinatario della interdittiva antimafia deve essere messo a conoscenza, ai fini della partecipazione, dell’intervenenda misura interdittiva, dovendosi comunicare gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa, così consentendo il diritto di difesa dell’eventuale destinatario del provvedimento interdittivo. È evidente che oggi, diversamente dal passato, la regola è il contraddittorio; l’eccezione è la limitazione dello stesso[27] in un approdo non dissimile da quello normalmente previsto dalla l. 241/1990[28].
4.. Segue. La (ancora) attuale sofferenza costituzionale dell’istituto delle interdittive.
Si è detto che l’informativa antimafia è un provvedimento di natura cautelare e preventiva, che anticipa massimamente la soglia di prevenzione. Proprio l’anticipazione così marcata della soglia di prevenzione ha sollevato numerosi dubbi sulla tenuta costituzionale dell’istituto[29], vieppiù a fronte di un uso, spesso, sconsiderato e fin troppo “superficiale” della misura.
Pur avendo finalità e modalità tipiche delle misure preventive (i.e. le misure di prevenzione), le informative interdittive antimafia non sono formalmente nemmeno incluse nell’ambito di tali misure, ricadendo nell’ambiguo genus normativo della c.d. documentazione antimafia.
L’elevato tasso di lesività sostanziale che cagionano al proprio destinatario e il basso indice di garanzia processuale che le norme di legge riconoscono determinano un intenso vulnus ai valori costituzionali con i quali tali misure si trovano a collidere[30]; vulnus ancor meno giustificato se osservato in relazione al sistema delle misure di prevenzione di cui esse replicano sostanzialmente gli scopi, pur difettando delle (già scarse) garanzie giudiziarie che le contraddistinguono. Invero, nonostante la profonda prossimità oggettuale, modale, persino di sedes materiae, la disciplina delle interdittive antimafia sembra stranamente immune dalle urgenze garantistiche che, nel tempo, hanno contenuto (o quantomeno sorvegliato) l’afflittività delle misure di prevenzione[31] e della normativa antimafia in generale, fino a creare una sorta di sottosistema all’interno di quello preventivo.
Le forme della giurisdizionalizzazione, la necessità di una chiara tipizzazione degli elementi indiziari, il rigore probatorio a cui deve soggiacere il profilo dell’attualità di tali elementi, tutti questi presidi sembrano non esistere a fronte delle interdittive antimafia, creando un vero e proprio sottosistema preventivo, le cui logiche si pongono in contrasto con la generalità dell’ordinamento legislativo e costituzionale; un vero e proprio quarto binario ad altissima velocità, accanto a quelli delle sanzioni, delle misure di sicurezza e delle misure di prevenzione.
Secondo parte della dottrina[32], tale differenziazione di discipline è ancor meno condivisibile considerando che, sostanzialmente, le interdittive si prestano ad essere qualificate alla stregua di misure, sì amministrative, ma sostanzialmente penali[33] (ancorché preventiva e non sanzionatoria) sia per il coefficiente di afflittività che le contraddistingue (vera e propria capitis deminutio), sia per lo scopo che perseguono (evitare la commissione di un reato). Eppure, in forza di una ricostruzione (legislativa prima che giurisprudenziale) tale misura viene attratta nell’ambito dell’azione amministrativa, con la conseguente affermazione della sufficienza, come presidio garantistico, del solo principio di legalità[34], in modo tale da poter ignorare che la storia del sistema costituzionale si è imperniata intorno alla valorizzazione dei principi giurisdizionali quali garanzie dell’individuo nei confronti di gran parte del sistema preventivo di limitazione delle libertà costituzionali. La ricostruzione e la qualificazione giuridica delle misure interdittive come misure amministrative permette di piegare alle logiche del diritto amministrativo ciò che dovrebbe soggiacere ai principi e alle garanzie giurisdizionali tipiche del diritto penale o almeno a quelle (già fin troppo modeste) del diritto della prevenzione.
Alla base di questa posizione, vi è peraltro un elemento di giustificazione di matrice etica e storica: l’idea, cioè, che la lotta alla criminalità organizzata debba fisiologicamente comportare l’utilizzo di mezzi in certo modo eccezionali, poiché eccezionalmente pervasiva ed eccezionalmente infida è l’azione delle associazioni di stampo mafioso.
E tuttavia, sia nel processo penale che in quello della prevenzione, la giurisprudenza si è evoluta nel senso di contemperare questa esigenza con quella della tutela dei singoli. Ciò attraverso una intima comprensione della natura istituzionale del fenomeno mafioso, dove il dato organizzativo diviene sì elemento di giustificazione di una normativa tanto severa, ma, al tempo stesso, modello per porre dei limiti a tale severità[35].
5. Il superamento del sistema tradizionale delle misure interdittive: il controllo giudiziario e, in particolare, il controllo c.d. volontario o a domanda.
Il bisogno di impedire le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico-sociale, senza pregiudicare drasticamente la libertà di iniziativa economica, ha indotto il legislatore ad arricchire il sistema tradizionale delle misure interdittive di ulteriori strumenti.
Si tratta di misure volte a graduare la loro incidenza sullo svolgimento e sulla gestione delle attività economiche, anche consentendone la prosecuzione da parte dell’impresa destinataria della misura.
Tra queste ultime è compreso il controllo giudiziario, disciplinato dall’art. 34 bis D.Lgs. 159/2011. Si tratta di una misura di prevenzione che assume le caratteristiche di uno strumento palliativo, capace di contemperare interessi contrapposti e di evitare misure più incisive quali il commissariamento antimafia od il sequestro dei beni, da non intendersi quale mero sostituto dell’interdittiva prefettizia o atto ad aggirare la stessa.
Viene disposto dal giudice della prevenzione, in un giudizio camerale al fine di garantire sempre il contraddittorio tra le parti, con un provvedimento definitivo di natura giurisdizionale.
La ratio del controllo giudiziario è permettere all’impresa di continuare ad operare nel mercato: l’obiettivo delle ‘misure correttive’ è “quello di ‘decontaminare’ le attività imprenditoriali sostanzialmente sane (o non del tutto compromesse) e restituirle al libero mercato, una volta depurate dagli agenti inquinanti, in un’ottica conservativa[36]”. Il codice antimafia ha, quindi, introdotto un principio di progressività delle misure di prevenzione, che si intensifica o si riduce in misura proporzionale al “bisogno di prevenzione” dell’operatore economico. La logica è quella tipica del bilanciamento: evitare l’insolvenza dell’impresa, salvaguardandone i livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività economica, senza, però, pregiudicare la “sanità” del mercato delle commesse pubbliche.
Il controllo giudiziario di cui all’art. 34 bis, cod. antimafia si presenta in due forme di- verse. La prima, disciplinata nel comma 1, prevede che la richiesta debba provenire da organi istituzionali; nella seconda, ex comma 6, la richiesta, presentata dall’impresa che ha ricevuto un’interdittiva antimafia e ha proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto produce l’effetto della sospensione dell’informazione[37]. E, dunque, in presenza di un primo accertamento amministrativo del tentativo di infiltrazione mafiosa, tendente a condizionare le scelte (ex art. 84, cod. antimafia), l’impresa ha la possibilità di chiedere un percorso di recupero ricorrendo all’applicazione del controllo giudiziario[38]. Secondo l’interpretazione prevalente[39], di merito e di legittimità, il controllo di cui al comma 6 è un’ipotesi particolare del controllo ex comma 1 e non comporta alcun automatismo.
Presupposti di entrambe le forme di controllo sono l’agevolazione occasionale e il concreto pericolo di infiltrazione. Sicché ciò che distingue le due ipotesi previste nel primo e nel sesto comma dell’art. 34 bis cod. antimafia è la provenienza della domanda e l’effetto sospensivo sull’interdittiva antimafia[40].
6. Il rapporto tra le interdittive e il controllo giudiziario: dalle ragioni del “conflitto” all’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria.
Come già succintamente ricordato, il controllo giudiziario c.d. volontario (quello cioè disciplinato dall’art. 34 bis co. 6 del D.Lgs. 159/2011) può essere concesso dal giudice solo se viene contestualmente impugnata l’interdittiva antimafia.
Peraltro, all’indomani dell’introduzione dell’istituto del controllo giudiziario, si è formata una variegata prassi con la quale si è posto in discussione il potere-dovere del giudice amministrativo di decidere i ricorsi (e gli appelli) contro interdittive antimafia, quando l’impresa “abbia chiesto e ottenuto dal Tribunale di prevenzione la misura del controllo giudiziario”[41].
Esiste, evidentemente, uno stretto legame di interdipendenza[42] tra interdittive e controllo c.d. volontario, incrementato vieppiù dal dato normativo. Infatti, l’art. 34 bis co. 7 del d.lgs. 159/2011 afferma che “(i)l provvedimento che dispone (…) il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’art. 92 co. 2 nonché gli effetti di cui all’art. 94”.
La prassi, in uno con il dato normativo, hanno animato, in tempi recenti, un cospicuo dibattito, dottrinale[43] e, soprattutto, giurisprudenziale, confluito nell’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria n. 4578 del 6 giugno 2022[44].
7. La rimessione all’Adunanza Plenaria: questioni sostanziali e processuali tra interdittive e controllo volontario.
La questione oggetto dell’ordinanza di rimessione (qui in commento) è nata in seguito ad un appello proposto dalla società Senesi S.p.A, un’impresa attiva nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti, per la riforma della sentenza del TAR Marche con il quale era stato respinto il ricorso n. 9414/2019 avverso l’informativa interdittiva antimafia emessa dall’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Fermo[45]. Il ricorrente, tra i motivi di ricorso in appello, indicava altresì la sua ammissione al controllo giudiziario volontario con Ordinanza n. 2 del 2021 dalla Corte di Appello di Perugia che avrebbe, pertanto, dovuto determinare la sospensione del provvedimento interdittivo.
Nel dettaglio, l’ordinanza deferisce all’Adunanza Plenaria la definizione dei seguenti quesiti:
“Se la proposizione della domanda per il controllo giudiziario volontario e la successiva ammissione del soggetto economico a tale misura determini o meno, oltre alla sospensione degli effetti interdittivi dell’informazione amministrativa antimafia ex art. 34 bis comma 7 Codice Antimafia, anche la sospensione necessaria ai sensi dell’art. 79 comma 1 c.pa. e dell’art. 295 c.p.c del giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione dell’informazione prefettizia, per la necessità di attendere che, all’esito della misura concessa dal giudice della prevenzione sulla base di una prognosi favorevole, il Prefetto rivaluti, in sede di aggiornamento ai sensi dell’art. 91 comma 5 Cod. Antimafia, la situazione dell’operatore economico per adottare, se del caso ed all’esito del controllo giudiziario, un’informativa liberatoria che determinerebbe la cessazione della materia del contendere nel giudizio amministrativo, quantomeno ai fini impugnatori;
- Se la proposizione della domanda per il controllo giudiziario volontario e la successiva ammissione del soggetto economico a tale misura determini o meno, oltre alla sospensione degli effetti interdittivi dell’informazione amministrativa antimafia ex art. 34 bis comma 7 Codice Antimafia, anche la sospensione necessaria ai sensi dell’art. 79 comma 1 c.pa. e dell’art. 295 c.p.c del giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione delle misure adottate dal Prefetto ai sensi dell’art. 32 comma 10 d.l. n. 90/2014, oltre che per le ragioni riportante al punto 1), anche per la necessità di garantire la prevalenza del controllo giudiziario rispetto a tali misure amministrative;
- Se la mancata sospensione del giudizio amministrativo del giudice di primo grado nelle ipotesi 1) e 2) costituisca un error in procedendo da dedurre in appello contro la sentenza che abbia pronunciato nel merito, tale da determinare la rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 105 comma 1 c.p.a o se invece determini solo la necessità per il giudice di appello di sospendere direttamente il giudizio ai sensi dell’art 79 comma 1 c.p.a e dell’art. 295 c.p.c.”[46]
L’appellante ha sostenuto l’annullamento con rinvio ai sensi dell’art. 105 c.p.a. della sentenza che aveva, invece, ritenuto di non dover sospendere il giudizio amministrativo, nonostante un’ istanza di controllo giudiziario ex art. 34 bis comma 6 riferendosi alla “alla cospicua documentazione relativa al procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione, il cui esito – così si legge nella sentenza impugnata – non è nemmeno pregiudiziale alla presente sentenza, di talché va anche respinta l’istanza di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., avanzata da parte ricorrente nel corso della discussione orale”. La società avrebbe proposto istanza ex art. 34 bis comma 6 al fine di dimostrare l’assenza di esposizione al rischio di infiltrazione mafiosa e rimuovere qualsiasi sospetto di condizionamento.
Anche il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Fermo hanno ritenuto che tale giudizio debba essere sospeso richiamando, a sostegno di tale assunto, la giurisprudenza secondo la quale la sospensione degli effetti dell’informativa prefettizia, a seguito di ammissione al controllo giudiziario, determini in via diretta ed automatica anche la sospensione del giudizio avente ad oggetto la legittimità della misura prefettizia “in quanto l’eventuale conferma di tale provvedimento, da parte del giudice amministrativo, renderebbe definitivi gli effetti di detto provvedimento e, quindi, vanificherebbe la previsione del medesimo art. 34- bis, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, che contempla una pur temporanea sospensione di tali effetti, e la ratio stessa del controllo giudiziario, volto a consentire alle imprese colpite da informazione antimafia, che l’abbiano impugnata, di potere nelle more del giudizio amministrativo proseguire nella propria attività, a determinate condizioni, sotto il controllo del Tribunale della prevenzione, che nomina un amministratore a tal fine” (Cons. St., sez. III, ord., 5 luglio 2021, n. 5134).
Il Collegio, ribadita la ratio dell’art. 34 bis e richiamata la propria costante giurisprudenza sul rapporto tra l’impugnazione dell’informazione interdittiva antimafia ed il giudizio per l’ammissione al controllo giudiziario volontario, è pervenuto al convincimento secondo cui “considerato che, una volta disposto il controllo giudiziario, la sospensione degli effetti interdittivi conseguenti all’informazione antimafia deve operare indefettibilmente per tutto il tempo della misura del controllo giudiziario adottata dal Tribunale in sede di prevenzione, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, anche il giudizio amministrativo relativo all’informazione antimafia debba essere sospeso o, comunque, ne deve essere rinviata la trattazione del merito, salva ulteriore prosecuzione all’esito della misura, sino a quando la sospensione degli effetti interdittivi non abbia esaurito il proprio corso” (Cons. St., sez. III, ord., 23 febbraio 2021, n. 1557)[47]. Viene chiarito come la sospensione ex lege – ai sensi dell’art. 34 bis comma 7 Codice Antimafia – degli effetti interdittivi scaturenti dall’informazione prefettizia è temporanea poiché la sospensione è una misura provvisoria e funzionale ad un accertamento definitivo, destinata a durare finché pende il giudizio di impugnazione contro l’interdittiva antimafia. Viene specificato che se il giudice amministrativo annulla l’informativa antimafia, allora vengono meno gli effetti interdittivi ed anche la misura del controllo giudiziario in quanto non possono essere più sospesi gli effetti di un provvedimento definitivamente annullato, mentre se il giudice amministrativo respinge il ricorso contro il provvedimento prefettizio, gli effetti interdittivi si consolidano e non sono più suscettibili di sospensione per effetto di un provvedimento provvisorio adottato dal giudice di prevenzione.
Tanto premesso, l’ordinanza passa comunque in rassegna gli orientamenti esistenti in giurisprudenza circa il rapporto tra interdittive antimafia e controllo volontario.
Secondo un primo orientamento, la trattazione dell’udienza di discussione della causa per l’annullamento dell’informativa prefettizia deve essere rinviata a data successiva alla cessazione dell’eventuale controllo giudiziario ex art. 34 bis Codice Antimafia per non porre nel nulla gli effetti di possibile legalizzazione e bonifica dell’impresa marginalmente inquinata dalle consorterie mafiose ed in linea con la finalità dell’istituto (di tale avviso, T.A.R. Calabria – Catanzaro, ord. 2 aprile 2019 n. 658). Il rinvio garantirebbe il percorso di bonifica dell’impresa nel caso in cui quest’ultima sia stata ammessa al controllo giudiziario e non anche nell’ipotesi di mera presentazione dell’istanza ex art. 34 bis. Si deve evidenziare, però, che la sospensione del giudizio amministrativo sia ad oggi rimesso alla discrezionalità del singolo giudice “mediante la tecnica di un rinvio nella sostanza dei fatti sine die, e si pone ora in contrasto con la nuova previsione del comma 1- bis dell’art. 73 c.p.a., inserito dal d.l. n. 80 del 2021, conv. con mod. in l. n. 113 del 2021, secondo cui il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per «casi eccezionali», che sono riportati nel verbale di udienza (v., sul punto, anche Cons. St., sez. III, 19 maggio 2022, n. 3973, in part. § 6.2., proprio per caso analogo a quello esaminato), sicché il controllo giudiziario dovrebbe assurgere a caso eccezionale per consentire, nell’attuale ordinamento processuale, un rinvio della causa motivato.” Questo orientamento nega che la mera presentazione dell’istanza possa indurre il giudice amministrativo al mero rinvio e ciò contraddice il testo dell’art. 34 bis comma 6 il quale dà all’impresa la possibilità di chiedere (e quindi di non ottenere in maniera automatica) il controllo giudiziario, per cui a logica si deve ritenere che, a fronte dell’istanza di controllo giudiziario, il giudice amministrativo dovrebbe almeno attendere che tale istanza sia almeno esaminata dal giudice di prevenzione.
Un secondo orientamento, di segno opposto, ritiene che il giudice amministrativo, non sussistendo un vincolo di pregiudizialità ex art. 295 c.p.c., debba definire il giudizio stante l’interesse pubblico di ottenere una pronuncia definitiva in ordine alla legittimità del potere del Prefetto durante il rilascio dell’interdittiva antimafia. È l’orientamento seguito da diversi Tribunali amministrativi regionali i quali ritengono di dover definire il giudizio nel merito senza sospensione non individuando una norma né un motivo tale da impedire il prosieguo del giudizio, come sostenuto da una recentissima sentenza della III Sezione del 19 maggio 2022 n. 3973: “se la sussistenza di entrambi i requisiti legittimanti ex lege la misura sarebbe indispensabile nel momento applicativo della stessa, a diversa conclusione deve pervenirsi nella fase funzionale della sua vigenza, prestandosi essa ad assolvere alla sua funzione preventivo-risanatrice anche laddove il giudizio amministrativo di impugnazione si sia risolto in senso negativo per l’impresa ricorrente.” La sentenza appena richiamata limita la correlazione tra il giudizio d’impugnazione e la misura di prevenzione esclusivamente al momento genetico del controllo giudiziario, senza condizionarne la vigenza alla pendenza del giudizio impugnatorio. Pertanto, la pendenza del giudizio amministrativo non costituisce condizione risolutiva della misura del controllo, dovendosi allo stesso tempo escludere che la caducazione di quest’ultima costituisca una conseguenza immediata dell’eventuale esito negativo del giudizio annullatorio proposto contro l’interdittiva prefettizia. Non è possibile ipotizzare che la temporanea sospensione degli effetti interdittivi, ai sensi dell’art. 34 bis comma 7, possa sopravvivere alla definitività degli effetti determinata dall’eventuale giudicato amministrativo di rigetto perché il controllo è una misura provvisoria e legata alla pendenza del giudizio amministrativo, come è stato più volte puntualizzato dalla giurisprudenza della Cassazione, seppur una tale interpretazione vada a svuotare la ratio sottesa a questa misura di prevenzione nata allo scopo di permettere all’impresa di affrancarsi dal rischio infiltrativo anche solo occasionale sotto la vigilanza del Tribunale. Né si può ritenere che la nuova misura amministrativa di prevenzione collaborativa ex art. 94 bis possa essere sganciata dalla matrice processuale di ordine cautelare tipica invece del controllo giudiziario; non è possibile sostenere un’alterità tra le due misure, ma, al contrario, una loro contiguità dal momento che la prima cessa se il Tribunale dispone il controllo giudiziario e del suo periodo di esecuzione se ne terrà contro ai fini della determinazione della durata del controllo stesso.
Infine, il Collegio accenna anche all’indirizzo della recentissima sentenza n. 1219/2022 del TAR Sicilia – Catania, secondo la quale l’ammissione al controllo farebbe perdere automaticamente efficacia al provvedimento prefettizio. A parere della Sezione, però, anche tale indirizzo non appare condivisibile poiché postula un automatismo che non è previsto dalla legge né dalla natura dell’interdittiva stessa dato che spetta solo al Prefetto rivalutare il pericolo di inquinamento mafioso all’esito del controllo giudiziario. Pertanto, il provvedimento del Prefetto impugnato non perde efficacia in ragione della sola ammissione al controllo ex art. 34 bis, sussistendo l’interesse dell’impresa ad ottenere l’eventuale annullamento dell’interdittiva antimafia fino a quando non sopraggiunga una informazione a carattere liberatorio. Questo interesse permane anche a livello risarcitorio ai sensi dell’art. 34 comma 3
c.p.a. per il solo fatto che l’impresa, essendosi volontariamente sottoposta a controllo giudiziario, avrebbe accettato la legittimità del provvedimento interdittivo, dato che l’istanza ex art. 34 bis non implica alcun riconoscimento di questa legittimità e non esclude in radice l’esistenza di un eventuale fatto illecito dell’amministrazione nella valutazione dei rischi d’infiltrazione. Dovrebbe essere invece il giudice amministrativo, una volta sopraggiunto il nuovo provvedimento del Prefetto, a valutare se sia cessata del tutto la materia del contendere, dopo l’eventuale informativa liberatoria, o se non sussista l’interesse all’esame della domanda, quantomeno sotto il profilo risarcitorio, ai sensi dell’art. 34 comma 3 c.p.a., salvo poi valutare la risarcibilità del danno secondo tutti i criteri stabiliti anche dal codice del processo amministrativo.
Un’ultima riflessione viene svolta dal Collegio con riferimento alla sospensione – ai sensi dell’art. 79 comma 1 c.p.a. ed art. 295 c.p.c. a fronte dell’istanza ex art. 34 bis comma 6 – del giudizio relativo alle misure adottate dal Prefetto ai sensi dell’art. 32 comma 10 d.l. n. 90/2014. Secondo l’ordinanza, la giurisprudenza del Consiglio di Stato è concorde nell’affermare che questi strumenti garantiscano l’esecuzione degli appalti e neutralizzano il rischio derivante dall’infiltrazione criminale nelle imprese, introducendo un meccanismo di commissariamento. La gestione commissariale è volta a garantire l’interesse pubblico alla completa esecuzione dell’appalto ed anche ad evitare che dalla gestione del contratto derivi il pericolo di acquisizione illecita delle utilità in danno della pubblica amministrazione, configurandosi come uno strumento di autotutela contrattuale, trovando applicazione “limitatamente alla completa esecuzione del contratto o della concessione”. Questa forma di commissariamento
riguarda soltanto il contratto e non la governance dell’impresa e per questo si distingue dalle misure di prevenzione patrimoniali disposte dal Codice Antimafia. Il legislatore, però, non ha definito il rapporto tra la misura ex art. 32 comma 10 ed il controllo giudiziario: a tale mancanza suppliscono autorevoli studiosi i quali ritengono che il controllo giudiziario, sospendendo l’efficacia dell’informativa prefettizia, sospenda anche la misura del commissariamento prefettizio; il Ministero dell’Interno nella circolare n. 11001/119/20(8)-A del 22 marzo 2018 ha espresso l’avviso che, qualora il controllo giudiziario venga disposto dal magistrato perché ritenuto adeguato alle rilevate esigenze di prevenzione in relazione alla totalità dei rapporti economici facenti capo all’azienda, ciò “determini il venir meno della misura ex art. 32, del decreto- legge 90/2014, analogamente a quanto previsto dal comma 5 della medesima norma per il caso in cui siano applicate le confisca, il sequestro o l’amministrazione giudiziaria dell’impresa”. Tale interpretazione trova sostegno nella circostanza per cui al Prefetto sia conferito un potere conformativo e limitativo della libertà di iniziativa economica da esercitare nel rispetto del principio di proporzionalità, con la conseguenza che se il Tribunale ritenga di applicare il controllo giudiziario, allora non si potrebbe giustificare il mantenimento di una gestione separata. La prevalenza del controllo giudiziario trova ulteriore conferma dall’art. 94 bis comma 3 Codice Antimafia secondo cui le misure di prevenzione collaborativa “cessano di essere applicate se il tribunale dispone il controllo giudiziario di cui all’articolo 34-bis, comma 2, lettera b)”. Si ritiene allora che anche il giudice amministrativo dovrebbe sospendere il giudizio relativo alla legittimità di tali misure a seguito dell’istanza ex art. 34 bis, determinandosi una sospensione “a cascata”, prima degli effetti dell’informativa, poi delle misure prefettizie, fino al termine del controllo, salvo verifica della possibilità di applicare tali misure prefettizie per i contratti ancora in corso e finché il Prefetto non si determini ad emettere un’informativa liberatoria.
Il Collegio, in conclusione, rileva che la mancata sospensione del giudizio amministrativo in pendenza del procedimento del controllo giudiziario volontario ex art. 34 bis comma 6 Codice Antimafia può dare luogo anche in futuro a contrasti giurisprudenziali forieri di incertezze non solo nel rapporto tra giurisdizione amministrativa ed ordinaria, ma anche nell’applicazione della normativa antimafia e dei suoi istituti a presidio della legalità nell’esercizio dell’iniziativa economica privata ed imprenditoriale. Pertanto, ritiene di dover rimettere entrambi i ricorsi all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99 comma 1 c.p.a.
8. Conclusioni.
La necessità di rimettere la questione alla decisione dell’Adunanza Plenaria nasce dalla difficoltà di raccordare prevenzione amministrativa e prevenzione penale alla luce, da un lato, delle lacune o della poca chiarezza dell’attuale legislazione antimafia (che rischia anche di bypassare principi costituzionali indefettibili) e dall’altro, del contrasto sulla necessità o meno della sospensione del giudizio amministrativo in pendenza di istanza di controllo giudiziario ex art. 34 bis comma 6 Codice Antimafia. Le soluzioni che, a parere di chi scrive, appaiono prospettabili sono fondamentalmente due.
Una prima soluzione consentirebbe di soddisfare l’esigenza di correlare la durata del giudizio di impugnazione contro l’interdittiva alla durata del controllo giudiziario. L’esito sarebbe la sospensione del giudizio amministrativo, sì da addivenire ad una lettura unitaria e complessiva della situazione fattuale che interessa l’impresa colpita da interdittiva antimafia e ammessa, altresì, al controllo.
Una seconda, e opposta soluzione, invece, esalterebbe la tesi dell’autonomia dei procedimenti (penale e amministrativo[48]), tale per cui l’ammissione dell’impresa, destinataria dell’interdittiva antimafia, al controllo giudiziario volontario non impedirebbe la definizione senza ritardo del giudizio amministrativo sull’interdittiva[49]. In sostanza, i due procedimenti camminerebbero su binari paralleli, similmente a quanto già avviene nella giurisdizione penale, con riguardo al rapporto tra processo penale e misure di prevenzione. Il che andrebbe ad avvalorare le similitudini (invero esistenti) tra misure di prevenzione e interdittiva antimafia.
La soluzione cui addiverrà l’Adunanza Plenaria dipenderà, allora, dalla valorizzazione o meno del principio di autonomia processuale. Auspicabile sarebbe propendere per una soluzione che vada a privilegiare l’unitarietà della giurisdizione e l’unitarietà dell’analisi del fatto, sì da non consegnare al soggetto attinto dalla misura interdittiva soluzioni contraddittorie e finanche contrastanti, pur avendo ad oggetto fondamentalmente la medesima vicenda. Una siffatta soluzione massimizzerebbe le garanzie costituzionali, sì da dipanare definitivamente la nebbia intorno alla legittimità costituzionale delle misure interdittive.
Ad onor del vero, però, esiste un dato che appare comunque insormontabile: la lettera dell’art. 34 bis espressamente fa riferimento alla (sola) sospensione degli effetti ex art. 92 co. 2 e 94 D.lgs. 159/2011.
Ubi lex voluit dixit ubi noluit taquit.
[1] Per queste considerazioni, si veda P. ARLACCHI, La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, Milano, 2010, 17, il quale descrive, anche nel prosieguo del testo, questo processo di trasformazione delle mafie storiche in piattaforme finanziarie ed imprenditoriali
[2] Icastico sul punto G. FIANDACA, Criminalità organizzata e controllo penale, in Indice pen., 1991, 30-31, secondo il quale «il tema della criminalità organizzata presenta risvolti che vanno ben al di là della triplice prospettiva criminologica, penale e di polizia. In quanto fenomeno sotto diversi aspetti intrecciato – almeno nel nostro paese – col sistema politico e con l’economia legale, la lotta contro di esso ha implicazioni di natura politica, sociale, economica e culturale che mettono duramente alla prova, appunto, la portata e i limiti del controllo penale strettamente inteso».
[3] Si veda anche M. MAGRI “La “decriminalizzazione” dell’economia e dei pubblici uffici mediante poteri amministrativi discrezionali: uno sguardo di insieme” in Istituzioni del Federalismo, n. 1/2022, ove si legge: “che la capacità di metamorfosi delle mafie sia arrivata a un punto tale da richiedere un ripensamento qualitativo degli strumenti e non solo un potenziamento delle forze in campo, emerge già dal saggio di Nando Dalla Chiesa e Federica Cabras, che analizza «tendenze e prospettive» del fenomeno mafioso nel Nord Italia, là dove la presenza dei clan è tutt’altro che sradicata, ma, concludono gli Autori, non può più dirsi “rimossa” dall’immaginario collettivo”
[4] A. LEVATO, Potestà discrezionale del Prefetto e regime di impugnazione delle interdittive antimafia. Criticità e prospettive di risoluzione, in Culturaprofessionale.interno.gov.it, 2017, 4; in tal senso già U. CIMMINO, La nuova certificazione e le altre cautele antimafia, Palermo, 1995.
[5] Si veda sul punto “Focus in tema di informative antimafia” a cura di GIUSEPPE ARGENTO, ALDO CANNIZZARO, MARIA CAPUANA, MARIA CHIARA CASÀ, ANGELO DANIEL D’AGOSTINO, GIULIA GULLI, ROSALIA LINDA LO PICCOLO, CHIARA MODICA DE MOHAC, MARIA STELLA NOBILE, GIULIA VAJANA, LUIGI VINCIGUERRA, aggiornata al 30.07.2019 – Ufficio
Studi, massimario e formazione del Consiglio di Stato.
[6] È, quindi, un atto che corrisponde allo schema norma-potere-effetto.
[7] Per usare un eufemismo, è come se l’impresa – destinataria di una interdittiva antimafia – passasse a miglior vita, si suole, a tal proposito, parlare di “ergastolo imprenditoriale” (Cons. St. n. 758/2019).
[8] Cfr. ex multiis TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria, sent. n. 87 del 20.01.2023; TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria, sent. n. 88 del 20.01.2023; TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria, sent. n. 90 del 20.01.2023: “Questa Sezione ha già, ripetutamente, chiarito come l’interdittiva antimafia costituisca una misura preventiva che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che ne sono colpiti, che si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente e che è volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti con la Pubblica amministrazione. Per la sua natura cautelare e la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, l’interdittiva non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi, in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo occorre, pertanto, non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, ma soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata”.
[9] TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria, sent. n. 126 del 30.01.2023.
[10] Il riferimento è all’art. 84 del d.lgs. 159/2011.
[11] Cfr. TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria, sent. n. 137 del 02.02.2023 “Le situazioni, relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia sono descritte dall’art. 84 del D.lgs. n. 159/2011, il cui comma 4, lett. a) stabilisce che gli elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, sono desunti “da provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 603-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale…”, ovvero anche, ai sensi della lettera d) del medesimo comma, “dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell’interno…” Come emerge dalla lettura della citata disposizione, la commissione dei citati reati “spia” costituisce per legge indice sintomatico del pericolo attuale dell’infiltrazione mafiosa nella gestione dell’impresa. In altri termini, la norma contiene un catalogo di fattispecie da cui nell’ambito di una valutazione discrezionale – quale è quella che compete alla Prefettura – può essere desunto il tentativo di infiltrazione mafiosa dell’impresa.
[12] Cfr. TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria, sent. n. 88 del 20.01.2023.
[13]TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria, sent. n. 137 del 02.02.2023 “L’interdittiva antimafia può infatti legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, come nella vicenda all’esame, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’attività di impresa (cfr., Consiglio di Stato, sez. III, 2 gennaio 2020, n. 2). In tale ottica si è pertanto precisato che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari”.
[14] Si ricorda, sul punto, la sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016 del Consiglio di Stato, che ha “sistematizzato” e cercato di “tassativizzare” le situazioni indiziarie tratte dalle indicazioni legislative o dalla casistica giurisprudenziale che possono costituire altrettanti “indici” o “spie” dell’infiltrazione mafiosa.
[15] TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria, sent. n. 98 del 23.01.2023: se è pur vero che “i fatti sui quali si fonda l’interdittiva antimafia possono anche essere risalenti nel tempo”, è a tal fine indispensabile che essi “vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata… Per l’adozione dell’informativa antimafia interdittiva occorre [infatti] non la prova della attualità di singole concrete infiltrazioni mafiose o di specifici pregiudizi penali, bensì una visione d’insieme di una pluralità di elementi anche solo indiziari ma concordanti dai quali sia possibile dedurre, alla stregua di un giudizio probabilistico, un attuale e concreto rischio di ingerenza o di condizionamento da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose” (ex multis, Cons. St., sez. III, 14 luglio 2021, n. 4548). Nella medesima prospettiva si è ancora affermato che “l’interdittiva può fondarsi, oltre che su fatti recenti, anche su fatti più risalenti nel tempo, quando tuttavia dal complesso delle vicende esaminate, e sulla base degli indizi (anche più risalenti) raccolti, possa ritenersi sussistente un condizionamento attuale dell’attività dell’impresa. Se dall’esame dei fatti più recenti non esce confermata l’attualità del condizionamento, pur ipotizzabile sulla base dei fatti più risalenti, l’informativa deve essere annullata” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 giugno 2015, n. 3653).” Del medesimo avviso anche le sentenze n. 99/2023 e 100/2023 emesse sempre dal TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria.
[16] Si fa, in particolare, riferimento ai c.d. reati di pericolo concreto: si tratta, cioè, di quei reati dove – non l’autorità amministrativa, ma – l’autorità giudiziaria verifica in concreto la sussistenza della messa in pericolo del bene tutelato dalla norma penalistica. Per un’indagine sul punto si vedano le SU n. 12348/2020 in tema di coltivazione di stupefacenti, ovvero alla giurisprudenza sui reati di attentato, tra le quali si segnala la sentenza n. 46308/2012 con cui la Corte di Cassazione, Sez. VI penale, che si è pronunciata in tema di terrorismo internazionale ex art. 270-bis c.p.: «Il reato di cui all’art. 270 bis c.p. è un reato di pericolo, per la cui configurazione occorre, tuttavia, l’esistenza di una struttura organizzativa, anche elementare, che presenti un grado di effettività tale da rendere almeno possibile l’attuazione del progetto criminoso e tale da giustificare la valutazione di pericolosità».
[17] Per una più ampia disamina del rapporto tra l’interdittiva e il giudizio penale, specie il giudicato penale, si rinvia a R. ROLLI, M. MAGGIOLINI “Interdittiva antimafia e giudicato penale (nota a Consiglio di Stato sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1049)” in www.giustiziainsieme.it, 17 maggio 2021.
[18] Sez. III, 30 giugno 2020, n. 4168; 25 giugno 2020, n. 4091.
[19] Si veda per un approfondimento sul tema M. COCCONI “Il perimetro del diritto al contraddittorio nelle interdittive antimafia” in www.federalismi.it, n. 15 del 01.06.2022.
[20] Secondo tale orientamento, infatti, anche il principio del contraddittorio endo-procedimentale affonda le proprie radici nell’art. 41 CDFUE e, quindi, nel diritto ad una buona amministrazione. Peraltro il principio del contraddittorio attiene al catalogo dei principi del diritto UE (art. 6 par. 3 TUE). Nello specifico si veda TAR Puglia-Bari, sez. III, ord. 13 gennaio 2020 n. 28: “È sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale se la normativa nazionale in materia di informativa antimafia, nella parte in cui non prevede garanzie procedimentali, sia compatibile con il principio eurounitario del contraddittorio. Il dubbio nasce se si considerano gli effetti del provvedimento che, nonostante la veste amministrativa, è in grado di incidere in modo significativo sui diritti fondamentali della persona, primo fra tutti il diritto alla libertà d’impresa. Sorge allora spontaneo domandarsi se sia necessario garantire il contraddittorio procedimentale o, in alternativa, recuperare in sede di gravame le garanzie pretermesse nel procedimento innanzi all’autorità amministrativa, onde evitare un vero e proprio vuoto di garanzie per il destinatario del provvedimento”.
[21] Il principio del contradditorio garantisce il buon andamento perché la necessaria partecipazione del privato consente alla PA di acquisire documenti utili all’interesse finale, nell’ottica della maggiore corrispondenza dell’atto all’interesse. La mancanza del contraddittorio, quindi, contrasta con l’art. 97 Cost., perché non consente alla PA di valutare quegli elementi che solo il privato può fornire.
[22] Cons. di Stato, sez. III, sent. n. 2854 del 6 maggio 2020: “In materia di informativa antimafia l’audizione eventuale del soggetto interessato e l’invito a fornire informazioni, documenti o informazioni utili ai fini dell’istruttoria presuppongono una valutazione discrezionale dell’autorità preposta alla tutela della sicurezza pubblica in ordine all’utilità di detto contraddittorio procedimentale in seno ad un procedimento caratterizzato da speditezza, riservatezza ed urgenza, per evidenti ragioni di ordine pubblico, e finalizzato, per espressa previsione legislativa a prevenire eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese”.
[23] TAR Calabria – Sez. Reggio Calabria, sent. n. 55 del 09.01.2023 “È noto infatti che “sempre più spesso le associazioni a delinquere di stampo mafioso fanno ricorso a tecniche volte a paralizzare il potere prefettizio di adottare misure cautelari. Di fronte al “pericolo” dell’imminente informazione antimafia di cui abbiano avuto in qualche modo notizia o sentore [ovvero, come nel caso di specie, di fronte all’avvenuta adozione dell’interdittiva] reagiscono mutando sede legale, assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, cercando comunque di controllare i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni”(v. Cons. Stato, sez. III, 13 maggio 2020 n. 3030)”.
[24] Sul punto si richiama l’intero dibattito sulle sanzioni amministrative, sostanzialmente penali, e in particolare il noto caso Menarini (Corte EDU, Menarini Diagnostics c. Italia, Sez. II, 27 settembre 2011) e l’opinione dissenziente resa dal Giudice Pinto De Albuquerque, il quale ha osservato che il giudice amministrativo italiano non dispone “di alcun potere di controllo sulle valutazioni di merito fatte dall’amministrazione”; “la giurisdizione del giudice amministrativo, per quanto esclusiva, resta di legittimità e non incide sul merito”; il controllo giurisdizionale “è solo formale, perché non analizza il nucleo della motivazione della decisione amministrativa, vale a dire la valutazione tecnica dei fatti contestati al soggetto sanzionato”; “l’applicazione dei concetti giuridici fondamentali (come il mercato rilevante, l’abuso di posizione dominante e le intese che limitano la concorrenza) è effettivamente sottratta al controllo giurisdizionale”.
[25] “L’eventuale sacrifico di queste garanzie procedimentali e dei diritti di difesa, necessario e proporzionato rispetto al fine perseguito, è tuttavia compensato dal successivo sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto che, contrariamente a quanto assume parte della dottrina, è pieno ed effettivo, in termini di full jurisdiction, anche secondo il diritto convenzionale, perché non solo investe, sul piano della c.d. tassatività sostanziale, l’esistenza di fatti indicatori di eventuale infiltrazione mafiosa, posti dall’autorità prefettizia a base del provvedimento interdittivo, ma sindaca anche, sul piano della c.d. tassatività processuale, la prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa, nell’accezione, nuova e moderna, di una discrezionalità amministrativa declinata in questa delicata materia sotto l’aspetto del ragionamento probabilistico compiuto dall’amministrazione”. In questi termini Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758 e Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105.
[26] Cfr. R. ROLLI, M. MAGGIOLINI “Interdittiva antimafia e contraddittorio procedimentale (nota a Cons. Stato, sez. III, 10 agosto 2020 n. 4979” in www.giustiziainsieme.it, 19 novembre 2020.
[27] Specifica la norma, infatti, che il diritto al contraddittorio non viene garantito laddove ricorrano particolari esigenze di celerità e di segretezza del procedimento: è preclusa la comunicazione di elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare i procedimenti amministrativi o attività processuali in corso ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. Quindi quando la comunicazione di certi elementi può pregiudicare altri procedimenti amministrativi o ad attività processuali in corso, ovvero può recare pregiudizio ad altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose, la comunicazione di questi elementi è esclusa. Peraltro, occorre evidenziare che l’oggetto della comunicazione non è un oggetto totale, ma limitato, circoscritto a quelle circostanze che non vadano a pregiudicare la ratio di prevenzione dell’infiltrazione mafiosa.
[28] Come ricordato da R. ROLLI E M. MAGGIOLINI, “Interdittiva antimafia tra norme costituzionali, euro unitarie e internazionali pattizie (Nota a Consiglio di Stato, sez. III del 25 ottobre 2021, n. 7165), in www.giustiziainsieme.it 11 marzo 2022, si assiste “ad una presa di posizione fortemente auspicata. È pur vero però che ciò non può soddisfare pienamente chi desidera un sistema giusto e lontano dallo Stato della Paura. Negli ultimi anni, si è abusato di uno strumento che per sua natura sacrifica (talvolta in modo sproporzionato) diritti fondamentali del destinatario. Solo la proporzione è condizione di civiltà dell’azione amministrativa e pertanto bisogna allontanare ogni possibile ipotesi di riconduzione ad un sistema sciolto e fluido, seppur necessario al contrasto di organizzazioni mafiose che per natura sono mutevoli”.
[29] Non a caso, parte della dottrina ha sottolineato come l’informativa si trova al centro di un «crocevia di interessi di rilievo costituzionale e sovranazionale che essa mira a tutelare» (A. LEVATO, “Potestà discrezionale del Prefetto e regime di impugnazione delle interdittive antimafia. Criticità e prospettive di risoluzione”, in Culturaprofessionale.interno.gov.it, 2017, 4).
[30] F.G. SCOCA “Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata” in www.giustamm.it n. 6 del 2018.
[31] Si rammenti, sul punto, l’intero caso De Tommaso (Corte Edu, Grande Camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia), culminato con la sentenza della Corte Cost. n. 25/2019, con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 75, comma 2, del d.lgs. 159/2011, codice antimafia, nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni del vivere onestamente e di rispettare le leggi. In via consequenziale ha dichiarato altresì l’illegittimità costituzionale del comma 1 del medesimo articolo, nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni del vivere onestamente e di rispettare le leggi. Si veda anche G. AMARELLI “L’onda lunga della sentenza De Tommaso: ore contate per l’interdittiva antimafia “generica” ex art. 84, co. 4, lett. d) ed e) d.lgs. 159/2011?, in Diritto Penale Contemporaneo, 8 ottobre 2017.
[32] Per una puntuale ricognizione anche in chiave critica dell’intera tematica, si rinvia a A. LONGO, “La
«massima anticipazione di tutela». Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali” in www.federalismi.it, 16 ottobre 2019.
[33] In ossequio all’utilizzo degli c.d. criteri Engels, di matrice euro-unitaria, applicando i quali la Corte EDU è giunta a qualificare com quasi-penali i procedimenti svolti e le sanzioni applicate dall’Autorità per la concorrenza e il mercato e dalla Consob (Corte EDU, Grande Stevens c. Italia, 4 marzo 2014).
[34] F. SAITTA “Principio di legalità e pubblica amministrazione nello stato democratico”, Padova 1969.
[35] F.G. SCOCA “Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata” in www.giustamm.it n. 6 del 2018.
[36] Cfr. Cons. di Stato, Ord. di rimessione, n. 5615/2022.
[37] T. BENE “Tentativi di aggressione alle risorse pubbliche. Il rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia” in Diritto Penale Contemporaneo, n. 1/2022.
[38] Per una approfondita panoramica sui poteri cognitivi del giudice penale si rinvia a G. AMARELLI, “La Cassazione riduce i presupposti applicativi del controllo giudiziario volontario ed i poteri cognitivi del giudice ordinario”, in www.sistemapenale.it del 10 marzo 2022.
[39] Cfr. Cass., sez. un., 19 novembre 2019, n. 46898, in Sistema penale, n. 5, 2020; in precedenza cfr.
Cass., sez. V, 02 luglio 2018, n. 34526.
[40] Per un maggiore approfondimento dei presupposti, si rinvia a Cassazione, Sez V, sentenza n. 34526, 2 luglio 2018; Cfr. Tribunale Catanzaro 19 febbraio 2018, inedito in archiviodpc.dirittopenaleuomo.org. Per una maggiore e più puntuale disamina si rinvia a BRESCIA-CAVALIERE-MOTTURA “Amministrazione e controllo giudiziario”, Giuffrè, 2021.
[41] Cfr. Cons. di Stato, Ord. di rimessione, n. 5615/2022.
[42] Il rapporto di interdipendenza è vieppiù evidente se si osserva la vicenda dal lato prospettico dei poteri del Prefetto in pendenza della misura del controllo. Infatti, il Prefetto potrebbe valutare l’esito positivo del controllo giudiziario, quale sopravvenienza rilevante ai fini dell’aggiornamento e della rivalutazione dell’interdittiva prefettizia. È lo stesso Consiglio di Stato (da ultima Sez. III, 6 luglio 2022, n. 5615) ad affermare che “si potrebbe considerare sussistente un obbligo del Prefetto di provvedere sulla istanza di riesame, dovendo avere rilevanza la sopravvenienza tenuta in considerazione dal legislatore (la conclusione positiva del controllo giudiziario)”. All’inverso, dall’esito del controllo giudiziario non deriverebbe un vincolo per il Prefetto, il quale sarebbe libero di confermare il provvedimento interdittivo originario. Tale considerazione discende dal fatto che prevenzione amministrativa e prevenzione penale, seppur legate da un filo logico e pratico, hanno “campi di azione” completamente diversi, sia relativamente all’oggetto delle loro valutazioni sia agli elementi indiziari e conoscitivi a disposizione. Se si riconosce, da un lato, la rilevanza dell’esito positivo del controllo giudiziario come sopravvenienza ai fini della rivalutazione operata dal Prefetto, ma allo stesso tempo la libertà di quest’ultimo di riconfermare l’interdittiva originaria nell’ipotesi in cui ritenga ancora attuale il rischio infiltrativo, diventa necessario l’obbligo di motivazione del provvedimento confermativo per non risultare viziato da eccesso di potere, spiegando le motivazioni per le quali, nonostante la valutazione dell’amministratore giudiziario, il Prefetto ritenga ancora perdurante il pericolo di infiltrazione mafiosa. Inoltre, coinvolgere l’impresa nel procedimento di riesame dell’interdittiva potrebbe permettere al Prefetto di utilizzare anche gli elementi assunti nel corso del cosiddetto contraddittorio procedimentale ex art. 92 comma 2 bis Codice Antimafia.
[43] Si veda M.A. SANDULLI “Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziario” in www.giustiziainsieme.it del 10 maggio 2022.
[44] Si precisa che la medesima questione è stata oggetto anche di un’altra ordinanza di rimessione alla Adunanza Plenaria, n. 5615 del 6 luglio 2022, nella quale il Collegio ha formulato il seguente quesito di diritto: “se l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario, ai sensi dell’art. 34 bis, comma 6, del codice n. 159 del 2011, comporta che il giudice amministrativo – nel corso del giudizio di primo grado o di quello d’appello avente per oggetto la presupposta interdittiva antimafia – debba sospendere il giudizio, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., o debba rinviare l’udienza eventualmente già fissata”.
[45] Nelle more del giudizio, la Prefettura di Fermo aveva disposto la gestione straordinaria e temporanea ai sensi dell’art. 32 comma 10 d. l. 90/2014 con riferimento alla prosecuzione del contratto di appalto per i servizi di igiene urbana e degli altri contratti pubblici in corso di esecuzione.
[46] Punto 27 dell’ord. di rimessione n. 4578 del 6 giugno 2022.
[47] Così ancora, testualmente, Cons. St., sez. III, ord., 5 luglio 2021, n. 5134 nonché, ex plurimis, Cons. St., sez. III, ord., 20 ottobre 2021, n. 7039, Cons. St., sez. III, ord., 23 febbraio 2021, n. 1557, Cons. St., sez. III, ord., 10 luglio 2019, n. 4873, Cons. St., sez. III, ord., 31 luglio 2018, n. 4719.
[48] Cfr., Sezioni Unite, Sent. n. 46898 del 2019, che hanno sottolineato la diversità degli ambiti decisori del giudice amministrativo (quale giudice ‘dell’atto’ e dei fatti del passato) e del Tribunale di prevenzione (quale giudice della possibile ‘emenda’ dell’impresa coinvolta nella agevolazione occasionale).
[49] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 3973 del 19 maggio 2022, nella parte in cui afferma che “la connessione ricavabile dall’art. 34 bis co. 6 del codice tra il giudizio impugnatorio e il controllo giudiziario a domanda opera esclusivamente (nel) momento genetico-applicativo di quest’ultim(o), senza espressamente condizionarne la vigenza alla perdurante pendenza del primo”.