1.1. Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale della responsabilità sanitaria.
Nel lodevole tentativo di apprestare una più efficace tutela a favore del cittadino rimasto vittima di un trattamento sanitario inappropriato, le Corti hanno cominciato con l’affermare che sarebbe da ricondurre nell’ambito contrattuale, e non già di quella extracontrattuale, la responsabilità non solo del soggetto con cui il paziente abbia stipulato un vero e proprio contratto (di spedalità e/o di prestazione di opera professionale), ma anche – in forza del principio del c.d. contatto sociale – quella di chi un tale contratto, in realtà, non abbia mai concluso (si pensi, ad es., al medico o all’infermiere che opera all’interno della struttura sanitaria, con la quale ultima soltanto il paziente ha perfezionato un contratto di assistenza sanitaria: fra le tante Cass. 22 gennaio 1999, n. 589; Corte di Cassazione, Sez. 2, Ordinanza n. 29711 del 29/12/2020 – La cosiddetta responsabilità “da contatto sociale”, soggetta alle regole della responsabilità contrattuale, pur in assenza d’un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, è configurabile non in ogni ipotesi in cui taluno, nell’eseguire un incarico conferitogli da altri, nuoccia a terzi, come conseguenza riflessa dell’attività così espletata, ma soltanto quando il danno sia derivato dalla violazione di una precisa regola di condotta, imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell’attività svolta dal danneggiante, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità si individui nel riferimento dell’art. 1173 c.c. agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico –); con conseguenti allungamento da 5 a 10 anni del termine prescrizionale della pretesa risarcitoria, ed esonero del paziente dall’onere di fornire la prova della specifica condotta dannosa ascritta all’operatore sanitario, così come del fatto che la stessa sia a quest’ultimo imputabile a titolo di dolo o di colpa; in pratica, ribaltando sulla controparte professionale la dimostrazione dell’inesistenza di un errore medico o del fatto che, comunque, esso non dipende da suo dolo o colpa.
Nella medesima direzione, la giurisprudenza si è altresì mossa per alleggerire l’onere della prova, pur sempre gravante sul paziente, del nesso di causalità fra condotta dell’operatore sanitario ed alterazione negativa delle sue condizioni di salute; ampliare significativamente il novero delle condotte esigibili dall’esercente la professione sanitaria, la cui implicazione implica sua responsabilità (ordinanza numero 14702.2021, III Sezione civile della Corte di Cassazione, pubblicata il 26.05.2021); all’obbligo di previamente acquisire dal paziente il c.d. consenso informato al trattamento preposto: obblighi dal legislatore espressamente previsti solo con la legge 22 dicembre 2017, n. 2019 (Cassazione sez. III civ. – 25/03/2021 pubbl. 7/10/2021 n.27268); innalzare sensibilmente l’asticella della diligenza e della perizia richieste all’operatore sanitario – ex art. 1176, comma 2, c.c. – (Sentenza Cassazione Civile n. 11208 del 09/05/2017); drasticamente ridimensionare le possibilità applicative del regime di “favore”, per il professionista, contemplato nell’art. 2236 c.c., secondo cui quest’ultimo risponde solo per dolo e colpa grave, ove la prestazione richiesta implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (Corte di Cassazione sentenza n. 4905/2022); incrementare non marginalmente l’ammontare degli importi liquidati, a titolo risarcitorio, a favore della vittima di episodi di malasanità (Cass. civ., Sez. VI, 24 gennaio 2020, ordinanza n. 1637; Cass. civ., Sez. III, 19 maggio 2020, n. 9194).
Siffatta rivisitazione giurisprudenziale delle regole applicabili in tema di responsabilità sanitaria ha determinato l’esplosione del contenzioso in materia; il manifestarsi, all’interno della classe medica, di un crescente disagio di fronte al progressivo innalzamento del rischio professionale, che certo non giova a quell’alleanza terapeutica, che invece dovrebbe caratterizzare il rapporto medico/paziente; il ricorso massiccio alla copertura assicurativa, cui ha fatto riscontro, da un lato, una vera e propria fuga delle compagnie dal ramo della responsabilità civile sanitaria e, da altro lato, il sensibile incremento dei premi richiesti; il dilagare della prassi della c.d. medicina difensiva: prassi, quest’ultima, che si calcola incida oggi nella misura di oltre il 10% sull’ammontare complessivo della spesa sanitaria pubblica.
1.2 Disposizioni principali della Legge Gelli – Bianco(L. 08.03.2017, n. 24).
Al fine di arginare siffatte conseguenze negative dell’evoluzione giurisprudenziale – pur senza abbassare il livello di tutela riservato al paziente – è ora intervenuta la L. 8 marzo 2017, n. 24 (Legge Gelli-Bianco), la quale si basa sui seguenti principi:
1) La sicurezza delle cure
La sicurezza delle cure è la parte costitutiva del diritto alla salute, con la conseguenza che le strutture sanitarie e socio-sanitarie e le S.S.N. debbono porre in essere tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie, cui, all’interno di ciascuna struttura, deve concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che operano (art. 1 L. 24/2017; artt. 2, comma 4 , e 3 L. 24/2017): l’idea di fondo è che, se l’errore umano è inevitabile, l’incidente spesso si verifica quando l’azione del singolo non trova argine e rimedio nel modello organizzativo che ciascuna struttura deve adottare al fine di prevenire e limitare il rischio;
2) Il doppio binario della responsabilità sanitaria
La struttura, non importa se pubblica o privata, continua, come in passato, a rispondere, nei confronti dell’assistito, a titolo contrattuale sia per le condotte proprie – ad es. per inadeguatezza dell’ambiente ospedaliero, carenza nella strumentazione tecnologica necessaria al trattamento eseguito, ecc. – sia (ex art. 1228 c.c.) per le condotte dolose o colpose poste in essere dagli esercenti le professioni sanitarie che, quand’anche non dipendenti o addirittura scelti dal paziente, comunque operano nel suo interno – art. 7, commi 1 e 2, L. 24/2017 – (Cassazione civile, sez. III, sentenza 07/03/2019 n° 6593); quest’ultimi rispondono invece, nei confronti del paziente, a titolo extracontrattuale, salvo che con lo stesso abbiano stipulato un contratto di prestazione d’opera professionale (art. 7, comma 3, L. n. 24/2017): il che dovrebbe comportare uno spostamento, a carico del paziente che intenda agire direttamente nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, dell’onere della probatorio della condotta dannosa di cui si afferma vittima e della sua imputabilità all’operatore a titolo di dolo o colpa (Cassazione civile sez. III, 27/09/2021, n.26118; Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, n.25288);
3) Le linee guida
Nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, gli esercenti le professioni sanitarie debbono attenersi – salve le specificità del caso concreto – alla raccomandazioni previste nelle linee guida (art. 5 L. n. 24/2017; D.M. 27 febbraio 2018); in assenza di linee guida ufficiali, gli esercenti le professioni sanitarie devono attenersi alle buone pratiche clinico – assistenziali, ex art. 5, comma 1, L. n. 24/2017 (Cassazione Civile – Sez. III – Sentenza n. 10050/2022);
4) La quantificazione del risarcimento
In deroga al generale principio secondo cui il risarcimento, a prescindere dal fatto che la condotta dell’agente sia caratterizzata da dolo o colpa, consiste in una riparazione integrale del danno sofferto dalla vittima, il giudice, in sede di riparazione integrale del risarcimento dovuto dall’operatore sanitario, dovrà invece tener conto – ai fini di un suo eventuale contenimento – del fatto che, nel proprio agere, lo stesso si sia attenuto o meno alla raccomandazione previste nelle soprammenzionate linee guida, sempre che le stesse risultino adeguate alle specificità del caso concreto (art. 6, comma 1, L. n. 24/2017), ovvero, in mancanza, alle buone pratiche clinico-assistenziali (art. 7, comma 3, L. n. 24/2017) -Corte di Cassazione sentenza n. 47748/2018 -;
5) La copertura assicurativa – Azione diretta e diritto di rivalsa
A tutela sia del paziente danneggiato (che vede così ridursi il rischio che rimangano insoddisfatte le proprie ragioni risarcitorie), sia dell’operatore sanitario (che così trasferisce sulle compagnia di assicurazione i rischi intrinseci ad una attività socialmente utile), le strutture sanitarie (pubbliche e private) sono obbligate a munirsi di idonea copertura assicurativa – o di altre analoghe misure –per la responsabilità civile verso terzi, anche per danni cagionati dal personale presso le stesse a qualunque titolo operante (art. 10, comma 1, L. n. 24/2017); così come obbligati a munirsi di idonea copertura assicurativa sono altresì tutti gli esercenti la professione sanitaria, sia che la svolgano all’interno di strutture pubbliche e private, sia che la svolgano al di fuori di esse (art. 10, commi 2 e 3, L. n. 24/2017).
La vittima di un episodio di malasanità può, per il risarcimento del danno sofferto, agire direttamente – c.d. azione diretta –nei confronti della compagnia dell’assicurazione (art.12, comma 1, L. n. 24/2017), che, di regola, ha diritto di rivalsa nei confronti dell’assicurato (art. 12, comma 3, L. 24/2017).
La struttura sanitaria, che abbia risarcito il danno sofferto dalla vittima di malpractice, ha si diritto di rivalsa nei confronti dell’esercente la condotta lesiva, ma solo in caso di suo dolo o colpa grave (e non, quindi, in caso di colpa lieve o lievissima – art. 9, comma 1, L. n. 24/2017); per di più, in caso di colpa grave, nel limite del triplo del maggior valore fra il reddito professionale conseguito dall’operatore sanitario nell’anno in cui si colloca la condotta lesiva e quelli conseguiti negli anni immediatamente precedente o successivo (art. 9, commi 5 e 6, L. n. 24/2017).
L’azione di rivalsa può essere esercitata dalla struttura solo dopo aver concretamente provveduto al risarcimento a favore del paziente e, a pena di decadenza, entro un anno dall’avvenuto pagamento (art. 9, comma 2, L. n. 24/2017)– Cassazione Civile, 11 novembre 2019, n. 28987; resp. Civile e Previdenza, 2020, 1, 222 ss; Cassazione Civile, 14 maggio 2021, n. 12158; Cassazione Civile n. 28987/2019;
6) Il concorso della struttura sanitaria
Al fine della quantificazione di quanto dovuto, in sede di rivalsa (rectius, in sede di responsabilità amministrativa), dall’esercente la professione sanitaria operante all’interno di una struttura pubblica, si dovrà tenere altresì conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o socio-sanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato (art. , comma 5, L. n. 24/2017); e ciò in quanto il singolo episodio di malasanità è sovente frutto concorso dell’errore umano con cause rappresentate da lacune/deficienze del sistema sanitario, che dovrà, quindi, sopportarne le relative conseguenze.
7) Il fondo di garanzia
Viene infine istituito, presso il Ministero della Salute, un Fondo di Garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria, destinato al risarcimento dei danni conseguenti a malpractice, in caso di mancata copertura assicurativa degli stessi (o di insolvenza dell’impresa assicuratrice), così come nel caso in cui il danno risulti di importo eccedente rispetto ai massimali previsti dai relativi contratti di assicurazione (art. 14 L. n. 24/2017).
1.3 Considerazioni sugli obiettivi della L. n. 24/2017 e risultati conseguiti.
L’aspettativa principale perseguita dalla Legge Gelli – Bianco è – fermo il livello di tutela assicurato al paziente – quella di incentivare quest’ultimo ad agire, ove si ritenga vittima di un episodio di malpractice, contro la struttura sanitaria o socio-sanitaria (cioè, contro il soggetto che meglio è in grado di prevenire, gestire e sopportare il rischio) e/o la relativa compagnia di assicurazione, piuttosto che direttamente nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, che, ma solo in ipotesi di dolo e colpa grave, potrà poi subire l’azione di rivalsa, ma, quantomeno in ipotesi di colpa grave con marginalilimitazioni quantitative, per le quali avrà comunque stipulato idonea polizza assicurativa a condizioni di premio sostenibili.
Il ritardo fatto registrare nell’emanazione di molti decreti attuativi previsti dalla L. n. 2472017 rischia seriamente di comprometterne il successo: si pensi, giusto per fare un esempio, che, ad oggi, ancora non è possibile l’azione diretta di cui si è detto sopra, la cui operatività è dall’art. 12, comma 6, L. n. 24/2017, espressamente condizionata all’entrata in vigore di un decreto ministeriale che avrebbe dovuto essere emanato entro fine luglio 2017 e che, invece, ad oggi ancora non esiste.
Ad ogni odo, un quadro ampio ed articolato delle regole operative in tema di responsabilità sanitaria (e non solo) è stato da ultimo tracciato – nell’esercizio della propria funzione nomofilattica – dal giudice di legittimità attraverso dieci sentenze contestualmente depositate in data 11 novembre 2019, nn. 28985 – 28994.
1.4 Esigenza di una rivisitazione legislativa in tema di responsabilità sanitaria nel settore civile e penale.
Nel mese di Aprile del 2023 l’attuale Ministro della Giustizia ha istituito un commissione di studi e di valutazione sulla attuale legislazione sulla colpa medica, probabilmente anche a seguito delle mancanzeoperative riscontrate nell’attuazione della citata Legge Gelli-Bianco.
La principale direttiva dei lavori affidati alla commissione è quella di cercare di tutelare insieme il paziente e il medico, riducendo le attuali criticità. Il malato è la prima vittima della medicina difensiva, diventata una zavorra per l’operatore sanitario, che ha il diritto di lavorare con tranquillità, e per il malato, che ha il diritto di non essere sottoposto ad esami inutili e costosi, solo perché il medico pensa così di difendersi da possibili aggressioni giudiziarie. L’obiettivo del collegio sarà quello di analizzare l’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, in cui si iscrive la responsabilità colposa sanitaria, per discuterne limiti e criticità e proporre – come stabilito nel decreto ministeriale – un dibattito in materia di possibili prospettive di riforma.Il lavoro di questa commissione sarà “uno strumento, per successivi interventi normativi volti a ridurre le criticità”, conferma il Guardasigilli, che assicura l’“estrema attenzione del Ministero” verso questa professione, per “la sua rilevanza sulla salute dei cittadini e sulle finanze pubbliche”.
“Se è impensabile una depenalizzazione – chiarisce il Ministro della Giustizia – si può ridurre la possibilità di aggredire gli operatori sanitari con denunce e cause civili: il paziente è il primo interessato ad avere un medico che operi in serenità”.
Un concetto ripreso dal Presidente della Commissione, dott. Adelchi d’Ippolito – ex magistrato del pubblico ministero -, che ribadisce la necessità di “individuare un punto di equilibrio, per garantire al paziente una piena tutela e assicurare al medico tranquillità e serenità nell’esercizio della sua professione: il paziente deve accostarsi alle strutture mediche con fiducia. Un medico preoccupato farebbe o troppo o troppo poco”.Ed ancora, “si può ridurre l’area penale, necessario lavorare anche sulla prevenzione”, aggiunge il Viceministro alla Giustizia.
Sono queste le tematiche principali su cui si muoveranno i membri della commissione nominata ad hoc per cercare di riformare, una volta per tutte, in tutti i suoi settori, la delicata materia della responsabilità sanitaria, la quale, ancora aggi, nonostante i recenti interventi legislativi, la Legge Balduzzi prima, e la Legge Gelli-Bianco poi, sembra non aver trovato una definizione sistematica razionale ed organica, con la conseguenza che, spesso, l’operatore di giustizia, nelle fattispecie concrete in cui si imbatte professionalmente,riscontra la presenza di spazi vuoti lasciati alla libera interpretazione della giurisprudenza, spesso chiamata ad intervenire sullecarenze normative e/o attuative di leggi giàesistenti.
Autore:
Avv. Pierluigi Crusco– dottore di ricerca in sanità pubblica Università Sapienza di Roma – Patrocinante in Cassazione e nelle altre Giurisdizioni Superiori.