di Enza Caracciolo La Grotteria
Sommario. 1. Premessa 2. Esame del D.lgs 31-12-2012 n. 235: incandidabilità3. Le fattispecie di applicazione della legge Severino concernenti: a) le elezioni al Parlamento italiano b) Segue: le elezioni regionali c) segue…le elezioni provinciali comunali e circoscrizionali 4. Sospensione e decadenza
- Premessa
La legge 6 novembre 2012 n. 190 (conosciuta come legge Severino), seguita dai relativi decreti di attuazione (D.lgs. 31-12-2012 n. 235 e D.lgs.18-04-2013 n. 39), ha fornito un apporto rilevante al sistema normativo di contrasto alle attività illecite di corruzione nella pubblica amministrazione[1]. Da qui l’adozione di norme di carattere preventivo e di disposizioni di carattere repressivo.
Nell’ambito della normazione con finalità preventive, rientrano certe misure ostative e, comunque, limitative dell’esercizio del diritto di elettorato passivo come, ad esempio, l’incandidabilità alle elezioni politiche e amministrative o il divieto di assunzione e di convalida di cariche elettive, allorché ricorrano determinati presupposti previsti dal decreto delegato 31-12-2012 n. 235.
Invece, le norme di carattere repressivo ineriscono al diritto penale come, ad esempio, la legge 27 maggio 2015 n. 69 in tema di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazione di tipo mafioso e di falso in bilancio.
In verità, la legge in disamina n. 190/2012 sembra abbia tratto la fonte di ispirazione dalla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 31 ottobre 2003, ratificata in base alla legge 3 agosto 2009 n. 116 e agli artt. 20 e 21 della Convenzione penale di Strasburgo del 27-01-1999, ratificata ex lege 28 giugno 2012 n. 110. Ne sono derivati la costituzione, sul territorio nazionale, di una struttura complessa di natura amministrativa, formata da organi diversi, investiti del potere di svolgere un’azione coordinata di prevenzione e controllo, al fine di combattere la corruzione e le attività illegali nella pubblica amministrazione.
A capo della predetta struttura è stata preposta l’autorità nazionale anticorruzione (ANAC) con il D.L.31-08-2013 n. 101. A tale struttura è stata attribuita, per espressa volontà legislativa (legge n. 190 /2012, D. lgs. n. 235/2012, D. lgs. n. 39/2013, D. lgs 50/2016), un’ampia sfera di competenze e di poteri volti alla prevenzione e al contrasto della corruzione, mediante la sperimentazione di misure dirette ad individuare le cause della corruzione e di interventi idonei a prevenire e contrastare la corruzione medesima presso le diverse amministrazioni[2]. Inoltre, l’ANAC è stata investita del potere di adottare il piano nazionale anti corruzione e, sulla base delle previsioni di questo, del piano triennale di prevenzione, nonché dell’esercizio della funzione consultiva, di vigilanza, di risoluzione delle controversie, il tutto nel rispetto della garanzia della trasparenza. Da qui l’accentramento in seno all’ANAC, per volontà del legislatore, oltre che della prevenzione della corruzione all’interno delle diverse amministrazioni, della disciplina e vigilanza del mercato dei contratti pubblici, per cui si è determinata la sostituzione dell’ANAC alle precedenti amministrazioni che operavano nelle materie specifiche, quali la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche e l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici[3]. Tale concentrazione di materie diverse in una sola autorità, come quelle relative all’anticorruzione e agli appalti pubblici, ha fatto sorgere il dubbio “se la vigilanza sui contratti pubblici sia strumentale e finalizzata alla lotta alla corruzione, o se, invece, sia la prevenzione della corruzione ad essere strumentale al buon funzionamento del mercato dei contratti pubblici”[4].
Si è, però, osservato che la disciplina dei contratti pubblici, oltre a perseguire l’obbiettivo di prevenire e osteggiare la corruzione, tende a favorire un più razionale investimento delle finanze pubbliche, al fine di realizzare opere e servizi di riconosciuto pubblico interesse e la parità di concorrenza[5] nelle iniziative economiche a carattere imprenditoriale.
E’ stato, altresì, rilevato che il sistema complessivo di lotta alla corruzione se per un verso merita apprezzamento, in quanto tende a perseguire la nobile finalità, tutt’altro che facile, di preservare l’amministrazione pubblica dalle possibili, illecite ingerenze di forze economiche oscure (che purtroppo allignano nell’area imprenditoriale del nostro Paese), per altro verso, va avvertita l’esigenza che tale obbiettivo non si debba tradurre in un pericoloso pregiudizio della celerità ed efficienza dell’attività e delle determinazioni amministrative.
Che la battaglia intrapresa contro l’esiziale fenomeno della corruzione sia sacrosanta e debba essere condotta con strumenti idonei a tal fine, non sembra dubitabile. Ma tali strumenti non possono essere rappresentati dalla sperimentazione di nuove forme di controllo e di verificazioni destinate a produrre lo sterile effetto di determinare una amministrazione “irresponsabile, inefficiente e lontana dalle esigenze concrete del cittadino irrigidendo le sue scelte che invece, dovrebbero rimanere flessibili in un momento storico in continua trasformazione”[6].
Solo stroncando o, quantomeno, limitando drasticamente le diverse forme di incentivazione della corruzione, è possibile conseguire l’obbiettivo fondamentale sopra indicato.
Se è vero che una delle cause che ha concorso a determinare la recessione nella pubblica amministrazione va imputata al fenomeno della corruzione, purtroppo dilagante nel Paese e che travaglia la vita economica nazionale, la eventuale esacerbazione dell’attuale sistema dei controlli verrebbe a produrre effetti non certo favorevoli all’attuazione del principio di imparzialità e buon andamento ex 97 della Carta costituzionale.
Come è noto, le attività amministrative sono caratterizzate da garanzie di diritto oggettivo, fra le quali assume particolare importanza il disposto del sopra citato art. 97 comma 2 della Costituzione, secondo cui i pubblici uffici sono organizzati mediante disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Da siffatto imperativo discende il principio di legalità dell’amministrazione che inerisce, oltre che all’assetto dell’apparato organizzativo, a tutta l’attività amministrativa, facendo emergere gli atti normativi rispetto ai provvedimenti. Tale legalità è garantita, oltre che dagli strumenti giurisdizionali ex art. 113 della Costituzione, concernenti la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione innanzi al giudice ordinario o amministrativo (a seconda che si debba insorgere a difesa di diritti soggettivi o di interessi legittimi) dai controlli preventivi di legittimità, propri della Corte dei Conti ex art. 100 della Costituzione e dagli altri controlli previsti dall’ordinamento. Da qui l’affermata democraticità della pubblica amministrazione deducibile, oltre che dai principi costituzionali sopra citati, dal disposto dell’art. 3 concernente la partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica e dell’art. 52, in base al quale l’ordinamento delle forze armate “si uniforma allo spirito democratico della Repubblica”.
Pertanto la lotta alla corruzione va condotta con provvedimenti tempestivi e adeguati alla situazione di fatto da affrontare ed in grado di perseguire in modo efficace gli obbiettivi cui sono destinati, ferma restando la democraticità della struttura organizzativa e funzionale della pubblica amministrazione, consacrata nei principi fondamentali della Carta costituzionale. Tuttavia non bisogna dimenticare che il problema dell’anticorruzione ha assunto una dimensione a carattere internazionale e, in particolare, europeo, per cui è necessario non indebolire gli strumenti preventivi di difesa delle attività economiche dalla corruzione, in modo da potere fronteggiare adeguatamente la “sfida di lungo periodo”[7], nel corso del quale occorrerà riformare o migliorare gli strumenti anticorruzione adottando le conseguenziali politiche nazionali.
Le premesse politiche nel nostro Paese per revisionare gli attuali strumenti di prevenzione della corruzione (ANAC e PNA) non mancano, come sembra dedursi da prospettazioni significative che emergono dal Piano nazionale ripresa e resilienza (PNRR) impostato dall’attuale governo nazionale.
2 Esame del D.lgs 31-12-2012 n. 235: incandidabilità
Il decreto attuativo della legge Severino n. 235/2012 prevede la non candidabilità alle elezioni nazionali a Deputato o Senatore della Repubblica (art. 1) a membro del Parlamento europeo di spettanza dell’Italia (art. 4), alle elezioni regionali (art. 7) alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali (art. 10) e la preclusione a ricoprire le rispettive cariche nei confronti di coloro che hanno riportato condanne penali per reati di particolare gravità relativi a delitti punibili con pene specificate in ciascuno degli articoli sopra indicati.
Dal tenore della predetta normativa si deduce che il legislatore abbia voluto collegare l’incandidabilità in ciascuna delle ipotesi prospettate, alla pubblicazione della sentenza, ossia al lato oggettivo della sua esistenza giuridica, diversamente l’effettuazione della incandidabilità sarebbe stata condizionata al giudizio valutativo della statuizione decisionale[8].
Nell’ipotesi in cui l’accertamento della causa impeditiva della iscrizione nelle liste relative alla elezione al Parlamento italiano o a quello europeo oppure ai consigli delle Regioni, delle Province dei Comuni e delle Circoscrizioni, si verifica successivamente alla elezione, ma prima del procedimento di convalida (o nel corso del medesimo), tale procedimento si concluderà con una pronuncia negativa che dà atto della non convalida prevista espressamente dalla legge.
Viceversa, se la verifica del difetto del presupposto per l’iscrizione nelle liste elettorali, in precedenza specificate, dovesse sopravvenire o, comunque, essere acquisita dopo la conclusione del procedimento per la convalida, si verrebbe a determinare, in conseguenza, l’inidoneità a ricoprire la carica elettiva in questione o più esattamente la decadenza dalla medesima.
E’ sorto però il dubbio se il legislatore, nel prevedere la incandidabilità nella triplice espressione sopra specificata di “non ascrivibilità nella lista dei candidati”, di “non convalidabilità delle elezioni” o come “ non idoneità a ricoprire la carica” abbia inteso configurare una sorta di sanzione. Ma la predetta perplessità è stata chiarita sotto il profilo che la sanzione si concreta in un evento dannoso di cui può essere destinatario il soggetto che si è reso responsabile di un’azione illegittima, perché posta in essere in dispregio di una disposizione di legge. Da qui la reazione dell’ordinamento giuridico al fine di ripristinare l’ordine giuridico, alterato dalla suddetta violazione della norma[9].
In particolare è stato rilevato[10] che, mentre la sanzione è connotata da una relazione di “causa ed effetto” tra il comportamento illegale e la reazione punitiva dell’ordinamento giuridico che, specie nel contesto del diritto penale presuppone una imputazione, gli strumenti di cui si avvale la legge Severino non assumono alcuna connotazione sanzionatoria.
E’ stato in merito affermato[11] che le misure contenute nella legge in oggetto non solo non si fondano su alcuna relazione di causa ed effetto con un determinato comportamento illecito, ma neppure si possono ricondurre nell’ambito delle sanzioni amministrative, in quanto tali misure non si prefiggono il fine di punire una illiceità amministrativa.
In realtà, le cause ostative alla candidabilità[12], alla eleggibilità, alla non convalidabilità della elezione ritenuta illegittima, al pari di altre misure negative, normativamente previste e applicabili allorché ne riconoscano i presupposti, si traducono nel venire meno di uno status o dell’esercizio in via del tutto contingente della capacità elettorale passiva (ad esempio nel caso della ineleggibilità)[13], come sarà evidenziato in appresso.
3. Le fattispecie di applicazione della legge Severino concernenti: a) le elezioni al Parlamento italiano
Come accennato nella premessa, a norma dell’art. 1 del D.lgs 31-12-2012 n.235, non è consentito candidarsi al Parlamento né assumere o svolgere la carica di Deputato e Senatore ai soggetti che siano stati condannati con sentenza definitiva per delitti non colposi consumati o tentati previsti: a) dall’art. 51, commi 3 bis e 3 quater cpp; b) previsti nel libro II, capo I del codice penale; c) per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore al massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell’art. 278 c.p.p.
Nei successivi articoli 2 e 3 è disciplinata l’ipotesi riguardante l’accertamento della situazione di incandidabilità, distinguendo il caso in cui ciò avvenga prima della scadenza del termine di ammissione per presentare le liste elettorali alla Camera e al Senato dall’ipotesi in cui tale incandidabilità sia accertata successivamente alle operazioni di cui al comma 2 dell’art. 2 e prima della proclamazione degli eletti. Nel primo caso, l’accertata incandidabilità produce l’effetto della esclusione dalla lista dei candidati, mentre nel secondo caso si determina l’effetto della “mancata proclamazione”. Invece, nell’ipotesi in cui la causa di incandidabilità venga conosciuta durante il mandato elettivo, le sentenze definitive di condanna devono essere comunicate con immediatezza alla Camera di appartenenza del soggetto che non poteva essere candidato.
Lo stesso art. 3, comma 2, prevede, inoltre che, qualora l’incandidabilità venga accertata in sede di convalida degli eletti “la Camera interessata” provvederà immediatamente all’adozione della delibera di mancata convalida.
b) Segue: le elezioni regionali
Il capo III della legge in esame, nel considerare l’incandidabilità alle cariche elettive regionali, dispone che non possono presentare le proprie candidature alla competizione elettorale regionale nè rivestire le cariche di presidente della Giunta, assessore, consigliere regionale e neppure di amministratore e componente degli organi delle unità sanitarie locali, i soggetti destinatari di condanna definitiva in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis cpp, (associazioni di tipo mafioso anche straniere ) o per il reato di associazione diretta a realizzare il traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope e per altri reati menzionati nella lettera a) della norma in parola.
L’incandidabilità in oggetto comprende altresì: 1 i condannati con sentenza definitiva per delitti causati e tentati, indicati nell’art. 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.p. diversi da quelli previsti nella lettera a); 2) coloro che hanno riportato condanne, sempre in via definitiva, per i diritti di cui agli artt 314, 316, 316 bis, 323, 325, 326, 331, comma 2, 334, 346 bis del c.p.; 3) i condannati con decisione irrevocabile alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per i delitti posti in essere con abuso dei poteri o con violazione dei doveri connessi all’esercizio di una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati nella lettera c); 4 i soggetti condannati ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo; 5) i soggetti destinatari di misure di prevenzione adottate dal Tribunale, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni, di cui all’art. 4 comma 1 lett. a) e b) del d.lgs. n. 159/2011.
L’ultimo comma dell’art. 7 stabilisce che l’eventuale elezione o nomina di coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità di cui al comma 1 dell’art 7, è affetta da nullità, con la conseguenza che l’organo che ha proceduto alla nomina o alla convalida della elezione, è obbligato a revocare tali atti illegittimi, non appena è venuto a conoscenza della esistenza delle situazioni di incandidabilità di cui sopra.
c) segue…le elezioni provinciali comunali e circoscrizionali
Il capo IV delle leggi in esame inerisce alla incandidabilità nelle elezioni della Provincia, dei Comuni e delle Circoscrizioni, cui è destinato l’art. 10. Questa norma, dopo avere disposto l’incandidabilità nelle elezioni provinciali, comunali, circoscrizionali e il divieto di assumere cariche elettive importanti nei diversi organi degli enti locali (come ad esempio, presidente della Provincia, sindaco, assessore, consigliere provinciale e comunale, presidente del Consiglio e della Giunta e delle unioni dei comuni, presidente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente delle aziende speciali e delle istituzioni ex art. 114 del d.lgs. 267/2000) ha specificato nel primo comma dell’art. 10, lett. a-e, la tipologia di delitti di rilevante gravità (come ad esempio associazione di tipo mafioso ex art. 416 bis del codice penale) per i quali i soggetti ritenuti incandidabili abbiano riportato condanne definitive a determinate pene o subito misure di prevenzione con provvedimento definitivo dell’autorità giudiziaria penale, sospettati di appartenenza alle associazioni criminose ex art. 4 comma 1 lett. a) e b) d.lgs. 16 settembre 2011 n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione). Successivamente si precisa che le disposizioni del sopra citato primo comma sono applicabili a qualunque incarico con riguardo al quale l’elezione o la nomina sono di competenza del Consiglio provinciale, comunale o circoscrizionale o degli altri organi specificati nella lettera b) 2 comma. Nel comma 3 si ribadisce quanto stabilito in precedenza (art. 7) in ordine alla nullità della elezione o nomina dei soggetti che si trovano nelle situazioni di incandidabilità di cui al primo comma e che l’eventuale convalida della elezione dovrà essere annullata da parte dell’organo che vi ha provveduto appena ha avuto consapevolezza delle precedenti condizioni di incandidabilità.
4. Sospensione e decadenza.
La sospensione e la decadenza di diritto sono disciplinati dagli artt. 8 e 11 di cui il primo si riferisce ai soggetti incandidabili alle elezioni regionali, mentre il secondo riguarda gli amministratori degli enti locali non candidabili. Sia nell’un caso che nell’altro sono previsti dall’art. 8 la sospensione “di diritto” dalle cariche elettive enunciate nel primo comma dell’art. 7 e dell’art. 11 e la sospensione dalle cariche elettive negli enti locali menzionate nel primo comma dell’art. 10. Tale sospensione riguarda i soggetti che sono stati destinatari di condanna non definitiva per avere fatto parte di un’associazione a carattere mafioso diretta a perseguire la produzione, l’esportazione, la commercializzazione e il traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 416 bis c.p.) e per avere riportato altre condanne per reati di particolare gravità, come, ad esempio, peculato, malversazione (316 bis), concussione ( art 317 cp), corruzione (art 318 cp) abuso di ufficio (art 323 cp), rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio ( art 326 cp), traffico di influenze illecite (art 346 bis cp).
La sospensione produce altresì effetti : a) nei confronti dei soggetti che sono stati condannati in primo grado con sentenza confermata in secondo grado, emessa successivamente alla elezione o alla nomina, ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo; b) nei confronti di coloro ai quali l’autorità giudiziaria ha inflitto, con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione, in quanto sospettati di appartenere ad una delle associazioni criminose ex art 4 comma 1 lett a e b del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (d.lgs 6-11-2011 n. 159);
c) nelle ipotesi in cui sia stata posta a carico del prevenuto la misura del divieto e obbligo di dimora ex art. 283 c.p.p., nel caso in cui il divieto di dimora concerne la sede di esercizio del mandato elettorale.
Decorsi diciotto mesi, gli effetti della sospensione vengono a cessare di diritto, a meno che l’appello proposto avverso la sentenza di condanna venga respinto sia pure con statuizione non definitiva, nel qual caso la sospensione continuerà a produrre i suoi effetti per ulteriore periodo di dodici mesi a decorrere dalla data della sentenza di rigetto. A tal fine, i provvedimenti dell’autorità giudiziaria che hanno determinato la sospensione, dovranno essere comunicati a mezzo della cancelleria del Tribunale o della segreteria del Pubblico Ministero che, verificata la sussistenza di una causa di sospensione, dovrà notificare il relativo provvedimento agli organi che hanno deliberato la convalida della elezione o la nomina (art. 11 comma 5) .
La decadenza di diritto dalle cariche indicate all’art. 7 primo comma dell’art. 10 primo comma, spiega effetti a far data dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento che infligge una misura di prevenzione (art. 8 comma 6 e art. 11 comma 7)[14].
La disamina della normativa che precede, evidenzia l’importanza degli obbiettivi di pubblico interesse che la Legge Severino persegue nel disciplinare l’accesso alle cariche pubbliche elettive fino a precludere la candidabilità a tali cariche a coloro che, sottoposti a procedimenti penali, per delitti non colposi, consumati o tentati, siano stati condannati perché riconosciuti responsabili di delitti che implicano un comportamento, nella vita sociale e di relazione, inconciliabile con i requisiti giuridici e morali richiesti dalla legge per potere ascendere alle cariche elettive nelle pubbliche amministrazioni. Da qui l’esigenza di mantenere in vita la predetta legge, sia pure migliorandola, specie dopo l’esito della recente consultazione elettorale referendaria[15], che non ne ha determinato l’abrogazione per mancato raggiungimento del quorum, evento di non facile interpretazione, che esclude con certezza l’opzione abrogazionista nei confronti della Legge Severino. Diversamente, sarebbe stato facile orientare l’elettorato verso quella direzione utilizzando lo strumento decisivo della partecipazione.
[1] F.Manganaro, La corruzione in Italia, in Foro amm, 2014, 1861;
[2] F Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta, a cura di, Diritto amministrativo e criminalità, Milano, 2014
[3] Sia consentito il rinvio a V. Caracciolo La Grotteria, L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, in Il nuovo codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture a cura di F. Saitta, Cedam, 2008.
[4] L. Torchia, Il nuovo codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo in Giorn. dir. amm., 2016, 60511
[5] M Clarich, Contratti pubblici e concorrenza, in Astrid, Rassegna n. 19/2015 n. 22
[6] M. Del Signore-M. Ramajoli, Prevenzione della corruzione e l’illusione e l’illusione di un’amministrazione senza macchia, in Riv. trim dir. pubbl., 2019, 61 ss
[7] E. Carloni, Corruzione (prevenzione della) in Enc. Dir.-funzioni amministrative, vol. III, Milano 2022, pag. 319 ss.
[8] M. Magri, Osservazioni critiche sulla incandidabilità degli amministratori locali a seguito di scioglimento del consiglio per infiltrazioni mafiose, in Federalismi, 4-2021
[9] G. CERRINA FERONI Ricorso Berlusconi c. Italia: la rilevanza del ‘fattore tempo’, in Federalismi, 2017
[10] G. Pagliari, La c.d. Legge Severino (d.lgs. 31 dicembre 2012 n. 235), in Studi in memoria di A. Romano Tassone, vol. III, Napoli, 2020, 1973 e ss.; R. Borsari, a cura di, La corruzione a due anni dalla “Riforma Severino”, Padova, 2016
[11] G. Pagliari, op cit., in Studi per A. Romano Tassone, vol. III, 97
[12] G. Mentasti, Corte europea dei diritti dell’uomo. Il decreto Severino (finalmente) al vaglio della Corte EDU: nulla poena anche per i giudici europei, in Riv. it. dir. proc. pen, 2021, 1607 ss.
[13] T. Martines, Diritto costituzionale, Milano 2017, 243
[14] Corte Cost, 12 luglio 2017 n. 214. È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lett. a), d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, censurato, sotto il profilo dell’eccesso di delega, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., nella parte in cui, contemplando la sospensione dalla carica del consigliere regionale a seguito di condanna non definitiva per determinati reati, violerebbe il criterio direttivo di cui all’art. 1, comma 64, lett. m), della legge delega 6 novembre 2012, n. 190, che riferirebbe la sospensione alle cariche elettive e la decadenza alle cariche non elettive, entrambe solo in caso di condanna definitiva. La sentenza n. 276 del 2016, in base ad un’interpretazione del criterio direttivo fondata su argomenti sia testuali che logico-sistematici, ha infatti già chiarito che il periodo che segue “decadenza di diritto” (cioè, «dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all’affidamento della carica») si riferisce solo alla decadenza e non alla sospensione (sent. n. 276 del 2016).
[15] F. D’Arcangelo, Il Referendum abrogativo del “Decreto Severino”, in Cass. Pen, 2022, 2208