‘Legalità e giustizia’
di Fabrizio Di Marzio
Sommario: 1. Premessa. – 2. Legalità, diritto, giustizia. – 3. Il sentimento di giustizia. – 4. Teorie della giustizia. -5. Ragione e giustizia. – 6. Sul diritto come metodo per la giustizia.–7. Sulla legalità (come primato della legge).- 8. Legalità (costituzionale) e giustizia. – 9. ‘Legalità e giustizia’.
1. Il titolo di questo breve contributo potrebbe apparire estremamente impegnativo, ed eccessivo per essere svolto nello spazio di poche pagine: se non fosse, tuttavia, per le virgolette. Vorrei infatti discorrere non dei rapporti – filosofici e storici prima ancora che essenzialmente giuridici – tra legalità e giustizia ma, più modestamente, delle ragioni racchiuse nella intitolazione (alla legalità e alla giustizia) scelta per questa rivista.
L’intenzione non escluderà la necessità di dire qualcosa della legalità e della giustizia, e del controverso rapporto in cui esse si pongono; ma le estemporanee annotazioni serviranno soprattutto per dichiarare un orizzonte di riflessione e di azione in cui potrebbe collocarsi – come auspico – la stimolante esperienza che con questa pubblicazione si avvia.
2. Quando si discute di giustizia non sempre è implicato il diritto (e infatti il settore più fertile della riflessione è quello della filosofia della politica); invece quando si discute di quel particolare modo di essere del diritto che è la legalità la domanda sulla giustizia è immanente: sia perché nessuno dà per scontata l’implicazione tra legalità e giustizia (essendo la legalità ampiamente compatibile con l’ingiustizia), sia perché pochi sarebbero disposti a negare che la legalità (come l’intera esperienza giuridica) possa legittimarsi solo ed esclusivamente nell’orizzonte della giustizia. Legalità e giustizia, una volta affiancate, si mostrano nella loro alterità.
La carica problematica che si sprigiona dalla congiunzione tra legalità e giustizia può ricomporsi in un senso sotteso ma evidente: ‘legalità e giustizia’ varrebbe a dire ‘legalità per la giustizia’.
Questa espressione può poi essere letta in un duplice senso: legalità quale scelta metodologica per raggiungere il traguardo della giustizia; legalità quale conseguenza di una scelta di giustizia (animata dal sentimento di giustizia che deve guidare così gli uomini come pure le istituzioni).
I due possibili significati non si escludono, ma si implementano a vicenda. Come appare evidente osservando la dinamica delle moderne democrazie costituzionali, la legalità si presenta quale risposta alla domanda di giustizia: sollecitata dunque dal senso di giustizia e destinata a soddisfare il desiderio di giustizia.
Discorrerò allora prima della giustizia, e poi della legalità, quale valore e anche quale strumento di giustizia. Dovrò però dire qualcosa anche del diritto: di cui la legalità è al contempo tecnica e valore.
3. Della giustizia potrebbe essere difficilissimo, ma anche sbalorditivamente facile, trattare. Così, se si riconosce che essa si costituisce, essenzialmente, di un sentimento: il sentimento di giustizia. Tantoché, pur escludendosi tendenzialmente la possibilità di individuare modelli di esistenza giuridica nei mondi – fossero anche definibili, in qualche senso, ‘comunità’ – abitati dagli animali non umani, e pur dovendo prendere atto della diffusissima idea del diritto come fatto umano1, la ricerca scientifica ci invita progressivamente a prendere atto di come anche nelle comunità animali e prelinguistiche sia intensamente vissuto il sentimento di giustizia.
Ed è proprio sul piano della netta distinzione tra ‘diritto’ e ‘giustizia’ che appare possibile tracciare una differenza, prendendo peraltro atto di una profonda consapevolezza. Nonostante qualche incertezza terminologica, ciò che solitamente si revoca in dubbio è l’esistenza di ordinamenti (giuridici) animali non umani, ma non anche della esistenza di un sentimento di giustizia non umano2. A rendere il diritto cosa umana è la dimensione linguistica in cui esso si sostanzia; il fatto di essere il diritto un fenomeno non soltanto sociale, ma per di più linguistico: pertanto non riferibile appropriatamente a realtà, anche rudimentalmente organizzate, ma prelinguistiche3. A rendere la giustizia un qualcosa riferibile anche a comunità animali prelinguistiche è il suo consistere essenzialmente in un sentimento4.
Le teorie della giustizia sviluppano riflessioni su una base di natura emotiva, data da una intuizione morale nota anche come ‘senso di giustizia’5: che dal rifiuto dell’ingiustizia6 trascorre al desiderio di giustizia7.
4. Su questa intuizione fondativa si avviano le indagini speculative. Storicamente, il successo ha arriso alla famiglia di teoriche sviluppatesi sopra l’idea del contratto sociale e volte a definire, sulla base di un accordo trascendentale unico, la struttura delle organizzazioni (istituzioni, norme) in cui deve articolarsi una società che possa dirsi ‘giusta’. Questa visione ambiziosa, che dalla riflessione di autori come Hobbes e poi Locke e Rousseau, attraverso la sistemazione kantiana giunge fino a noi nella versione elaborata da Rawls sulla giustizia come equità (e poi ulteriormente sviluppata secondo percorsi ancora diversi da altri autori, tra i quali spiccano Dworkin da un lato e Nozick dall’altro) ha sempre dovuto fare i conti con l’intrinseca disputabilità delle soluzioni finali variamente proposte. E, per di più, con la realistica contestazione che quando un criterio di giustizia ha portata assoluta (come nella massima giustinianea ‘unicuique suum tribuere’8; o nella rielaborazione secondo cui si deve trattare gli uguali in modo uguale e i diversi diversamente), ha contenuto esclusivamente formale (essendo compatibile con un variegatissimo catalogo di contenuti sostanziali), mentre quando ha contenuto sostanziale può considerarsi valido solo entro un preciso canale spaziotemporale9.
La disputabilità delle visioni della giustizia è peraltro destinata ad aggravarsi oltre misura nelle società occidentali che da decenni si vanno sviluppando all’insegna del pluralismo dei valori (e del pluralismo stesso come valore)10; ed è destinata ad incontrare difficoltà ulteriori se il progetto di giustizia ambisce ad emanciparsi da una dimensione limitata e non totalizzante (fosse questa estesa anche quanto l’Occidente) per diffondersi invece su scala planetaria: secondo un orizzonte di riflessione ormai intensamente suggerito, se non imposto, dalle attuali condizioni di vita (come dimostra soprattutto la prassi economica senza frontiere e il fatto storico della crisi globale)11.
In un simile smisurato contesto la impensabilità di un governo mondiale escluderebbe in radice, secondo alcuni, la stessa teorica possibilità di istituzioni giuste12.
Deve spiegarsi anche così la fortuna di approcci meno ambiziosi e più misurati – riferibili a un altro ramo della tradizione dell’illuminismo – approcci disinteressati in via di principio di stabilire l’architettura ultima della società giusta e invece immediatamente preoccupati di elaborare soluzioni di volta in volta considerabili giuste ai problemi fondamentali che si concretamente si pongono. All’accordo trascendentale è qui sostituito l’accodo particolare, maturato attraverso la scelta comparativa tra le soluzioni alternative che possono argomentarsi nel caso specifico13.
5. Nell’una come nell’altra prospettiva il ruolo determinante è ricoperto dalla ragione: dall’argomentazione razionale sulle questioni etiche.
La primazia della ragione non sconfessa il legame fondativo con il sentimento (nel nostro caso, di giustizia). Accantonate le opinioni sulla inconciliabilità di ragione e sentimento; riconosciuta e anche studiata l’‘intelligenza’ delle emozioni14; stabilito il valore strategico del sentimento di giustizia in quanto capace di indirizzare concretamente le coscienze alla ribellione contro l’ingiustizia15; ribadito il ruolo positivo che gli atteggiamenti emotivi (come la ripulsa per la crudeltà e il rispetto per l’interlocutore) possono avere nel fondare i presupposti e nell’orientare lo sviluppo della discussione razionale16, è proprio alla discussione razionale che le prospettazioni teoriche di maggior successo si affidano con convinzione.
In negativo, l’esame razionale ci preserva da quella che è stata definita come ‘ideologia della giustizia’: ossia dalla assolutizzazione di posizioni valoriali (ovviamente rispondenti a un ben individuabile assetto di interessi) rispetto e a discapito di altre: pertanto pregiudizialmente combattute nel nome (tuttavia strumentalizzato) della giustizia17.
In positivo, l’esame razionale dei fatti e delle emozioni, scongiurando il pericolo dell’adesione settaria a particolari ideologie della giustizia, è senza dubbio essenziale per realizzare il presupposto logico per una scelta che possa definirsi giusta: il carattere oggettivo della valutazione.
Classicamente, l’oggettività sembra assicurata dalla posizione di terzietà e di giudizio pertanto disinteressato assunta dalla metafora smithiana dello spettatore imparziale, ossia di quel giudice interiore che dovrebbe guidarci nell’azione approvando o meno le nostre scelte secondo un criterio di imparzialità rispetto ai nostri personali interessi18.
La metafora valorizza il punto di vista esterno; allarga lo spettro del giudizio accogliendo nel suo spazio punti di vista che in prima battuta potevano sembrare estranei o poco importanti e la cui considerazione mette in guardia non soltanto dall’abbaglio degli interessi personali, ma anche dall’abbaglio che possono suscitare credenze e tradizioni radicate in contesti particolari19.
Nelle teoriche contemporanee l’oggettività quale esito consentito dall’assunzione della posizione dello spettatore imparziale è assicurato da accorgimenti procedurali. Piuttosto che assumere controfattualmente la posizione dello spettatore imparziale – e dunque punti di vista inconsueti per una decisione che rimane comunque confinata nella sfera soggettiva dell’agente – si persegue l’oggettività attraverso il dialogo delle ragioni20.
Nella famosa versione di Rawls la giustizia procedurale (ossia l’esito di giustizia discendente dalla giustizia delle procedure seguite per la decisione) si distingue in tre tipi: perfetta, imperfetta e pura21.
Nella versione più ricca, della giustizia procedurale perfetta, esiste sia un condiviso esito di giustizia che una procedura che assicuri con certezza il risultato (nell’esempio: l’esito dell’equità distributiva nel taglio della torta; la procedura della scelta per ultimo della fetta da parte di chi taglia).
Nella versione intermedia, della giustizia procedurale imperfetta, esiste l’esito condiviso di giustizia ma non anche una procedura che assicuri con certezza il risultato (nell’esempio del processo penale: l’esito di assicurare i colpevoli alla giustizia; l’impossibilità tuttavia di una struttura processuale che garantisca con certezza il risultato).
Nella versione minimale, della giustizia procedurale pura, non esiste un esito condiviso di giustizia; cosicché esso dipende esclusivamente dalla ragionevolezza della procedura, la quale è idonea a tal punto a legittimare qualsivoglia risultato sostanziale scaturisca dal suo esperimento (l’esempio portato è la scommessa equa nel gioco d’azzardo).
Nel caso della discussione pubblica sulle scelte di giustizia in contesti segnati dal pluralismo dei valori (e dal pluralismo quale valore), nel conflitto insanabile tra opposte visioni morali si mostra per lo più plausibile esclusivamente la giustizia procedurale pura (difettando un esito condiviso di giustizia).
In generale, la giustizia della procedura è data da criteri etici a cui la specifica procedura che cade in questione deve essere ragionevolmente improntata (la sentenza del giudice deve fondarsi sull’imparzialità del decidente; il contratto sulla uguaglianza delle parti; la legge sulla legalità della procedura di formazione).Nel caso della discussione pubblica sui valori nei contesti pluralistici la caratteristica essenziale della procedura seguita, da improntarsi a criteri di ragionevolezza, è data dal rispetto del principio del contraddittorio: ossia dalla partecipazione di ogni interessato alla discussione sull’esito di giustizia. La giustizia della procedura (della regola del confronto) assicurerà la giustizia della decisione sostanziale che nel rispetto della procedura, e all’esito della stessa, sarà razionalmente assunta (ossia la scelta di un determinato assetto valoriale sostanziale rispetto ad altri)22.
6. Credo che la persuasività dell’approccio fondato sulla giustizia procedurale, ossia sulla giustizia (e dunque sulla moralità) della procedura che deve seguirsi nella discussione – quale condizione strumentale ad assicurare la giustizia sostanziale del risultato finale dato dalla decisione – consista proprio nella rispondenza di questo punto di vista a radicate prassi sociali.
Deve sottoscriversi che “in ogni tempo e luogo i membri di una società e i cittadini di uno stato si aspettano che i conflitti nei quali sono coinvolti siano risolti in conformità con le regole riconosciute all’interno di quella società o di quello stato particolari”; è facile inoltre osservare come tali regole procedurali si specifichino all’interno delle varie istituzioni: “tribunali, parlamenti, consigli, partiti politici e così via”23.
Appare del resto illuminante che Rawls nell’esporre il concetto di ‘giustizia procedurale imperfetta’ porti l’esempio del processo penale, ossia di una fondamentale pratica giuridica.
D’altro canto, le più accreditate concezioni del diritto risultano ampiamente spiegabili nella prospettiva della giustizia procedurale. Così la concezione relazione, di matrice kantiana, del diritto come rapporto giuridico segnato dal carattere della reciprocità (nel senso che la sfera di pretesa e di azione di ciascuna parte del rapporto è delimitata dalla sfera dell’altra): la quale implica evidentemente una corrispondenza dialogica. Ma ancor di più le concezioni normativistiche, che ricostruiscono il diritto come ordinamento (alla varia maniera di Kelsen, Bobbio, Hart) e come istituzione (alla maniera di Santi Romano): ossia come strutture dinamiche essenzialmente rette da regole procedurali.
E appare del tutto corretta l’osservazione secondo cui la ragionevolezza, l’esercizio della ragion pratica, non si apprezza solo su di un piano meramente logico e conoscitivo, ma si produce anche sul piano pratico, integrando una essenziale caratteristica dell’agire umano24: come è la prassi giuridica25.
In questo ordine di suggestioni, l’essenziale prassi giuridica dell’interpretazione è stata proposta anche come metodo per affermare la giustizia attraverso la progressiva riduzione dell’ingiustizia originaria, radicata nei rapporti di potere da cui scaturì la ‘legge’. “L’interpretazione, come applicazione che indebolisce la violenza dell’origine, ‘fa giustizia del diritto’: gli rende giustizia contro chi lo accusa di produrre solo summas inurias; lo rende giusto da violento che era; e anche lo giustizia in quanto lo consuma nelle sue pretese di perentorietà e definitività, ne smentisce la maschera sacrale”26.
7. Un modo d’essere del diritto è la legalità. Genericamente con il termine può intendersi la conformità dell’esercizio del potere al diritto: secondo la formula germanica dello Stato di diritto (Rechtsstaat) o la formula inglese del ‘governo del diritto’ (‘rule of law’). Meno genericamente, ‘legalità’ indica la soggezione del potere alla legge: la soggezione degli atti del potere esecutivo e del potere giudiziario alla legge deliberata dai parlamenti. Nella concezione più impegnativa ad essere sottoposta alla legalità è l’attività stessa del parlamento, e il suo prodotto: la legge. Qui ‘legalità’ significa ‘legittimità costituzionale delle leggi’27.
La prima concezione non si mostra in se stessa promettente: limitandosi ad esprimere un generico primato del diritto sul potere, e a prescrivere la legalità quale condizione di legittimazione dell’esercizio del potere (legittimo, e non arbitrario, perché conforme al diritto).
Una breve riflessione sulla seconda e sulla terza concezione può invece consentire maggiori guadagni: nei limiti in cui il riferimento al diritto è precisato con il richiamo più circoscritto alla legge e alla costituzione.
Il problematico rapporto tra legalità e giustizia, anticipato in premessa, è dovuto al fatto che la legalità non è concepita solo come tecnica giuridica, ma anche come valore28. La sottoposizione del potere alla legge esprime anzi un valore specifico del diritto (assicurando una organizzazione efficiente delle condotte attraverso prescrizioni certe), e ne determina la connotazione concreta (stabilendone in particolare fondamentali regole di produzione, come la deliberazione parlamentare delle leggi).
La connotazione valoriale della legalità implica la possibilità del conflitto tra legalità e giustizia. Poiché non solo la giustizia ma anche la legalità è considerata un valore, allora la non corrispondenza della legalità (per es., nel suo prodotto: la legge) alla giustizia scatena un conflitto di valori e impone di realizzare delle scelte.
Per ricondurre a dimensione reale il problema si è annotato che normalmente (nei c.d. ‘casi normali’) il sistema delle leggi esprime valori condivisi: come dimostra la sistematica applicazione ed osservanza della regola nel contesto disciplinato; eccezionalmente (l’esempio indiscusso è nella ‘legalità nazista’, ossia nelle leggi emanate durante il regime nazista), l’insanabile ed eclatante contrasto tra legalità (che non esprime valori minimamente condivisi) e senso elementare di giustizia impone come doveroso disobbedire.
In nessuno dei due casi il rapporto tra legalità e giustizia appare problematico: dimostrandosi armonico nel primo e insanabilmente conflittuale nel secondo; e dunque imponendosi in ogni caso la scelta della giustizia (a favore della legalità legittimata da quella corrispondenza nel primo caso, e contro la legalità delegittimata da quel conflitto nel secondo).
Invece, il problema sorge nei casi intermedi: in cui potrebbe argomentarsi una qualche ingiustizia della legge (e del diritto) ma non così grave da imporre la scelta della disobbedienza (e dunque la violazione della legalità)29. In tali casi, si argomenta, le ragioni della legalità possono anche prevalere sulle ragioni della giustizia30.
Ma potrebbe anche ipotizzarsi che la soluzione del rispetto della legge nei casi intermedi non implichi una vittoria della legalità sulla giustizia bensì, ancora una volta, una affermazione della giustizia. In tali casi, infatti, da un lato stanno la legge e più ampiamente il diritto e dall’altro, ma soltanto in qualche modo, sta la giustizia. In tale rapporto, infatti, la giustizia non si pone in insanabile contrasto. Per ciò stesso, non potrebbe affermarsi che la legalità offenda il sentimento di giustizia quale moto di ribellione all’ingiustizia. Il sentimento di giustizia, infatti, per non essere controverso presuppone l’evidenza e l’intollerabilità dell’ingiustizia (soccombendo altrimenti alla critica della relatività e della opinabilità31). Ciò contro cui la legalità si porrebbe sarebbe allora una semplice e opinabile idea sostanziale di giustizia. Ma a fronte di quella sta il valore della legalità, che risponde anch’essa a ragioni sostanziali di giustizia (quali la certezza della regola e del giudizio sulle condotte). E risponde, per di più, a ragioni procedurali di giustizia (consistendo la legalità in una ragionevole procedura di produzione del diritto).
8. Possiamo a questo punto scorgere come il rapporto tra legalità e giustizia si svolga secondo la logica del giudizio: il giudizio sulla legalità come rispondente o meno alla giustizia. Nel proseguire la riflessione potremmo notare come tale giudizio, e il suo possibile contenuto di critica alla legge in quanto ingiusta, non deve determinare necessariamente la disobbedienza alla legge, ossia la violazione della legalità (e delle istanze di giustizia, perlomeno di carattere procedurale, ad essa sottese). Questo dovrebbe in particolare escludersi (o almeno revocarsi decisamente in dubbio) nelle esperienze giuridiche costituite dalle democrazie costituzionali. Il costituzionalismo moderno mette infatti a disposizioni procedure ragionevoli per verificare la corrispondenza della legge agli orizzonti di giustizia condivisi in una determinata comunità e come tali sanciti nelle costituzioni. Le procedure in questione disciplinano il giudizio di conformità delle leggi a costituzione, rimesso al complesso lavoro delle corti costituzionali.
L’orizzonte legale e valoriale dato dalla costituzione segna in tal modo la soggezione alla legalità (costituzionale) non soltanto del potere esecutivo e giudiziario, ma anche del potere legislativo; e consente la critica della legge in nome della non corrispondenza della stessa a giustizia attraverso l’adozione di procedure ragionevoli, il rispetto delle quali legittima l’esito sostanziale di quel giudizio (in se stesso intrinsecamente opinabile).
È poi notevole che il lavoro delle corti costituzionali si svolga non semplicemente nel segno della verifica di corrispondenza tra legge e costituzione (secondo la schematica prospettiva del costituzionalismo classico esemplificato dalla riflessione kelseniana), ma anche nei termini – variamente teorizzati dal c.d. neocostituzionalismo – di una verifica suprema di ragionevolezza della legge (la quale oltre che essere dichiarata illegittima può essere ricondotta interpretativamente a conformità costituzionale), e della costituzione medesima (preservata dalla possibilità di revisione dove dispone la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo).
L’aspirazione suprema del giudizio di ragionevolezza delle leggi e della costituzione stessa è la giustizia. Ma – per osservazione finale sul punto – deve nonostante tutto condividersi che tale ambizione non può santificare nemmeno la costituzione, astraendola aprioristicamente da qualsiasi valutazione etica. Un simile atteggiamento travolgerebbe la conquista culturale di guardare comunque ai prodotti dell’esperienza giuridica (comprese leggi e costituzioni) piuttosto che come parametri (o, meglio, piuttosto che soltanto come parametri) anche come fatti: termini dunque di un giudizio etico (e giuridico) che garantisce sempre l’allerta della ragione da inversioni della civiltà che la storia ci ha sempre dimostrato come possibili32.
9. Sembrano così predisposte le condizioni per una pratica del diritto che corrisponda alle esigenze della giustizia: ossia che si realizzi dietro il sentimento della giustizia, attraverso la difesa del valore della legalità costituzionale e in ragione del desiderio di giustizia.
Legalità dunque non a tutti i costi; ma legalità servente (alla giustizia). E pratica del diritto svolta nella consapevolezza della sua ineliminabile ‘miseria’33, della sua insuperabile imperfezione: imperfezione spinta fino all’orlo del paradosso dall’avvertimento del summus ius, summa iniuria.
Sguardo realistico e disincantato, infine, verso tutti gli accorgimenti escogitati per assicurare esiti di giustizia, compreso quello posto al livello più alto di conquista: la giustizia per procedure ragionevoli. Senza dimenticare, però, il valore altissimo del dialogo: dato dalla precondizione necessaria del reciproco riconoscimento dei partecipanti, e dunque della pari dignità dei parlanti.
Contro ogni promessa della giustizia procedurale vale l’antico monito di Zhuang-zi (Chuang-tzu): “Se io discuto con te e tu hai la meglio su di me invece che io su di te, hai forse necessariamente ragione e io necessariamente torto? E se io ho la meglio su di te, ho io necessariamente ragione e tu necessariamente torto? Ha uno ragione e l’altro torto, oppure abbiamo ragione entrambi o entrambi torto? Né io né te possiamo saperlo, e un terzo sarebbe nella stessa oscurità. Chi può decidere senza errore? Se interroghiamo qualcuno che è del tuo parere, come potrà decidere, se è del tuo parere? Se è d’accordo con me, come potrà decidere se è d’accordo con me? Lo stesso accadrà se si tratta di qualcuno che è insieme d’accordo con me e con te, o se è di un parere differente da entrambi. Allora né io, né te, né un terzo possiamo decidere. Dovremo attendere un quarto? ”34.
Ma l’ultima frase sembra sottintendere la necessità in ogni caso della decisione; e apre di conseguenza la strada non solo alla presa d’atto di un possibile confronto indirimibile delle ragioni35, ma anche alla constatazione della non negatività del disaccordo che dovesse permanere all’esito della discussione (indicativo infatti della non definitività delle proposizioni etiche le quali, diversamente da quelle scientifiche, sono insuscettibili di un qualsiasi giudizio di verità)36. Ciò che soprattutto conta sono le condizioni del dibattito, e non l’esito: il rispetto di procedure ragionevoli e non la condivisione del risultato materiale.
È stato scritto che ciò che conta è (poter) portare nel dibattito che determinerà la scelta (es., la legge) argomenti persuasivi, ossia ragionevoli, ma non anche persuadenti in concreto l’interlocutore. Quest’ultima condizione sarebbe infatti irragionevole, perché lascerebbe la decisione nelle mani dell’interlocutore (così, nei contesti deliberativi, consegnerebbe sempre la maggioranza al volere della minoranza)37.
Restringendo lo sguardo alla comunità dei giuristi sembra allora di intravedere l’importanza di un compito: di praticare – secondo i pur instabili rapporti tra legalità e giustizia – il diritto. Per affievolirne l’originaria violenza (e irragionevolezza); per combattere attraverso quella pratica faticosa le forme di ingiustizia: e per conquistare attraverso il confronto delle ragioni (piuttosto che qualche passo verso un mitico traguardo) risultati concreti di giustizia.
Su questo auspicio si apre oggi un nuovo luogo per il pubblico dibattito delle ragioni.
1 Cfr. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, Milano, 20086, 5 ss., che ricorda il passo del Digesto di Giustiniano secondo cui ‘hominum causa omne ius constitutum est’ (D. 1,5,2).
2 Cfr., per es., Del Vecchio, La giustizia4, Roma, 1951, 97 ss. che scrive di ‘prodromi di giustizia’ con riguardo agli elementi organizzativi rinvenibili nelle comunità animali non umane.
3 Cfr., per tutti, Searle, La costruzione della realtà sociale (trad. it.), Torino,2006, 70 ss.
4 Molto suggestiva la lettura di Bekoff, Pierce, Wild Justice. The Moral Lives of Animals, University of Chicago Press., 2009, che riferiscono di episodi quali quello del topo che si astiene dall’eseguire un ordine ricompensato con cibo (premere una leva) se ne deriva l’afflizione di una sofferenza (scossa elettrica) a un altro topo.
5 Cfr. già Rawls, Una teoria della giustizia (trad. it.), Milano, 1997, 372 ss. ma, per quanto maggiormente qui interessa, la rivisitazione critica di G. Zagrebelsky, Intorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune, Torino, 2009, 63 ss.
6 Esemplarmente testimoniata dal disprezzo degli antichi teorici indiani del diritto per la ‘giustizia del mondo dei pesci’ (matsyanyāya), dove il pesce grosso divora liberamente il pesce piccolo (cfr. Sen, L’idea di giustizia, Milano, 2011, 35 s.).
7 Su cui potrei rinviare, per qualche considerazione personale, a Di Marzio, Il desiderio di giustizia (note impressionistiche su eros e diritto ai tempi del postmoderno)”, in Politica del diritto, 2004, 491 ss.
8 D. I, 1, 10.
9 Cfr. G. Zagrebelsky, Intorno alla legge, cit., 51, che ricorda la lezione di Bobbio, Introduzione alla filosofia del diritto, Torino, 1948, 197.
10 Per riferimenti critici cfr. M. Barberis, Etica per giuristi, Roma-Bari, 2006, 157 ss.
11 Su questo problema si articola la riflessione neocontrattualistica di Veca, La bellezza e gli oppressi. Dieci lezioni sull’idea di giustizia, Milano, 2002.
12 Cfr. Nagel, The Problem of Global Justice, in Philosophy and Public Affairs, 33 (2005), 115.
13 In tal senso la mossa teorica di Sen, L’idea di giustizia, cit., 25 ss. che riconduce questa tradizione al pensiero di Smith, Condorcet, Mary Wollstobecraft, Bentham, Marx, Mill.
14 Cfr. Goleman, Intelligenza emotiva (trad. it.), Milano, 1996; M. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni (trad. it.), Bologna, 2004 (spec. 37 ss.); in prospettiva neurofisiologica e psicologica cfr. Damasio, L’errore di Cartesio: emozione, ragione e cervello umano (trad. it.), Milano 2004.
15 Cfr. G. Zagrebelsky, Intorno alla legge, cit., 70 ss.
16 Cfr. Sen, L’idea di giustizia, cit., 45 ss.
17 Su questo atteggiamento biologico-emotivo, indirizzato “alla difesa implacabile e cieca di certi interessi”, cfr. Ross, Diritto e giustizia (trad. it.), Torino, 2001, 259.
18 Cfr. Smith, Teoria dei sentimenti morali (trad. it.), Milano, 1995, 205 ss.
19 Così Sen, L’idea di giustizia, cit., 58.
20 Cfr., in tal senso, la posizione di Rawls, Liberalismo politico (trad. it.), Torino, 1999, 106 ss., secondo cui è oggettiva una posizione suscettibile di essere condivisa da persone ragionevoli; v. inoltre la posizione di Habermas, Teoria dell’agire comunicativo (trad. it.) Bologna, 1986, fondata sul presupposto della razionalità non semplicemente del soggetto ma più ampiamente del dialogo (ossia che il dialogo si svolga senza pregiudizi, assumendo posizioni ragionevoli, e dunque premiando le buone ragioni rispetto alle alternative meno ragionevoli).
21 Cfr. Rawls, Una teoria della giustizia, cit., 85 ss.
22 Cfr. in generale Hampshire, Non c’è giustizia senza conflitto (trad. it.), Milano, 2001, 47 ss.; Veca, La bellezza e gli oppressi, cit., 60 ss.; v. anche Lombardi Vallauri, Diritto naturale, in Jus, 1987, 241 ss.
23 Hampshire, Non c’è giustizia senza conflitto, cit., 48.
24 Cfr. Viola, Zaccaria, Diritto e interpretazione, Roma-Bari, 2004, 43.
25 Cfr. Viola, Il diritto come pratica sociale, Torino, 1990.
26Vattimo, Fare giustizia del diritto, in Annuario Filosofico Europeo. Diritto giustizia e interpretazione, a cura di Derrida, Vattimo, Roma-Bari, 1998, 288. Al riguardo, per una riflessione sulla legittimazione dell’interpretazione giudiziale del diritto condotta secondo procedure ragionevoli può leggersi Di Marzio, Interpretazione giudiziale e costrizione. Ipotesi sulla legittimazione della discrezionalità interpretativa, in Riv. dir. civ., 2006, I, 395 ss.
27Cfr. la limpida sintesi critica di M. Barberis, Etica per giuristi, cit., 150 ss.
28Cfr., per es., Dworkin, Hart’s Postscript and the Character of Political Philosophy, in Oxford Journal of Legal Studies, 2004, 24.
29Cfr. Radbruch, Ingiustizia legale e diritto sovralegale(trad. it.) in Aa.Vv. Filosofia del diritto, a cura di A.G. Conte ed altri, Milano, 2002, 152 ss.
30Cfr. M. Barberis, Filosofia del diritto. Un’introduzione teorica, Torino, 2005, 250 ss.
31 Cfr. G. Zagrebelsky, Intorno alla legge, cit., 75ss.
32Cfr. M. Barberis, Etica per giuristi, cit., 156.
33Secondo l’espressione memorabile di P. Rescigno, L’abuso del diritto, Bologna, 1998, 143 s.
34Zhuang-zi (trad. it.), Milano, 1982, 31.
35 Teorizzato nelle filosofie del postmoderno: cfr., per es., il lavoro di Lyotard, Il dissidio (trad. it.), Milano, 1985.
36Cfr. Williams, L’etica e i limiti della filosofia, (trad. it.) Roma-Bari, 1987, 162 ss.
37 Cfr. G. Zagrebelsky, Intorno alla legge, cit., 22ss.