Di Giuseppina Ivone

I. PREMESSA

Il riparto costituisce una fase fondamentale del procedimento di fallimento che, infatti, si compone
delle tappe di: apertura, inventario del patrimonio, verifica dello stato passivo, liquidazione
dell’attivo, e, prima della chiusura, riparto. La stessa posizione assunta dall’istituto nel
procedimento di fallimento ne determina configurazione e funzione. Infatti, il riparto dipende,
necessariamente, dall’acquisizione di attivo, necessaria a costituirne l’oggetto; ma dipende, inoltre,
dalla verifica dello stato passivo, necessaria a stabilirne il criterio.
Questi nessi di dipendenza univoca condizionano profondamente l’istituto. Il riparto costituisce,
infatti, la finalità sia della verifica del passivo che del recupero dell’attivo tanto che l’art. 102 l.f.
dispone l’evitabilità della verifica in assenza di attivo sufficiente e perché sarebbe inutile
determinare un criterio distributivo in assenza di denaro da distribuire.
Per questa sua collocazione, e quale momento apicale della procedura di fallimento, il riparto resta
fortemente condizionato, nella sua pratica realizzazione, dai risultati conseguiti nelle fasi
precedenti.
A ciò si aggiunga che l’attivo realizzato costituisce anche la risorsa essenziale per il finanziamento
della procedura, così che potrebbe definitivamente procedersi al riparto solo al compimento di tutte
le operazioni di fallimento.
Una regola di opportunità suggerisce tuttavia di inserire momenti di riparto nel corso della
procedura in svolgimento: così da assecondare gradatamente l’interesse dei creditori sia a ricevere
parte del pagamento dovuto che ad assicurare il prosieguo delle attività fallimentari. Il punto di
equilibrio si determina nella distribuzione di parte soltanto del ricavato: la parte non necessaria al
finanziamento delle attività che restano da compiere (si discorre, infatti, di riparti parziali, in ciò
distinti dal cosiddetto riparto parziale quale fase ultima seguita soltanto dalla chiusura del
fallimento).
La concreta disciplina del riparto rende ragione delle esigenze ora esposte, dando sostanza alle
soluzioni pure anticipate.
E’ dunque possibile, a tal punto, insistere in un’analisi di maggior dettaglio.

II. PERIODICITÀ E STABILITÀ DEL RIPARTO
L’art. 110, comma 1, l.f. prevede che, a partire dalla data di deposito dello stato passivo, il curatore
presenti ogni quattro mesi un prospetto delle somme disponibili e un progetto di ripartizione. La
stessa norma precisa che il giudice delegato può stabilire un termine diverso. E che vanno escluse
dalla ripartizione le somme occorrenti per la procedura.
La speditezza nell’esecuzione dei riparti assicura un maggior rispetto degli interessi dei creditori:
sia perché li preserva dagli effetti dell’inflazione, sia perché riduce la fruttuosità di quei crediti su
cui continuano a maturare interessi anche dopo la dichiarazione di fallimento .
Presupposto logico, prima ancora che giuridico per procedere al riparto è ovviamente la
disponibilità liquida. Tale necessario presupposto non è tuttavia anche sufficiente. Pur in presenza
di attivo in cassa, la prassi affermatasi nella quasi totalità degli uffici è stata nel vigore della
precedente disciplina del 1942 (che prevedeva un riparto ogni due mesi) nel senso di tollerare
termini (molto) più lunghi di quelli previsti dalla legge tra un progetto di riparto e l’altro. In genere,
non si rinviene un provvedimento esplicito del giudice delegato volto a fissare periodicità diverse e
più ampie. Tuttavia, la tolleranza costantemente dimostrata dagli uffici (che potrebbero contestare
l’inerzia e sottoporre il curatore al giudizio di revoca) testimonia la sostanziale condivisione
dell’operato. Del resto, una simile stretta periodicità presuppone una velocità nelle operazioni di
apprensione e liquidazione dell’attivo obbiettivamente lontana dalla realtà. Si aggiunga la necessità,
richiamata dalla legge, di riservare dalla ripartizione le somme occorrenti per l’amministrazione
della procedura e apparirà chiara la inopportunità di riparti così frequenti di un attivo a quel punto
necessariamente modesto e su cui graveranno, inoltre, le spese della stessa procedura di riparto.
La prassi dei tribunali è di ritenere necessario il riparto quantomeno allorquando le somme
disponibili siano sufficienti a soddisfare una categoria di creditori.
Tale principio, definito di periodicità dei piani di riparto, va coordinato con l’altro principio della
stabilità dei riparti per cui una volta reso esecutivo, il piano di riparto non può più essere modificato
e diviene in linea generale intangibile per i creditori successivi.
Un limite all’immodificabilità del riparto approvato è dato dal riconoscimento del credito di chi si è
insinuato tardivamente, ma senza colpa per il ritardo (art. 112 l.f.). Il ritardo dovuto a colpa del
creditore è dunque sanzionato con la perdita della percentuale già distribuita agli altri creditori .
Sono tuttavia fatti salvi i diritti di prelazione (sempre art. 112 l.f.). Infatti, per i creditori privilegiati
quanto ripartito ai creditori di grado successivo non può pregiudicare la loro posizione sostanziale,
per la causa che assiste il loro credito o per avere costoro una garanzia speciale sul bene appreso
all’attivo del fallimento, indipendentemente dal momento dell’ammissione al passivo del creditore.
Pertanto costoro possono ripetere dai riparti successivi quanto avrebbero avuto diritto di percepire
nel precedente riparto ove nello stesso avessero avuto utile collocazione (cfr. art. 112, l.f.). Si tratta
di principio comune all’esecuzione individuale (art. 528, comma 2, 566 cpc) secondo cui le cause di
prelazione assicurano ai creditori privilegiati la partecipazione al riparto successivo nella medesima
misura già distribuita nei riparti precedenti ai creditori di pari grado senza loro pregiudizio, attesa
l’efficacia purgativa della vendita forzata. In ogni caso i riparti precedentemente redatti non
vengono toccati e quindi è salvo il principio di stabilità del riparto.

III. MODALITÀ DI REDAZIONE DEL RIPARTO
Il legislatore è intervenuto sia in sede di novella del 2006 sia in sede di decreto correttivo, a
ridisegnare la struttura del progetto di riparto. E’ stata dedicata un’apposita disciplina in materia di
graduazione delle masse, con riferimento alla prededuzione (art. 111 bis l.f.), alla formazione delle
sottomasse (art. 111 ter l.f.) e alla graduazione dei privilegi. E’ stata ridisegnata la disciplina del
riparto parziale, in punto di accantonamenti generici e specifici, nonché del riparto finale.
Quanto alla composizione della massa attiva, il prospetto delle somme disponibili si determina
calcolandosi l’attivo netto determinato sottraendo dal saldo di cassa le spese prededucibili
autorizzate e non ancora passate in esecuzione, quali: il compenso del curatore, le spese e il
compenso dei membri del comitato dei creditori, le spese per professionisti liquidate dal giudice
delegato, le spese anticipate dall’Erario o prenotate a debito, nonché le somme accantonate ai
creditori precedenti. In caso di incapienza dell’attivo, i crediti per compensi liquidati dal GD (art.
25, n. 4, l.f.) e gli altri crediti prededucibili sono soggetti a graduazione.
Sempre all’interno della formazione della massa attiva si pone il problema dell’acquisizione del
ricavato della vendita relativamente ai crediti ai quali non si applica il divieto di azioni esecutive e
cautelari di cui all’art. 51 l.f.
La soluzione normativa impone oggi che il ricavato della vendita dei beni con privilegio
processuale vada acquisito all’attivo, con conseguente collocazione di tali crediti secondo la
graduazione di diritto comune (art. 2778, nn. 4 e 13 c.c; Cass. 18.12.2006, n. 27044). Questo
principio vale anche per i crediti pignoratizi, anche se tale disposizione confligge dalla disciplina in
materia di contratti di garanzia finanziaria.
Nel caso di creditore fondiario questo ha l’onere di riversare alla procedura il ricavato della vendita
dei beni oggetto di garanzia, principio ormai affermato anche per le procedure di vecchio rito.
Questo ricavato potrebbe essere limitato alla parte di crediti che gravano sull’immobile (compenso
curatore, spese inerenti all’oggetto di garanzia). Per far sì che il credito fondiario non percepisca
una quota di ricavato d’asta maggiore di quanto dovrebbe essere oggetto di riparto, il curatore deve
intervenire nella procedura esecutiva in fase di progetto di distribuzione, comunicare che il creditore
fondiario è stato ammesso al passivo in privilegio e depositare una sorta di progetto di riparto
virtuale che tenga conto dell’apprensione virtuale del ricavato d’asta della vendita da parte della
curatela e della massa passiva che andrebbe a gravare su quel ricavato d’asta.
Quanto alla composizione della massa passiva, un’importante novità introdotta dalla riforma attiene
alla disciplina dei crediti prededucibili, ossia alla categoria dei crediti così qualificati da una
specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali.
Tali crediti trovano collocazione nel progetto di riparto ove non siano stati oggetto di decreto di
prelievo e sono oggetto di pagamento degli interessi sino al momento del saldo. Se invece tali
crediti non sono oggetto di contestazione né per sorte, né per collocazione e siano liquidi ed
esigibili, essi trovano soddisfazione attraverso uno strumento parallelo costituito dal decreto di
autorizzazione del giudice delegato.
Quanto al concorso dei crediti prededucibili e dei crediti con garanzia reale sul bene la disposizione
dell’art. 111 bis l.f. come riformato prevede che i crediti prededucibili non possono soddisfarsi sul
ricavato dei beni oggetto di pegno e di ipoteca , potendo gravare su questi solo le spese imputabili
su detti beni.
Il curatore ha poi l’onere di individuare le seguenti sottomasse (art. 111 ter l.f.):
– la sottomassa proveniente dalla liquidazione di beni diversi dagli immobili su cui
concorrono tutti i creditori (sottomassa che comprende sia il ricavato dalla liquidazione di
beni e sia il ricavato dalle azioni ex art. 24 l.f.) ;
– la sottomassa dei beni mobili con pegno e privilegio speciale, benché la graduatoria dei
privilegi sia unica;
– la sottomassa dei beni immobili.
In relazione a ciascuna sottomassa vanno poi collocati i crediti prededucibili e soddisfatti questi, i
creditori privilegiati (artt. 2777, 2778 c.c. 54 l.f. e 2855 c.c.).
IV. Questioni relative al riparto
Un primo problema che si pone è quello relativo al trattamento del creditore che ha proposto
opposizione allo stato passivo.
I creditori opponenti continuano a non beneficiare di un accantonamento specifico ma al più
possono beneficiare di un incremento della posta relativa all’accantonamento generico.
Altra ipotesi di accantonamento riguarda l’ipotesi del creditore opponente la cui domanda è stata
accolta ma la sentenza non è passata in giudicato. Il riferimento è all’ipotesi di decreto di
ammissione emesso dal Tribunale ex art. 99 l.f. avverso il quale sia stato proposto ricorso per
Cassazione. In questi casi permane, anche in caso di riparto finale, la legittimazione processuale del
curatore dopo la chiusura del fallimento e detto evento non determina l’interruzione di quel
giudizio. Nel qual caso l’accantonamento dovrà ricomprendere anche le spese per quel giudizio.
Altre ipotesi di accantonamenti specifici sono: a) crediti ammessi con riserva (art. 113, n. 1 l.f.), a
loro volta distinti in crediti condizionati; crediti con riserva di produzione istruttoria e crediti
accertati con sentenza non passata in giudicato; b) crediti per cui sono stati proposti giudizi di
revocazione, impugnazione; c) somme ricevute dal fallimento con provvedimento sub iudice.
Altra questione in tema di riparto finale, attiene al modo in cui si deve procedere al pagamento del
creditore destinatario dell’accantonamento specifico e per il quale l’evento che ne comporta
l’ammissione non si sia verificato, nonché i creditori irreperibili successivamente alla chiusura del
fallimento; e ciò tenendo conto che tali creditori hanno un vincolo di destinazione di durata
quinquennale che decorre dal deposito delle somme e dalla chiusura del fallimento.
Soccorre in questo caso la relazione illustrativa al d.lgs del 2006 che prevede che si faccia ricorso
al giudice designato dal presidente del tribunale per la distribuzione delle somme; tale relazione
risponde a quella che è la prassi operativa per cui il creditore fa istanza al giudice delegato perché,
previa designazione del Presidente del Tribunale, proceda allo svincolo delle somme mediante
emissione del decreto di prelievo ex art. 34, u.c. l.f.
Altra questione in tema di riparto riguarda cosa succede se il creditore destinatario
dell’accantonamento o irreperibile non richiede il pagamento dopo la chiusura del fallimento. La
conseguenza della definitiva irreperibilità del creditore è che i creditori concorrenti concorrono con
l’Erario per l’apprensione delle somme non distribuite ai creditori destinatari dell’accantonamento.
Tali somme non sono di spettanza del fallito anche se intervenuta l’esdebitazione, ma sono
distribuite tra i creditori concorrenti con procedimento snello su ricorso dei creditori rimasti
insoddisfatti.
Laddove invece il fallimento si chiuda per pagamento integrale dei creditori, la norma in materia di
riparto finale non dovrebbe trovare applicazione e gli accantonamenti a favore dei creditori
irreperibili sono di spettanza del fallito come nel caso di concordato fallimentare.
Quanto alla modificazione del titolare del credito rispetto al creditore insinuatosi, nel caso di
modificazione volontaria, che avviene per cessione o surrogazione, questa trova oggi disciplina
nell’art. 115 l.f. che elimina la necessità di dover procedere all’istanza tardiva. Condizione tuttavia
necessaria per l’attribuzione da parte del curatore delle somme oggetto di riparto al cessionario del
credito è che la cessione sia tempestivamente comunicata, unitamente alla documentazione che
attesti, con atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario, l’intervenuta cessione.
Ricevuta la documentazione, il curatore provvede quindi alla rettifica dello stato passivo.
Nella ipotesi di modificazione soggettiva non volontaria, il problema che si pone è se il creditore
del creditore insinuato possa far valere le proprie ragioni in sede di riparto.
Secondo alcuni, è possibile procedere a pignoramento presso terzi nei confronti del curatore del
fallimento nella ipotesi in cui sia stato già predisposto il riparto, in quanto prima del riparto il
credito non sarebbe liquido. Secondo altra impostazione, sarebbe possibile procedere al
pignoramento del riparto futuro sulla base della mera ammissione del credito allo stato passivo, se e
nella misura in cui tale credito risulterà oggetto di ripartizione. Nel qual caso il curatore renderà una
dichiarazione condizionata all’evento della redazione del riparto successivo.

V. PROGETTO DI RIPARTO E DISCIPLINA PROCESSUALE
Il legislatore è intervenuto anche in materia di procedimento di deposito, impugnazione ed
esecutività del progetto di riparto.
Il procedimento si articola in quattro momenti: 1) la presentazione al giudice del progetto di riparto
da parte del curatore; 2) ordine di deposito in cancelleria con avviso di ciascun creditore (anche di
quello non ammessi al passivo purché abbiano in corso giudizio di opposizione); 3) eventuale
proposizione di reclami; 4) decreto di esecutività con eventuale accantonamento di somme.
La prima novità introdotta dalla riforma attiene alla preclusione per il giudice delegato di apportare
modifiche al progetto del curatore, come pure la necessità del parere preventivo del comitato dei
creditori.
E’ infatti rimesso tale potere alla iniziativa dei creditori- avvisati dal curatore ai sensi dell’art. 110,
n. 2, l.f. che possono richiedere modifiche al progetto.
I creditori, ai quali è stato comunicato il deposito del progetto di riparto, possono proporre reclamo
entro 15 giorni dalla ricezione della comunicazione, ai sensi dell’art. 36 l.f.: il richiamo è alla
disciplina del reclamo avverso gli atti del curatore, essendo oggi il progetto di riparto considerato
come atto tipico del curatore. Soluzione questa che consente anche un doppio grado di giurisdizione
negli stessi termini in cui è prevista per l’attività contenziosa nel fallimento: il reclamo al giudice
delegato in primo grado e al Tribunale in grado di impugnazione.
Legittimati al reclamo sono i creditori contemplati nel riparto e destinatari dell’avviso e,
precisamente, i creditori ammessi e i creditori opponenti (nella ipotesi in cui siano destinatari di
accantonamenti9, che riceverebbero beneficio dalla diversa predisposizione del riparto. Sono invece
esclusi: il fallito o i creditori che non ricevono in concreto alcun beneficio (es. creditori opponenti
non destinatari di alcun accantonamento).
Quanto all’oggetto del reclamo, il rinvio all’art. 36 l.f. comporta che l’impugnazione al progetto di
riparto debba essere limitata alla mera violazione di legge (e quindi a questioni di puro diritto: la
graduazione dei crediti; la formazione delle sottomasse; l’effettuazione di accantonamenti
specifici), precludendo la sollevazione di questioni che richiedono accertamenti di fatto (quale la
sussistenza del bene oggetto di prelazione speciale, il verificarsi dell’evento a cui è condizionato
l’accantonamento specifico), nonché questioni di mera opportunità.
La dichiarazione di esecutività del riparto costituisce il momento finale del procedimento di riparto.
Si è evidenziato che il giudice non ha alcuna autonomia decisionale, dovendo emettere il
provvedimento ove il curatore ne faccia richiesta, non potendo, infatti, il giudice sindacarne il
contenuto ma invece limitare la sua verifica al rispetto delle norme procedurali, con particolare
riferimento all’adempimento dell’obbligo di comunicazione a tutti i creditori. In mancanza, dovrà
disporre la rinnovazione degli adempienti omessi prima di dichiararne l’esecutività.
Il curatore, infine, provvede al pagamento dei creditori nei modi stabiliti dal giudice delegato (art.
115 l.f.).
Una prassi seguita è di emettere mandato di pagamento senza specificare alcuna modalità, in ciò
lasciando libero il curatore di determinarsi secondo convenienza. Altra prassi è invece di specificare
il mezzo di pagamento. Quest’ultimo è l’avviso del Tribunale di Roma, che dispone il pagamento
per mezzo di assegni circolari. Se poi ricorrono specifiche esigenze, il giudice delegato può disporre
particolari modalità di deposito delle somme a tutela degli interessi del fallimento (come accade di
solito per le somme attribuite nei confronti di un creditore contro il quale pende un’azione di
recupero avviata dal curatore). Contestualmente alla deliberazione sul riparto, il giudice può
pertanto disporre che si proceda al sequestro delle somme così riconosciute.