di Daniela Sodo – Avvocato
Cassazione Civile – Sezione Terza – ordinanza n. 11719 del 05.05.2021
La vicenda
La vicenda che ci occupa trae origine da un incidente stradale a seguito del quale l’infortunato veniva ricoverato presso una prima struttura ospedaliera, la più vicina rispetto al luogo dell’evento, nella quale, nonostante la disponibilità dell’ecografo, il relativo esame non veniva però eseguito per l’assenza di un professionista in grado di effettuarlo e per la mancanza di un servizio di reperibilità notturna presso il reparto, per cui si disponeva il suo trasferimento presso altro nosocomio ove veniva sottoposto dapprima al necessario esame ecografico in via di urgenza e, quindi, a seguito delle risultanze di questo, ad intervento chirurgico nel corso del quale, tuttavia, perdeva la vita per un arresto cardiaco irreversibile, nonostante le manovre rianimatorie eseguitegli.
Alla luce di tanto, i parenti più prossimi della vittima avanzavano, tra l’altro, domanda di condanna della predetta prima struttura di ricovero al risarcimento dei danni, denunciandone la responsabilità per non avere sottoposto il proprio parente all’esame ecografico che, a dire degli stessi, avrebbe consentito un tempestivo riscontro della lesione splenica e l’immediata effettuazione di un intervento di splenectomia che avrebbe dato buone probabilità di sopravvivenza, ma il Tribunale rigettava totalmente la richiesta in parola sia pur rilevando la circostanza della mancata effettuazione dell’esame ecografico per l’accertata assenza di un medico reperibile in grado di provvedervi. Lo stesso Tribunale, infatti, affermava in proposito come la mancata previsione nella legislazione nazionale di uno standard di riferimento degli strumenti di cui una struttura sanitaria pubblica avrebbe dovuto dotarsi, all’epoca dei fatti, avesse determinato, trattandosi di scelte nelle quali interveniva la discrezionalità della pubblica amministrazione, la carenza di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, e dichiarava altresì la condotta tenuta nell’occasione dai medici della stessa struttura esente da colpa con conseguente esclusione di responsabilità dell’ente ospedaliero loro datore di lavoro.
La sentenza di primo grado veniva sul punto totalmente ribaltata dalla Corte di Appello che accertava la responsabilità della struttura ospedaliera, per cui quest’ultima proponeva ricorso incidentale in Cassazione rilevando la violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3 cpc nonché degli artt. 1218 e 2043 c.c. e dei principi di diritto vivente in tema di “contatto sociale” per avere i Giudici di secondo grado ritenuto che la responsabilità della struttura sanitaria fosse ascrivibile a detta categoria contrattuale.
Secondo l’ente ospedaliero, infatti, nel caso di ricoveri coatti o d’urgenza, nei quali il paziente non sia in grado di scegliere la struttura sanitaria dove sarà condotto, al fine di poter ritenere sussistente un “contatto sociale” sarebbe stato necessario procedere all’accertamento mirato del grado di consapevolezza che il paziente avesse in merito alla struttura presso la quale sarebbe stato condotto ed alla manifestazione della volontà di essere condotto altrove, nonché verificare se l’ospedale avesse manifestato una accettazione consapevole, comprendente l’erogazione delle cure e delle terapie di cui il paziente abbisognava.
La decisione
La Corte di Cassazione, sullo specifico punto in contestazione ed oggi in commento, rigettava il ricorso come proposto dall’Ente ospedaliero ritenendolo infondato sul presupposto, nel caso di specie, della “ricorrenza di un contatto sociale tra la vittima e la Zona territoriale n. (OMISSIS), quantunque la Corte territoriale non abbia fatto ricorso alla teorica del contratto sociale. La sentenza impugnata, infatti, si rifà alla “conclusione” di un contratto tra il nosocomio e la vittima, “sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o della visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto, avente ad oggetto una prestazione a carico dell’ente ospedaliero assai articolata definita di assistenza sanitaria“; principio ritenuto pacifico in giurisprudenza che ha ritenuto tale contratto atipico e a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) e sottoposto alle regole ordinarie sull’inadempimento fissate dall’art. 1218 c.c.”.
Le riflessioni conclusive
L’ordinanza in commento si sottopone alla nostra attenzione, e ad una consigliabile approfondita lettura, perché nella sua parte motiva viene racchiusa una molteplicità di questioni e tematiche oggetto di contestazione, tutte oltremodo rilevanti in quanto attinenti non solo ad aspetti del procedimento risarcitorio connesso ad episodi di malasanità, ma anche a profili di natura più squisitamente processuale relativi ai corretti criteri di determinazione e liquidazione delle spese di lite fino alla problematica che riteniamo meritevole di valutazione in queste note a commento e cioè quella relativa alla qualificazione giuridica e sostanziale del rapporto c.d. “da contatto sociale” che si viene ad instaurare tra l’ente ospedaliero chiamato ad intervenire in prima battuta e per ragioni di urgenza ed il paziente con la responsabilità che ne deriva a carico del primo in caso di fatti ed eventi lesivi conseguenti alle cure prestate.
La particolarità, infatti, della fattispecie esaminata risiede nel fatto che la Corte Suprema si soffermi sull’analisi della condotta tenuta dalla struttura ospedaliera che per prima, per ovvie ragioni di vicinanza e di urgenza della situazione medica, abbia ricevuto il ricovero del paziente e dell’incidenza che l’intervento dalla stessa prestato, o meglio non prestato per ragioni riconducibili al rispetto della normativa di riordino del servizio sanitario nazionale evidentemente a quella data vigente, possa aver assunto in relazione poi all’infausto decesso del paziente stesso, sia pure avvenuto in altro nosocomio.
Più esattamente, la questione giuridica prospettata riguarda l’individuazione dei profili di eventuale responsabilità medica o sanitaria a carico dell’ente ospedaliero laddove determinati cure o interventi non siano pretendibili perché non attrezzato per gli stessi secondo appunto le linee guida del piano ospedaliero nazionale, e quindi sull’accertamento della legittimità della pretesa di una prestazione sanitaria cui l’ente non sarebbe di fatto obbligato perché “ultra vires per causa non imputabile” “non per deficit organizzativo, bensì strutturale” per scelta degli organi amministrativi e politici competenti.
Vi è anzitutto da dire come i Giudici di Appello prima e, successivamente, quelli di legittimità abbiano palesato la propria contrarietà avverso la conclusione del Tribunale, probabilmente un pò troppo semplicistica, di ritenere la presente questione, come detto, rientrante nella giurisdizione amministrativa in considerazione della pregnanza delle scelte politiche di riordino ospedaliero di cui la condotta dell’ente ospedaliero è stata poi evidentemente diretta conseguenza.
Si è trattata, invero, di decisione che evidentemente non ha colto il fondamento giuridico della vicenda occorsa e della questione processuale che ne è derivata, piuttosto riconducibile, come poi confermato nei successivi gradi di giudizio, ad un episodio di “malasanità” o, comunque, di responsabilità medica e sanitaria delle strutture ospedaliere intervenute a soccorso della vittima.
In questo contesto generale, poi, nel solco di un orientamento della sua giurisprudenza che nasce oltre venti anni fa (1), la Corte di Cassazione ribadisce anche in questa occasione il principio secondo il quale in tutti i casi in cui vi sia l’accettazione del paziente da parte della struttura ospedaliera, sia ai fini del ricovero che anche solo per una semplice visita ambulatoriale, si conclude il c.d. “contratto sociale” e, quindi, un negozio giuridico fondato sul mero “contatto sociale” tra il cittadino ed il nosocomio, “avente ad oggetto una prestazione a carico dell’ente ospedaliero assai articolata definita di assistenza sanitaria“.
Il merito dell’ordinanza in commento è dunque quello di qualificare in maniera ancora più netta e precisa questo concetto di “contratto sociale”, quale “rapporto tra paziente e struttura che valorizzi la complessità e l’atipicità del legame che si instaura, che va ben oltre la fornitura di prestazioni alberghiere, comprendendo anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario, paramedico, l’apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicazioni” ed in forza del quale “la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di “assistenza sanitaria”, che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori”.
I Giudici di legittimità, pertanto, riaffermano la responsabilità da “contatto sociale” in capo all’ente secondo una matrice esclusivamente contrattuale, sebbene essi rilevino come in questo caso manchi del tutto un contratto nel vero senso della parola, da intendersi, più specificatamente, come un incontro tra due volontà, al punto che gli stessi lo ammettono nel nostro sistema ordinamentale in deroga al principio della “rigidità del catalogo delle fonti, ex art. 1173 cc, che non consentirebbe obbligazioni contrattuali in assenza di contratto” e riconoscono altresì, “sulla scorta del dispiegarsi dell’efficacia di taluni contratti nulli, la ricorrenza di “rapporti che nella previsione legale sono di origine contrattuale e tuttavia in concreto vengono costituiti senza una base negoziale e talvolta grazie al semplice “contatto sociale”, con riferimento ai quali utilizzare “le regole proprie dell’obbligazione contrattuale, pur se il fatto generatore non è il contratto“.
L’aspetto, quindi, estremamente significativo dell’interpretazione, a nostro parere corretta e del tutto condivisibile, che la Corte Suprema ha inteso dare al caso in esame poggia su una considerazione che la stessa Corte, non a caso, definisce di “carattere essenziale e dirimente” e cioè quella secondo la quale “l’ospedale è tenuto ad erogare la prestazione di assistenza, poiché è chiamato all'”adempimento di un dovere di prestazione direttamente discendente dalla legge” e “realizzano soltanto l’attuazione dell’obbligazione della mano pubblica di fornire il servizio”; dall’altro lato, chi ottiene la prestazione vede soddisfatto “un diritto soggettivo pubblico riconosciutogli direttamente dalla legge e che la legge stessa prevede debba essere soddisfatto a richiesta dall’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale o direttamente o attraverso le strutture in convenzione, imponendo essa stessa la relativa prestazione”.
Il ragionamento logico e giuridico seguito dai Giudici di legittimità, invero, è quanto mai sottile e soprattutto rispettoso dei principi fondamentali che regolano le obbligazioni poiché essi evidenziano opportunamente come in questi casi la matrice contrattuale che si va a riconoscere al contatto intercorso tra il paziente ed una struttura del Servizio Sanitario nazionale o ad una struttura convenzionata prescinda del tutto, come è ovvio, dalla sussistenza di un “contratto”, volendo significare piuttosto “che la cattiva esecuzione della prestazione dà luogo a responsabilità contrattuale nel senso di responsabilità nascente dall’inadempimento di un obbligo preesistente o dalla sua cattiva esecuzione e non nel senso di responsabilità per inadempimento di un contratto o per la sua cattiva esecuzione. Il concetto di responsabilità contrattuale, cioè, viene usato nel senso non già di responsabilità che suppone un contratto, ma nel senso – comune alla dottrina in contrapposizione all’obbligazione da illecito extracontrattuale – di responsabilità che nasce dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, che nella specie sta a carico della struttura del Servizio Sanitario Nazionale” (così in motivazione Cass. 02/04/1999, n. 8094)”.
Si tratta di una esplicitazione di regole giuridiche che tendono a coprire tutte quelle ipotesi, nemmeno tanto infrequenti, in cui vi siano dei ricoveri coatti o d’urgenza per i quali se da una parte viene fatto divieto, per la sua preminente funzione istituzionale, all’ente ospedaliero di decidere se accettare o rifiutare l’erogazione di cure, dall’altra diviene irrilevante, ai fini dell’affermazione della eventuale responsabilità dello stesso ente, il fatto che il destinatario della prestazione non abbia a sua volta scelto di affidarsi a quella data struttura, magari perché impossibilitato, per le sue condizioni di salute, a prestare una qualsivoglia manifestazione di volontà in tal senso.
Il valore, dunque, che viene tutelato e garantito prioritariamente e senza riserve è quello della salute della persona, presupposto oltretutto indefettibile dello stesso Servizio Sanitario Nazionale e della politica di assistenza convenzionata medica e sanitaria che il nostro Stato ha consapevolmente scelto di porre a godimento di noi cittadini tutti, al punto da indurre la Corte con l’ordinanza in commento ad affermare come nel caso di specie si determini un rapporto giuridico particolare non riconducibile all’art. 2043 c.c. quale norma civilistica che regolamenta le ipotesi in cui tra il soggetto danneggiante e quello danneggiato non esista alcun rapporto, se non un generico dovere di neminem laedere e quindi quelle ipotesi in cui si verrebbe a creare in sostanza un rapporto tra sconosciuti nel quale uno dei due ha danneggiato l’altro.
La Corte, infatti, ritiene, come in passato, come Il medico ed il paziente, sebbene il primo sia un dipendente ospedaliero, non possano essere trattati alla stregua di due sconosciuti e, più in particolare, come il medico testualmente “non è un quisque de populo” (2) tenuto all’obbligo di non danneggiare l’altro al pari di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento, essendo lo stesso al contrario obbligato, in virtù di precise disposizioni di legge nonché del contratto stipulato con l’azienda ospedaliera, a tutelare la salute del paziente e ad operare al meglio delle sue capacità professionali ai fini della sua guarigione (3).
Con questa statuizione, dunque, si ribadisce l’obbligo di protezione nei confronti del paziente che grava sul medico, seppure l’incontro tra questi due soggetti sia spesso del tutto casuale ed occasionale ed è per questa ragione, in una alla identità professionale del medico, che il “contatto sociale” così venutosi a creare viene indicato dalla Corte di Cassazione come “qualificato” e si sottolinea come sotto il profilo della relativa responsabilità che ne deriva anche in capo all’ente gestore del servizio sanitario “i regimi della ripartizione dell’onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione sono quelli tipici delle obbligazioni da contratto d’opera intellettuale professionale” (4)
Dal punto di vista ermeneutico, non possiamo comunque tralasciare di considerare come l’ordinanza in esame, almeno per i casi di “contatto sociale” e sia pure con riguardo alla sola posizione giuridica del medico, contrasti apertamente con le disposizioni contenute nella Legge n. 24/2017 c.d. “Gelli – Bianco” che, come è noto, rubricata come “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” ha ridefinito questa materia, venendo oltretutto a creare, per la sua irretroattività, anche una pericolosa disparità di trattamento per i fatti antecedenti e successivi ad essa.
Questa Legge, infatti, ha stabilito che il personale sanitario risponde del proprio operato su base extracontrattuale “salvo che abbia agito nell’adempimento della obbligazione contrattuale assunta con il paziente” (5) con conseguente applicazione, nelle ipotesi in commento, delle direttive di cui al citato articolo 2043 c.c., secondo una impostazione legislativa che è facile intuire sia stata dettata dalla volontà di evitare un tipo di medicina “difensiva” in quanto controproducente anzitutto per i pazienti stessi e che ci sia, dunque, una responsabilità meno gravosa per il personale medico e sanitario. Il principio della responsabilità contrattuale, ripreso e ribadito anche oggi dalla Corte (6), è invece riscontrabile anche in questa normativa relativamente alla differente posizione giuridica della struttura sanitaria ed è questa, del resto, la ragione per la quale a partire proprio dal 2017 è stato introdotto per tutti gli enti sanitari e sociosanitari, sia pubblici che privati, l’obbligo della copertura assicurativa per le prestazioni eseguite.
E’ significativo in ogni caso rammentare come i Giudici di legittimità, pur nella declaratoria di questi principi di diritto, in una apprezzabile logica di giusto e doveroso contemperamento delle contrapposte esigenze tra il diritto alla salute del paziente e l’obbligo dell’ente di assolvere alla prestazione sanitaria ex lege, abbiano sottolineato la possibilità per quest’ultimo “di rifiutare la richiesta di cure ove abbia consapevolezza della propria carenza strutturale ed organica, oltre a quello di attivarsi per indirizzare il paziente verso una struttura in grado di assicurargli la migliore prestazione possibile……naturalmente sul presupposto che la prestazione richiesta non sia indifferibile ed urgente”.
La motivazione, infatti, che gli stessi Giudici correttamente adducono a tal fine è conforme ai principi di diritto in materia di obbligazioni poiché essi affermano che “assumere consapevolmente una prestazione ultra vires, infatti, equivarrebbe ad essere inadempiente” e questa, pertanto, potremmo ritenere la disposizione di chiusura di una problematica che certamente non ha ancora visto la sua definitiva ed univoca soluzione.
- per la prima volta la Corte di Cassazione accoglie la teoria dei rapporti contrattuali di fatto nel nostro ordinamento e stabilisce che le regole della responsabilità contrattuale si applichino anche ai rapporti di “contatto sociale” con la sentenza della Terza Sezione n. 589/1999 a proposito del rapporto tra medico del pronto soccorso, dipendente di un ente ospedaliero, e paziente e, conformi, Cassazione Civile, n. 9906 del 26 aprile 2010 e Cassazione Civile, n. 20954 del 30 settembre 2009
- vedi Cassazione Civile, Sezione Terza, n. 589/1999 e, conformi, Cassazione Civile, Sezione Terza, sentenze n. 18304 del 27 agosto 2014, n. 7354 del 13 aprile 205, n. 14642 del 14 luglio 2015
- la figura del rapporto da “contatto sociale” di matrice contrattuale è stata affermata anche con riguardo al rapporto tra la madre e il medico ginecologo che a causa di un suo errore abbia fatto nascere il figlio con malformazioni (Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza n. 25767 del 22 dicembre 2015) o a quello tra il padre ed il medico ginecologo in caso di errore di diagnosi (Cassazione Civile, Sezione Terza, sentenza n. 16123 del 14 luglio 2006
- vedi Cassazione Civile, Sezione Terza, sentenza n. 589/1999
- art. 7 della Legge n. 24/2017
- conformi anche Cassazione Civile, Sezione Terza, n. 23562 dell’11 novembre 2011 e Cassazione Civile, Sezioni Unite, n. 577 dell’11 gennaio 2008