a cura di Michela Colistro
ABSTRACT
Il presente contributo analizza la riforma dell’ordinamento sportivo attuata tramite l’approvazione, il 26 febbraio 2021, e poi l’entrata in vigore nel marzo 2021, di cinque decreti legislativi, in attuazione degli articoli 5,6,7,8 e 9 della L. delega n. 86 dell’8 agosto 2019.
In particolare, verranno analizzate quattro tematiche: la disciplina civilistica degli enti sportivi dilettantistici, la definizione di “lavoratore sportivo” e la relativa disciplina del rapporto di lavoro, l’abolizione del vincolo sportivo e la definizione del rapporto con il Codice del Terzo Settore.
SOMMARIO: 1. Riforma dello sport: brevi cenni introduttivi. – 2. La nuova disciplina civilistica delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche. – 3. La nuova definizione di “lavoratore sportivo” e relativo rapporto di lavoro. Altre definizioni. – 4. Il vincolo sportivo: quali cambiamenti in caso di abolizione? – 5. Il rapporto con il Codice del Terzo Settore.
- Riforma dello sport: brevi cenni introduttivi.
Il 18 e il 19 marzo 2021 sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i cinque decreti legislativi attuativi della riforma dell’ordinamento sportivo di cui alla Legge delega n. 86 dell’8 agosto 2019 (“Deleghe al Governo in materia di disposizioni di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione”). Si tratta, tuttavia, soltanto di un primo passo di un lungo percorso.
I decreti sono i seguenti:
- Decreto Legislativo 28 febbraio 2021 n. 36 che ha ad oggetto l’attuazione dell’articolo 5, recante “riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivo professionistici e dilettantistici nonché di lavoro sportivo”;
- Decreto Legislativo 28 febbraio 2021 n. 37 avente ad oggetto l’attuazione dell’articolo 6, recante “misure in materia di rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive e di accesso e esercizio della professione di agente sportivo”;
- Decreto Legislativo 28 febbraio 2021 n. 38 con oggetto l’attuazione dell’articolo 7, recante “misure in materia di riordino e riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi e della normativa in materia di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi”;
- Decreto Legislativo 28 febbraio 2021 n. 39 avente ad oggetto l’attuazione dell’articolo 8, recante “semplificazione di adempimenti relativi agli organismi sportivi”;
- Decreto Legislativo 28 febbraio 2021 n. 40 avente ad oggetto l’attuazione dell’articolo 9, recante “misure in materia di sicurezza nelle discipline sportive invernali”.
Prima di analizzare le novità più rilevanti introdotte dalla riforma dell’ordinamento sportivo, è opportuno dire che, in seguito alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei decreti sopra riportati, è stato approvato il D.L. “Sostegni”[1], il quale rinvia al 1° gennaio 2022 l’applicazione della riforma ad eccezione degli articoli da 25 a 37, escluso l’art. 31 (“abolizione del vincolo sportivo e premio di formazione tecnica”) del D.lgs. n. 36, per i quali si conferma l’applicazione a partire dal 1 luglio 2022 e, pertanto, con decorrenza dalla stagione sportiva 2022/2023. Non solo, in seguito al Decreto “Sostegni”, la riforma dello sport è stata ulteriormente prorogata durante la conversione in legge dello stesso decreto all’interno dell’articolo 30, commi 7-11.
Nello specifico, è stato disposto lo slittamento al 31 dicembre 2023 dell’entrata in vigore di tutti i decreti sopra citati ad eccezione del Decreto 36. Quest’ultimo, infatti, entrerà in vigore in due tempi. Rimane immutata, infatti, al 1° gennaio 2022 l’entrata in vigore di tutte le disposizioni tranne quelle in materia di lavoro sportivo contenute all’interno degli articoli da 25 a 37.
In sintesi: le disposizioni relative al lavoro sportivo decorrono dal 1° luglio 2022; tutte le altre disposizioni dal 1° gennaio 2022.
Quanto appena detto precisato sottolinea, in primo luogo, la presa d’atto, da parte del Governo, di molte criticità della riforma espresse da tutti soggetti coinvolti nelle varie audizioni delle commissioni parlamentari competenti e, in secondo luogo, la necessità di mitigare tali criticità con la volontà di non far arenare definitivamente la stessa riforma, rischiando, inevitabilmente, di vanificare tutto il lavoro compiuto.
- La nuova disciplina civilistica delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche.
Nel presente paragrafo viene analizzata la disciplina dettata dagli articoli da 6 a 14 del Titolo II del Decreto n. 36, riguardante la disciplina civilistica delle società e associazioni sportive dilettantistiche.
Essa è stata, sostanzialmente, mutuata rispetto a quella di cui all’art. 90, della L. n. 289 del 2002[2] poiché sono state introdotte alcune importanti modifiche.
In particolare, relativamente alla forma giuridica, la riforma ha previsto che le società sportive dilettantistiche possano assumere qualsiasi forma societaria tra quelle enunciate al Libro V, titolo V, del codice civile: non solo, quindi, società sportive di capitali come attualmente regolamentato, ma, anche, la forma di società di persone (s.n.c., s.a.s. e ss.).
Si tratta, evidentemente, di un’ipotesi teorica perché risulta piuttosto difficile unire la disciplina di tali società con l’assenza di fine di lucro richiesta proprio alle società sportive dilettantistiche.
Discorso a parte, invece, meritano le cooperative sportive.
Esse, infatti, sono oggetto di una prima grande criticità: il richiamo, operato dalla riforma, al titolo V del libro V del codice civile, esclude, dal novero dei soggetti che possono qualificarsi come società sportiva dilettantistica, le società cooperative.
Si parla, appunto, di criticità perché oggi esistono numerose cooperative sportive che, in mancanza di un intervento correttivo della riforma, non potrebbero più essere cooperative sportive dilettantistiche. È, quindi, un problema che andrebbe risolto in tempi brevissimi perché, altrimenti, aprirebbe la strada ad uno scenario, francamente, surreale[3].
In relazione, invece, ai requisiti statutari, è stato operato un richiamo alle disposizioni del comma 18, dell’articolo 90 della L. 289 del 2002, prima citata, tramite l’introduzione di alcune modifiche in riferimento all’oggetto sociale e all’assenza del fine di lucro.
L’articolo 7, lett. b) del D.l.gs. n. 36, stabilisce che l’oggetto sociale deve prevedere «l’esercizio in via stabile e principale dell’organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche, ivi compresa la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica».
Il riferimento all’attività stabile e principale deve essere letta congiuntamente al successivo articolo 9, ai sensi del quale «le associazioni e le società sportive dilettantistiche possono esercitare attività diverse da quelle principali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e abbiano carattere secondario e strumentale rispetto alle attività istituzionali, secondo criteri e limiti definiti con decreto dell’Autorità di governo competente in materia di sport, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze».
In sintesi, la principale attività delle associazioni dilettantistiche dovrà, appunto, essere l’organizzazione e la gestione di attività sportive dilettantistiche; mentre, lo svolgimento delle attività secondarie e strumentali sarà consentito solo in via sussidiaria rispettando i criteri e i limiti stabiliti da un decreto presidenziale, le cui tempistiche sono difficilmente prevedibili.
È chiaro, dunque, che il finanziamento delle attività solidaristiche sia delegato alla capacità di autofinanziamento di ciascuna società sportiva tramite quote associative di reperimento dei fondi sul mercato della solidarietà.
È opportuno, altresì, affermare che lo svolgimento di attività secondarie di supporto a quella istituzionale sia rilevante relativamente alla copertura dei costi dell’attività sportiva generale. Infatti, quest’ultima, rappresentando un onere piuttosto elevato, si basa su tre pilastri: le quote associative e i relativi specifici, lo svolgimento di attività secondarie a supporto dell’attività sportiva e le sponsorizzazioni.
Altro punto su cui soffermare l’attenzione è il nuovo concetto di assenza di scopo di lucro.
Esso, infatti, è stato riformulato tramite la previsione secondo cui gli enti sportivi con natura societaria possono distribuire, parzialmente, gli utili e rimborsare la quota di capitale versata.
Di seguito due considerazioni.
La prima: relativamente all’assenza di lucro, per la definizione di “lucro indiretto”, il legislatore ha operato un richiamo all’art. 3, comma 2, ultimo periodo e comma 2-bis del D.lgs. n. 112 del 2017[4] che implica l’individuazione di criteri puntuali di non semplice interpretazione.
La seconda: è stata ampliato il novero dei soggetti “sotto osservazione” con l’aggiunta ai “soci e associati” (art. 90) anche di “lavoratori e collaboratori, amministratori e altri componenti degli Organi sociali, anche nel caso di recesso o di qualsiasi altra ipotesi di scioglimento del rapporto”.
È, altresì, rilevante dire che il decreto in commento ha introdotto, con riferimento alle società sportive dilettantistiche, come già previsto per le imprese sociali costituite con forma societaria, la possibilità di:
- destinare una quota di utili ad aumento gratuito di capitale sociale: l’art. 8, comma 3, infatti, prevede che «gli enti dilettantistici possono destinare una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci, nei limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, calcolate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) […]»;
- distribuire utili ai soci in misura, comunque, non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale sociale effettivamente versato;
- rimborsare al socio il capitale versato e, eventualmente, rivalutato secondo gli indici predetti[5].
Quelle appena riportate sono previsioni che avrebbero lo scopo di sollecitare l’investimento imprenditoriale nel mondo dello sport. Inoltre, è importante la previsione che dispone che la rimborsabilità della quota sia compatibile con la natura sportiva dilettantistica del sodalizio. Quanto appena detto, però, va coordinato con le clausole statutarie ex art. 148, comma 8, del T.U.I.R. (Testo unico delle imposte sui redditi).
Altro punto su cui è opportuno riferire riguarda il regime dell’incompatibilità degli amministratori[6].
Il legislatore ha previsto che essi non possono ricoprire qualsiasi carica in altre società o associazioni sportive dilettantistiche nella stessa federazione sportiva o disciplina riconosciuta dal CONI o nella medesima disciplina che fa capo ad un Ente di Promozione Sportiva riconosciuto dal Dipartimento dello sport: a tal fine, sarà necessario adeguare gli statuti attuali.
È, altresì, dettata una disciplina nuova per la certificazione della natura dilettantistica delle associazioni e società sportive: esse devono essere iscritte al Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche[7].
Ai fini del riconoscimento dell’ente come soggetto dell’ordinamento sportivo, esso deve affiliarsi annualmente alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate e agli Enti di Promozione Sportiva o, altresì, contemporaneamente a più organismi. L’affiliazione costituisce un passaggio importante perché consente all’ente di partecipare ai campionati di categoria, i quali, se vinti, permetterebbero allo stesso ente di qualificarsi al settore professionistico per gli sport per cui è previsto tale settore.
Qualora l’ente ottenesse la qualificazione al settore professionistico, esso deve adeguarsi alle prescrizioni di cui agli articoli 13 e 14 del decreto in analisi.
In particolare, le società sportive devono costituirsi nelle forme di società per azioni o di società a responsabilità limitata con oggetto esclusivo e con necessaria presenza del collegio sindacale. Inoltre, nell’atto costitutivo, deve, altresì, essere istituito un organo consultivo, composto da almeno 3 membri e massimo 5, eletti ogni tre anni dagli abbonati della società, che emetta pareri vincolanti per tutelare interessi specifici dei tifosi.
Operando un passo indietro e, ritornando all’affiliazione, essa è conditio sine qua non per procedere all’iscrizione dell’ente nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2329, n. 3 del codice civile. È chiaro, dunque, che, in mancanza dell’affiliazione, l’iscrizione sia considerata invalida. Attenzione, la mancanza di affiliazione non rientra nelle cause di nullità di cui all’art. 2332, comma 1, del codice civile.
Tuttavia, alla società non affiliata viene precluso lo svolgimento dell’attività sia nel settore dilettantistico che in quello professionistico, con l’effetto dello scioglimento ai senti dell’art. 2484, comma 1, n. 2 c.c., poiché risulta impossibile conseguire l’oggetto sociale programmato.
In conclusione, è necessario segnalare che, ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo n. 36, le società sportive dilettantistiche devono depositare, entro il termine di trenta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese, l’atto di costituzione nella Federazione Sportiva Nazionale alla quale sono affiliate. Inoltre, esse devono comunicare alla Federazione, entro venti giorni dalla deliberazione, qualsiasi modifica dello statuto o dell’organo di amministrazione o di controllo.
- La nuova definizione di “lavoratore sportivo” e relativo rapporto di lavoro. Altre definizioni
Il presente paragrafo rappresenta una delle più importanti novità introdotte dalla riforma.
Il Consiglio dei Ministri, nel comunicato stampa del 26 febbraio 2021, ha affermato che «il decreto relativo agli enti sportivi professionistici e dilettantistici e al lavoro sportivo, dispone, in attuazione dell’articolo 5 della legge delega, una revisione organica della figura del “lavoratore sportivo”: per la prima volta si introducono tutele lavoristiche e previdenziali sia nel settore dilettantistico sia nel settore professionistico».
Ai sensi dell’art. 25, del decreto n. 36, è lavoratore sportivo «l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva dietro un corrispettivo al di fuori delle prestazioni amatoriali».
Vediamo alcuni degli aspetti più rilevanti relativi ai rapporti di lavoro sportivo.
Innanzitutto, viene abolita la distinzione tra settore professionistico e settore dilettantistico. La riforma, infatti, disciplina, in generale, il lavoratore sportivo. Il legislatore ha ribaltato completamente l’inquadramento attuale dei collaboratori nello sport dilettantistico che, dall’essere definiti come “sportivi dilettanti”, verranno da oggi in poi considerati come lavoratori veri e propri che percepiscono un corrispettivo. I lavoratori sportivi potranno assumere le qualifiche di lavoratori autonomi, co.co.co, lavoratori dipendenti ovvero occasionali[8].
Ciò detto, è chiaro che i nuovi lavoratori sportivi produrranno reddito e saranno soggetti a tassazione e a contribuzione previdenziale.
Permane, quindi, un “limbo” in cui ricadono le attività sportive amatoriali che continueranno ad essere indennizzate tramite rimborsi spese esenti. L’art. 29, infatti, definisce gli amatori come coloro che «mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti».
Le prestazioni amatoriali sono, inoltre, incompatibili con qualsiasi forma di rapporto di lavoro autonomo o subordinato e, altresì, con altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è associato o socio o tramite il quale svolge la propria attività amatoriale.
Infine, vi è la previsione di un’aliquota previdenziale ridotta per coloro che svolgono un’altra attività lavorativa. Ciò, però, rischia di permettere ai sodalizi di cercare sempre di più queste figure.
Dopo aver esaminato la nuova definizione di “lavoratore sportivo”, è rilevante sottolineare alcune definizioni contenute nell’art. 2 del decreto in esame, le quali risultano molto utili anche in materia tributaria.
In primo luogo: il concetto di “attività sportiva”.
Essa viene definita quale «qualsiasi forma di attività fisica fondata sul rispetto di regole che, attraverso una partecipazione organizzata o non organizzata, ha per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli».
Altra definizione di notevole rilevanza è quella di “attività fisica o motoria”.
Essa è definita come «qualunque movimento esercitato dal sistema muscolo-scheletrico che si traduce in un dispendio energetico superiore a quello richiesto in condizioni di riposo».
Per “esercizio fisico strutturato”, invece, si intendono «programmi di attività fisica pianificata o ripetitiva specificamente definiti attraverso l’integrazione professionale e organizzativa tra medici di medicina generale (MMG), pediatri di libera scelta (PLS) e medici specialisti, sulla base delle condizioni cliniche dei singoli soggetti cui sono destinati, che presentano patologie o fattori di rischio per la salute e che li eseguono individualmente sotto la supervisione di un professionista munito di specifiche competenze, in luoghi e in strutture di natura non sanitaria, come le “palestre della salute”, al fine di migliorare o mantenere la forma fisica, le prestazioni fisiche e lo stato di salute».
Altra definizione rilevante è quella di “Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche”: esso è il registro istituito presso il Dipartimento dello sport al quale devono essere iscritte tutte le società e le associazioni sportive dilettantistiche che svolgono attività sportiva, compresa quella didattica e formativa, le quali operino all’interno di una federazione sportiva nazionale, disciplina sportiva associata o di un ente di promozione sportiva. Questo registro sarà gestito unicamente con modalità telematiche.
Ai sensi dell’art. 5, del Decreto n. 39 relativo alla semplificazione degli adempimenti relativi agli organismi sportivi, l’iscrizione nel Registro attesta la natura dilettantistica delle società e delle associazioni sportive.
Il successivo articolo 6, invece, elenca gli elementi che devono essere inseriti nel Registro e cioè:
- i dati anagrafici delle associazioni e delle società dilettantistiche, del legale rappresentante, dei membri del consiglio direttivo e degli organi di controllo;
- i dati anagrafici di tutti i tesserati;
- le specifiche attività (formative, didattiche e sportive) svolte dai tesserati;
- gli impianti usati per lo svolgimento dell’attività sportiva e i relativi contratti attestanti il loro diritto di utilizzo;
- i contratti di lavoro sportivo e prestazioni amatoriali, con specifica indicazione di soggetti, compensi e mansioni svolte;
- il rendiconto finanziario ed economico ovvero il bilancio di esercizio approvato dall’assemblea e il verbale;
- i verbali che implicano modifiche statutarie, gli organi statutari e sede legale.
I dati appena citati, dopo essere stati iscritti al Registro, potranno essere opponibili ai terzi.
Dopo aver definito cosa si intende per “lavoratore sportivo”, occorre ora chiarire chi è il “direttore sportivo”.
Egli rappresenta colui che cura l’assetto organizzativo e amministrativo di una società sportiva, con particolare riferimento alla gestione dei rapporti tra società, atleti e allenatori, nonché la conduzione di trattative con altre società sportive con oggetto il trasferimento di atleti, la stipulazione delle cessioni dei contratti e il tesseramento.
Oltre al direttore sportivo, altra definizione sulla quale porre attenzione è quella di “direttore tecnico”.
Egli è definito come il soggetto che cura l’attività riguardante l’individuazione degli indirizzi tecnici di una determinata società sportiva, coordinando, altresì, le attività degli allenatori.
- Il vincolo sportivo: quali cambiamenti in caso di abolizione?
La novità più rilevante apportata dalla riforma dello sport e che entrerà in vigore dalla stagione 2024/2025[9] è, certamente, l’abolizione del vincolo sportivo.
Occorre, però, prima di analizzare ciò, definire cosa si intende per vincolo sportivo[10] e analizzare quali conseguenze comporterà questa previsione.
Esso è il legame che, a seguito del tesseramento, lega il calciatore alla società e, in forza del quale, il primo è tenuto a svolgere la propria attività solo e soltanto nei confronti del club cui si è tesserato.
Ciò che rende tale istituto problematico sono gli effetti giuridici che esso comporta, effetti di cui spesso i calciatori sono perfettamente ignari e che dipendono, principalmente, dalle Norme Organizzative Interne della FIGC (N.O.I.F.) e dalla giurisprudenza dei Tribunali ordinari che spesso si sono pronunciati su tale settore.
Iniziando dai profili normativi, è necessario precisare che fino al quattordicesimo anno di età ogni tesseramento ha durata annuale, derivandone, così, uno svincolo automatico al termine della relativa stagione (il 30 giugno).
Dopo il compimento dei quattordici anni, tuttavia, la situazione si complica.
Infatti, a partire da tale periodo, ogni tesseramento con un club professionistico comporta un vero e proprio vincolo sportivo che fa assumere all’atleta lo status di “Giovane di Serie”, obbligatoriamente pluriennale, il quale deve durare fino al termine della stagione sportiva che inizia nell’anno in cui il giocatore compie diciannove anni.
È chiaro, quindi, che il giocatore, nell’arco temporale dai quattordici ai diciannove anni, può svincolarsi dalla società esclusivamente su iniziativa della stessa, ovvero nel caso in cui la società non si iscriva al campionato di competenza della relativa prima squadra, venga esclusa, rinunci, o, infine, subisca la revoca dell’affiliazione (c.d. “svincolo per inattività della società”).
Nel settore dilettantistico, invece, la situazione è del tutto diversa.
Innanzitutto, occorre sottolineare che nel periodo tra i quattordici ai sedici anni, il dilettante ha la facoltà di tesserarsi soltanto annualmente con la società. È chiaro, dunque, che la costituzione di un vincolo pluriennale è solo facoltativa.
Tuttavia, spesso, accade che, proprio all’insaputa dell’atleta e della famiglia, il calciatore finisce per tesserarsi pluriennalmente con la società di appartenenza. Ciò comporta, inevitabilmente, che il vincolo sportivo si protragga fino al termine della stagione in cui lo stesso compie 25 anni.
Nel settore calcistico, si fa riferimento all’art. 32, comma 1, delle norme organizzative della FIGC, il quale dispone che «i calciatori “giovani”, dal 14° anno di età anagraficamente compiuto, possono assumere con la società della Lega Nazionali dilettanti per la quali sono già tesserati vincolo di tesseramento sino al termine della stagione sportiva entro la quale abbiano anagraficamente compiuto il 25° anno di età, acquisendo la qualifica di “giovani dilettanti”».
Tale situazione è, comunemente, denominata “mezzo ergastolo ostativo” poiché l’atleta, fino ai venticinque anni, è impossibilitato a cambiare società senza il consenso di quella stessa con cui è tesserato, salvo rare eccezioni. Egli, infatti, è sottoposto ad una irragionevole soggezione tramite la sottoscrizione del famigerato “cartellino” con la società di appartenenza.
Sul punto, in dottrina, è stato ribadito più volte che il vincolo sportivo stipulato dagli atleti per un periodo irrazionalmente lungo sia da ritenersi nullo di diritto ex art. 1418 del codice civile in ragione del contrasto rispetto ai principi generali previsti dalla Costituzione e da una serie di norme di ordine pubblico.
In particolare, vi è violazione:
– dell’art. 1, della L. n. 91 del 1981 (“Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”), secondo il quale «l’esercizio dell’attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero»;
– della libertà di associazione sancita dall’art. 18 della Costituzione e dall’art. 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Dall’analisi sopra esposta è chiaro che tale sistema legislativo ha creato non pochi problemi sul piano applicativo e perciò molti dilettanti si sono rivolti alla giustizia ordinaria.
Una pronuncia importante risale al 2010, nella quale, il Tribunale di Saluzzo, ha ordinato lo svincolo poiché riteneva il vincolo in forte contrasto con l’art. 2 della Costituzione affermando che «non vi è dubbio che si debba ritenere al limite della costituzionalità e della legittimità la volontà di conservare d’autorità il cartellino [N.d.R. il tesseramento] di un giocatore dilettante e privo quindi di un contratto professionistico».
Con decisione del 31 ottobre 2011, invece, il Tribunale di Perugia ha decretato lo svincolo in ragione dell’art. 18 della Costituzione riguardante il diritto di associazione che comporta, inevitabilmente, anche la facoltà di terminare l’adesione alla stessa associazione.
Sul versante dilettantistico, il vincolo pluriennale soddisfa solo la società e l’invalidità riguarda lo sbilanciamento sul piano della mancanza di causa.
A questo punto, quindi, è necessario stabilire cosa si intende per abolizione del vincolo sportivo quali conseguenze comporta.
È stato detto, di sopra, che, in linea generale, nel settore dilettantistico vige la regola per cui dai sedici ai venticinque anni occorre il consenso del club di appartenenza per il trasferimento di società. L’abolizione[11] comporterà la libertà, per ciascun atleta, di liberarsi dalla società senza dover prima ottenere il suo consenso. Sarà, quindi, riconosciuta, ampia libertà contrattuale ai tesserati vincolati (come avviene già per i professionisti).
Tale importante previsione, però, ha suscitato numerose polemiche da parte dell’intero mondo dello sport che considera la stessa pericolosa per le società dilettantistiche, le quali si vedrebbero venir meno i tanti introiti derivanti dalla cessione dei diritti sportivi dell’atleta stesso.
Dunque, se da un lato gli atleti, in conseguenza dell’abolizione del vincolo sportivo, potranno godere di un’ampia libertà come proiezione del diritto di associazione, dall’altro lato, le società non potranno fare programmi a lungo termine con un atleta[12].
L’art. 31, secondo comma, del D.L.gs. n. 36 del 2021, ha stabilito, tuttavia, che le Federazioni Sportive Nazionali prevedano con proprio regolamento che, nel caso di primo contratto di lavoro sportivo:
- «le società sportive professionistiche riconoscono un premio di formazione tecnica proporzionalmente suddiviso, secondo modalità e parametri che tengono conto della durata e del contenuto formativo del rapporto, tra società sportive dilettantistiche presso le quali l’atleta ha svolto attività dilettantistica, amatoriale o giovanile ed in cui ha svolto il proprio percorso di formazione, ovvero tra le società sportive professionistiche presso le quali l’atleta ha svolto attività giovanili ed in cui ha svolto il proprio percorso di formazione;
- le società sportive dilettantistiche riconosco un premio di formazione tecnica proporzionalmente suddiviso, secondo modalità e parametri che tengono adeguatamente conto della durata e del contenuto formativo del rapporto, tra le società sportive dilettantistiche presso le quali l’atleta ha svolto attività amatoriale o giovanile ed in cui ha svolto il proprio percorso di formazione».
In materia di lavoro sportivo risulta rilevante riportare quanto disciplinato dall’art. 32, quale, in merito ai controlli sanitari dei lavoratori, stabilisce che «l’attività sportiva dei lavoratori sportivi è svolta sotto controlli medici, secondo norme stabilite dalle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate ed approvate, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o dell’Autorità politica da esso delegata in materia di sport». È, inoltre, obbligatoria l’istituzione di una scheda sanitaria per ogni sportivo che svolga lavoro non occasionale.
Riguardo, invece, alla sicurezza dei lavoratori sportivi, si applica la disciplina prevista in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Inoltre, il rilascio dell’idoneità psico-fisica dello stesso lavoratore è di competenza di un medico specialista in medicina dello sport, in seguito allo svolgimento di visite strumentali[13].
Ancora qualche disposizione rilevante in materia di lavoro sportivo.
La prima, quella di cui all’art. 40, detta la disciplina tesa a favorire e promuovere la parità di genere. In particolare, spetta alle Regioni, alle Province autonome e al CONI, il compito di promuovere la parità di genere «favorendo l’inserimento delle donne nei ruoli di gestione e di responsabilità delle organizzazioni sportive e anche al proprio interno».
Infine, merita attenzione quanto stabilito dagli artt. 41 e 42 che hanno istituito le figure professionali del chinesiologo di base, del chinesiologo delle attività motorie preventive e adattate, del chinesiologo dello sport e del manager dello sport.
In conclusione[14], risulta chiaro che, se per un verso, la riforma ha l’intento di favorire la libertà contrattuale dell’atleta che oggi risulta piuttosto compromessa dalla presenza di vincoli pluriennali di durata spropositata, per altro verso, il riconoscimento di un premio economico soltanto all’ultima società cui l’atleta ha fatto parte e unicamente nel caso di primo contratto di lavoro sportivo, potrebbe compromettere la situazione finanziaria su cui attualmente i club dilettantistici sperano per sostenere la propria attività.
- Il rapporto con il Codice del Terzo Settore.
Un’altra novità di rilievo che è emersa dalla riforma dello sport riguarda la possibilità, per le associazioni (ASD) o società sportive dilettantistiche (SSD) di mantenere o assumere la qualifica di ente del Terzo settore (Ets) o di impresa sociale.
La riforma sportiva, infatti, sembra voler concedere alle associazioni e alle società sportive uno status simile agli enti del terzo settore.
In particolare, l’art. 6, comma 2, del D.L.gs. n. 36 ha previsto che «gli enti sportivi dilettantistici, ricorrendone i presupposti, possono assumere la qualifica di enti del terzo settore, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera t), del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, e di impresa sociale, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 122. In tal caso, le norme del presente decreto trovano applicazione solo in quanto compatibili».
Ciò comporta, chiaramente, una serie di benefici di cui potranno beneficiare le ASD e le SSD tra cui:
- la decommercializzazione dei corrispettivi degli associati e dei tesserati di cui all’art. 148 del T.U.I.R.;
- l’applicazione del regime forfettario ai sensi della Legge n. 389 del 1991 per l’attività commerciale;
- la qualificazione ex lege come “pubblicitarie” delle spese sopportate dello sponsor per importo annuo non superiore, nel complesso, a 200.000 euro;
- la possibilità di applicazione dell’art. 149 del T.U.I.R.
Ai benefici appena elencati, se ne aggiungono altri indicati specificatamente dalla riforma:
- procedure semplificate per l’ammodernamento e la costruzione di impianti sportivi;
- procedimento agevolato per il riconoscimento della personalità giuridica;
- procedimento preferenziale per uso e gestione di impianti sportivi degli enti territoriali.
Ci si chiede, inoltre, quali specifiche attività possa svolgere una ASD o SSD che sia anche ETS o impresa sociale.
In tal senso, la scelta della doppia qualifica, è invogliante per quelle associazioni che promuovono molteplici scopi quali ad esempio le associazioni sportive dilettantistiche che svolgono anche corsi di musica o servizi come il doposcuola. Qualora le associazioni sportive volessero entrare nel Registro del Terzo settore in qualità di enti che svolgono promozione sociale, esse devono seguire le regole cui sono sottoposte le altre associazioni. In altre parole, le associazioni e le società sportive dilettantistiche già iscritte nei registri CONI dovranno compiere una scelta: rimanere sportive ovvero diventare un’associazione o società di promozione sociale iscritta in due registri.
Sorge, dunque, un interrogativo evidente: quanto sia conveniente, per tali enti, iscriversi nel registro del Terzo settore ed entrare in questo sistema. Di certo, molto dipenderà dalla loro capacità di coordinarsi e trovare un meccanismo di rappresentanza tra di loro.
Il decreto, in queste situazioni, ha provveduto a introdurre il vincolo della secondarietà delle attività differenti da quelle sportivo non contemplando, nello specifico, una deroga per gli enti del terzo settore relativamente alle attività diverse da quelle sportive che si qualificano di interesse generale.
Un altro interrogativo su cui porre attenzione riguarda la possibilità, per le ASD e SSD, di erogare compensi sportivi.
La risposta è sì, in quanto ciò non è vietato dal codice del terzo settore.
Secondo una dottrina[15], infatti, «non si ritiene ostativa al ricorso a tale collaborazione la formulazione dell’articolo 16 del codice del Terzo settore, laddove prevede che i “lavoratori degli enti del Terzo settore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”, non essendo ipotizzabile il medesimo trattamento normativo di un dipendente rispetto a quello riconosciuto ad un lavoratore in rapporto di collaborazione coordinata continuativa, collaborazione di natura autonoma occasionale o collaborazione professionale».
È chiaro che deriveranno una serie di criticità in capo alle ASD che avranno intenzione di cumulare la doppia qualifica di ente sportivo e del Terzo settore.
Innanzitutto, le ASD e le SSD per essere considerate tali dovranno svolgere, in via principale, l’attività di organizzazione e gestione delle attività sportive dilettantistiche, comprese la formazione la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva, ai sensi dell’art. 7 del D.l.gs. n. 36. Le altre attività possono essere svolte unicamente in via secondaria entro limiti stabiliti dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
È chiaro, quindi, che le ASD che accederanno al Terzo settore[16] non potranno svolgere le attività da esso previste, tranne quella sportiva.
Risulta ancora aperta la definizione di attività sportiva dilettantistica nel Terzo settore.
Infatti, sembrerebbe che nel Terzo settore gli enti capaci di svolgere l’organizzazione e la gestione delle attività sportive dilettantistiche siano solo le ASD e le SSD iscritte al Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche.
Resta, in ogni caso, l’esigenza di circoscrivere un quadro normativo preciso per evitare che gli enti sportivo nel Terzo settore possano affrontare un percorso non omogeneo.
In conclusione, lo sport è parte integrante[17] del Terzo settore: il collegamento tra i due mondi si realizza tramite le associazioni e le società sportive dilettantistiche.
[1] Decreto-Legge 22 marzo 2021, n. 41 recante “Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19”.
[2] “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)”.
[3] Sul punto cfr. G. Sinibaldi, La riforma dello sport è legge, in Fiscosport.it, 20 marzo 2021, pag. 8, in cui afferma che «una svista (grave) o una esclusione voluta? La domanda è lecita, considerato che in sede di consultazioni avanti le commissioni parlamentari tutti i soggetti aditi hanno sollevato questa criticità. Ci auguriamo che si tratti di un refuso che non è stato possibile correggere a seguito dei tempi stretti di approvazione dei decreti, e sul quale ci auguriamo che l’esecutivo intervenga in tempi rapidissimi […] che fine faranno? Dovranno trasformarsi con l’obbligo di devolvere il proprio patrimonio ai fondi mutualistici per la cooperazione? Entro quali termini? […]. È uno scenario al quale non possiamo credere, e che rende necessario, con urgenza, un intervento correttivo».
[4] “Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’articolo 2, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106”.
[5] Cfr. art. 8, comma 4 il quale stabilisce che «negli enti dilettantistici che assumono le forme di cui al Libro V del codice civile è ammesso il rimborso al socio del capitale effettivamente versato ed eventualmente rivalutato o aumentato nei limiti di cui al comma 3».
[6] Cfr. G. Nigro, Gli enti sportivi nella riforma dello sport: in G.U. il D.Lgs. n. 36/2021, in Quotidiano Giuridico, 19 marzo 2021, pag. 6 e ss.
[7] Sul punto l’art. 10, comma 2, stabilisce che «la certificazione della effettiva natura dilettantistica dell’attività svolta da società e associazioni sportive, ai fini delle norme che l’ordinamento ricollega a tale qualifica, avviene mediante l’iscrizione del Registro nazionale delle attività dilettantistiche, tenuto dal Dipartimento per lo sport, il quale trasmette annualmente al Ministero dell’economia e delle finanze – Agenzia delle entrate l’elenco delle società e delle associazioni sportive ivi iscritte».
[8] Sul punto cfr. Riforma dello sport: una prima analisi delle disposizioni, in studiostefani.it, dicembre 2020, pag. 7 e ss., in cui si afferma che «viene dunque individuata la figura del lavoratore sportivo […], ma difetta una specifica qualificazione giuridica del rapporto che, in tal senso, non viene ricondotto a un contratto tipo – subordinato, autonomo o di terzo genere – caratterizzato da una propria disciplina generale da applicare, quantomeno in via presuntiva, alla prestazione di lavoro sportivo. Sulla base delle modalità di esecuzione della prestazione e delle circostanze del caso concreto, il rapporto potrà ricondursi tanto all’area subordinata quanto all’area autonoma, individuate secondo i criteri e i parametri di diritto comune».
[9] Il Decreto Sostegni (D.L. n. 41 del 2021), in sede di conversione (L. n. 69 del 22 maggio 2021), ha, infatti, prorogato le norme che riguardano lo sport dal 1 luglio 2022 al 31 dicembre 2023.
[10] Per un’analisi dettagliata cfr. G. Gallovich, Tutto ciò che c’è da sapere sul vincolo sportivo, in ilprocuratoresportivo.it, 25 gennaio 2018.
[11] Cfr. F. P. Traisci, Il vincolo sportivo: come funziona e cosa cambia per i dilettanti in caso di abolizione?, in ilposticipo.it, 25 luglio 2020, in cui ha affermato che il vincolo «viene considerato un istituto anacronistico e ritenuto da alcuni addirittura anticostituzionale, atteso che impedisce ai giovani di scegliere con quale società giocare, costringendone così molti ad abbandonare l’attività agonistica. Questa norma ha costretto a volte le famiglie degli atleti a spendere grosse somme per “liberare i propri figli dal vincolo e portarli altrove”. […] D’altra parte, è tuttavia necessario premiare quelle società che curano e investono nel proprio settore giovanile, consentendo loro di avere degli incentivi economici per svolgere la propria attività […]».
[12] Cfr. F. Napoli, Postiglione: “Ecco cosa accadrà con l’abolizione del vincolo sportivo”, in wpdworld.com, 26 novembre 2020, in cui, riportando ciò che Francesco Postiglione, ex giocatore di livello internazionale ha affermato, cita espressamente «più che economico il problema per i club sarà di programmazione tecnica: se so di avere un atleta per 5, 6 o 7 anni ci posso investire in un certo modo».
[13] In particolare, l’art. 33, prevede che «la sorveglianza del lavoratore sportivo, è compito del medico competente di cui all’articolo 2, comma 1, lett. h), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. Fermo restando quanto previsto dalla legge 17 ottobre 1967, n. 977, sull’impiego dei minori in attività lavorative di carattere sportivo, con appositi decreti, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto in commento, saranno introdotte disposizioni specifiche a tutela della salute e della sicurezza dei minori che svolgono attività sportiva, inclusi appositi adempimenti e obblighi, anche informativi, da parte della società e associazioni sportive, tra cui la designazione di un responsabile della protezione dei minori, allo scopo, tra l’altro, della lotta ad ogni tipo di abuso e di violenza su di essi e della protezione dell’integrità fisica e morale dei giovani sportivi».
[14] Il presidente della FIGC Veneta, Patrick Pitton, durante un’intervista da parte del Giornale di Vicenza, prima che la legge fosse definitivamente approvata, si era espresso così «qualora passasse la legge – ammette sconsolato – non avremo più atleti, bensì mercenari anche tra i Dilettanti, personaggi che cederebbero al miglior offerente. E sarebbe l’inizio della fine. Non solo: con simili presupposti a stretto giro di posta tantissime società arriverebbero a chiudere i battenti. Gli sgravi fiscali? Certo, ci sarebbero, ma non basterebbero a riparare i danni che una norma del genere provocherebbe. Come federazione stiamo facendo il possibile per evitare che questo decreto vada in porto […]».
[15] Cfr. F. Colecchia, Approvata la riforma dello sport, cosa cambia per il Terzo settore, in www.cantiereterzosettore.it, 23 marzo 2021.
[16] Cfr. M. D’Isanto, La riforma dello sport: quali scenari?, in rivistaimpresasociale.it, 20 maggio 2021, il quale immaginando le condizioni ai fini di un’armonizzazione tra sport e Terzo settore, dichiara che «per esempio, sarebbe opportuno in sede di decreti correttivi, al fine di completare il percorso avviato dalla Riforma dello Sport, riconoscere la possibilità alle ASD e alle SSD di poter svolgere la loro attività in locali compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica».
[17] Cfr. A. M. Gambino, La riforma del Terzo settore e l’attività sportiva, in rivistadirittosportivo.it, II, 2018, pag. 238, in cui afferma che «la riforma del Terzo settore complessivamente intesa e lo statuto regolatorio specifico dell’attività sportiva hanno certamente un punto di contatto: la regolamentazione statale di quelle attività (sportive), che, pur definite all’interno di un ordinamento peculiare avente una propria autonomia, riflette, comunque, prerogative dei consociati funzionalmente collegate allo sviluppo integrale del proprio essere, orientato da contenuti e precetti costituzionali».