Di Pier Oreste Emilio
SOMMARIO:1 .Abstract 2. Evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’in house providing 3. Il genus del trasporto pubblico locale 4. Recente quadro evolutivo del servizio del TPL.
ABSTRACT.
Il presente elaborato si propone di analizzare l’evoluzione della disciplina dell’in house providing, quale modello di gestione dei servizi pubblici da parte della Pubblica Amministrazione, avuto particolare riferimento alla species del servizio del trasporto pubblico locale, le cui peculiarità caratterizzanti, hanno consentito allo stesso di godere di un regime normo-comunitario e nazionale speciale nell’ambito dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici di interesse economico generale. In riferimento a dette peculiarità, soffermeremo l’attenzione sull’attuale orientamento della Giurisprudenza relativamente all’affidamento in house dei servizi di trasporto pubblico locale, pervenendo da ultimo alle novità in materia di TPL dettate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza trasmesso il 25 aprile scorso dal Governo al Parlamento.
EVOLUZIONE NORMATIVA E GIURISPRUDENZIALE DELL’IN HOUSE PROVIDING
Nel condurre detta disamina, è opportuno ripercorrere brevemente l’evoluzione della disciplina interna dell’in house providing, sul piano normativo e giurisprudenziale.
Per quanto concerne l’evoluzione normativa del modello societario registriamo una positivizzazione nel nostro ordinamento dell’in house, prima nel D.lgs. 50/2016 e ss.mm.ii (cd. ‘Codice dei contratti pubblici’), poi all’interno del D.lgs. 175/2016 e ss.mm.ii (cd. Testo Unico sulle Società a partecipazione pubblica – cd. ‘TUSP’), e quindi nelle Linee Guida ANAC n.7.
Relativamente al D.lgs. 50/2016, Codice dei Contratti pubblici viene adottato dal Governo sulla base della legge delega n. 11 del 28 gennaio 2016, in recepimento delle direttive comunitarie nn. 23, 24 e 25 del Parlamento europeo dettate al fine di fare un organico riordino della materia dei contratti avuto riguardo rispettivamente alle concessioni, e agli appalti dei settori ordinari e di quelli speciali (acqua, energia, trasporti, servizi postali).
Tra gli aspetti più qualificanti introdotti da dette Direttive comunitarie e recepite dal Codice dei contratti riguardano, il “potere di autodeterminazione nella esecuzione di lavori, forniture e servizi”, la materia della “tutela della libera concorrenza”, e il “divieto di gold plating”, tre aspetti che hanno una valenza estremamente importante per comprendere l’attuale evoluzione giurisprudenziale dell’in house providing.
Relativamente al primo aspetto, le direttive riconoscono e riaffermano il diritto degli Stati membri e delle autorità pubbliche di decidere le modalità di gestione ritenute più appropriate per l’esecuzione di lavori e la fornitura di servizi. Pertanto gli Stati membri o le autorità pubbliche devono rimanere liberi di definire e specificare le caratteristiche dei servizi da fornire, comprese le condizioni relative alla qualità o al prezzo dei servizi, conformemente al diritto dell’Unione, al fine di perseguire i loro obiettivi di interesse pubblico.
Relativamente all’aspetto della tutela della libera concorrenza, i Considerandi contenuti nelle tre direttive prevedono, enfatizzando, espressamente la tutela della libera concorrenza. La concorrenza
collegata alla disciplina degli appalti rappresenta la fissazione di una serie di regole vincolanti, poste in capo alla Pubblica amministrazione, tali da assicurare la libera iniziativa economica da parte degli imprenditori, in un contesto in cui non vi siano discriminazioni tra settore pubblico e settore privato e tali da instaurare un regime di mercato autoregolato, nel quale l’intervento statuale dovrebbe, in un’ottica di lungo periodo, arretrare e ridursi al compimento di quegli interventi strumentali a tale obiettivo finale.
Infine relativamente al terzo e ultimo aspetto da esaminare, riguarda il divieto di gold plating, che per l’appunto impone al legislatore delegato di non introdurre livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee. Secondo questo principio costituiscono livelli di regolazione sovrabbondanti rispetto a quelli minimi: l’introduzione o il mantenimento di requisiti standard, obblighi ed oneri non necessari per l’attuazione delle direttive, l’estensione dell’ambito soggettivo od oggettivo di applicazione delle regole, l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive.
Tali aspetti qualificanti introdotti dalle richiamate direttive comunitarie, hanno determinato degli effetti immediati e diretti avuto riguardo i successivi pronunciamenti della giurisprudenza comunitaria e nazionale. Infatti di recente si registra un atteggiamento di tale Giurisprudenza, che pone l’in house in una posizione del tutto eccezionale rispetto all’ordinario affidamento tramite procedura ad evidenza pubblica, e per l’effetto imponendo alla Pubblica Amministrazione di giustificare la scelta con una motivazione maggiormente approfondita e” rafforzata”.
Ciò è avvenuto dapprima in conseguenza della decisione sovranazionale disposta dalla Corte di Giustizia UE, Sez. IX, 6 febbraio 2020, in cause da C-89/19 A C-91/19, chiamata a rispondere in riferimento alla corretta interpretazione dell’articolo 12 della Direttiva 2014/24/CE, avuto riferimento alle condizioni dettate dal legislatore comunitario ai fini dell’aggiudicazione di un appalto ad una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, non rientrante nell’ambito di applicazione della medesima direttiva.
A tal riguardo la Corte di Giustizia viene a pronunciarsi in merito a tale questione pregiudiziale deferita dalla V sezione del Consiglio di Stato, avuto riferimento in sostanza se una norma interna, quale l’art. 192 del Codice dei contratti pubblici (che subordina l’affidamento in house alla presenza di condizioni stringenti), fosse compatibile con il diritto euro-unitario.
La Corte di Giustizia si è pronunciata sulla questione sancendo che, in virtù del principio euro-unitario di autodeterminazione degli Stati membri sulle proprie scelte gestionali derivante dal considerando § 5 della Direttiva 2014/14 UE, è indifferente per l’ordinamento euro-unitario che uno Stato membro introduca delle condizioni stringenti tese alla verifica dell’economicità e dell’efficienza del modello dell’autoproduzione rispetto al ricorso mercato. Con il corollario che l’art. 192 del Codice dei Contratti, laddove sottopone a stringenti vincoli la scelta di ricorrere agli affidamenti in house, non presterebbe il fianco a dubbi di compatibilità con l’ordinamento sovranazionale.
La Corte di Giustizia ha sostanzialmente ritenuto che l’articolo 12, paragrafo 3 della Direttiva 2014/24/CE deve essere interpretato nel senso che …..”non osta ad una normativa nazionale che subordina la conclusione di un’operazione interna, denominata anche “contratto in house”, all’impossibilità di procedere all’aggiudicazione di un appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificatamente connessi al ricorso all’operazione interna”.
Sulla scorta di tale pronunciamento della Corte di Giustizia, è seguito il pronunciamento della Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 100/2020, chiamata a rispondere sulla legittimità costituzionale dell’articolo 192 del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. n. 50/2016, che per l’appunto impone un onere motivazionale “rafforzato” per legittimare l’affidamento in house.
La Consulta infatti ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale deferita dal T.A.R. Liguria, che aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti danno conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, delle ragioni del mancato ricorso al mercato, ritenendo che l’art. 192, comma 2, del codice dei contratti pubblici, nell’imporre di motivare le ragioni del mancato ricorso al mercato, eccede rispetto ai principi e ai criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 11 del 2016, in violazione dell’art. 76 Cost.
In modo più particolare, il T.A.R. ha ritenuto la norma in contrasto con il divieto di “gold plating” previsto dall’art. 1 comma 1, lettera a), della legge delega n. 11 del 2016, ossia di introduzione o mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee.
Con la sentenza n. 100 del 27 maggio 2020, la Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, sollevata in riferimento all’art. 76 della Costituzione.
Secondo i giudici costituzionali, “la ratio del divieto, assurto a criterio direttivo nella legge delega n. 11 del 2016, è quella di impedire l’introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all’amministrazione e segue una direttrice pro concorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato”.
La Corte Costituzionale richiama, altresì, i suoi precedenti: la sentenza n. 325 del 2010 secondo cui “tale maggior rigore non si pone in contrasto […] con la citata normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. È infatti innegabile l’esistenza di un margine di apprezzamento del legislatore nazionale rispetto a principi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall’ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza nel mercato e per il mercato” e la sentenza n. 46 del 2013 secondo la quale l’affidamento in regime di delegazione intraorganica “costituisce un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica”.
Ad ulteriore conferma di suddetto indirizzo giurisprudenziale, interviene la sentenza n. 2102 del 12 marzo 2021, il Consiglio, in conformità con la decisione della Corte Costituzionale, di cui alla sentenza 27 maggio 2020, n. 100, riconduce la stessa motivazione rafforzata a una direttrice pro concorrenziale, secondo cui essa «risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza».
A chiarimento della reale portata dell’onere della motivazione rafforzata che deve caratterizzare il procedimento di affidamento in house, si richiama l’articolo 192, comma 2, del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. n. 50/2016, che impone alle Stazioni appaltanti di effettuare preventivamente una
relazione contenente alcuni requisiti che si elencano di seguito:
a) la valutazione della congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione dando conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento, delle ragioni del mancato ricorso al mercato;
b) analisi dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, oltre che di ottimale impiego delle risorse pubbliche.
Naturalmente ai fini dell’affidamento in house, si rende necessaria una preventiva valutazione della congruità economica dell’offerta. La valutazione in esame implica un confronto tra il corrispettivo della prestazione del servizio richiesto dal soggetto in house e il corrispettivo richiesto dagli operatori economici presenti sul mercato.
Sulla medesima linea è indirizzato il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al D. Lgs n. 175/2016. Detto Testo Unico, infatti, e in particolare l’art. 5, comma 1, prevede finanche una più attenta cautela verso la costituzione e l’acquisto di partecipazioni di società pubbliche, tra cui naturalmente anche quelle in house. Infatti viene previsto che «l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica […] deve essere analiticamente motivato […], evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato».
IL GENUS DEL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE
Il sopra richiamato quadro normo-giurisprudenziale della disciplina dell’in house providing, concepito come strumento eccezionale e non alternativo alla gara ad evidenza pubblica, non si rinviene avuto riguardo all’affidamento del servizio del trasporto pubblico locale, per il quale l’affidamento in house rappresenta uno strumento ordinario dell’affidamento, perfettamente alternativo alle procedure ad evidenza pubblica. Per comprenderne le ragioni di detta disciplina speciale, si rende necessario delineare taluni aspetti peculiari del servizio del trasporto pubblico.
La qualificazione del trasporto pubblico quale “servizio pubblico”, rappresenta un tratto fondamentale sin del Regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/07.
Tale qualificazione di “servizio pubblico” giustifica la previsione di precise disposizioni contenute nel medesimo decreto, che connotano il trasporto pubblico di passeggeri sottoponendolo ad un regime speciale, che ha consentito sin qui allo stesso di godere di un regime speciale per l’affidamento del servizio da parte delle Pubbliche Amministrazioni. Infatti i servizi di trasporto pubblico locale, si differenziano dagli altri servizi di interesse economico generale a rete, per una serie di peculiarità, individuate peraltro dall’ Autorità Garante della concorrenza e del Mercato.
In via preliminare rileva l’Autorità, il TPL a differenza degli altri servizi di interesse generale a rete, è l’unico che dispone di più servizi di mobilità pubblica collettiva che possono soddisfare, attraverso relazioni di sostituibilità intermodali, il medesimo fabbisogno.
Altra peculiarità del TPL risiede nel fatto che, mentre per gli altri SIEG il tipo di prestazione richiesto è più o meno omogeneo, nel caso del trasporto è possibile modulare l’offerta in modo estremamente variegato.
Non da ultimo, poi, rileva l’aspetto economico, riguardante le motivazioni poste a giustificazione dell’intervento pubblico nel settore del TPL. Il trasporto pubblico locale, infatti, risulta caratterizzato da un forte squilibrio economico strutturale dovuto essenzialmente al mancato allineamento delle condizioni di fornitura (accessibilità e tariffazione) all’andamento commerciale dell’attività. Si tratta di un servizio prioritariamente orientato a soddisfare le esigenze di mobilità dei cittadini e gli obiettivi di coesione territoriale, anche a scapito di significative diseconomie a carico dell’impresa di trasporto.
La specialità del regime cui è sottoposto il servizio del trasporto pubblico locale, e che vale a differenziarlo dalla disciplina degli altri servizi pubblici locali, la si rinviene nel Regolamento CE n. 1370/2007, ed in particolare riferimento ai suoi principi informatori che ne hanno ispirato la stesura, e che debbono permeare le discipline dei singoli Paesi UE in materia.
A tal riguardo, detto Regolamento prevede che in ragione della qualificazione giuridica di servizi di interesse economico generale, detti servizi siano offerti a condizioni tariffarie vantaggiose per talune specifiche categorie di viaggiatori.
Ancora di più, il carattere speciale del regime cui il legislatore comunitario ha voluto sottoporre il servizio pubblico del trasporto passeggeri, strettamente correlato all’immanente carattere dell’universalità che lo distingue, lo si rinviene nel Regolamento laddove sottolinea che gli stessi non possono essere gestiti secondo una logica meramente commerciale.
A tal fine viene previsto che le autorità competenti degli Stati membri possano intervenire riconoscendo agli operatori del servizio pubblico diritti di esclusiva, la concessione agli operatori del servizio pubblico di compensazioni finanziarie.
Ma se questi principi informatori che il legislatore europeo ha voluto connotare la disciplina del trasporto pubblico non fossero sufficienti, interviene nell’ambito del Regolamento CE n. 1370/2007 la previsione che demanda alle Autorità nazionali l’esercizio della facoltà di decidere in piena autonomia la formula gestionale di detti servizi, optando per un’erogazione diretta in autogestione, nel rispetto di talune prescrizioni rigorose, ovvero l’affidamento diretto ad un operatore economico individuato nel libero mercato senza ricorrere a procedure di gara.
Tale peculiarità del servizio pubblico del trasporto locale, che per l’appunto vale a differenziarlo dagli altri servizi di interesse economico generale, ha connotato la sua disciplina normativa, ad oggi ancora non realizzata nel nostro ordinamento nazionale.
Infatti la disciplina di riferimento è contenuta nel decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 42 Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, che all’articolo 18, comma 2, lett. a) viene introdotto un modello di affidamento pro concorrenziale, prevedendo per l’appunto il ricorso a procedure concorsuali a carico delle pubbliche amministrazioni concedenti.
Il comma 3bis di detto articolo 18 prevedeva un periodo transitorio, da concludersi comunque entro il 31 dicembre 2007, nel corso del quale vi è la facoltà di mantenere tutti gli affidamenti agli attuali concessionari. A tal riguardo va rilevata la circostanza che detto termine del regime transitorio, e quindi l’obbligatorietà dell’affidamento del servizio di trasporto pubblico locale a mezzo gara ad evidenza pubblica, è stato procrastinato dal legislatore nazionale sistematicamente con apposite proroghe intervenute nel tempo, in coincidenza dei molteplici tentativi di riforma della materia dei servizi pubblici, che hanno caratterizzato con una sistematica dinamicità la nostra legislazione, e che hanno condotto alla proroga di detto termine al 31 dicembre 2020.
Altro importante intervento normativo nella nostra legislazione in materia di TPL si ha prima con la legge n. 166/02, che ha operato il conferimento alle regioni ed agli enti locali delle funzioni e dei compiti in materia di trasporto pubblico locale, e successivamente con la legge n. 99/2009, disposta al fine di adeguare la normativa nazionale a quella europea in materia di trasporto pubblico regionale e locale.
Con tale ultimo intervento del legislatore nazionale, intervenuto successivamente all’abrogazione referendaria delle norme relative alle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali disposte precedentemente con l’articolo 23bis del Decreto legge n. 112/2008, sostanzialmente attenuava l’obbligatorietà della gara prevista dall’articolo 18 del D.lgs. n. 422/1997, venendo così a costituire la disciplina di riferimento in materia di disciplina del trasporto pubblico locale.
Come altresì viene ad integrare la suesposta normativa nazionale con un’ulteriore norma contenuta all’articolo 4bis della legge 3 agosto 2009 n. 102, recante disposizioni in materia di trasporto pubblico, che prevede qualora le amministrazioni optano per l’autoproduzione, hanno l’obbligo di affidare a mezzo gara almeno il 10% dei servizi a soggetti diversi dalla società in house.
Successivamente intervenne l’articolo 3bis della Legge n. 148/2011, disciplinante gli ambiti territoriali e criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica.
Un avvio di riordino della materia si è avuto con la legge n. 124 del 7 agosto 2015, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, che demandava al governo l’attività di riordino dei servizi pubblici locali di interesse economico generale. Alla luce di detta delega, il Governo ha adottato uno schema di Testo Unico sui Servizi Pubblici Locali (TUSPL), facendo scadere la relativa delega in ragione dell’intervenuta sentenza della Corte Costituzionale.
Dunque questo disorganico e disarticolato modus del legislatore di trattare la materia del trasporto pubblico locale, e pertanto l’assenza ancora ad oggi di una disciplina organica della stessa, coordinata con il Regolamento europeo ed integrata con le norme generali sui servizi pubblici locali, si ripercuote sugli orientamenti della giurisprudenza, che in riferimento all’affidamento in house dei servizi di trasporto pubblico locale, i relativi pronunciamenti non registrano un orientamento pacifico, ma si atteggiano diversamente, sebbene da qualche anno si denota una inversione di tendenza.
Infatti da un orientamento precedente in cui la giurisprudenza era orientata a considerare l’affidamento in house providing del servizio di trasporto pubblico locale, quale strumento derogatorio e eccezionale rispetto all’affidamento con gara, nello specifico settore del TPL il modello dell’in house viene trattato dalla giurisprudenza amministrativa quale “modalità affatto ordinaria” regolante l’affidamento diretto del servizio.
IL CASO ATAC S.P.A. SOCIETÀ IN HOUSE DEL COMUNE DI ROMA CAPITALE
Avuto riferimento alla considerazione che il modello dell’house providing rappresenti in materia di affidamento del servizio del trasporto pubblico locale una modalità ordinaria e non eccezionale di affidamento dei servizio del trasporto pubblico locale, emblematica è la sentenza del TAR Lazio, Sez. II, 7 febbraio 2020 n. 1680, con cui il Comune di Roma affidava direttamente alla società Atac S.p.a., il cui capitale sociale al 100% detenuta dal medesimo Ente capitolino, il servizio di trasporto pubblico di superficie e di metropolitana.
Tale vertenza nasceva da una impugnazione da parte dell’Autorità Garante delle Concorrenza e del Mercato, della deliberazione consiliare con cui il comune di Roma Capitale disponeva la proroga alla società ATAC S.p.A. del servizio di trasporto pubblico locale di superficie e di metropolitana, del servizio di gestione della rete delle rivendite e di commercializzazione dei titoli di viaggio, nonché del servizio di esazione e controllore i titoli di viaggio relativi alle linee della rete periferica esternalizzata.
Infatti con apposito parere n un parere motivato deliberato ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 287/90 in data 7 febbraio 2018, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) riteneva che la proroga biennale dell’affidamento del servizio pubblico locale in favore di ATAC S.p.A., disposta con la Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 2 del 16 gennaio 2018, violasse e, l’art. 5, par. 5, del Reg. (CE) n. 1370/2007, in quanto concessa in assenza del presupposto del “pericolo imminente di interruzione del servizio”, e il Considerando 24 del Regolamento CE.
Le violazioni alla disciplina comunitaria riguarderebbero non solo l’art. 5, paragrafo 5 del Regolamento CE n. 1370/2007, ma anche il considerando 24 del Regolamento che impone, “quando vi sia il rischio di interruzioni della fornitura dei servizi, di adottare misure di emergenza a breve termine, in attesa dell’aggiudicazione di un nuovo contratto di servizio pubblico conforme a tutte le condizioni stabilite dal suddetto Regolamento”. Secondo la ricostruzione dell’AGCM la proroga biennale non poteva certamente considerarsi come una misura emergenziale a breve termine con il fine di organizzare nel frattempo la necessaria procedura competitiva prodromica al nuovo affidamento: in considerazione delle motivazioni poste da ATAC S.p.A. a fondamento della decisione, infatti, secondo la ricostruzione dell’AGCM, la proroga avrebbe l’esclusivo scopo di permettere il risanamento aziendale (cfr. nota ATAC S.p.A. del 17/11/2017, e configurasse una restrizione alla libertà di stabilimento di cui all’art. 49 TFUE.
Al riguardo infatti va evidenziato che il comune aveva motivato la proroga, in ragione del rischio di interruzione del servizio del trasporto pubblico locale per l’effetto dell’incertezza dell’accoglimento, da parte del Tribunale fallimentare di Roma, della proposta di concordato preventivo proposta da Atac S.p.a., la cui evenienza avrebbe decretato la dichiarazione di fallimento della società.
Veniva altresì statuito che detta proroga ostacolasse ingiustificatamente la concorrenza nel mercato dell’affidamento del servizio di trasporto pubblico locale nel territorio del Comune di Roma, così ritardando e ostacolando l’affidamento del servizio per il tramite di una procedura competitiva.
A seguito del ricevimento del suddetto parere motivato, con comunicazione pervenuta il 23 aprile 2018, il Comune di Roma Capitale inviava una nota all’Autorità con cui contro deduceva ai rilievi formulati dalla stessa, così confermando la legittimità della Deliberazione dell’Assemblea Capitolina n. 2 del 16 gennaio 2018.
Preso atto del mancato adeguamento del Comune di Roma Capitale al parere motivato, l’AGCM impugnava detta deliberazione consiliare dinanzi al TAR Lazio, per le motivazioni già rappresentate in sede di contestazione all’Ente.
E’ da rilevare che nella vicenda interveniva anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), che nel confermare i rilievi e le criticità contestate con la comunicazione di risultanze istruttorie del 15 giugno 2018, evidenziava una serie di anomalie di cui si chiedeva la risoluzione: la carenza dei presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’estensione dell’efficacia negoziale del Contratto di servizio in essere tra Roma Capitale ed Atac fino al 3 dicembre 2021, carenze relative agli obblighi motivazionali in tema di affidamenti in house cui è tenuta la stazione appaltante e, infine, diverse criticità nelle modalità di attuazione del controllo analogo nei confronti di Atac.
Il Tar Lazio, pronunciandosi su detto ricorso, lo dichiara infondato e, sul versante dell’articolo 5, comma 5, del Regolamento CE 1370/2007, ritenendo applicabile altresì al caso di specie l’articolo 5, comma 2, del medesimo Regolamento.
Infatti, relativamente al primo rilievo motivato dalla Corte riferibile “all’imminenza dell’interruzione del servizio”, il Collegio ritiene che “sia più logico e anche maggiormente rispondente alle finalità della citata disposizione, con la quale il legislatore comunitario ha inteso attribuire all’autorità competente poteri ulteriori, oltre a quelli ordinari, per far fronte a situazioni emergenziali, leggere il requisito “dell’imminenza del pericolo di interruzione del servizio”, non solo avuto riguardo al solo elemento temporale dell’immediatezza del verificarsi dell’evento al quale fare fronte e da scongiurare – vale a dire l’interruzione del servizio pubblico di trasporto -, ma anche in un’ottica prognostica complessiva”.
Il Collegio non si limita a non condividere la lettura dell’articolo 5, comma 5, del Regolamento comunitario n. 1370/2007, ma va oltre, rinvenendo in detta proroga altra e concorrente motivazione, strettamente ricollegabile al disposto di ciò al comma 2 del medesimo articolo 5 del Regolamento.
Infatti il Collegio ha modo di osservare come nel caso di specie, “trovi applicazione il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 1370/2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, il quale, all’art. 5.2, prevede testualmente che “a meno che non sia vietato dalla legislazione nazionale, le autorità competenti a livello locale, si tratti o meno di un’autorità singola o di un gruppo di autorità che forniscono servizi integrati di trasporto pubblico di passeggeri, hanno facoltà di fornire esse stesse servizi di trasporto pubblico di passeggeri o di procedere all’aggiudicazione diretta di contratti di servizio pubblico a un soggetto giuridicamente distinto su cui l’autorità competente a livello locale, o, nel caso di un gruppo di autorità, almeno una di esse, esercita un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi”.
Aggiunge al riguardo il Tar che “I requisiti previsti dall’ordinamento europeo e dalla legislazione nazionale (cfr. art. 61 della legge 23.7.2009, n. 99) per l’affidamento in regime di in house providing del servizio di trasporto pubblico locale si risolvono nell’effettiva sussistenza del “controllo analogo” e della “dedizione prevalente” di cui all’art. 5.2 del Regolamento CE n. 1370/2007“.
Concludendo la motivazione sul mancato accoglimento del ricorso dell’AGCM su un ulteriore aspetto che abbiamo in precedenza trattato, ossia riferibile che il servizio di trasporto pubblico locale non risulta soggetto per intero al regime della concorrenza.
Infatti il Tar in riferimento a ciò dichiara in sentenza che “Può ritenersi assodato che l’ambitodell’affidamento delle concessioni del servizio di trasporto pubblico locale è contraddistinto da una disciplina speciale di fonte euro-unitaria, caratterizzata da una liberalizzazione non integrale, trattandosi di settore non soggetto per intero al regime della concorrenza. Tale affermazione trova fondamento nell’art. 106, comma 2, TFUE, ai sensi del quale “Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione”.
Dunque oggi la Giurisprudenza viene a far prevalere il principio della libera organizzazione delle amministrazioni pubbliche tramite il riconoscimento della piena legittimità ed equi-ordinazione tra affidamenti in house e ricorso al mercato, seppure nei limiti specificati dalla disciplina ex art. 5, paragrafo 2 del Regolamento e nel rispetto della ratio sottesa all’adozione della stessa disciplina europea.
RECENTE QUADRO EVOLUTIVO DEL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE
Sempre al fine di rendere una organica completezza nella trattazione di tale lavoro, avuto riguardo alla deroga della motivazione rafforzata negli affidamenti in house del servizio del trasporto pubblico locale, importanti novità sono state apportate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, trasmesso in data 25 aprile 2021 dal Governo al Parlamento, all’interno del programma Next Generation EU (NGEU), il pacchetto da 750 miliardi di euro concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica.
Infatti a pagina 74 del paragrafo “Concorrenza e valori sociali” viene previsto che ”In materia di servizi pubblici, soprattutto locali, occorre promuovere un intervento di razionalizzazione della normativa, anche prevedendo l’approvazione di un testo unico, che in primo luogo chiarisca il concetto di servizio pubblico e che assicuri – anche nel settore del trasporto pubblico locale – un ricorso più responsabile da parte delle amministrazioni al meccanismo dell’in house providing. In questa prospettiva, pur preservandosi la libertà sancita dal diritto europeo di ricorrere a tale strumento di auto-produzione, andranno introdotte specifiche norme finalizzate a imporre all’amministrazione una motivazione anticipata e rafforzata che dia conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato, dei benefici della forma dell’in house dal punto di vista finanziario e della qualità dei servizi e dei risultati conseguiti nelle pregresse gestioni in auto-produzione, o comunque a garantire una esaustiva motivazione dell’aumento della partecipazione pubblica. Sarà inoltre previsto uno principio generale di proporzionalità̀ della durata dei contratti di servizio pubblico, compresi quelli affidati con la modalità dell’in house (legge annuale 2022)”.
Tale previsione contenuta nel PNRR, ha il merito di perseguire due finalità.
La prima è riconducibile all’esigenza finalmente di dare una compiuta disciplina della materia dei servizi pubblici locali, anche in riferimento al fallimento dell’iniziativa del Parlamento di riordino della materia, avviata con la legge n. 124 del 7 agosto 2015, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, laddove demandava al governo l’attività di riordino dei servizi pubblici locali di interesse economico generale. Alla luce di detta delega, il Governo ricordiamo che aveva adottato uno schema di Testo Unico sui Servizi Pubblici Locali (TUSPL), la cui delega successivamente venne fatta scadere in ragione dell’intervenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 251/2016.
La seconda finalità che si prefigge il PNRR in materia di servizi pubblici locali, è riconducibile alla precisazione che ha voluto formulare il Parlamento nell’atto di delega al Governo circa l’esigenza di razionalizzare la normativa, relativamente all’incipit ….. “anche nel settore del trasporto pubblico locale”, che come abbiamo avuto modo di verificare nel corso del terzo capitolo ancora attende una sua organica disciplina, coordinata al Regolamento CE n. 1370/2007, medio tempore novellato se pur parzialmente, relativamente all’apertura del mercato dei servizi di trasporto ferroviario, con l’intervenuta approvazione del Regolamento UE n. 2338/2016.
Una disciplina di riordino della materia del trasporto pubblico locale, peraltro si rende quanto mai necessaria e improcrastinabile anche al fine di derimere notevoli incertezze, riconducibili al descritto intervento disorganico del legislatore nazionale, che ha prodotto delle antinomiche disposizioni normative, non altrimenti procrastinabili.
Ciò si rende altresì necessario avuto riguardo alla giurisprudenza amministrativa che ha condotto a considerare l’affidamento in house providing del servizio di trasporto pubblico locale, quale strumento derogatorio e eccezionale rispetto all’affidamento con gara, così pervenendo ad un modello dell’in house che recentemente ha condotto la giurisprudenza amministrativa a definire quale “modalità affatto ordinaria” regolante l’affidamento diretto del servizio TPL, ponendosi per l’effetto in manifesta controtendenza con il rappresentato recente orientamento della Corte di Giustizia europea e della Consulta, e della giurisprudenza, confermanti il carattere eccezionale e derogatorio dell’in house rispetto al modello della gara.