di LUIGI DE ROSE

PRESENTAZIONE

In un contesto storico caratterizzato dalle criticità causate dall’ondata pandemica COVID-19 e con particolare riguardo gli effetti economici e sociali che la medesima ha comportato, il Governo Italiano ha inteso promuovere la ripresa economica del Paese accelerando le procedure di azione di spesa del personale della pubblica amministrazione. Mediante il D.L.16 Luglio 2020, convertito con L. 120 dell’11.09.2020, infatti, il legislatore ha inteso alleggerire le responsabilità degli organi della P.A. attraverso l’introduzione di importanti modifiche in ordine alle eventuali responsabilità erariali nonchè penali di questi ultimi nell’esercizio del potere di impiego di capitale pubblico. In particolare, concentrandoci sull’importante modifica delle responsabilità penali attuata per mezzo del decreto de quo, tali correttivi hanno riguardato il delitto di abuso di ufficio, attraverso la sostituzione nel testo dell’art. 323 c.p. della locuzione “violazione di legge o di regolamento” con quella “violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Non vi è dubbio che l’intervento legislativo apportato dal decreto in questione rappresenti un importantissimo risultato in merito al superamento della necessità di una tipicizzazione del fatto punibile ex art. 323 c.p.; la nuova disciplina, difatti, ha determinato importanti conseguenze rispetto alle possibili interpretazioni sin ora previste di un precetto connotato dalle caratteristiche della cd norma penale in bianco e ,pertanto, estremamente generico. Ne discende oltre che una maggiore tipicità del fatto, attraverso la eliminazione dei regolamenti dal contesto normativo la cui infrazione legittimava una imputazione per il reato di abuso d’ufficio, anche una ragguardevole specificazione dove si specifica che le norme passibili di essere violate sono solo quelle contenenti regole di condotte dalle quali non residuino margini di discrezionalità.

Fermo restando la riconosciuta importanza, nonché riconoscendo la propensione sin qui dimostrata dal legislatore ad indicare un certo grado di tipicità del fatto punibile, tali modifiche si collocano in quel lungo percorso attraversato dall’art. 323 c.p. alla continua ricerca di maggior determinatezza, che, nonostante abbia ricevuto aspre critiche dalla dottrina prevalente, sembra giungere ad una soluzione ampiamente soddisfacente al fine di conciliare un percorso di sburocratizzazione amministrativa ed al contempo volto a tutelare la cosa pubblica da comportamenti connotati da mala gestio da parte dei Pubblici Uffici.

Sommario

  1. Le ragioni della riforma. 2. Art. 323 c.p. dalla “violazione di legge o di regolamento” alle specifiche regole di comportamento. Effetti pratici e successione di leggi penali nel tempo . 3. Conclusioni

              1. Le ragioni della riforma

Gli effetti economici correlati all’emergenza pandemica da Covid-19 e la prospettiva di agevolare le azioni di spesa previste dal PNRR al fine di intraprendere un percorso economico di ripresa, hanno indotto il Governo ad attuare una serie di interventi  (D.L. 16 Luglio 2020, convertito con L. 120 dell’11.09.2020) volti a semplificare i procedimenti amministrativi, eliminare e velocizzare gli adempimenti burocratici, nonchè al sostegno della green economy  e all’incentivo dell’ attività di impresa.

In particolare, il legislatore, consapevole del peso burocratico e delle tante  possibili profilazioni di natura penale che gravano sui pubblici dirigenti e funzionari nell’esercizio dell’iter amministrativo, ha inteso promuovere l’attuazione del piano di ripresa economica del Paese rendendo più snelle le procedure di spesa da parte dei pubblici funzionari.
Ante riforma, il peso delle responsabiltà degli organi della P.A. contraddistingueva, in molteplici occasioni, uno stato di inerzia – cd paura di firma- tale da ingessare i procedimenti amministrativi nelle stanze dei pubblici uffici per notevoli lassi temporali. La riforma del 2020 si concentra principalmente su due aspetti principali:

  • La responsabilità erariale in capo al pubblico funzionario;
  • Le responsabilità penali ascrivibili agli organi della P.A. nell’esercizio dell’azione di spesa.

Quanto al primo aspetto, l’art. 21 del D.L. 76 del 2020 interviene direttamente a modifica dell’art. 1 della L. 20/1994 il quale, disponeva rilevanza di responsabilità erariale ai “fatti o omissioni commessi con colpa grave o dolo”, riducendolo alla  “ (…) la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso” e “ (…) la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta”, con l’ulteriore precisazione per cui “ La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente ” (1). Stando alla nuova fisionomia della materia, non basta la consapevole violazione degli obblighi contrattuali, ma è espressamente richiesta la prova della volontà dell’evento dannoso; è, poi, solo a titolo di dolo l’imputazione della responsabilità amministrativa, con la sola eccezione delle condotte omissive, per le quali si continua a rispondere anche a titolo di colpa grave. Mentre la previsione che espunge la colpa grave con riguardo alle condotte attive è temporalmente circoscritta, siccome destinata a durare dall’entrata in vigore del decreto legge sino al 31 dicembre 2021, il primo comma dell’art. 21, sul regime probatorio del dolo contabile, incide in via definitiva sull’assetto della l. n. 20/1994. Dalla presente modifica si evincono , quindi, due aspetti pratici: da un lato l’appesantimento dell’onere probatorio che le procure contabili dovranno assolvere con conseguente superamento della impostazione propria di una parte della giurisdizione erariale per cui  per la dimostrazione del dolo è richiesta la sua configurabilità rispetto alla condotta e non all’evento ( In caso di inerzia o di omissione, però, si continuerà a rispondere sia a titolo di dolo che di colpa grave e la limitazione di responsabilità non opererà). In sostanza fino a giugno 2023 la responsabilità erariale viene limitata ai soli casi di dolo, tranne i casi di omissione o inerzia per cui si continua a rispondere anche a titolo di colpa grave.
La ratio sottesa a tale modifica è che vada perseguito con maggiore severità chi non agisce per inerzia o negligenza, bloccando la spesa pubblica e l’apertura dei cantieri, rispetto a chi compie azioni anche se con errori formali. L’intento della norma è quello di rimuovere la c.d. “paura della firma”, ossia l’inerzia degli amministratori dettata dal timore che vengano successivamente rilevate responsabilità a loro carico. Di diverso avviso sul punto è però la Corte dei Conti che in una nota successiva all’approvazione del decreto ha evidenziato come, dati alla mano, tale intervento normativo si traduca in una sostanziale patente di impunità, a fronte di una giurisprudenza che già oggi è estremamente selettiva nei comportamenti sanzionati.  I requisiti per configurare una colpa grave sono infatti già ora molto stringenti: fattispecie di intensa negligenza, sprezzante trascuratezza dei propri doveri, grave disinteresse nell’espletazione delle proprie funzioni. Secondo la Corte dei Conti, in definitiva, eliminando la colpa grave non si accelera nulla e, diversamente, la cosiddetta paura della firma andrebbe combattuta rendendo più chiare le leggi. Il secondo effetto è che anche nell’ambito delle violazioni di legge è necessaria una violazione di specifiche ed espresse regole di condotta, escludendo così dal reato di abuso d’ufficio i casi di violazione dei principi generali. Infine, sono rese rilevanti solo le disposizioni legislative in relazione alle quali non residuino margini di discrezionalità. Sono così escluse dal reato quelle condotte contraddistinte da un eccesso di potere che ricorre quando nei provvedimenti discrezionali il potere viene esercitato per un fine diverso da quello per cui è attribuito. In conclusione viene di molto ridotto il raggio d’azione dell’abuso d’ufficio, limitando questa fattispecie di reato soltanto alla violazione delle regole di condotta espressamente previste dalla legge, senza margini di discrezionalità, e non più anche dai regolamenti.
Anche in questo caso lo scopo è di superare l’asserita “sindrome della firma” in capo ai funzionari pubblici. A questo punto, appare opportuno precisare che l’esigenza di riforma, non è semplicemente intesa a diminuire la portata interpretativa della norma, non è rivolta ad una ricercata deminutio della valenza dell’istituto dell’abuso d’ufficio ma piuttosto verso una più concreta interpretazione di precetto sin ora troppo poco tipicizzato, i cui effetti pratico processuali sarebbero dimostrati dalla grande differenza tra i procedimenti penali avviati e le scarse sentenze di condanna (2); l’importanza dei riscontri casistici, secondo cui metà dei procedimenti penali si chiude con una sentenza di assoluzione già in primo grado, sarebbe causata proprio da una incertezza interpretativa della fattispecie che colpisce sia il pubblico funzionario all’atto della scelta ponderata del comportamento da tenere, sia gli organi della Magistratura durante le indagini preliminari, per poi ripercuotersi nel giudizio di responsabilità finale, con sentenza di assoluzione.

2. Art. 323 c.p. dalla “violazione di legge o di regolamento” alle specifiche regole di comportamento. Effetti pratici e successione di leggi penali nel tempo.

Per ciò che attiene i risvolti, le incidenze in abito penale apportate dal D.L. semplificazioni la più rilevante innovazione apportata è rappresentata dalla modifica testuale del precetto dell’art. 323 c.p. in cui la locuzione “violazione di legge o di regolamento” viene sostituita con quella “violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

La fattispecie astratta, cioè il divieto di compiere una determinata azione contemplata dal codice penale, nel caso che ci occupa, subisce pertanto, una limitazione mediante la materiale espunzione dei regolamenti  nonché una importante specificazione indicando come la violazione di norme oggetto di sanzione penale sono solo quelle contenenti regole di condotte senza margini di discrezionalità. In sostanza, con la nuova formulazione dell’articolo 323 c.p., sono punibili solamente le violazioni di regole di condotta contenute in norme di rango primario (leggi o atti aventi forza di legge) e non più in trasgressione di regolamenti e, comunque, non sono punibili quelle condotte laddove esse siano espressioni di discrezionalità tecnica da parte di chi ha posto in essere quei comportamenti. Ciò significa che non è sindacabile in sede penale quell’elemento di valutazione, espressione di un giudizio tecnico, che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio abbia dovuto esprimere nell’ambito di una procedura selettiva pubblica non essendoci violazione di legge penale laddove le regole di condotta consentano al funzionario di agire in un contesto di discrezionalità. Orbene la presente evoluzione normativa implica un notevole ridimensionamento dell’ambito applicativo della fattispecie di reato in esame.  A fronte, infatti, di una pressochè immutata struttura del reato (violazione attiva o per omissione, ingiustizia del vantaggio o del danno, rapporto causale tra condotta ed evento, dolo intenzionale), la fissazione, sul piano materiale, di “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”, comporta una inevitabile riflessione in merito a quanto previsto dalla normativa penale in merito alla successione delle leggi penali nel tempo e, nel caso specifico in particolare, la nuova perimetrazione del fatto previso dalla legge come reato sembrerebbe comportare, per i procedimenti in pendenza, un fenomeno di abolitio criminis (ex art. 2 c.p.) con la sottrazione dall’area del penalmente rilevante dell’attività discrezionale della Pubblica Amministrazione, con la conseguenza di ritenere passibile di violazione solo regole che disciplinano attività vincolate, con l’esclusione del sindacato del giudice penale sulle figure dell’eccesso e sullo sviamento di potere.
Proprio a tal uopo è stata interessata la giurisprudenza di legittimità che attraverso le Sentenze della Corte di Cassazione n. 1146/2020 e la 442/2021, dopo aver rimarcato che dopo la modifica legislativa nell’economia della fattispecie non rilevano più i regolamenti, con conseguente limitazione della responsabilità per il pubblico funzionario qualora le regole comportamentali gli consentano di agire in un contesto di discrezionalità amministrativa, anche tecnica, pone un primo sbarramento: “…Beninteso, sempreché l’esercizio del potere non trasmodi tuttavia in un vera  e propria distorsione funzionale dai fini pubblici – cd. sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità – laddove risultino perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali soltanto il potere discrezionale è attribuito…”.(3)

La Cassazione, in pratica, ha stabilito che la modifica, nella parte in cui non prevede più la punibilità delle condotte posta in essere dal pubblico ufficiale nell’esercizio di un potere discrezionale, realizza una parziale abolitio criminis per quanto concerne le condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore del D.L. 76/2020, con applicazione dell’art. 2 comma secondo c.p. e conseguente travolgimento anche del giudicato e leconseguenze processuali saranno, pertanto, in caso di pendenza di procedimento penale l’emissione di un provvedimento conclusivo con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” ovvero, nel caso di condanna, la revoca da parte del giudice dell’esecuzione, ex art. 673 c.p.p.

          3.Conclusioni

Il reato di abuso di ufficio è stato complessivamente oggetto di ben tre riformulazioni .(oltre all’art.23 del  D.L. 16 Luglio 2020, convertito con L. 120 dell’11.09.2020 hanno provveduto in tal senso l’articolo 13 della legge 26 aprile 1990, n. 86 e l’articolo 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234). 

Le motivazioni poste alla base di questa profonda evoluzione normativa risiedono nella circostanza secondo la quale sussisteva un netto disfavore incontrato, presso il ceto degli amministratori pubblici, ma anche di gran parte della dottrina penalistica, per tale fattispecie criminosa.

In particolare, l’esigenza di far “ripartire” celermente il Paese dopo il prolungato blocco imposto per fronteggiare la pandemia che – nella valutazione del Governo (e del Parlamento, in sede di conversione) – ha impresso ad essa i connotati della straordinarietà e dell’urgenza” puntando pervicacemente a superarare qull’ostacolo nella azione di spesa che è rappresentato dalla c.d. “paura della firma”, ossia l’inazione degli amministratori dettata dal timore che vengano successivamente rilevate responsabilità a loro carico. La stessa Corte costituzionale (4), ha sottolineato che la sostanziale indeterminatezza della condotta incriminata ha determinato un forte intervento della magistratura inquirente nell’azione amministrativa, causando notevoli ritardi da parte della macchina burocratica sull’assunzione di decisioni impegnative e sulla celerità della pubblica amministrazione. In effetti, per come evidenziato dalla stessa Consulta, la formulazione del reato di abuso d’ufficio (basata sulla difficilmente riscontrabile intenzionalità dell’elemento psicologico) rappresentava un “enorme divario, che pure si è registrato sul piano statistico, tra la mole dei procedimenti per abuso d’ufficio promossi e l’esiguo numero delle condanne definitive pronunciate in esito ad essi”, con sproporzione quindi tra i costi e i benefici dell’incriminazione penale.

Le valutazioni sostanziali della Consulta parrebbero pienamente condivisibili, soprattutto considerando un contesto storico in cui il Paese necessita di intraprendere azioni mirate a recuperare il tempo perduto in maniera celere e con azioni amministrative spedite ed incisive dal punto divista economico ed occupazionale e oltremodo confermano l’importanza dell’intervento legislativo de quo in merito al superamento della necessità di una tipicizzazione del fatto punibile ex art. 323 c.p. Oltre che una maggiore tipicità del fatto, attraverso la eliminazione dei regolamenti dal comprato normativo la cui infrazione legittimava una imputazione per il reato di abuso d’ufficio, anche una ragguardevole specificazione dove si specifica che le norme passibili di essere violate sono solo quelle contenenti regole di condotte dalle quali non residuino margini di discrezionalità sembrano essere una ricetta concreta che unisce le necessità economiche e giuridiche di un paese che si appresta ad una ripresa economica, tenendo presente l’importanza di garantire la tassatività dei precetti penali.

Bibliografia

  1. H. Bonura, La paura della firma e la “nuova” responsabilità amministrativa: il decreto Semplificazioni tra equilibri ed equilibrismi (primo commento agli articoli 21 e 22 del “decreto Semplificazioni”), in D. Bolognino, H. Bonura, A. Storto, I contratti pubblici dopo il decreto Semplificazioni. Le principali novità in materia di contratti pubblici, responsabilità, controlli, procedimento e processo, tra emergenza e sistema “a regime”, Piacenza, La Tribuna, 2020, 87;  L. Torchia, La responsabilità amministrativa, in Giornale dir. amm., 2020, 727. Sulle prospettive di riforma della colpa grave, v. già A. Ciaramella, La sopravvivenza normativa della colpa grave nella responsabilità erariale, in , 24 giugno 2020. Per la prima giurisprudenza contabile, v. Corte conti, Sez. I centr. app., 2 settembre 2020, n. 234.
  1. F. Coppola, Abuso di ufficio: appunti per una possibile riforma dai lavori della Law Commission sulla common law offence of Miscounduct in Public Office, in Archivio Penale, n. 2/2020,  il quale in un’ottica di comparazione tra l’esperienza di commmon law e la proposta di riforma Castaldo-Naddeo (sulla quale vedi oltre), riporta i dati della gestione giudiziaria della fattispecie nel quinquennio 2014-2018 all’interno del Distretto di Corte di Appello di Salerno dove – dato particolarmente indicativo – delle 39 sentenze emesse dall’Ufficio GIP, si segnalano 12 assunte in giudizio abbreviato (tutte assoluzioni, tranne una), 15 sentenze di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., 3 sentenze di estinzione per morte del reo, 2 sentenze di prescrizione, 2 sentenze di patteggiamento, 1 sentenza ex art. 131bis c.p.p. e 2 sentenze di incompetenza territoriale. All’esito del primo grado di giudizio, dalle 80 sentenze si segnalano: 40 assoluzioni, 20 dichiarazione di estinzione per intervenuta prescrizione, 9 con l’assoluzione dall’abuso di ufficio e la condanna per altri reati, 2 di estinzione per morte del reo e 9 sentenze di condanna. Non dissimile le proporzioni in Corte di Appello, dove sono state messe a disposizione della ricerca 61 sentenze, di cui: 30 sentenza di assoluzione (di cui 9 già in primo grado), 20 sentenze di estinzione per prescrizione, 8 sentenze di condanna, 1 sentenza di estinzione per morte del reo e, infine, 2 sentenze (una di assoluzione e una di condanna) in cui il delitto di abuso di ufficio è stato riqualificato in primo grado (rispettivamente nei delitti p. e p. dagli artt. 479 e 326 c.p.). Per ogni opportuno approfondimento, per la raccolta, l’analisi ragionata dei dati, si rimanda a G. Ciaglia, L’abuso di ufficio tra amministrazione difensiva e ineffettività: l’esperienza del Distretto di Corte di Appello di Salerno, dattiloscritto dell’intervento tenuto nell’ambito della presentazione dei risultati della ricerca del Progetto CUR, Palazzo Zapata, Napoli, 14.2.2020, ricerca su “Pubblica Amministrazione: semplificare i processi decisionali, migliorare le performance” coordinata dal Prof. Andrea R. Castaldo, presso l’Università degli Studi di Salerno, che ha scrutinato il dato statistico sui procedimenti per abuso d’ufficio nel distretto della Corte di Appello di Salerno nel quinquennio 2014-2018, nonché M. Naddeo, “I tormenti dell’abuso d’ufficio tra teoria e prassi. Discrezionalità amministrativa e infedeltà nel nuovo art. 323 c.p. “, in Penale. Diritto e Procedura, 10.08.2020. 
  2. Corte di Cassazione Sent. n. 1146/2020
  3. Corte Costituzionale sent. n 8/2022