di Remo Morzenti PellegriniProfessore ordinario di diritto amministrativo nell’Università degli studi di Bergamo

Riflettere sul senso e sull’identità delle città oggi, potrebbe evocare in maniera quasi immediata e istintiva la città ideale, quella che fin dall’Umanesimo permea l’immaginario collettivo come utopia di uno spazio urbano dove bellezza e vivibilità coesistevano armonicamente.

Nelle analisi delle diverse forme di città contemporanea, forme che talvolta si rivelano anche ostili all’ambiente naturale che le ospita, alcuni autori rivolgono la loro attenzione al valore delle idee, che ancora oggi, come d’altronde nel passato, ci permettono di comprenderne il senso più profondo[1].

Soltanto con l’ideazione e la circolazione di nuovi progetti urbanistici che facciano percepire la consapevolezza, ben prima che il rispetto, dell’ambiente geografico e geologico dove una città trova la sua configurazione identitaria, infatti, è possibile riattivare quel legame tra territorio antropizzato, storia collettiva e memorie individuali. Quel legame cioè che costituisce il senso di ogni architettura di paesaggio così come del vivere sociale.

Soltanto così la città del nostro tempo potrà riappropriarsi dell’altra sfumatura etimologica dell’aggettivo ostile, che non è legata al nemico, ma all’oste che ospita e riceve ospitalità.

Approfondire quindi oggi il concetto di città, riguarda tutti e deve essere giustamente riconsiderato sulla base dello scenario attuale. Non si tratta, infatti, solo di “abitare” una città, ma di “essere” una città, con tutte le implicazioni che questo comporta in termini politici, giuridici, economici e soprattutto culturali. Se la città, per essere tale, è chiamata a produrre simboli e legami identitari, occorre ora valutare come consentire, se non addirittura stimolare, la sua metamorfosi e i suoi intrecci con altre identità, così da rispondere in maniera adeguata alle esigenze di un panorama fluido e aperto come quello odierno.

Se per urbs, infatti, occorre intendere la città, a livello infrastrutturale e spaziale, quali edifici e mura, la civitas va intesa invece quale insieme dei cittadini di una località, dotati uno specifico “status” giuridico, quali titolari di diritti e doveri.

Nell’approccio di un amministrativista occorre allora porre in luce questa importante differenza e soprattutto la necessità di prendere in considerazione il concetto di civitas, il quale consente di percepire il ruolo del diritto, quale insieme di norme regolanti i rapporti tra i consociati, oltre che quale prospettiva che mette in luce, in relazione alla città, la dimensione dei diritti degli individui e, tra di essi i diritti di cittadinanza[2]. Il concetto di civitas, in altri termini, raccoglie e ricomprende i principi di eguaglianza, libertà e appartenenza.

In proposito, trattando dei diritti fondamentali, non si può non rilevare come la città evochi, in primis, la evidente contrapposizione tra centro e periferia. Nelle città le periferie hanno quel che nel centro manca e viceversa, in termini urbanistici, infrastrutturali, culturali, economico-sociali.

In relazione ai suddetti diritti, la periferia si afferma quale incubatore di diversi doveri, obblighi e libertà. Così, si pensi ai diversi servizi pubblici, ed anche più nello specifico sociali, (tra gli altri, il servizio scolastico, sanitario, ecc.) rispetto ai quali occorre appianare e ridurre le diseguaglianze, nella consapevolezza che per alcune aree delle città serve un intervento aggiuntivo; occorrono, in altri termini, soluzioni differenziate per differenti aree e territori.

Gli stessi cittadini sono chiamati ad operare in senso attivo e proattivo, secondo diversi schemi e modelli di partecipazione attiva e di collaborazione con i soggetti pubblici nell’interesse generale e dunque dell’intera collettività[3]. Ancora, da altro angolo visuale, istituti di semplificazione e partecipazione del cittadino all’attività pubblica nel tempo hanno avvicinato i singoli alla città.

In merito, Platone in un passaggio di un dialogo, mediante il discorso del sofista Protagora, descrive l’origine storica e concettuale della città e mette in evidenza come, affinchè vi sia città, occorrano non solo il dato urbanistico e architettonico, ma anche le relazioni tra gli individui, in particolare il rispetto reciproco e la giustizia.

La polis greca ha rappresentato il primo modello di città, quale aggregazione di persone aventi un’origine comune: tale città, tuttavia, trovava il proprio fondamento non nella legge, ma nella “stirpe”, quale comunanza di costumi, di moralità, di origini.

Di contro, la civitas romana si poneva quale insieme di cives, pur aventi origini, culture, religioni differenti, ma che consapevolmente decidevano di assoggettarsi all’imperio della legge, con conseguente situazione di pax e concordia.

Ancora oggi peraltro tale differenza pare attuale, laddove si pensi all’obiettivo della globalizzazione, quale punto di riferimento nella concezione della stessa idea di città. Il modello di città della civitas romana consente di giungere ad una costante crescita ed espansione, trasformando il mondo “orbis” in città “urbs”.

Considerando le implicazioni più attuali del concetto di città, peraltro, non si può non fare riferimento alle rinnovate diseguaglianze e asimmetrie riscontrate considerando le diverse aree urbane, territori e periferie nel corso e in conseguenza della stessa crisi pandemica[4].

La crisi, perlomeno inizialmente, pareva colpire tutti i Paesi a livello globale in maniera simmetrica, così come simmetriche potevano essere le risposte alla crisi.

Invece, progressivamente, si è acquisita la consapevolezza per cui la crisi sanitaria ha avuto effetti diversificati nei diversi Paesi e contesti. Così, a titolo esemplificativo, nel centro Europa i sistemi di welfare ed economici hanno reagito in maniera diversa rispetto ad altre aree, anche periferiche.

In termini generali, lo stesso PNRR, come noto, si pone dunque quale strumento di reazione, anche alle diseguaglianze, a seguito della crisi, al fine di realizzare azioni concrete a sostegno di specifiche aree, si pensi al Mezzogiorno d’Italia. La questione sud è messa in campo anche e soprattutto per perseguire il riequilibrio territoriale, nelle diverse linee di intervento[5].

Ad ogni modo, occorre notare come le politiche pubbliche riguardanti il governo del territorio non siano argomento oggetto di una specifica missione del PNRR. I centri urbani sono invece ripresi laddove si tratta dei diversi aspetti, ad esempio della mobilità sostenibile. Le politiche urbanistiche sono fondamentali per tutelare una vasta gamma di diritti rammentati anche nel Piano.

Ambiti in particolare presi in esame nel PNRR e oggetto di azione risultano: il miglioramento della qualità del patrimonio immobiliare pubblico e privato, al fine di consentire un risparmio energetico; il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica[6]; l’ampliamento e il completamento di infrastrutture pubbliche (a titolo esemplificativo, la valorizzazione del verde pubblico nelle città); le azioni per rendere più vivibili alcuni spazi sociali, quali progetti riguardanti la rigenerazione urbana, dunque la riqualificazione di particolari aree urbane, peraltro in ossequio alle previsioni di rilevanza costituzionale di cui agli artt. 3 e 42 Cost.[7].

La città rappresenta, inoltre, pluralità e differenziazione, da un punto di vista soggettivo, laddove si esplicano le libertà degli individui, ma anche oggettivo, quale ambito di affermazione di una pluralità di ordinamenti, quali corporazioni, professioni e, nella società della conoscenza, la stessa scienza quale arte o mestiere, che ha proprio nelle università il suo luogo di elezione[8].

L’Università, infatti, è parte della città, ma è anche un luogo di incontro di esperienze diverse, il che fa comprendere che quando si parla di cultura, occorrerebbe in realtà sempre parlare di “culture”. Ciò, in relazione alla provenienza del corpo docente, in primo luogo, poichè i docenti pervengono da ogni parte del nostro Paese e, con la centralità attribuita da tempo all’internazionalizzazione, da tutto il mondo, ma anche, anzi soprattutto, perché gli studenti arrivano e arriveranno sempre più da luoghi e culture diverse.

La cultura è, in tal senso, una weltanschauung, uno straordinario terreno di incontro e di confronto epistemologico ed antropologico. È di questa dimensione della cultura che dobbiamo far partecipe sempre più la città. Accanto ai due obiettivi fondamentali della didattica e della ricerca, l’Università, infatti, persegue una terza missione[9], opera cioè per favorire l’applicazione diretta, la valorizzazione e l’impiego della conoscenza per contribuire allo sviluppo sociale, culturale ed economico della Società in cui la stessa Università è immersa[10]. In tale prospettiva, ogni struttura all’interno degli atenei è sempre più impegnata nella comunicazione e divulgazione della conoscenza attraverso una relazione diretta con il territorio e con tutti i suoi attori[11].

Quale che sarà il futuro professionale dei giovani che conseguiranno una laurea, l’esperienza universitaria deve consentire a questi ragazzi di essere persone colte, dotate di strumenti adeguati non solo al fine di svolgere al meglio un lavoro, ma soprattutto allo scopo di comprendere le dinamiche del mondo che li circonda. In altri termini, occorre formare laureati con competenze specifiche, che siano al tempo stesso “intellettuali polivalenti”.

Cultura è anche essere cittadini del mondo, sapere che, come diceva Chesterton, “gli uomini non sono mai individui se sono soli”.

Talvolta, invece, si ha l’impressione che alcune città siano un po’ “distratte” rispetto alla predetta esigenza di apertura, di cui avrebbero bisogno, come d’altronde tutte le città, anche quelle più grandi. Rendersi permeabili è una straordinaria capacità da esercitare sempre e comunque: significa arricchirsi, aprirsi a prospettive forse neanche immaginabili, e soprattutto perché fa capire ciò che di buono sei in grado di offrire agli altri.

Non può esserci cultura senza questo continuo processo di osmosi e ciò accade solo ove si conosca profondamente la propria città, il tuo territorio, la sua specificità che non è omologabile ad altre specificità, laddove si riesca di conseguenza a comprendere la propria cultura di provenienza, quella che ti ha formato, forgiato e che ti ha fatto essere quello che sei; tale aspetto risulta imprescindibile al fine di instaurare un rapporto dialettico con altre culture.

Ebbene, in concreto, qual è il ruolo dell’università nell’ambito della città in cui si inserisce? In primo luogo, appare evidente come l’università sia chiamata a collaborare con tutte le altre Istituzioni che operano nel territorio e queste ultime debbano guardare all’Università come a un laboratorio di idee, a una fucina di progetti in continua evoluzione, a un modello cioè in cui la cultura si declina sempre al plurale.

L’Università vuole essere per la città uno strumento per valorizzarla, raccogliendone cioè l’eredità culturale sotto ogni suo aspetto, ma anche un luogo per così dire di frontiera, un luogo da cui spingere lo sguardo lontano, una vera e propria “ambasciata culturale” della Città e del territorio[12].

In quest’ottica, le nostre Università devono fornire ai giovani “cittadini” gli strumenti per negoziare la nuova idea di città: non solo immaginandola (come idea, appunto), ma anche costruendola come spazio materiale, concreto, di azione performativa e, soprattutto, di relazione umana, nel rispetto dei diversi contesti socio-economici da cui questo spazio può e deve prendere le mosse.

Salvatore Satta, un importante giurista del secolo scorso[13], ci ha lasciato un’opera estremamente suggestiva, un romanzo epico e visionario ormai tradotto in diverse lingue, Il giorno del giudizio. Ebbene, uno dei personaggi del libro, Ludovico, è un ragazzo che studia e legge molti libri ma, come osserva Satta, a questa sua “vocazione della conoscenza” non “corrispondeva la capacità di conoscere” veramente. “Il guaio di Ludovico – scrive Satta – è che la vita non lo lasciava sognare, lo chiamava a far parte della realtà”. Una realtà cioè tutta schiacciata sul presente, priva di ogni prospettiva e di ogni capacità di immaginare/sognare qualcosa di diverso.

Occorre allora in tal senso scongiurare che i nostri giovani (studenti e non) diventino come il Ludovico descritto da Satta; serve aiutare le nuove generazioni ad immaginare ed escogitare soluzioni sempre nuove, a non lasciarsi sgomentare dalla realtà che li circonda, ma a considerarla come un compito, come qualcosa da inventare continuamente.

È, in definitiva, solo grazie alla condivisione delle conoscenze, delle impressioni e dei racconti che pare possibile recuperare l’abilità di costruire o ricostruire spazi di vita collettiva. Spazi cioè che ci consentano di comunicare il nostro sentire, le nostre aspirazioni, il nostro movimento verso l’altro e verso noi stessi.


[1] Cfr. sul tema G. Arena, Cittadini si diventa. Come produrre senso civico e nuovo capitale sociale, in Dir. Pubbl., 1/2023, pp. 61-72.

[2] Cfr. sul tema F. Benvenuti, Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, Venezia, 1994.

[3] Tra i contributi più recenti sul tema e con particolare riferimento ai patti di collaborazione e ai vari modelli privatistici o pubblicistici delineati all’interno dei “Regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni”, al fine di individuare un nuovo tipo di partecipazione del cittadino si v. G. Marletta, La legge sul procedimento amministrativo e i patti di collaborazione, in Dir. amm., 2/2023, pp. 441-469; sul tema dell’amministrazione condivisa v. G. Arena, L’amministrazione condivisa ed i suoi sviluppi nel rapporto con cittadini ed enti del Terzo Settore, in Giur. cost., 3/2020, pp. 1449-1457

[4] V. in proposito A. Valastro, Territori, crisi e distanziamenti: la prossimità come trama e alimento della democrazia sociale, in federalismi.it, 11/2022, pp. 218-251. Nel contributo si pone in evidenza, da un lato, l’aspetto della frattura prodottasi fra le politiche pubbliche e i territori, perlopiù in virtù delle dinamiche decisionali determinate dalle crisi e all’emergenza; dall’altra parte, si pone in luce come le esperienze sperimentate nei territori dimostrino e confermino l’intrinseca relazionalità e spazialità delle politiche e il ruolo degli spazi di vita quali luoghi di fondazione dell’ordinamento, di serbatoi da cui attingere risorse vitali per costruire regole sostenibili.

[5] Sul tema specifico del Piano nazionale di ripresa e resilienza e sul ruolo dei cittadini, in termini di partecipazione attiva v. E. Frediani, Percorsi evolutivi della partecipazione civica al tempo del piano nazionale di ripresa e resilienza, in Dir. amm., 2/2023, pp. 301-337.

[6] Tra i contributi più recenti v. F. Pallante, La dicotomia individualismo vs. comunitarismo in azione: il caso della lungoresidenza sul territorio regionale quale requisito condizionante l’assegnazione degli alloggi di edilizia, residenziale pubblica, in federalismi.it, 9/2022, pp. 36-52; P. Valerio, L’accesso all’abitazione: inefficienze normative e risposte dell’autonomia privata, in DPCE online, 4/2022, pp. 2149-2168. R.A. Albanese, La resilienza del diritto all’abitare. Bisogni abitativi e tutele, proprietarie tra diritto italiano e fonti europee, in Politica del diritto, 1/2023, pp. 33-76.

[7] Cfr., tra gli altri, A. Simonati, Rigenerazione urbana, politiche di sicurezza e governo del territorio: quale ruolo per la cittadinanza?, in Riv.  giur. edilizia, 1/2019, 2, pp. 31-45; B. Accettura, PNRR e diritti sociali: una nuova declinazione del diritto all’abitazione. Il paradigma della rigenerazione urbana, in Società e diritti, 15/2023, pp. 226-246

[8] V. di recente G. Vesperini, Università e PNRR [Piano nazionale di ripresa e resilienza], in Giorn. dir. amm., 2/2023, pp. 137-140; A. Marra, Il concetto di autonomia universitaria tra sviluppi storici e prospettive, in Dir. amm., 1/2023, pp. 135-181

[9] S v. in merito M. Ruotolo, La “terza missione” dell’Università, in Lo Stato, 10/2018, pp. 109-126.

[10] Cfr. tra gli altri, M. Pignatti, Le professionalità delle Università per la ricerca e l’innovazione: i rapporti con le amministrazioni pubbliche e con i privati, gli strumenti giuridici e gli effetti sul mercato, in federalismi.it, 14/2023, pp. 193-220

[11] Sull’argomento sia consentito un rinvio a R. Morzenti Pellegrini, F. Adobati, Bergamo: progetto di Università e progetto di Città, in Vivere e abitare l’Università Bilancio nazionale sulla residenzialità universitaria (a cura di O. E. Bellini, M. Gambaro), Santarcangelo di Romagna, 2020.

[12] V. sul tema A. Caprara, Università (pubblica) e sviluppo sostenibile, in Contratto e impresa, 1/2023, pp. 150-183

[13] Alla sua morte, nel 1975, si è peraltro scoperto come il medesimo fosse anche un narratore straordinario e un letterato di grande finezza.