Avv. Antonio Travia

Sommario: 1. L’importanza della tutela della salute all’interno dell’Unione Europea 2. La Direttiva 2011/24/UE – 3. –  I modelli di assistenza sanitaria nel quadro dell’unione europea 4. –Conclusioni.

  1. –  L’importanza della tutela della salute all’interno dell’Unione Europea

Le Istituzioni Europee provvedono ad integrare le politiche nazionali dei vari paesi membri; l’aspetto sanitario è diventato con il tempo tra i campi di maggiore intervento. La tutela del diritto alla salute dei cittadini comunitari trova garanzia nei vari trattati, anche di recente stipulazione; in dettaglio l’art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, entrata in vigore dopo lunga attesa grazie all’efficacia riconosciutale dal Trattato di Lisbona, chiarisce come la tutela della salute si riversi nella tutela della vita umana, rappresentando di conseguenza uno dei capisaldi sul quale si poggia l’unione di tanti paesi culturalmente diversi[1].

Sul piano pratico l’art. 35, riprendendo quanto affermato nell’art. 152 del Trattato della Comunità Europea, non fornendo una definizione precisa della tutela della salute, individua quali sono gli aspetti che devono avere le politiche comunitarie. I punti saldi dell’azione dell’UE in materia di salute, attuata attraverso il piano di strategia per la salute, sono di rafforzare la politica di prevenzione sanitaria, edificare una collaborazione stabile tra i vari apparati sanitari in grado di affrontare gravi minacce alla salute e permettere un facile accesso alle cure da parte dei pazienti. Non per ultima, l’Unione eroga finanziamenti a favore di iniziative innovative, mediante il programma dell’UE per la salute.

La crisi economica che negli ultimi anni ha investito i paesi europei ha comportato delle ripercussioni sulla garanzia di una completa tutela del paziente, come precedentemente descritto; la razionalizzazione dei budget dell’amministrazioni in campo sanitario si è tradotta spesso in un razionamento delle prestazioni.

Da qui, si è presentata la necessità di una rivisitazione del modello di gestione che l’amministrazione sanitaria deve possedere, onde rendere il diritto alla salute stabile nella sua attuazione. Nel caso in questione, un forte contributo è affidato al ruolo del soggetto privato operante in campo medico-assistenziale; gli ospedali privati accreditati contribuiscono ad equilibrare la spesa pubblica in quanto prendono parte all’offerta di servizi. Essi offrono mezzi complementari, consentendo allo Stato membro di risparmiare. Le politiche a favore di un organigramma misto pubblico-privato, viene considerato come una garanzia di un’effettiva libertà di scelta delle modalità di cura; ma maggiormente viene considerato come un principio fondamentale alla realizzazione di quel mercato comune, che si colloca alla base della nascita della Comunità europea. Infatti, tali politiche attuano uno stimolo alla competizione, e quindi alla concorrenza, tra i vari soggetti, facendo scaturire un miglioramento della qualità dei servizi e un’ottimizzazione del rapporto costi-benefici.

Il modello, potremmo dire “misto”, non comporta solo la compresenza di strutture appartenenti ai due settori, ma comprende di conseguenza l’aziendalizzazione degli ospedali pubblici o addirittura la loro privatizzazione; inoltre, nel favorire una maggiore implementazione tra il settore pubblico e privato, si tende ad incentivare un aumento degli investimenti da parte di quest’ultimo.

L’Unione Europea appare orientata verso un modello europeo di servizio sanitario, attuo ad armonizzare le garanzie del welfare con il mercato interno dei servizi; sempre nell’ambito dell’integrazione economica europea e della definizione dello status di cittadino europeo, la rigida separazione tra sistemi sanitari nazionali sembra essere destinata ad essere superata. Lo svilupparsi di un mercato interno dei servizi è alimentato dalla garanzia di libera circolazione dei cittadini; questo ripercuote la propria azione in ambito di ricevimento di cure nei paesi membri. In questo contesto, trova applicazione la Direttiva 2011/24/UE; essa regola le cure transfrontaliere e conferisce il diritto di accedere ai prodotti medicinali, ai dispositivi medici e infine ai servizi sanitari presenti nei vari paesi europei. Tale Direttiva, in controcorrente con le varie forme di federalismo presenti in Europa, fa de facto decadere la tematica di una contrapposizione tra strutture pubbliche e private rendendola irrilevante nel quadro europeo; infatti gli ospedali privati accreditati sono per legge conformi agli standard di qualità e sicurezza richiesti dai vari paesi, e la Direttiva a tal proposito rinvia come criterio di validità per le prestazioni transfrontaliere la conformità alle normative nazionali e regionale.

  • – La Direttiva 2011/24/UE 

Nell’ottica di garantire una tutela del malato nello spazio europeo, la Direttiva 2011/24/Ue ha definito regole chiare per facilitare l’accesso a servizi sanitari sicuri e di elevata qualità nell’Unione Europea, assicurando la mobilità degli individui-pazienti che richiedono servizi sanitari in uno Stato membro differente da quello di provenienza. Nel quadro di una frammentazione dei tipi di modelli che ogni Stato membro possiede nel capo della Sanità, l’Unione Europea invita gli Stati membri ad uniformare e facilitare l’accesso alle cure mediche e favorire la scelta dei luoghi di cura. Il diritto dei pazienti “di fare una scelta informata” riconosce ufficialmente il “Diritto alla libera scelta” e il “Diritto ad essere informati” presenti nella Carta Europea dei Diritti del Malato[2]. L’implementazione delle suddette garanzie consente a tutti i pazienti un accesso ai servizi più adatti alle loro esigenze personali, sia all’estero sia nei propri paesi. La logica che governa questa scelta fa riferimento ai principi alla base dell’Unione, primo fra tutti quello del mercato unico e della libertà di circolazione di merci, persone, beni e servizi. Peraltro, soprattutto negli ultimi anni, la Corte di giustizia ha emesso sentenze favorevoli alla libertà del cittadino di scegliere i luoghi di cura e di ricevere poi la copertura economica prevista dal proprio sistema sanitario. La suddetta Direttiva, in merito alle cure transfrontaliere e i diritti dei pazienti, si inserisce pienamente proprio nella strategia dell’Unione Europea di rendere più forte il cittadino europeo, anche nei confronti delle regole degli Stati membri, facilitando così una maggiore omogeneità sul piano delle garanzie.

La Direttiva non si applica solamente a una situazione in cui un paziente proveniente da uno Stato membro, richiede il rimborso per cure richieste ed erogate dal Servizio sanitario di un secondo Stato membro; esso trova applicazione anche alle prescrizioni, alla distribuzione ed erogazione di medicinali e dispositivi medici quando essi sono forniti in un contesto di Servizio sanitario.

Dal testo della Direttiva, si desume per i vari Stati europei dei vincoli in merito alla garanzia del rilascio d’informazioni idonee per i pazienti, alla qualità e sicurezza dei servizi e alla tutela della privacy; inoltre trova attuazione il riconoscimento del principio di non discriminazione per l’accesso alle cure. Gli Stati membri che erogano il trattamento non devono discriminare i pazienti in base alla loro provenienza, sia per quanto riguarda le condizioni dell’erogazione dell’assistenza, sia per quanto riguarda la definizione dei prezzi per le prestazioni; condizioni e prezzi devono essere gli stessi rispetto a quelli praticati per i pazienti del proprio territorio.

La relativa copertura finanziaria per il malato di diversa provenienza è competenza del proprio Servizio sanitario; il rimborso è previsto nei limiti dei benefici dell’assicurazione sanitaria di cui il paziente è titolare, e non può eccedere il costo della prestazione sanitaria ricevuta all’estero.

È previsto infatti il potere dello stesso Servizio sanitario di appartenenza di limitare il suddetto rimborso, se questo compromette sensibilmente l’equilibrio economico e finanziario del modello socio-assistenziale dello Stato di provenienza del paziente. Ulteriore limitazione a ciò che prescrive la Direttiva europea, consiste nel rilascio di una autorizzazione, inerente a specifici servizi sanitari, individuati nell’art. 9 della direttiva; ossia in riferimento a ricoveri che prevedono il pernottamento in strutture ospedaliere, servizi che riservano elevati rischi per la salute del malato e infine prestazioni che comportano l’impiego di attrezzature altamente specializzate e ad elevati costi. La Direttiva stabilisce che le disposizioni in essa contenute, non devono influire sulla legislazione e regolamentazione degli Stati membri, riguardanti l’organizzazione e il finanziamento dei servizi sanitari che non riguardano naturalmente situazioni di cure transfrontaliere; inoltre, in riferimento all’attività del privato nella Sanità, i vari Servizi sanitari non sono obbligati in alcuno modo al rimborso dei costi per prestazioni fornite da istituzioni private che non fanno parte del sistema pubblico o non sono inserite nel sistema di sicurezza sociale pubblica. La Direttiva affronta temi fondamentali per l’erogazione delle prestazioni sanitarie che, se non adeguatamente calibrati, rischiano di avere un forte impatto sulla sostenibilità dei vari modelli di assistenza sanitaria. Risultando vincolante la suddetta Direttiva, ogni Stato appartenente all’Unione Europea, nel recepirla, ha l’obbligo di edificare una procedura amministrativa, onde facilitare il ricorrere a cura transfrontaliere e di richiederne il relativo rimborso spese. La nuova normativa prevede, inoltre, che in ogni paese sia istituito un “National Contact Point”, ossia un sistema di orientamento per il cittadino sui servizi e le cure a cui può accedere negli altri Stati.

Gli equilibri strutturali nel binomio pubblico-privato, in merito all’edificazione di un sistema sanitario efficiente e finanziariamente sostenibile, sono considerati importanti in molti Paesi dell’Unione Europea. Le classificazioni dei modelli di erogazione dell’assistenza sanitaria sono tradizionalmente stilizzate in base ai meccanismi di finanziamento o in merito ai rapporti contrattuali prevalenti che intercorrono tra i fornitori e gli acquirenti di servizi. Quest’ultimi, permettono di analizzare la sostenibilità finanziaria dei sistemi e di conseguenza relazionare l’efficienza ed efficacia della spesa. Più precisamente “i livelli di spesa sanitaria sono il risultato dell’interazione tra i fattori che fanno leva sulla domanda e quelli che fanno leva sull’offerta e della maniera in cui i servizi sanitari sono finanziati ed erogati, vale a dire gli aspetti organizzativi dei sistemi sanitari”[3]. Gli apparati sanitari dei paesi membri dell’Unione possono essere classificati secondo tre tipi di modello: il sistema Beveridge, il sistema Bismarck e il sistema misto. Il modello Beveridge corrisponde ad un’amministrazione sanitaria finanziata mediante il gettito fiscale pubblico; questo modello è anche conosciuto come “sistema sanitario nazionale” e fornisce generalmente una copertura universale. Sullo stesso principio del modello Beveridge, si fonda anche il modello Semashko; in questo caso il finanziamento proviene sempre dal gettito fiscale e la copertura sanitaria è universale, ma lo Stato svolge una funzione di controllo più estesa rispetto al modello precedente in riferimento al finanziamento, alla gestione e alla proprietà delle strutture sanitarie. Il modello Semashko, nel quale i servizi sanitari sono erogati prevalentemente dal sistema ospedaliero, era diffuso nei paesi dell’Europa centrale e orientale prima degli anni ’90, successivamente modificato dal processo di liberalizzazione del mercato. Il secondo modello, cosiddetto Bismarck, prevede che il finanziamento del sistema sanitario sia coperto dai contributi obbligatori dell’assicurazione sociale, versati generalmente sia dai datori di lavoro che dai lavoratori; esso è anche conosciuto come sistema di assicurazione sanitaria e sociale. Infine, nel modello misto, il finanziamento privato, proveniente da regimi di assicurazione volontaria o dai pagamenti diretti, è significativo; questo è anche conosciuto come sistema di assicurazione sanitaria privata.

Oltre al meccanismo di reperimento di risorse da destinare all’amministrazione sanitaria, gli apparati di assistenza basano la loro edificazione anche su altre caratteristiche. Si è discusso molto su quale ruolo dovesse essere assunto da parte del privato nell’inquadramento dell’erogazione di assistenza medico-ospedaliera e sui rapporti contrattuali prevalenti tra i fornitori di servizi sanitari e i loro relativi pagatori.

In base a quest’ultima fattispecie, i sistemi sanitari si distinguono in modello pubblico integrato, modello contrattuale pubblico e modello di assicurazione/fornitore privato. Il modello pubblico integrato si basa sul finanziamento e fornitori di servizi sanitari statali, nel senso che i professionisti sanitari sono per la maggior parte dipendenti del settore pubblico. Il modello contrattuale pubblico viceversa, abbina il finanziamento pubblico, tramite il gettito fiscale o i fondi di assicurazione sociale, a fornitori di assistenza sanitaria privati; in ultima, il modello di assicurazione/fornitore privato è caratterizzato da enti assicurativi privati che erogano l’assistenza sanitaria tramite fornitori privati.

Questa classificazione è ampiamente basata sul grado di ricorso dei sistemi sanitari ai meccanismi di mercato per la regolazione della domanda e dell’offerta di servizi; il soggetto privato contribuisce, istituzionalmente e strutturalmente, all’offerta di servizi ai cittadini tramite procedure di accreditamento e stipulazione di convenzioni. In merito ai modelli appena rappresentati, risulta da varie analisi, che la maggior parte dei Paesi con sistemi decentrati tendono a regolamentare di più le risorse destina all’assistenza sanitaria rispetto alla media Ocse.

L’analisi del settore sanitario-ospedaliero rappresenta un ultimo carattere per possibile classificazione dei modelli di gestione. Trovano opera, infatti, sempre tre modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria: un primo sistema è rappresentato da quello cosiddetto decentrato, dove si conferisce un ruolo primario agli Enti Locali; questo trova una migliore corrispondenza nei Paesi con una struttura federale e nei Paesi scandinavi. Nel corso degli ultimi vent’anni, il modello è stato introdotto anche in Italia e Spagna, nell’intento di “snellire” l’apparato statale. Il secondo modello, definito centralizzato, si caratterizza in uno Stato centrale che coordina e gestisce ogni ramo dell’attività; questo rappresenta uno schema di gestione non più conveniente nella sua applicazione. Si tenga presente, a sostegno di quanto appena detto, nel fatto che l’evoluzione degli ultimi decenni è apportare modifiche, tese a conferire risposte alle esigenze territoriali. In ultima analisi, troviamo il sistema deconcentrato, dove la gestione è sottoposta ad una vigilanza centralizzata, ma realizzata a livello territoriale, attraverso sedi distaccate e agenzie locali; tale schema è caratteristico di paesi quali la Bulgaria, Francia, Grecia e Portogallo. A conclusione, in molti paesi è in corso un processo di riforma inerente a rimodulare i meccanismi di finanziamento e i rapporti tra acquirente e fornitore di servizi; ma nonostante le diverse realtà che ogni amministrazione presenta, esse sono accumunate da uguali difficoltà di attuazione pratica, prima fra tutti la sostenibilità finanziaria.

  • – Conclusioni.

Il sistema sanitario italiano negli ultimi anni ha registrato una crescente difficoltà nel reperimento di risorse atte al mantenimento di un modello assistenziale universale. In un quadro di mercato finito di risorse, nell’ottica di una razionalizzazione della spesa sanitaria, molti interventi sono stati indirizzati ad una revisione continua del modello manageriale, in particolare delle Aziende sanitarie. Si è optato per l’introduzione di meccanismi privatistici come parametri di efficienza ed economicità della gestione assistenziale, che non sempre si conciliano con i caratteri distintivi di un servizio pubblico; in particolare in merito all’equità ed uguaglianza dell’assistenza sanitaria, onde non corrispondere discriminazioni di qualsiasi genere contro i pazienti. Il tutto ha comportato l’aggravamento della posizione del cittadino. Questi assiste ad una sempre più elevata compartecipazione alle spese sanitarie, sia al momento dell’utilizzo dei servizi sia sotto il continuo mantenimento di un apparato sanitario-amministrativo non in grado di soddisfare ogni richiesta dell’utenza. In merito al quadro delineato, si potrebbe obbiettare al fatto che il risparmio ottenuto è secondario all’aspetto organizzativo; la centralità del paziente subisce de facto una sostituzione, ponendo molte difficoltà a quest’ultimo in termini di liste d’attesa e costi.

In ragione di ciò, il cittadino ha riposto e potremmo dire ripone fiducia nel rivolgersi a soggetti erogatori di assistenza sanitaria privata, dove ottiene un servizio più celere e confacente ai propri bisogni. Lo stesso Servizio sanitario ha idealizzato come soluzione alternativa ai propri problemi un maggior coinvolgimento di quest’ultimo. Si registra il fatto che il modello sanitario in Italia sta lentamente approdando verso uno schema a gestione privata. Sulla base delle considerazioni fatte, al contrario delle aspettative riposte, il privato però non riesce ad assurgere ad un modello effettivamente sostenibile; attraverso il suo ruolo sempre maggiore, sono meglio individuabili le limitazioni che una gestione privata della sanità comporta.

In primo luogo, si riscontra una difficoltà nell’edificare una struttura capillare ed omogenea presente sul territorio; una funzione che solo un apparato nazionale può necessariamente assolvere. Tale copertura non trova limitazione solo in merito alle strutture ma anche riguardante le varie tipologie di servizi. Inoltre, apportare una riduzione della copertura pubblica a favore di quella privata, comporterebbe un aumento della spesa complessiva e quindi una non duratura sostenibilità macroeconomica del sistema sanitario. La tendenza a ridurre la dimensione del pilastro pubblico e ad aumentare i costi per le cure mediche ha comportato l’affermarsi di metodi di copertura alternativi consistenti in fondi di natura assicurativa privata.

Il modello non viene considerato come innovativo; in molti Paesi lo Stato esclude un suo intervento primario o riveste solo un ruolo di regolatore. Sulla base del carattere di aleatorio del rischio sanitario, il ricorso ad un’assicurazione privata pone inevitabilmente l’affermarsi di disuguaglianze, considerate “imprescindibili” in un sistema di mercato.

In conclusione, sono molti gli indicatori che prospettano necessariamente una rimodulazione dello schema gestionale dell’erogazione di prestazioni assistenziali in Italia; un modello potremmo dire ridotto, dove sia meglio gestibile e più mirato un intervento delle risorse dello Stato, volto a limitare le possibili disuguaglianze prodotte.

Inoltre, in un quadro di rimodulazione del servizio corrispondente ad una maggiore razionalizzazione del bilancio di spesa dello Stato che ha caratterizzato la maggior parte degli interventi sopra descritti, risulta evidente la necessità di una maggiore implementazione tra il comparto pubblico e il privato.

Risulterebbe vantaggiosa una più delineata e trasparente collaborazione tra quest’ultimi, operanti attraverso non ruoli da antagonisti, ma in un’ottica integrativa. Una maggiore interazione tra due elementi con caratteristiche operative molto distanti a prima vista, ma in continua assimilazione, porrebbe le basi per un loro miglior intervento a tutela della figura del paziente, figura centrale dell’espletamento della tutela del diritto alla salute.


[1] R. Balduzzi – G. Carpani, Manuale di diritto sanitario, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio Sanitario Nazionale, p. 23.

[2] Tale documento è stato redatto nel 2002 dall’Active Citizenship Network (ACN), capitalizzando l’esperienza del Tribunale per i diritti del malato.

[3] In rif. ad una relazione del Consiglio dell’Unione europea del 2010.