Di Marco Natoli
La riforma- La natura dell’intesa tra Governo e regioni: forte o debole?- Sul potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti degli enti territoriali :il problema dell’esercizio del potere o quello concernente gli aspetti dirompenti del cd. effetto Nimby?- Considerazioni conclusive
La riforma
L’articolo 4 (Norme per la semplificazione e l’accelerazione dei procedimenti amministrativi) della legge 7 agosto 2015,n.124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) prevede che “con regolamento da emanare, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono dettate norme di semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi” sulla base di specifiche disposizioni generali regolatrici della materia. Il medesimo decreto conferisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di sostituirsi alle Amministrazioni che non rilasciano le autorizzazioni nei tempi stabiliti, adottando, di conseguenza, i relativi atti.
I tempi dimezzati si riferiscono all’articolo 2 (Conclusione del procedimento) della legge 7 agosto 1990 n.241(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) in base al quale, se non è previsto diversamente da altre leggi, le Amministrazioni fissano per ogni procedimento il termine entro cui questo deve concludersi.
Con la riforma proposta dal Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione il tempo necessario per ottenere le autorizzazioni scenderebbe a quindici giorni e lo stesso termine di conclusione del procedimento potrà essere ridotto fino a un massimo del 50% rispetto a quello ordinario.
La bozza del DPR in esame individua tre scalette temporali:
entro il 31 gennaio di ogni anno ciascun ente territoriale potrà individuare un elenco di progetti strategici riguardanti insediamenti produttivi, opere di interesse generale o l’avvio di attività imprenditoriali, corredato da una specifica analisi di valutazione dell’impatto economico e sociale, con la precisazione che i progetti da segnalare devono essere già stati inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici;
entro il 28 febbraio di ogni anno la Presidenza del Consiglio dei Ministri potrà inserire, su proposta di un soggetto proponente, progetti non inclusi nel piano triennale o in altro atto di programmazione.
entro il 31 marzo di ogni anno viene rimessa a specifico D.P.C.M. la concreta individuazione, tra quelli segnalati, considerata la loro “rilevanza economica od occupazionale”, dei “progetti” ai quali applicare la riduzione dei termini.
In caso di infruttuosa decorrenza dell’ordinario termine di conclusione o di quello rideterminato, il Presidente del Consiglio dei Ministri può procedere direttamente alla riduzione del termine sostituendosi agli organi “inerti” o delegare, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, a diverso soggetto il potere sostitutivo, fissando un nuovo termine per la conclusione, di durata non superiore a quello originariamente previsto (art. 4).
Nel caso in cui l’intervento “coinvolga esclusivamente, o in misura prevalente, il territorio di una regione, di un comune o di una città metropolitana, e non sussista un preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera il Presidente del Consiglio delega, di regola, all’esercizio del potere sostituito il presidente della regione o il sindaco. (art. 5 comma 1).
Se l’intervento coinvolge competenze delle regioni e degli enti locali, e non vi sia un interesse nazionale, le modalità di esercizio del potere sostitutivo sono determinate previa intesa in Conferenza Unificata (art. 5 comma 2).
Quanto sopra rappresentato indica la volontà del Governo di fare in modo che vengano realizzate in modo repentino le grandi opere infrastrutturali, anche se tali interventi possano nel concreto comprimere, anche fortemente, l’autonomia decisionale degli enti territoriali.
Tale problematica è stata sollevata nella riunione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome tenutasi il 3 marzo c.a..
In particolare, nel corso della suddetta seduta, sono emerse le seguenti questioni: “Da una prima lettura dell’articolato si ravvisa la presenza di alcuni aspetti problematici relativi alla natura dell’istituto del potere sostitutivo disciplinato dalla bozza di regolamento agli articoli 4 e 5. Le due situazioni prospettate dall’articolo 5 ai commi 1 e 2 non sono di immediata comprensione. Quanto al “discrimen” tra gli stessi non appare netto dal momento che un intervento potrebbe facilmente rientrare in entrambe le ipotesi; inoltre non si comprende il motivo di ricorrere, nel caso di un intervento in cui sia coinvolta una competenza regionale, a un’intesa in sede di Conferenza Unificata per la definizione delle modalità del potere sostitutivo, tranne che non si tratti dell’ipotesi di più regioni ed enti locali coinvolti (secondo comma art. 5). In particolare, con riferimento all’articolo 5, la norma descrive la situazione in cui non sussiste il preminente interesse nazionale alla realizzazione dell’opera; in tal caso, dunque, si ritiene che l’esercizio del potere sostituivo previsto dall’articolo 4 non può che appartenere al Presidente della Regione che, se sono interessati anche gli enti locali, lo esercita attraverso il raccordo con le sedi di concertazione.
Al riguardo, si rammenta che allo stato attuale, l’articolo 120, II comma della Costituzione circoscrive a casi ben specifici (mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, la tutela e l’unità giuridica o economica, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali) e con procedure rispettose dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione, il potere sostitutivo del Governo nei confronti delle Regioni, città metropolitane, province e comuni.
Pertanto, il potere sostitutivo di cui alla bozza di regolamento non sembra trovare una copertura costituzionale dal momento che non pare attivabile per far fronte a una violazione di una normativa comunitaria, a un pericolo per l’incolumità e la sicurezza pubblica o per la salvaguardia dei cosiddetti “L.e.p.”(Livelli essenziali delle prestazioni) mentre risulta quantomeno forzata una sua giustificazione per ragioni legate all’unità giuridica o economica).
In sintesi le regioni, come rilevato in sede di Conferenza, hanno sollevato diverse obiezioni cosi riassumibili: i termini stretti rischierebbero di rendere impraticabili le valutazioni sulle localizzazioni delle opere in questione; i poteri sostitutivi valicherebbero i limiti previsti dall’articolo 120 della Costituzione.
Di conseguenza la proposta di correttivo avanzata dagli enti territoriali consisterebbe nell’utilizzazione dell’istituto dell’intesa disciplinato dalla cosiddetta legge obiettivo (legge 21 dicembre 2001, n.443 “Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive”) finalizzata alla predisposizione di elenchi di interventi super prioritari con procedure in deroga.
La natura dell’intesa tra Governo e regioni: forte o debole?
A prima vista nel DPR in esame la differenziazione tra le due figure potrebbe risultare superflua;in realtà se si esamina la struttura tipica dell’accordo si nota come tale diversità assuma un aspetto particolarmente rilevante.
Sul punto occorre rammentare come le intese deboli siano caratterizzate dal fatto che, non raggiunto l’accordo entro un determinato termine, anche soltanto una delle parti possa prendere la decisione finale; peraltro quest’ultima deve essere sufficientemente motivata e fornita della precisa indicazione dei motivi in base ai quali l’atto è stato adottato in modo unilaterale.
Al contrario le intese forti si caratterizzano nel fatto che il mancato raggiungimento dell’accordo costituisce un ostacolo insuperabile all’assunzione della decisione finale costituendo pertanto, lo stesso accordo, una particolare forma di coordinamento paritario in quanto i partecipanti si trovano sullo stesso piano. All’opposto l’intesa debole è caratterizzata dall’assenza del potere di veto ;tale circostanza determina, di conseguenza, la mancata adozione dell’atto, con la contestuale nascita di un vero e proprio disequilibrio nelle funzioni.
La Corte costituzionale, con i numerosi interventi1, ha affermato in modo categorico il principio in base al quale il mancato raggiungimento dell’intesa prevede l’adozione di “meccanismi in certo senso sostitutivi, o comunque di un potere del Governo di provvedere unilateralmente, sia pure con ulteriori garanzie procedimentali”.
Quanto sopra affermato indica come, nella fattispecie in esame, assuma fondamentale importanza l’indicazione dell’esatta portata dell’istituto dell’intesa. La distinzione sopra riportata tra la natura, forte o debole, dell’accordo, riveste un ruolo primario soprattutto nella fattispecie dei procedimenti accelerati in argomento. In particolare la finalità forte della codecisione porterebbe in breve al raggiungimento del risultato positivo e, solo in caso di mancato conseguimento della suddetta codecisione, la qualifica forte dell’intesa causerebbe la paralisi del procedimento . Al contrario la natura debole della stessa, finalizzata a superare il blocco procedimentale, creerebbe il ben più grave disequilibrio nelle posizioni degli enti territoriali che legittimerebbe gli stessi ad adire la Corte costituzionale, con l’instaurazione di un doppio blocco procedimentale-processuale.
In definitiva, nell’ambito dei procedimenti in esame, sarebbe auspicabile affermare con vigore la natura forte dell’intesa. Infatti mentre in tale contesto sarebbe più facile superare il blocco esclusivamente procedimentale, il fallimento della procedura debole determinerebbe un arresto, come ricordato, procedimental-processuale, con l’inevitabile svilimento della primaria natura acceleratoria dei procedimenti de quibus.
La necessità della consolidazione di un’intesa di natura forte fonda i principi anche e soprattutto su quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 25 settembre- 1° ottobre 2003. Dai passaggi della pronuncia si deduce che un appiglio forte governativo viene giustificato anche e soprattutto nel caso in cui si possa verificare un vero e proprio atteggiamento ostativo dell’ente territoriale. Sulla questione, infatti, il Giudice di legittimità sostiene che “non è rilevante che essa (ndr l’intesa) preceda l’individuazione delle infrastrutture ovvero sia successiva ad una unilaterale attività del Governo” (punto 4.1.). Più precisamente nel contraddittorio “ispirato al canone di leale collaborazione che deve instaurarsi con lo Stato”, la Regione non deve semplicemente “allegare”, ma deve anche “argomentare” e “dimostrare” “la propria adeguatezza e la propria capacità di svolgere in tutto o in parte la funzione”.La funzione pertanto, suppletiva, dello Stato andrebbe necessariamente a colmare il possibile atteggiamento oppositivo dell’ente territoriale.
Sul potere sostitutivo del Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti degli enti territoriali:il problema dell’esercizio del potere o quello concernente gli aspetti dirompenti del cd. effetto Nimby?
Lo snodo da superare relativo ai rapporti tra Governo e regioni nell’ambito di operatività del regolamento in esame si basa sul fatto che i medesimi enti territoriali hanno sollevato diverse obiezioni sul punto: in particolare i previsti termini ristretti rischierebbero di rendere impraticabili le valutazioni sulle localizzazioni delle opere infrastrutturali e, soprattutto, i poteri sostitutivi valicherebbero i limiti individuati dall’articolo 120 della Costituzione. A tal fine, come sopra rilevato, la proposta di correttivo avanzata dagli enti territoriali consisterebbe nell’utilizzazione dell’istituto dell’intesa disciplinato dalla suddetta legge obiettivo (443/2001); in tal modo verrebbero stilati elenchi di interventi super-prioritari con procedure in deroga.
Tale accordo, come precedentemente rimarcato, potrebbe raggiungere gli obiettivi indicati dal DPR in argomento solo ed esclusivamente nell’affermazione dei suoi elementi di forza sopra descritti.
Nel corso degli anni giurisprudenza e dottrina si sono soffermati in modo dettagliato sulle problematiche legate all’operatività del 2° co. dell’art. 120 Cost. ed in particolare in relazione: alla natura, ai contenuti ed all’ampiezza del potere statale ivi previsto; ai presupposti di intervento menzionati espressamente nella disposizione; alla ricostruzione dello stesso potere nell’ambito non solo dei rapporti Stato-regioni. L’analisi è stata anche compiuta con riferimento alla sfera di autonomia degli enti locali ed in particolare alla contrapposizione tra l’operatività della sostituzione, di natura amministrativa o legislativa, nei confronti delle stesse regioni.
In sintesi si può ritenere che l’art.120, comma 2, Cost. a differenza di quanto sostenuto dalla maggior parte della dottrina, non pare aver costituzionalizzato l’esistente potere, ma che, al contrario, lo stesso abbia introdotto un potere governativo di tipo nuovo, un potere “straordinario”, finalizzato alla tutela di alcuni, tipizzati, interessi unitari. Ciò non esclude il permanere degli “ordinari” poteri sostitutivi statali e regionali.
A tal proposito si deve rammentare come il compito di questo scritto non consista nello studio analitico del suddetto potere, come è stato in realtà egregiamente e ampiamente compiuto dalla giurisprudenza e dalla migliore dottrina(2). In realtà in tale ambito si cerca di evidenziare i potenziali
Note:
2) Sulla nozione di “eccezionale sostituzione” di un livello di governo ad un altro cfr. CORTE COSTITUZIONALE 2 MARZO 2004 N.70 E 16 LUGLIO 2015 N.171. Sull’esercizio del potere sostitutivo straordinario del Governo e sulle garanzie procedimentali:CONSIGLIO DI STATO 23 GIUGNO 2014, N.3165.Per la dottrina: Renzo Dickmann, “La Corte riconosce la legittimità dei poteri sostitutivi regionali (Rivista telematica federalismi.it); Stefania Parisi, “Sui poteri sostitutivi dopo la sentenza n. 303/2003 (Forum di Quaderni costituzionali)”
effetti negativi concreti determinati dal cosiddetto “effetto Nimby” che potrebbero svilire la portata innovativa recata dal DPR in esame.
Come è noto l’acronimo Nimby (“Not In My BackYard””Non nel mio cortile”) indica tutti quegli aspetti legati all’opposizione alla localizzazione di nuovi impianti o di infrastrutture da parte della popolazione coinvolta direttamente da tale attività. Nel concreto la citata opposizione è giustificata dal fatto che, a fronte di benefici diffusi, i costi di vario genere possano concretamente ricadere, in primis, sulla comunità ospitante.
L’accelerazione del procedimento amministrativo prevista dal regolamento in questione intende affrontare proprio un dissenso limitato nei numeri ma visibile, in modo particolarmente accentuato, dal punto di vista essenzialmente politico.
La citata accelerazione dovrà necessariamente tener conto dei recenti interventi giurisprudenziali che in alcuni casi hanno giustificato gli arresti procedimental-processuali a causa del predetto effetto Nimby, ma che, in altri contesti, ne hanno fermamente limitato le conseguenze ostative.
A sostegno della prima posizione si rammenta la sentenza del TAR Lazio Roma Sezione II bis dell’8 settembre 2015, n. 11098; viceversa,a favore di una limitazione del Nimby ,si evidenziano le sentenze del 22 febbraio 2016, numeri 719, 720,721,722 e 723 della Sezione IV del Consiglio di Stato.
In sintesi, secondo il tribunale amministrativo regionale, risulta legittima la revoca di una delibera di approvazione della proposta di realizzazione di una opera pubblica, disposta a seguito di manifestazione, da parte della popolazione del Comune, della contrarietà alla realizzazione dell’opera; in particolare il predetto TAR risalta l’affermazione dell’interesse primario a rispondere ai bisogni manifestati dalla stessa popolazione(3).
Diversamente le sopra richiamate sentenze del Consiglio di Stato hanno stabilito, in assenza della prova concreta di specifici danni all’ambiente o alle popolazioni derivanti dalla realizzazione dell’opera, il rigetto dei numerosi ricorsi proposti contro la realizzazione definitiva del nuovo tracciato dell’autostrada A12 «Livorno – Civitavecchia». In particolare i predetti ricorsi sono stati dichiarati inammissibili con altrettante sentenze di primo grado pronunciate dal Tar del Lazio; tali pronunce sono state motivate a causa della rilevata carenza di interesse dei singoli ricorrenti che non sono stati in grado di dimostrare la concreta lesività dei propri interessi.
Di conseguenza il supremo Consesso, nel determinare con il proprio intervento il sacrificio delle realtà locali, ha inferto in concreto un deciso arresto alle problematiche causate dal Nimby.
Note:
3) Sul punto cfr. “Il TAR del Lazio ha sganciato una bomba NimbY?”con commento di Giovanni Virga in www.lexitalia.it.
Contestualmente lo stesso organo di giustizia amministrativa ha evidenziato come non sia sufficiente a radicare l’interesse al ricorso la mera «vicinitas» all’area oggetto dell’intervento da parte di un singolo residente o dell’ente locale esponenziale di una determinata collettività. In particolare il medesimo Consiglio di Stato ha richiesto la piena dimostrazione dei pregiudizi puntuali, concreti o altamente probabili, che deriverebbero dall’esecuzione del provvedimento impugnato.
Considerazioni conclusive
Il quadro sopra descritto merita una particolare attenzione. La crisi economica in atto induce l’attento lettore a constatare la realizzazione, da parte del Governo, di iniziative che, potendo apparire a prima vista troppo accentrate, in realtà le stesse risultano spesso essenziali e determinanti.
L’accelerazione del procedimento amministrativo nella realizzazione delle grandi opere, in concomitanza con l’esercizio dell’intesa forte con gli enti territoriali nel raggiungimento degli obiettivi, potrebbe fondare i dubbi su un possibile sbilanciamento dei poteri a favore dell’Esecutivo.
Nel concreto un rallentamento delle procedure in tematiche cosi delicate si ripercuoterebbe negativamente anche sulla soddisfazione dei bisogni primari occupazionali a favore della società. Spetta indubbiamente all’Esecutivo tener conto delle esigenze locali, proprio per evitare che il suddetto effetto Nimby produca conseguenze negative.
Se infatti tale opposizione da una parte può tutelare aspetti di rilievo (ambientali, economici ed altro) dall’altra la stessa può essere in grado di ostacolare diffusamente, anche e soprattutto con un suo possibile abuso, il tanto atteso rilancio occupazionale.
Marco Natoli
Funzionario del Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.