di Gianclaudio Festa
Sommario: 1) La questio iuris al vaglio dell’Adunanza Pleniaria; 2) La questio facti; 3) Le tesi dottrinali alla base della decisione dei giudici di Palazzo Spada; 4) Le determinazioni dell’Adunanza Plenaria, con la sentenza 3 Settembre 2019, n.9; 5) Conclusioni.
- La questio iuris al vaglio dell’Adunanza Plenaria
L’Adunanza plenaria[1] nell’arresto giurisprudenziale in trattazione ha esaminato la delicata questione riguardante la natura provvedimentale o paritetica degli atti di accertamento concernenti il rispetto della c.d. quota d’obbligo del Gestore dei Servizi Energetici in tema di energie rinnovabili, prevista dall’art. 11 del D.Lgs. n. 79/1999 in attuazione della direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato dell’energia elettrica al fine di incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali[2].
Trattasi di quel meccanismo volto ad incentivare quella parte di energia elettrica prodotta da impianti alimentati a fonti rinnovabili (altrimenti qualificati come “energia verde”) che, a decorrere dall’anno 2001, ciascun produttore o importatore di energia prodotta con le fonti convenzionali che non sono rinnovabili, ha l’obbligo di immettere nel sistema elettrico nazionale, entro l’anno successivo a quello di riferimento. La quota di fonte rinnovabile inerente all’obbligo di immissione è determinata avendo come base di calcolo la produzione e importazione annua complessiva di energia del singolo produttore/importatore.
Fino all’anno 2015 i produttori e gli importatori di energia soggetti all’obbligo di immissione, per raggiungere la quota annuale dovuta di energia verde, invece di produrre in proprio od acquistare l’energia verde da terzi, potevano anche acquistare un corrispondente quantitativo di “certificati verdi” da quei produttori titolari e gestori di impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Le disposizioni in questione venivano integrate dal D.M. 18 dicembre 2008, il quale aveva previsto un sistema di controllo annuale che faceva capo al GSE, che si articolava così come segue:
i) entro il 31 marzo di ogni anno, i soggetti obbligati dovevano trasmettere al GSE sia un’autocertificazione attestante le proprie importazioni o produzioni di energia da fonte non rinnovabile, che un numero di certificati verdi equivalente alla quantità di energia necessaria per raggiungere la quota d’obbligo loro imposta;
ii) la verifica condotta dal GSE sui dati così trasmessi si concludeva con esito positivo nel caso in cui il valore dei certificati verdi trasmessi dal soggetto obbligato avesse eguagliato (o superato) il valore della quota d’obbligo in capo al soggetto stesso;
iii) in caso di esito negativo della verifica, invece, il soggetto obbligato era chiamato ad effettuare, nel termine di trenta giorni, le dovute compensazioni, mediante acquisto su un apposito mercato e invio al GSE del numero necessario di certificati verdi, oppure mediante acquisto e conseguente annullamento dei certificati verdi emessi dal GSE stesso;
iv) in ogni caso, l’esito della verifica era notificato agli interessati entro il 30 aprile di ciascun anno;
v) in caso di mancato adempimento della quota d’obbligo, il GSE comunicava all’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente – ARERA i nominativi dei soggetti inadempienti e l’entità delle inadempienze, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative di cui all’art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 387/2003.
Venendo alla questione che qui ci occupa occorre preliminarmente osservare che, come sostenuto dai giudici di Palazzo Spada, hanno natura provvedimentale gli atti con cui il GSE accerta il mancato assolvimento, da parte dei produttori ed importatori di energia da fonte non rinnovabile, della predetta quota d’obbligo, con conseguente onere di impugnazione nel termine decadenziale di sessanta giorni. Diversamente, assumono natura paritetica gli atti con cui il GSE accerta l’avvenuto rispetto della stessa quota d’obbligo, con conseguente applicazione del termine di prescrizione decennale nell’ipotesi in cui il produttore, ovvero l’importatore di energia, intenda ottenere la restituzione delle somme eventualmente versate in eccesso ai fini dell’adempimento dell’obbligo di legge.
Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, il meccanismo sopra descritto non comporta un unico rapporto obbligatorio, cioè tra soggetto sottoposto alla quota d’obbligo ed il GSE che sia durevole nel tempo, ma esprime la sussistenza di distinti rapporti annuali aventi ad oggetto le singole verifiche che vengono compiute di anno in anno dal GSE[3].
Di talché, una pronuncia giurisdizionale che si riferisca ai reciproci diritti-obblighi per una annualità non può essere estesa anche alle annualità successive, non essendo invocabile, nella fattispecie in questione, la vis espansiva tipica del giudicato afferente ad un rapporto obbligatorio di durata, in cui il titolo giuridico del diritto “durevole” è unico e rimane immutato nel tempo.
Da qui deriva la questione di diritto devoluta all’Adunanza Plenaria con l’ordinanza n. 1934 del 25 marzo 2019, nello specifico, se in tema di immissione nel sistema elettrico nazionale di quote di energia rinnovabile, da parte dei produttori o degli importatori di energia proveniente da fonte non rinnovabile, il procedimento di verifica del rispetto della c.d. quota d’obbligo annuale, attribuito al GSE dall’art. 11, comma 5, D.Lgs. n. 79/1999, configuri l’esplicarsi di un potere amministrativo che si concluda con un provvedimento autoritativo di accertamento in ordine all’avvenuto rispetto o meno della quota d’obbligo, con conseguente posizione di interesse legittimo in capo ai destinatari ed assoggettamento alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi, nonché ai rispettivi termini di decadenza[4]. Diversamente, invece, l’esplicarsi di una procedura di controllo, con valenza ricognitiva di natura tecnica, che si concluda con un atto finale di accertamento in ordine al rispetto o meno dell’obbligo ex lege, opererà sul piano paritetico del rapporto obbligatorio e, dunque, sarà suscettibile di contestazione entro il termine di prescrizione decennale.
- La questio facti
Enel Produzione s.p.a. effettua una domanda di rimborso sulle annualità ricomprese tra il 2003 ed il 2008, e propone ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, seppur a notevole distanza temporale dall’epoca cui si riferiscono le prestazioni patrimoniali effettuate per l’assolvimento dell’obbligo di legge e che si ritengono pro parte non dovute.
La società energetica evidenzia che il carattere parzialmente indebito di quanto corrisposto sotto forma di certificati verdi[5] rinviene da una diversa modalità di calcolo dell’energia prodotta dall’impianto, energia sulla cui base viene determinata, in applicazione di un coefficiente percentuale, la predetta quota d’obbligo.
In buona sostanza Enel Produzione s.p.a. sostiene che la base di calcolo dell’energia avrebbe dovuto essere ragguagliata soltanto a quella effettivamente prodotta e immessa in rete dall’impianto e non, invece, a quella quota-parte di energia consumata dallo stesso impianto nel processo produttivo e, pertanto, non immessa in rete. In tal modo, secondo la ricorrente, dovendosi ricalcolare in diminuzione la base di calcolo (e cioè lo stock energetico annuale prodotto da fonte non rinnovabile ), su cui determinare la quota d’obbligo dovuta per ciascun anno, anche quest’ultimo valore avrebbe dovuto essere inferiore a quello determinato dal Gestore e corrisposto in concreto da Enel s.p.a nelle annualità 2003-2008[6].
Nel determinare l’energia (di fonte non rinnovabile) prodotta dall’impianto (su cui calcolare la quota d’obbligo) il Gestore ha preso in considerazione, per gli anni 2003-2008, anche quella assorbita dagli impianti di pompaggio, superiore a quella prodotta e immessa in rete alla fine del processo produttivo. Secondo la prospettazione di Enel, ciò avrebbe determinato una corrispondente sovrastima della quota d’obbligo, donde la domanda di ripetizione di quanto corrisposto in più a tal titolo.
Giova precisare che la deliberazione dell’Autorità per l’Energia elettrica e il gas n. 101 del 6 giugno 2005 prevedeva (artt. 1 e 2), solo per gli anni 2001 e 2002, il rimborso degli oneri sostenuti dalle società titolari di impianti di produzione di energia non rinnovabile per l’acquisto di certificati verdi limitatamente alla energia destinata ai clienti del mercato vincolato, posto che per questi ultimi la previsione di una tariffa predeterminata impediva ai produttori di remunerarsi degli oneri aggiuntivi attraverso l’aumento del prezzo di vendita. Nel quantificare l’energia rilevante per la quota d’obbligo, la delibera prendeva in considerazione soltanto quella prodotta e immessa sul mercato dagli impianti di pompaggio e non l’energia utilizzata per il funzionamento degli stessi.
Sul punto con la sentenza n. 1437 del 2006 il T.a.r. Lombardia ha respinto il ricorso di Enel Produzione ritenendo che correttamente la impugnata delibera n. 101/05 aveva considerato, ai fini del rimborso degli oneri corrisposti a titolo di quota d’obbligo, la quantità di energia ceduta dall’impianto e non quella dallo stesso consumata. Tuttavia, lo stesso giudice ritenne fondata la pretesa restitutoria di Enel, posto che il Gestore della rete (oggi GSE) sarebbe incorso in errore nell’annullare i certificati verdi facendo riferimento all’energia consumata dagli stessi, anziché a quella realizzata alla fine del ciclo produttivo[7].
La predetta sentenza del T.a.r. Lombardia ha acquistato autorità di giudicato dopo che, con decreto n. 6846 del 2009, è stato dichiarato perento l’appello proposto dinanzi al Consiglio di Stato da AEEG, dalla Cassa Conguaglio per il Settore elettrico e dal MEF.
Tuttavia, poiché a formare oggetto di quel giudizio era la legittimità della delibera dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas n. 101/05, che disciplinava espressamente il regime dei rimborsi degli oneri sostenuti dai produttori limitatamente alle annualità 2001 e 2002, Enel Produzione s.p.a., in esecuzione di quel giudicato, ha ottenuto il riconoscimento del diritto al rimborso di quanto corrisposto in più a titolo di quota d’obbligo solo limitatamente alle annualità 2001 e 2002.
Per contro, è stata dichiarata inammissibile, sia in primo (con sentenza T.a.r. per la Lombardia 20 febbraio 2012 n. 565) che in secondo grado (Consiglio di Stato, VI, 21 gennaio 2013, n. 312), la pretesa volta ad ottenere il rimborso anche delle prestazioni patrimoniali ulteriori erogate allo stesso titolo, relative agli anni 2003-2008. Il giudice dell’ottemperanza, sia di primo che di secondo grado, ha infatti rilevato, in senso ostativo, l’impossibilità di estendere l’efficacia del giudicato ad un ambito oggettuale più ampio e diversamente regolato rispetto a quello delineato nel decisum da portare ad esecuzione.
Di qui la necessità per Enel Produzione s.p.a. di avviare un nuovo giudizio di cognizione al fine di ottenere il rimborso delle somme asseritamente corrisposte in più a titolo di quota d’obbligo per gli anni 2003-2008[8].
3) Le tesi dottrinali alla base della decisione dei giudici di Palazzo Spada
La prima teoria che avrebbe potuto fondare “allo stato dell’arte” le conclusioni della Plenaria, che si analizzeranno da qui a breve, può definirsi “oggettivante” o pubblicistica e configura il procedimento di verifica in questione come manifestazione di un potere amministrativo attraverso un provvedimento autoritativo di accertamento sul rispetto della quota d’obbligo.
Occorre sul punto tenere in mente quanto previsto dall’art. 11, D.Lgs. n. 79/1999 che, in quanto “preordinato al perseguimento di preminenti interessi pubblici anche di portata sovranazionale, in considerazione degli obiettivi europei e internazionali in materia di produzione energetica da fonti rinnovabili”, sancisce che la posizione soggettiva ravvisabile in capo ai destinatari del provvedimento in questione è di interesse legittimo[9].
La tesi privatistica, invece, alla quale accede l’Adunanza Plenaria in commento, è diretta a configurare il procedimento di verifica come esplicazione di una procedura di controllo affidata al GSE, che si manifesta con l’adozione di atti paritetici di mero accertamento circa il rispetto di un obbligo previsto dalla legge. Evidentemente, il procedimento sottende alla finalità pubblicistica di favorire la diffusione di energia da fonti rinnovabili, ma ciò non incide sull’accertamento da parte del GSE che opera sul piano paritetico del rapporto obbligatorio, e quindi riconosce una posizione di diritto soggettivo in capo al produttore connessa alla contestazione di tale accertamento ed assoggettata in tal modo al termine di prescrizione decennale[10].
E’ evidente che le predette tesi siano l’esito dell’avvio di un processo di liberalizzazione dei mercati dell’energia, avviato nella seconda metà degli anni ‘90 del secolo scorso, che hanno investito anche la disciplina delle reti di trasporto e delle altre infrastrutture, quali i trasporti.
Bisogna prendere atto che gli obiettivi di fondo che riguardano in senso lato le infrastrutture energetiche sono connotati, da un lato, dalla promozione dello sviluppo e della modernizzazione delle stesse infrastrutture e, dall’altro, dalla necessità di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti realizzando un mercato dell’energia integrato a livello europeo.
E’ per questo motivo che entrambi gli obiettivi fondamentali sono stati perseguiti attraverso un vincolo regolatorio sempre più intenso e stringente dell’attività inerente alla gestione delle infrastrutture. Dunque, appare evidente che sia le disposizioni nazionali sia quelle adottate dall’ordinamento europeo siano indipendenti da una logica tesa a fissare le condizioni per lo svolgimento delle attività di impresa essendo funzionali ad un ordinamento che individua i fini pubblici ai quali le attività in esame devono conformarsi[11].
Tali considerazioni sono sintomatiche di un ordinamento giuridico multilivello, con evidenti riflessi nel diritto pubblico dell’economia[12].
Anche in questo caso il settore dell’energia non si sottrae alle regole dell’economia e soprattutto della finanza globale, come già visto relativamente all’incidenza delle direttive comunitarie nella disciplina nazionale che tende a perdere progressivamente i propri poteri di sovranità, e quindi il potere di dettare i principi, norme e regole veramente autonome.
Di talché anche il panorama giurisprudenziale è costretto al condizionamento soprattutto allorquando occorre valutare la natura giuridica di manifestazioni di volontà in un settore economico particolare come quello dell’energia, il quale offre ampi margini alla contrapposizione tra l’esercizio del potere più tradizionale di natura pubblicistica e l’esercizio di un distinto potere di natura privatistica che ha notevoli riflessi di natura pubblicistica.
Vale considerare, al riguardo, i più recenti provvedimenti legislativi tesi ad allineare l’Italia al rispetto dei principi di concorrenza e di competitività in uno scenario internazionale che tende a privilegiare le società come la GSE, alle quali è riservato il compito di gestire con modalità privatistiche scopi di evidente rilevanza pubblicistica, in precedenza di esclusiva competenza della pubblica amministrazione.
In ragione di tale soluzione, le liberalizzazioni, le semplificazioni, la disciplina dei servizi di interesse generale economico, assistono ad un’evoluzione del giudice amministrativo quale giudice naturale dell’economia, e quindi, come attenta dottrina[13] ha avuto modo di affermare, tutto ciò postula l’adesione ad un modello di Stato definibile come Stato sociale di mercato, che altrove è stato realizzato con successo ed attraverso il quale è possibile coniugare la piena realizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale con quello di solidarietà, assicurando una rappresentanza politica con efficienza decisionale e soprattutto con la rapidità delle decisioni delle giurisdizioni.
- Le determinazioni dell’Adunanza Plenaria con la sentenza 3 Settembre 2019, n.9
La Plenaria osserva che, ai sensi dell’art. 4 dello Statuto sociale del GSE, l’attività ha per oggetto l’esercizio di una serie di funzioni di natura pubblicistica nel settore elettrico, “e in particolare le attività di carattere regolamentare, di verifica e certificazione relativa al settore dell’energia elettrica”, di cui all’art. 3, commi 12 e 13, e di cui all’articolo 11, comma 3, D.Lgs. n. 79/1999, “nonché le attività correlate” di cui al D.Lgs. n. 387/2003, in materia di promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, “comprese le attività di carattere regolamentare e le altre competenze, diritti e poteri ad esse inerenti”.
Non vi è dubbio, per la Plenaria, che esso rientri “nel novero dei soggetti privati svolgenti pubbliche funzioni”, atteso che “pur rivestendo formalmente la veste di società di capitali di diritto privato, è nondimeno soggetto munito dalla legge di funzioni pubbliche correlate – tra l’altro – alla diffusione delle energie da fonte rinnovabile, al controllo ed alla gestione dei flussi energetici di tale provenienza ed all’assolvimento degli obblighi imposti dalla legge agli operatori del settore energetico”.
I giudici amministrativi riuniti nel loro massimo organo giurisdizionale osservano che le funzioni del GSE consistono, in particolare, nella verifica del rispetto della cosiddetta quota d’obbligo da parte degli importatori o produttori di energia da fonti non rinnovabili. Ne consegue che, trattandosi di un obbligo legale posto “nel preminente interesse della collettività alla graduale riduzione della componente di anidride carbonica presente nell’atmosfera” e corrispondente “al superiore interesse a verificarne la concreta osservanza da parte dello Stato”, quindi il compito di verifica affidato al GSE è soprattutto “una eminente funzione amministrativa di controllo sull’attività economica privata”.
L’attività di controllo svolta dal GSE si caratterizza, inoltre, per una “significativa rilevanza pubblica”, inquadrandosi nell’alveo dei controlli, espressamente previsti dall’art. 41, comma 3, Cost., che i pubblici poteri esercitano sull’attività economica privata per assicurare che la stessa persegua gli specifici fini sociali individuati dalla legge.
Pertanto, l’adempimento della quota d’obbligo con specifico riferimento ai soggetti obbligati “si atteggia alla stregua di una prestazione patrimoniale imposta” (art. 23 Cost.), la cui previsione a livello di normazione primaria (art. 11, D.Lgs. n. 79/1999) vale a soddisfare il requisito costituzionale della riserva relativa di legge in materia tributaria.
L’art. 11, D.Lgs. n. 79/1999 è idoneo ad assicurare, altresì, il rispetto del principio di legalità dell’azione amministrativa, alla cui osservanza, in base all’art. 1, comma-ter, L. n. 241/1990, è pacifico che siano tenuti i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative, tra i quali, come visto, va annoverato il GSE. Di talché, il potere di controllo esercitato dal GSE è aderente al richiamato principio di legalità – in base al quale “un soggetto, anche privato, può emanare provvedimenti amministrativi solo nei casi previsti dalla legge” – poiché l’articolo in esame oltre ad individuare i soggetti obbligati all’adempimento della quota d’obbligo (comma 1), affida al Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente, il compito di dettare direttive per la concreta attuazione della previsione legislativa inerente alla quota d’obbligo stessa (comma 5). Ed è proprio in coerenza a tale fonte giuridica di rango primario che – osserva la Plenaria – “è stata (…) introdotta, in via di normazione secondaria, una dettagliata disciplina delle modalità di esercizio di tale controllo, attraverso un vero e proprio procedimento amministrativo, affidato al titolare del potere di controllo”.
Secondo la Plenaria, quindi, la fonte del potere esercitato dal GSE ha una base normativa da rinvenire, nei suoi tratti essenziali, nel “combinato disposto” dell’art. 11, commi 1, 2, 3 e 5, D.Lgs. n. 79/1999 e delle direttive ministeriali emanate in attuazione di quanto previsto dalla fonte primaria. Tali direttive hanno disciplinato puntualmente l’esercizio dell’attività di verifica dell’adempimento della quota d’obbligo, intestando al GSE un tipico procedimento amministrativo, che, come evidenziato dalla stessa Adunanza Plenaria, “si articola nelle sue fasi salienti della iniziativa, della istruttoria e della determinazione conclusiva”.
Da ciò ne deriva, sul piano strutturale, un procedimento di verifica in virtù delle disposizioni dei D.M. citati, che comporta secondo la Plenaria “un quadro regolatorio nel cui alveo si svolge (…) da parte del GSE un’attività implicante l’esercizio procedimentalizzato di eminenti funzioni amministrative di controllo”. Orbene, non ci sono dubbi sul carattere amministrativo-autoritativo dell’attività di verifica affidata al GSE[14] e, conseguentemente, sulla natura provvedimentale dell’atto costituente l’esito di tale attività di verifica.
- Considerazioni conclusive
A ben vedere se si osserva la tematica, solo riguardo alla natura degli atti del GSE, è di tutta evidenza come l’Adunanza Plenaria fondi l’ammissione dei caratteri propri dell’attività provvedimentale soltanto quando il controllo sfoci in un atto di accertamento negativo con la conseguenza che rivestono natura provvedimentale soltanto gli atti con cui il GSE accerta il mancato rispetto della quota d’obbligo, mentre la natura paritetica emerge dagli atti di accertamento positivo formalizzati dal GSE.
Quindi, la questione, anche per le ripercussioni sulla prescrizione del diritto, viene risolta dall’Adunanza plenaria, con l’affermazione del potere del GSE di accertare in via amministrativa, unilateralmente e definitivamente, l’eventuale stato di inadempienza degli operatori economici rispetto ad un obbligo di legge che deve manifestarsi attraverso la forma ed i contenuti propri dell’attività provvedimentale.
Tale potere segue il rapporto di naturale asimmetria fra le parti, ben rappresentato dalla tradizionale endiadi potestà-soggezione, propria dei rapporti di diritto amministrativo qualificati dalla autoritatività dell’azione del soggetto agente. Ed a ciò si aggiunge, quale ulteriore conseguenza a tale inadempimento, l’adozione di un provvedimento sanzionatorio che, per la natura degli interessi coinvolti, è strettamente collegato alle esigenze di certezza giuridica e di stabilità del provvedimento del GSE che accerta l’inadempienza dell’operatore economico rispetto all’obbligo di legge. La sanzione pecuniaria per l’inadempimento, di competenza dell’ARERA (Autorità di regolazione delle Reti e dell’Ambiente), è difatti applicata ponendo a base della misura riparatoria l’accertamento effettuato dal GSE.
Quindi, posta la natura provvedimentale degli accertamenti negativi del GSE assume rilievo decisivo il collegamento “funzionale” tra l’atto di tal segno e il provvedimento sanzionatorio che ne consegue: pertanto, l’atto del GSE che accerta l’inadempienza dell’operatore economico rispetto all’obbligo di legge si pone, infatti, in “funzione propedeutica” al sistema sanzionatorio che fa capo all’Autorità di regolazione settoriale; in conseguenza di ciò, l’atto di accertamento negativo si qualifica come atto presupposto al provvedimento sanzionatorio.
Secondo l’Adunanza Plenaria non sussiste alcun atto provvedimentale, a contenuto ed effetto costitutivo, che il Gestore adotti in danno dell’operatore economico a suggello della conclusione della fase di verifica e sulla cui base venga esercitato il potere sanzionatorio dell’Autorità di settore. Quindi, il GSE si limita a riscontrare che l’impresa ha adempiuto, per quell’anno, all’obbligo di legge.
Com’è noto la fattispecie è frutto di una giurisprudenza datata delineatasi nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione a quegli atti che, in quanto sforniti di autoritatività, risultano incapaci – secondo la costruzione dogmatica dell’epoca – di degradare i diritti soggettivi incisi, che restano integri ed azionabili pertanto nei tradizionali termini prescrizionali.
Gli atti paritetici possono oggi essere definiti come “quegli atti, posti in essere da un’amministrazione in senso oggettivo nell’ambito di un rapporto amministrativo complesso in cui si intrecciano poteri autoritativi e non, la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo proprio per assicurare unità e concentrazione anche sul piano processuale a una vicenda sostanziale pluristrutturata ( in cui situazioni di potere, diritto e interesse risultano inestricabilmente intrecciate)”. Di conseguenza, l’accertamento positivo del GSE, a fronte del riscontro del corretto adempimento dell’obbligo di corrispondere la quota d’obbligo da parte dell’operatore, si concretizza in una mera presa d’atto dell’assolvimento degli obblighi discendenti direttamente dalla legge e quindi dell’adempimento del soggetto obbligato.
La Plenaria ribadisce che “la natura non provvedimentale dell’atto di accertamento positivo del GSE risulta pienamente coerente con la circostanza secondo cui la contestazione non riguarda formalmente un atto dell’amministrazione ma sostanzialmente la determinazione dell’esatta portata dell’adempimento di un debito rispetto al contenuto specifico dell’obbligazione ex lege nonché all’eventuale esistenza di una situazione creditoria riveniente da un adempimento eccedentario rispetto al dovuto”. Quindi, è evidente che gli atti della vicenda impugnatoria del processo, in quanto di natura paritetica, riguardano la consistenza delle situazioni sostanziali e, pertanto, la spettanza del bene dedotto in giudizio.
Ne consegue che, in caso di esito positivo del controllo sul rispetto della quota d’obbligo, se la parte ritiene di “aver pagato più del dovuto o comunque intenda rimettere in discussione la quantificazione del dovuto, per come accertata dal Gestore”, non si ravvisa il limite della decadenza dall’azione impugnatoria, correlata soltanto ai provvedimenti del Gestore accertativi della inadempienza. Quindi, l’impresa sottoposta a verifica positiva potrà sempre far valere, nel rispetto del termine prescrizionale del diritto, la sua pretesa restitutoria dinanzi al giudice amministrativo munito di giurisdizione esclusiva ( art. 133, lett. o) c.p.a.).
[1][1] Cons. Stato Ad. Plenaria n. 9 del 2019.
[2] Cfr. sul tema M. Gola, L’organizzazione pubblica del mercato elettrico, in Urbanistica e Appalti, 1999, 6, 513 ss.; G. Avanzini, Il sistema elettrico in Italia, in E. Ferrari (a cura di), I servizi a rete in Europa, Milano, 2000, 325 ss.; ; A. Colavecchio, Energia elettrica, in Dig. Disc. pubbl., Agg., Torino, 2005, 257-303; F. Di Porto, Il Decreto Bersani (d.lgs. n. 79/99). Profili pro-concorrenziali della riforma del mercato elettrico, in Concorrenza e mercato, 8/2000, 407 ss.; G.G. Gentile, Energia, VI) Energia elettrica: riforma, in Enc. giur., Agg., XII, Roma, 2003; G. Napolitano, L’energia elettrica e il gas, in S. Cassese (a cura di), Trattato di Diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, III, I servizi pubblici. Finanza pubblica e privata, II ed., Milano, 2003, 2226-2244.
[3] Così Cons. St., Sez. VI, 21 gennaio 2013, n. 312.
[4] G. De Giorgi Cezzi, Sulla “inesauribilità” del potere amministrativo, nota di commento a Tar Lecce, sez. I, 7 febbraio 2002, n. 842, in Urbanistica e appalti, 8/2002, 958-966; S. Perongini, Il principio di legalità e amministrazione dei risultati. In Principio di legalità e amministrazione di risultato Pag.39-50 Torino Giappichelli; C. Franchini, La pubblica amministrazione e il diritto amministrativo tra diritto europeo e diritto globale, in Scritti in onore di Eugenio Picozza, Napoli, Editoriale scientifica, 2019, vol. I, p. 751 (v. n. 203).
[5] Certificati che vengono annullati dal Gestore a misura della corrispondente quota d’obbligo calcolata sulla produzione energetica dell’annualità precedente.
[6] Nello specifico si tratta degli impianti di pompaggio dei sistemi idroelettrici, che consumano più energia di quanta ne producano e nondimeno sono necessari al sistema in quanto soccorrono alle esigenze emergenziali della rete elettrica.
[7] In sostanza, il T.a.r. sostenne che il rimborso dei suddetti oneri ai produttori andasse rideterminato con riguardo al quantitativo di energia prodotta ed immessa in rete dall’impianto e coerentemente, pur rigettando la richiesta di annullamento della impugnata delibera AEEG sul rimborso integrale degli oneri corrisposti, ritenne fondata la pretesa restitutoria di Enel fondata su tale diverso criterio di calcolo della c.d. quota d’obbligo, avendo il Gestore annullato, in relazione agli anni 2001 e 2002, un numero di certificati verdi superiore a quello necessario a ritenere adempiuto l’obbligo di legge da parte dell’impresa produttrice.
[8] F.Cardarelli, L’acquirente unico a garanzia dei clienti vincolati nel mercato liberalizzato dell’energia elettrica: funzioni, compiti e poteri, in Europa e mezzogiorno, 43, 2001.
[9] F.G.Scoca, L’interesse legittimo. Storia e teoria. Giappichelli 2017.
[10] Cfr. A. Marra, Il termine di decadenza nel processo amministrativo, Milano, 2012.
[11]E. Bruti Liberati, Mercati dell’energia e regolazione finalistica la disciplina delle reti di trasporto nel terzo pacchetto energia, in Libertà di impresa e regolazione del nuovo diritto dell’energia, a cura di M. De Focatiis e A. Maestroni, Milano, 2011, 31 e ss.
[12] Cfr. E. Picozza, Il diritto dell’economia, in Diritto dell’economia, a cura di E. Picozza e V. Ricciuto, Torino 2017, 66 e ss.
[13]Cfr. M. Clarich, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in AIPDA, Annuario 2006. Analisi economica e diritto amministrativo, Milano, 2007, 110), M. Panella, L’incentivazione dell’energia elettrica con i Certificati Verdi e la procedura di qualificazione degli impianti di produzione, in Rass. giur. energia elettrica, 2006, 2, pt. 1, 147 ss.; M. Allena, I mercati artificiali dei certificati verdi e bianchi, in F. Fracchia – M. Occhiena (a cura di), Climatechange: la risposta del diritto, Napoli, 2010, 207 ss.; A. Benedetti, Le certificazioni ambientali, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, II ed., Torino, 2011, 195; V. Colcelli, La natura giuridica dei certificati verdi, in Riv. giur. ambiente, 2012, 2, 179 ss.; M. Maggiolo, Beni artificialmente creati nei settori agroalimentare e dell’energia. Un catalogo di nuovi beni mobili registrati, in Giust. civ., 2016, 2, 283 ss.
[14]Che si svolge, quindi, attraverso l’esercizio di un potere amministrativo secondo uno schema procedimentale tipico normativamente individuato.