Prime riflessioni a caldo dopo l’informazione provvisoria diramata il 29 maggio scorso dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Di Enrico Ajmar

1. Nell’attesa del deposito delle motivazioni della decisione, è possibile ripercorrere i fatti del procedimento e gli orientamenti interpretativi che hanno portato la sezione semplice a decidere di rimettere la questione al massimo consesso e sviluppare alcune prime considerazioni.

2. In particolare, il ricorrente veniva sottoposto a custodia cautelare in carcere in separato e connesso procedimento ex art. 12, lett. b) c.p.p. per fatti già noti al tempo di emissione di precedente ordinanza di misura custodiale. Presentava pertanto istanza di riesame.

Il Tribunale del Riesame confermava l’ordinanza del giudice di prime cure, aderendo «all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità(1), secondo cui la retrodatazione della decorrenza dei termini della misura cautelare imporrebbe, per il computo dei termini di fase, di frazionare la durata globale della custodia cautelare subita per prima, imputando solo i periodi relativi a fasi omogenee». In altre parole, ai fini del computo per la retrodatazione si dovrebbero tenere in considerazione esclusivamente i periodi di custodia patiti in fasi omogenee.

La difesa proponeva quindi ricorso per Cassazione, condividendo il più recente orientamento, secondo cui «la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee». Tale orientamento si basa sull’assunto che non vi sia un “appiglio” nel diritto positivo per considerare solo i periodi delle fasi omogenee e che la ratio della norma è quella di perseguire la concentrazione «in un unico contesto temporale delle vicende cautelari, destinate e dar luogo a simultanei titoli custodiali»(2).

3. Ravvisando un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, la quarta sezione ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite. Queste ultime, con recentissima informazione provvisoria, hanno anticipato l’adesione al secondo e più recente orientamento.

Nell’attesa del deposito della motivazione, si può notare come effettivamente l’orientamento sconfessato non avesse fondamento nel diritto positivo all’art. 297, comma 3 c.p.p. Vi è da dire, però, che un riferimento ad un discrimen tra fasi è effettuato all’ultimo periodo del medesimo comma: si parla di fatti ma il fine è comunque quello di limitare il campo della retrodatazione. Tale scopo è del resto il fondamento della tesi più risalente, ora sconfessata, che aveva il pregio di non abbreviare eccessivamente il termine di custodia in ipotesi di reati particolarmente complessi da accertare e per cui non è quindi possibile procedere speditamente. Significativo è peraltro il caso in ipotesi: è vero che la potestà punitiva è esercitata dallo Stato e poco importano in questo frangente le regole sulla competenza territoriale; non si può comunque non notare che a procedere nel secondo procedimento è un ufficio diverso rispetto a quello del primo(3). Potrebbe essere interessante un intervento del legislatore nel senso di distinguere le due ipotesi.

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1() Cfr., ex plurimis, Cass., sez. fer., n. 47581/2014, richiamata nell’ordinanza di rimessione.

2() Cfr. Cass., Sez. VI, n. 3058/2017.

3() Il primo incardinato a Monza, il secondo a Milano.