Di Alessandro Amaolo

La “denuncia da parte di privati” situata nel Titolo II del C.p.p. “Notizia di reato” (art. 333 c.p.p.), è lo strumento giuridico mediante il quale un soggetto privato pone a conoscenza l’Autorità Giudiziaria della commissione di un reato. I casi in cui il privato cittadino ha questo obbligo sono limitati e sono in massima parte individuati da norme penali del codice oppure da leggi speciali. Su questo punto ritengo opportuno esplicitare che il privato cittadino ha l’obbligo di presentare denuncia quando è venuto a conoscenza del fatto che il denaro o le cose ricevute provengono da delitto (c.p. 709 – Omessa denuncia di cose provenienti da delitto). In sintesi, in questo caso, l’avviso all’Autorità deve essere dato, senza indugio, dopo che il privato sia venuto a conoscenza della sicura provenienza illecita dei beni.
Inoltre, sussiste un altro preciso obbligo di denuncia da parte di privati allorquando abbiano avuto notizia che all’interno della propria abitazione si trovano delle materie esplodenti (art. 679 c.p.).
Nondimeno, il privato cittadino ha una specifico obbligo di denuncia allorquando ha percepito la notizia della commissione del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione (Legge 15 marzo nr 82 del 1991).
Altra specifica ipotesi ove esiste un preciso obbligo di denuncia per il privato ricorre ogni qual volta ciascun cittadino è stato sottoposto al delitto di furto di armi ed esplosivi (Legge 18 aprile 1975 nr 110).
Può essere sporta oralmente dinnanzi all’Ufficiale di Polizia Giudiziaria, il quale stilerà il verbale di denuncia, sottoscritto dal denunciante, oppure inoltrata per iscritto alla Polizia Giudiziaria o alla Procura della Repubblica territorialmente competente.
Inoltre, un altro obbligo di denuncia per il cittadino si configura quando si è avuta notizia della commissione di un delitto contro la personalità dello Stato per cui è prevista la pena dell’ergastolo.
La denuncia non necessità di specifiche formalità e consiste semplicemente nell’esposizione dei fatti che si intende denunciare, indicando eventualmente il nome della persona che si considera responsabile. Inoltre, il denunciante ha il diritto di ottenere una ricevuta della denuncia dall’autorità , polizia giudiziaria o pubblico ministero, che l’ha raccolta.
In tema di formalità della querela la previsione che questa sia proposta, con le forme previste dall’art. 333, comma secondo c.p.p. alle stesse autorità alle quali può essere presentata denuncia, non comporta l’obbligo di materiale presentazione nelle mani del pubblico ministero, il cui ufficio è costituito anche da personale di segreteria, che, per legge, ha propri compiti di registrazione di atti e di certificazione di attività che si compiono nell’ufficio medesimo (Cassazione penale, sezione V, sentenza 20 aprile 2000, n. 1697).
E’ bene specificare che nell’ipotesi di querela recapitata per posta la sottoscrizione dell’atto è condizione ineludibile di validità sotto il profilo dell’identificazione del querelante. (Cassazione penale, sezione V, sentenza 4 febbraio 2000, n 5668). Pertanto, in aderenza al predetto principio la Corte ha escluso l’esistenza dei requisiti di validità nel caso di timbro apposto in calce all’atto di querela recante la dizione “visto per la ricezione della presente denunzia” e firmata da un ufficiale di polizia giudiziaria.
In sintesi, il privato che intende denunciare un fatto – reato deve, necessariamente, sottoscrivere l’atto come requisito di forma essenziale per la sua stessa validità giuridica. In particolare, l’azione penale non può utilmente essere iniziata allorquando l’atto non sia stato sottoscritto dal privato – denunciante. Sul punto riporto la sentenza della Cassazione penale, sezione V, del 07 settembre 1994, n. 9704 che in un caso di querela non sottoscritta ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna ritenendo che l’azione penale non potesse essere iniziata.
In questo contesto, inserisco una interessante sentenza della Cassazione penale, sezione V, 19 aprile 2007, n. 15797 che ha stabilito il seguente principio di diritto: “La ricezione dell’atto di querela da parte di un ufficiale (e non di un agente) di polizia giudiziaria è prevista dal combinato disposto degli artt. 333 e 337 c.p.p. non quale condizione di validità dell’atto medesimo ma soltanto ai fini della garanzia della sua effettiva provenienza da soggetto legittimato”. Ciò sta a significare che nella predetta ipotesi, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto valida la querela ricevuta da un agente di polizia giudiziaria e poi trasmessa alla procura della Repubblica da un ufficiale di polizia giudiziaria, ex comma quarto del citato art. 337 c.p.p. Ancora su quest’ultimo aspetto, segnalo anche la sentenza della Cassazione penale, sezione V, 29 aprile 2008, n. 17449 che ha sancito quanto segue: “E’ valida la querela presentata ad un agente, anziché ad un ufficiale di polizia giudiziaria, come previsto dall’art. 333, comma secondo, richiamato dall’art. 337, comma primo, c.p.p., in quanto, ai fini di tale previsione è sufficiente che la querela sia presentata ad un ufficio posto sotto il comando di un ufficiale di polizia giudiziaria, a nulla rilevando che l’atto sia, invece, materialmente ricevuto da un semplice agente, posto che, in tal caso, si presume che l’inoltro all’autorità giudiziaria avvenga, comunque, a cura dell’ufficiale di P.G. che dirige l’Ufficio; inoltre, tale formalità non è prevista dalle surrichiamate disposizioni a pena di invalidità dell’atto di querela ma solo ai fini di garanzia della sua effettiva provenienza da soggetto legittimato”.
In conclusione, si può giustamente dichiarare che a differenza di quanto accade per i pubblici ufficiali e per gli incaricati di un pubblico servizio, la denuncia dei privati è, generalmente, meramente facoltativa.