L’INTERPELLO TRIBUTARIO

di Gianclaudio Festa

Sommario: 1.- Premessa. 2.- Presupposti e soggetti legittimati. 3.- Interpello ordinario. 4.- Interpello probatorio. 5.-Interpello antiabuso. 6.- Interpello disapplicativo. 7.- Le nuove regole comuni alle istanze di interpello. 8.- Conclusioni.

1. Premessa

La certezza dei rapporti giuridici tra cittadino e pubblica amministrazione, ha un ruolo preminente nella vita sociale, produttiva e economica del nostro Paese. Nell’ambito del diritto tributario sono previsti specifici istituti per garantire in via preventiva un certo carattere di certezza. Questa esigenza è avvertita in tutti i casi in cui il cittadino entra in rapporto con la p.a., alla quale, come sappiamo, compete l’esercizio del potere amministrativo.
Partendo da questa premessa, andremo ad analizzare un istituto che persegue tale finalità, vale a dire l’interpello tributario. L’Agenzia delle Entrate lo definisce come “un’istanza che il contribuente rivolge all’Agenzia delle Entrate prima di attuare un comportamento fiscalmente rilevante, per ottenere chiarimenti in relazione ad un caso concreto e personale in merito all’interpretazione, all’applicazione o alla disapplicazione di norme di legge di varia natura relative a tributi erariali”. L’istituto dell’interpello viene introdotto attraverso la legge n. 413 del 30/12/1991 [1] che dispone di ampliare le basi imponibili, razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento, la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché la riforma del contenzioso e la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; detta disposizione delega al Presidente della Repubblica il potere per la concessione di amnistia per reati tributari e istituisce centri di assistenza fiscale e del conto fiscale. Negli ultimi anni, l’istituto ha ricevuto una rivisitazione normativa, infatti l’art. 6 della l. delega n. 23/2014 ha previsto una revisione generale della disciplina degli interpelli, mirando a garantire una maggiore omogeneità e tempestività nella formulazione delle risposte. Inoltre vi è stata l’eliminazione di casi di interpello obbligatorio, il quale anziché produrre benefici, comporta solo aggravi per i contribuenti e per l’amministrazione [2]. Il D.Lgs. n. 156/2015 ha attuato tale direttiva inserendo, nell’art. 11 dello Statuto del Contribuente, una nuova disciplina generale, in vigore a partire dall’anno 2016, comprendente vari sottotipi, legati alle esigenze ed alle situazioni ivi previste, nelle quali i soggetti passivi possono ottenere dall’amministrazione finanziaria una risposta riguardante fattispecie concrete e personali. Si distinguono pertanto, nel nuovo testo dell’art. 11, l. n. 212/2000: a) l’interpello ordinario (comma 1, lett. a); l’interpello probatorio (comma 1, lett. b); l’interpello antiabuso (comma 1, lett. c); l’interpello disapplicativo (comma 2). Per concludere questa panoramica normativa, va evidenziato che agli artt. da 2 a 7 del D.Lgs., n. 156/2015, sono posti delle regole formali e procedurali, nonché di coordinamento con le norme in materia di accertamento e processo. In maniera riassuntiva, quindi, gli interpelli consentono ai soggetti passivi, nei casi previsti dalla legge, di presentare un’istanza prima della scadenza dei termini della dichiarazione o per gli altri obblighi tributari connessi alla fattispecie, e purché sulle questioni non sia stata già avviata un’attività di controllo formalmente nota al contribuente. A giudizio dello scrivente, questo istituto, benché potenzialmente sia in grado di garantire un efficiente dialogo tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, ad oggi non ha prodotto effetti sempre adeguati alla finalità per la quale è stato introdotto dal legislatore e presenta ancora dei limiti che ne rendono difficoltosa l’applicazione.

2. Presupposti e soggetti legittimati

Per poter analizzare i presupposti dell’istituto, non possiamo prescindere dal richiamo normativo dell’art 11, comma 1 della legge 27 luglio 2000, n.212, il quale fa espresso riferimento a “circostanziate e specifiche istanze di interpello, concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse” [3]. In astratto, l’elemento di incertezza, indicato dal comma in questione, presuppone che la disposizione non sia oggettivamente in grado di indicare il comportamento da tenere. Dunque il principio di oggettività presuppone l’impossibilità da parte di tutti i membri della collettività, chiamati ad applicare la disposizione, di interpretarla e di trarne il comportamento da tenere. Risulta dunque chiaro come l’incertezza evidenziata può essere superata solamente attraverso la collaborazione tra il contribuente e l’Amministrazione Finanziaria. Proceduralmente la collaborazione viene scandita dalla richiesta di interpello, successiva risposta e conseguente comportamento adesivo del contribuente. Dobbiamo però considerare che l’incertezza rilevante nella nostra analisi non fa riferimento all’astratta definizione della portata della norma, bensì alla sua applicazione alla fattispecie concreta (la norma fa espresso riferimento a “casi concreti e personali”). Dunque risulta chiaro come l’incertezza a cui facciamo riferimento non può che rimanere oggettiva, non può mai dipendere dalla situazione soggettiva e psicologica del soggetto. L’incertezza deve essere propria di ogni soggetto che si trovi di fronte a quella determinata fattispecie concreta. Dobbiamo però ricordare che non ricorrono le obiettive condizioni di incertezza qualora l’Amministrazione Finanziaria abbia compiutamente fornito la soluzione interpretativa di fattispecie corrispondenti a quella prospettata dal contribuente, mediante circolare, risoluzione, istruzione o nota, portata a conoscenza del contribuente attraverso la pubblicazione nel sito “documentazione tributaria” del Ministero delle finanze.
Passando ad esaminare i soggetti legittimati, l’istanza di interpello ordinario può essere presentata da ciascun contribuente, persona fisica o giuridica, direttamente interessato alla soluzione del quesito. A norma dell’art.1 co 3 del D.M. 209/2001, l’istanza può essere presentata anche da “soggetti che in base a specifiche disposizioni di legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto del contribuente”.

3. Interpello Ordinario.

L’interpello ordinario è disciplinato dall’art. 11, comma 1, lett. a), della legge n. 212/2000. Si tratta della tipologia di interpello che era originariamente prevista dal medesimo Statuto del contribuente. Tale istituto è quello che, rispetto alle altre tipologie di interpello, ha subito modifiche minori in relazione alla disciplina disposta dal D.Lgs. n. 156/215.
La maggiore novità rispetto alla precedente disciplina, di natura prettamente procedurale, è riconducibile alla contrazione dei termini di risposta, che sono stati ridotti da centoventi a novanta giorni. Va invece rilevato l’ampliamento del campo di operatività dell’istanza in commento sul presupposto che il contribuente può rivolgersi all’Amministrazione finanziaria per conoscere il suo parere circa l’interpretazione di norme tributarie, applicabili a casi concreti qualora sussistano obiettive condizioni di incertezza.
Del tutto innovativa è la possibilità di richiedere una valutazione di fattispecie oggettivamente incerte, rispetto all’interpretazione delle norme applicabili al caso concreto, utilizzando lo strumento dell’interpello ordinario, che assume in questo secondo caso la denominazione di interpello qualificatorio; esso non può essere tuttavia attivato per le ipotesi già rientranti nell’operatività della procedura di ruling internazionale e dell’interpello, sui nuovi investimenti, di cui ai richiamati decreti legislativi sull’internalizzazione e sulla certezza del diritto.
Relativamente all’oggetto dell’istanza di interpello ordinario, può trattarsi innanzitutto di questioni riguardanti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, quando sussistono obiettive condizioni di incertezza circa la corretta interpretazione delle norme (c.d. interpello ordinario interpretativo).
Il parere richiesto all’Amministrazione finanziaria può riguardare quindi l’interpretazione di qualsiasi norma tributaria che disciplini aspetti sostanziali, procedurali o formali del rapporto fisco-contribuente, ad eccezione dell’applicabilità delle norme antielusive. L’interpello ordinario è circoscritto infatti alla interpretazione di norme primarie e di quelle secondarie, quali regolamenti e decreti ministeriali, risultano invece esclusi tutti quegli atti privi di contenuto normativo quali circolari, risoluzioni, istruzioni, note e atti similari.
I tributi di competenza dell’Agenzia dell’Entrate, relativamente ai quali può essere richiesto l’interpello ordinario, sono i seguenti: a) imposta sui redditi; b) imposta sul valore aggiunto; c) imposta di registro; d) imposta di bollo; e) tasse sulle concessioni governative; f) imposta sugli intrattenimenti; g) altri tributi minori; h) Irap (in quest’ultimo caso, la competenza spetta all’Agenzia dell’Entrate, in quanto Amministrazione che esercita i poteri di accertamento in materia, ai sensi degli artt. 24 e 25 del D.Lgs. n. 446/1997).
In secondo luogo, l’interpello ordinario ha visto estendere il suo ambito di operatività a seguito delle modifiche introdotte allo Statuto del contribuente dal D.Lgs. n. 156/2015: la richiesta di parere al fisco può infatti avere ad oggetto anche la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili. Si parla in questo secondo caso di interpello ordinario qualificatorio, il quale presuppone anch’esso, ai fini della sua presentazione, il ricorrere delle condizioni di obiettiva incertezza.
Il contribuente può evidentemente richiedere un parere non tanto in relazione all’applicazione delle disposizioni, quanto sulla corretta qualificazione delle fattispecie, quando sussistono obiettive condizioni di incertezza alla luce delle disposizioni tributarie applicabili. L’oggetto dell’interpello in questo secondo caso non è pertanto la norma, ma la qualificazione della fattispecie la quale, in ragione della sua complessità, rende complicata l’individuazione delle disposizioni adottabili.
Con particolare riguardo all’interpello qualificatorio, la relazione illustrativa indica, a titolo di esempio, le fattispecie potenzialmente oggetto di interpello qualificatorio, facendovi rientrare quelle connesse alla valutazione della sussistenza di un’azienda o di una stabile organizzazione ai fini dell’esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti di cui al nuovo art. 168 ter del TUIR, ovvero la riconducibilità di una determinata spesa alla categoria delle spese di pubblicità ovvero a quelle di rappresentanza.
L’istanza in ogni caso deve essere finalizzata ad ottenere chiarimenti sull’applicazione di disposizioni tributarie, difatti l’interpello non può mai avere ad oggetto accertamenti di tipo tecnico, quali, ad esempio, la richiesta di accertamenti di fatto come operazioni di declassamento.
Per quanto riguarda l’ambito soggettivo, relativamente alle istanze di interpello ordinario, nella duplice forma dell’interpretativo e del qualificatorio, va sottolineato che possono essere presentate, secondo l’art. 2 del D.Lgs. n. 156/2015, da tutti i contribuenti, residenti e non, e dai sostituti o responsabili di imposta, cioè da quei soggetti che, in base alla legge, sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti stessi, ovvero sono tenuti, insieme a questi o in loro luogo, all’adempimento di obbligazioni tributarie.
Risultano perciò abilitati all’esercizio del diritto di interpello tutti i contribuenti, persone fisiche o giuridiche, nei cui confronti si realizzano i presupposti richiesti dalla norma. L’ambito soggettivo è esteso a tutti coloro che, in base a specifiche disposizioni di legge, risultano obbligati a realizzare adempimenti tributari per conto del contribuente. Soggetti legittimati a presentare istanza di interpello per conto del contribuente possono quindi essere:
• sostituti di imposta di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 600/1973: si tratta dei soggetti che effettuano ritenute su redditi di lavoro dipendente. La legittimazione soggettiva risulta tuttavia limitata, sotto il profilo oggettivo, alla presentazione di quesiti relativi alle norme che disciplinano l’effettuazione di ritenute alla fonte e degli obblighi connessi;
• responsabili di imposta: si tratta, ad esempio, dei notai, in quanto soggetti obbligati al pagamento dell’imposta per fatti relativi ai propri clienti. Tuttavia, in questa categoria rientrano, oltre ai sostituti di imposta, il curatore fallimentare e l’erede quando occorra far fronte ad adempimenti in capo al soggetto fallito o estinto;
• coobbligati al pagamento dei tributi;
• soggetti a cui è attribuita la rappresentanza di contribuenti diversi dalle persone fisiche;
• procuratore generale o speciale del contribuente: in questo caso, l’Amministrazione richiede che la procura sia stata conferita con le modalità previste dall’art. 63 del D.P.R. n. 600/1973 in tema di rappresentanza e assistenza dei contribuenti.
In relazione ai presupposti dell’interpello ordinario, dalla lettura dell’art. 11 della legge n. 212/2000 sono desumibili quelli fondamentali per la presentazione di una istanza di interpello ordinario.
Tali presupposti debbono coesistere ai fini della ammissibilità della stessa istanza di interpello.
Più precisamente, il contribuente è legittimato a presentare l’istanza quando sussistano contemporaneamente i seguenti presupposti:
a) interesse personale a conoscere la regolamentazione fiscale di una particolare fattispecie concreta, ovvero la corretta qualificazione di una fattispecie: il primo presupposto richiesto limita l’esercizio del diritto di interpello ai contribuenti, anche non residenti, che abbiano interesse a conoscere il corretto trattamento tributario di atti, operazioni o iniziative, direttamente riconducibili alla propria sfera di interessi, ovvero ai soggetti che in base alla legge, sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti o sono tenuti, insieme a questi o in loro luogo, all’adempimento di obbligazioni tributarie. Il contribuente, che presenta la domanda di interpello, deve essere nella sostanza portatore di un interesse personale, concreto ed esistente. Tale limitazione sembra escludere l’ammissibilità di istanze presentate da associazioni di categoria, o da enti rappresentanti interessi diffusi, aventi ad oggetto l’interpretazione di norme applicabili dagli associati o dai soggetti rappresentanti delle stesse;
b) presentazione dell’istanza in via preventiva sia al rispetto a porre in essere il comportamento giuridicamente rilevante che rispetto all’applicazione della norma oggetto di interpello: la richiesta formulata all’Amministrazione deve essere necessariamente preventiva, e cioè essere presentata prima della scadenza dei termini previsti dalla legge per la presentazione della dichiarazione o per l’assorbimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima senza che a tali fini assumano valenza i termini concessi all’Amministrazione per rendere la propria risposta.
La norma oggetto di chiarimenti non deve perciò essere stata attuata dal contribuente prima della presentazione dell’istanza. Occorre avere riguardo al comportamento che deve essere tenuto dal contribuente. Un’istanza non è quindi preventiva quando l’interpello ha ad oggetto un comportamento già posto in essere dal contribuente, ovvero il cui correlato adempimento è già scaduto. La specifica soluzione è conforme alla ratio dell’istituto, concepito in funzione dell’interesse dei contribuenti a conoscere l’indirizzo interpretativo del fisco allo scopo di evitare eventuali sanzioni in fase di controllo;
c) obiettive condizioni di incertezza circa l’interpretazione della norma oggetto di interpello: la facoltà di presentare istanze di interpello ordinario presuppone l’esistenza di un’obiettiva incertezza sulla interpretazione delle norme applicabili ovvero sulle qualificazioni delle fattispecie. L’art. 11, comma quattro, dello Statuto del contribuente, contiene un’importante precisazione in ordine alla sussistenza di obiettive condizioni di incertezza. Si tratta di una previsione che non costituisce una assoluta novità in quanto già contenuta nel D.M. 26 aprile 2001, n. 209, emanato ai sensi del comma cinque della previgente versione dell’art. 11. Non sussistono infatti obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo delle disposizioni qualora l’Amministrazione abbia compiutamente fornito la soluzione di fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dall’istante mediante atti resi pubblici nelle forme previste dall’art. 5 dello statuto medesimo.
Il contribuente è ammesso all’interpello quando, in senso negativo, non esista una posizione ministeriale sulla specifica situazione descritta dal contribuente, e in senso positivo, quanto sussista una concreta difficoltà di applicazione di una disposizione tributaria dovuta ad una doppia interpretazione possibile e plausibile. Il contribuente, prima di presentare l’istanza, deve quindi valutare compiutamente l’esistenza o meno dei predetti fattori discriminanti, per non vedersi negato, successivamente, l’interpello.
In relazione alle modalità di presentazione dell’istanza, le regole procedurali sono state definite con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 4 gennaio 2016, prot. n. 27.
L’istanza di interpello è innanzitutto redatta in carta libera in quanto non soggetta al pagamento di imposta da bollo.
L’Ufficio in cui le istanze di interpello ordinario devono essere inviate è la Direzione regionale competente in relazione al domicilio fiscale del soggetto istante.
L’istanza di interpello è in forma libera ed esente da bollo. Va sottoscritta e presentata dal contribuente agli uffici competenti con le modalità di presentazione consentite, ovvero: consegna a mano, spedizione a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento, presentazione per via telematica attraverso l’impiego di pec.
Per quanto concerne il contenuto ordinario delle istanze, devono contenere i seguenti elementi: a) dati identificativi del contribuente, ed eventualmente del suo legale rappresentante; b) circostanziata e specifica descrizione del caso concreto da trattare sul quale sussistono concrete condizioni di incertezza; c) indicazione del domicilio del contribuente; d) sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante.
Oltre alla descrizione del caso concreto, che deve consentire all’Amministrazione di avere puntuale cognizione del caso sul quale è chiamata a pronunciarsi, può essere necessario produrre la documentazione idonea a suffragare le affermazioni contenute nell’istanza.
Inoltre, all’istanza deve essere allegata copia della documentazione non in possesso dell’Amministrazione, rilevante ai fini della individualizzazione e della qualificazione della fattispecie prospettata, salva la facoltà di acquisire, ove necessario, l’originale non posseduto dei documenti.
In caso di richiesta di documentazione integrativa, il termine per la risposta è pari a sessanta giorni dalla ricezione della documentazione integrativa. La riduzione dei termini previsti per la formazione del silenzio assenso nei casi di richiesta di documentazione integrativa dà ulteriore e più accentuata attuazione al principio di maggiore tempestività nella redazione dei pareri.
La mancata presentazione della documentazione richiesta entro il termine di un anno comporta rinuncia all’istanza di interpello; resta ferma la facoltà di presentazione di una nuova istanza, ove ricorrano i presupposti previsti dalla legge.
Il provvedimento direttoriale del 4 gennaio 2016 evidenzia che, nei casi di istanze carenti delle informazioni relative alla tipologia di istanza di interpello preventivo presentata, alle specifiche disposizioni di cui si chiede l’interpretazione, all’esposizione della soluzione proposta, all’indicazione di domicilio e recapiti e alla carenza di sottoscrizione, l’invito a regolarizzare è notificato o comunicato al contribuente entro trenta giorni dalla consegna o ricezione dell’istanza dell’ufficio competente. Se nell’istanza non sono indicati i recapiti del contribuente, l’invito a regolarizzare è notificato o comunicato presso i recapiti risultanti dai registri ufficiali di pec o dall’anagrafe tributaria.
Il contribuente è chiamato alla regolarizzazione entro trenta giorni dell’invito con le stesse modalità consentite per la presentazione dell’istanza di interpello. I termini per la risposta iniziano, a decorrere dalla ricezione dei dati carenti da parte dell’ufficio richiedente. Se la regolarizzazione non viene effettuata entro il termine di trenta giorni, l’istanza è dichiarata inammissibile.
Se l’ufficio notifica o comunica una richiesta di documentazione integrativa, l’istante è tenuto a trasmettere all’ufficio richiedente, con le modalità di presentazione consentite tutti i documenti richiesti o in alternativa, a esplicitare i motivi della mancata esibizione.
L’ufficio procedente prende atto della rinuncia all’interpello ed effettua la relativa notificazione o comunicazione senza indugio quando la documentazione richiesta non è trasmessa entro un anno dalla relativa richiesta.
In pendenza dei termini di istruttoria dell’interpello, resta ferma la possibilità per i contribuenti di presentare, con le modalità consentite, all’ufficio competente, la rinuncia espressa all’interpello.
In conclusione, in relazione alla risposta e ai suoi effetti, va detto preliminarmente che la risposta deve essere notificata al contribuente, presso il domicilio indicato nell’istanza, tramite i messi comunali, oppure tramite il servizio postale a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. In tal caso la notifica si dà per avvenuta alla data di sottoscrizione dell’avviso; se viene inviata tramite fax o e-mail indicati nell’istanza, la risposta si intende fornita alla data di inoltro della comunicazione.
La risposta fornita nel termine di 120 giorni vincola l’Amministrazione e l’operato degli uffici a uniformarsi alla risposta resa al contribuente non potendo emettere atti di accertamento a contenuto impositivo o sanzionatorio in contrasto con la soluzione interpretativa fornita.
La mancata risposta entro il termine di 120 giorni comporta il formarsi del silenzio assenso sulla conclusione prospettata dal contribuente.
Anche in tal caso è nullo qualsiasi atto impositivo in contrasto con la soluzione accettata implicitamente dall’Agenzia.
L’Agenzia, decorsi 120 giorni, può comunicare una nuova risposta, rettificativa della precedente. In tal caso occorre distinguere a seconda che, alla data della nuova risposta, l’istante abbia già posto in essere il comportamento o non l’abbia ancora posto in essere.
Nel primo caso nulla può essere contestato al contribuente che si è uniformato alla soluzione interpretativa resa, o implicitamente accettata, ragion per cui sono nulli eventuali atti impositivi o irrigatori di sanzioni.
Nel secondo caso l’Agenzia è legittimata a recuperare, sulla base della diversa soluzione interpretativa sopravvenuta e disattesa dal contribuente, le maggiori imposte dovute e i relativi interessi, ma senza applicazione di sanzioni.
La risposta rettificativa dell’Agenzia ha comunque effetto in relazione ai comportamenti successivi posti in essere dal medesimo contribuente.
La risposta è efficace solo nei confronti del contribuente istante, limitatamente al caso concreto e prospettato.

4. Interpello probatorio

L’interpello probatorio (art.11, comma 1, lett. b, Legge 212/2000) consiste in una richiesta all’Amministrazione Finanziaria di ottenere un parere circa la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di un determinato regime fiscale. In questa categoria sono ricomprese ipotesi eterogenee tra loro sulla base della comune finalità di sollecitare un parere dell’agenzia sulla idoneità degli elementi probatori a disposizione del contribuente [4]. Data l’acquisizione dei fatti nelle modalità di presentazione del contribuente, e non in seguito alla verifica fiscale, rende la qualificazione dell’interpello ancor più prossima all’accertamento preventivo. L’articolo 11 fa espresso riferimento a “elementi probatori richiesti dalla legge”, risulta dunque chiaro come, a differenza di quanto accade per l’interpello ordinario, la possibilità di presentare l’interpello probatorio sia limitato all’elencazione di casi disposti dalla legge. Sicuramente l’aspetto più significativo della tipologia di interpello in esame è il superamento del precedente requisito di obbligatorietà, la loro presentazione rimane quindi meramente eventuale.
Il legislatore ha, però, ritenuto indispensabile ottemperare la mancanza di obbligatorietà con il dovere, da parte del contribuente, di segnalare in dichiarazione dei redditi se questo non è stato presentato [5] o se ha avuto un esito negativo.
Il riferimento all’accesso a un determinato regime fiscale va interpretato in senso ampio, non solo con riferimento ad ipotesi di accesso in senso proprio (c.d. accesso al regime del consolidato mondiale [6]) ma anche dei casi in cui si discute della non operatività di determinate limitazioni o della applicabilità di regole speciali rispetto a quelle ordinariamente applicabili (c.d. CFC [7]). L’unificazione di diverse ipotesi di istanze in una categoria unitaria denominata, appunto, istanze “probatorie” facilita la distinzione tra questo tipo di interpelli e le altre categorie, tanto con riferimento agli interpelli qualificatori quanto con riferimento alla categoria degli interpelli disapplicativi di cui al comma 2 dell’articolo 1 [8]. Risulta essere proprio quest’ultima una delle più importanti novità della categoria di interpello in esame; il legislatore, razionalizzando l’ambito applicativo, è andato così a definire uno strumento probatorio disconnesso dalla disciplina disapplicativa (storicamente affine).
Questa distinzione non è solamente dovuta ad una differente natura obbligatoria dell’istituto disapplicativo rispetto a quello probatorio, ma principalmente per motivazioni di carattere operativo relativi agli obblighi di segnalazione in dichiarazione dei redditi ed alla differente disciplina sanzionatoria. La mancata segnalazione in dichiarazione dei redditi comporta, infatti, una sanzione fissa da euro 2000 a euro 21000, che diventa invece proporzionale (nella misura del 10%) nel caso di dividendi e delle plusvalenze da Paesi Black List e dei redditi soggetti al regime CFC.
Come già affermato, in questa categoria, sono ricomprese ipotesi eterogenee tra loro; le ipotesi tassativamente individuate dal legislatore sono in primis le disposizioni contenute nell’articolo 110, comma 11, TUIR [9], che dispone in materia di deducibilità dei costi e degli acquisti originati in paesi Black List, dimostrando l’effettiva esecuzione dell’operazione e della sua convenienza. Per meglio comprendere l’evoluzione storica della fattispecie in esame dobbiamo considerare che, per effetto delle novità introdotte dall’articolo 1, comma 142, lettera a) della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità per il 2016), le disposizioni dei commi da 10 a 12 bis del citato articolo 110 sono state abrogate a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015. In particolar modo è stato abrogato il comma 10 dell’art.110 del TUIR che, in seguito alle modifiche apportate dall’articolo 5, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, prevedeva che a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto “Le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9”.
In pratica, il contribuente che intendeva ottenere una risposta in ordine all’adeguatezza delle proprie prove, al fine di superare le limitazioni di indeducibilità disciplinate dall’articolo 10, poteva presentare istanza probatoria con riferimento ai periodi di imposta per i quali non erano ancora scaduti i termini di presentazione dell’istanza. Se, invece, si considerano i periodi di imposta successivi al 31 Dicembre 2015, la disciplina probatoria in esame si ritiene abrogata e quindi non utilizzabile dal contribuente.
La seconda categoria tassativamente individuata dal legislatore è definita come le Istanze di interpello Controlled Foreign Companies (CFC) disciplinata dall’articolo 167 del TUIR. In particolare, si distingue la tipologia regolata dal comma 5 [10] in materia di CFC nei Paesi Black List, disapplicazione per effettivo esercizio di attività commerciali o per l’assenza dell’effetto di localizzazione dei redditi dei Paesi in questione. Risulta inoltre individuata la fattispecie contenuta nel comma 8-ter [11] che disciplina il CFC per il passive income [12], che consiste nella dimostrazione che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale (interpello che in origine aveva natura obbligatoria).
Il legislatore prosegue indicando le istanze presentate ai sensi dell’articolo 113, comma 5 del TUIR. Le istanze in questione fanno riferimento all’applicazione del regime di Participation Exemption (Pex, art. 87 TUIR) per le partecipazioni acquisite dalle banche per il recupero di crediti. Nel caso in questione, si fa espresso riferimento al recupero di crediti derivanti dall’acquisizione di partecipazioni o dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria. Anche questa tipologia, come la precedente, è una delle forme di interpello ex obbligatorie.
La quarta categoria fa riferimento alle Istanze di interpello per la continuazione del consolidato, ai sensi dell’articolo 124, comma 5 del TUIR [13]. L’istanza consiste nella richiesta di prosecuzione del Consolidato Fiscale in seguito ad operazioni straordinarie con società non aderenti. L’interpello è dunque finalizzato a verificare che, anche dopo l’effettuazione di tali operazioni, permangano tutti i requisiti previsti dalle disposizioni di cui agli articoli 117 e seguenti, previste ai fini dell’accesso al regime [14] . L’articolo 13, comma 2, del DM 9 giugno 2004 prosegue affermando che “nei casi diversi da quelli previsti all’art. 11 e dal precedente comma 1, può essere richiesta la continuazione della tassazione di gruppo da parte della società’ che effettua l’operazione, mediante l’esercizio dell’interpello ai sensi dell’art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212”. L’articolo 11 in questione indica tutte le operazioni che non determinano l’interruzione della tassazione di gruppo [15], il comma 1 cui si fa riferimento, invece, individua ulteriori ipotesi di interruzione (quindi non disciplinate dall’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212), con gli effetti previsti dall’art. 124 del testo unico, che fanno espresso riferimento ai casi di: liquidazione giudiziale; trasformazione di una società soggetta all’imposta di cui al titolo II del testo unico in società non soggetta a tale imposta; trasformazione della consolidata in un soggetto avente natura giuridica diversa da una di quelle indicate nell’art. 120 del testo unico, trasformazione della consolidante in un soggetto avente natura giuridica diversa da una di quelle indicate nell’art. 117 del testo unico; trasferimento all’estero della residenza, ai sensi dell’art. 166 del testo unico [16], della consolidata o della consolidante se la stessa non rispetta le condizioni di cui all’art. 117, comma 2, del testo unico; fusione tra consolidata e società non inclusa nella tassazione di gruppo.
Per quanto concerne la categoria delle Istanze di interpello per l’accesso al consolidato mondiale, disciplinato dall’articolo 132, comma 3 del TUIR, questo risulta essere uno strumento volto alla verifica delle condizioni per l’adesione al consolidato mondiale e/o per la richiesta di semplificazioni. In particolare, si ritiene che la società controllante, interpellando l’Agenzia delle entrate, provi la sussistenza di specifici requisiti quali: la qualificazione soggettiva del soggetto controllante all’esercizio dell’opzione ai sensi dell’articolo 130, comma 2 [17]; la puntuale descrizione della struttura societaria estera del gruppo con l’indicazione di tutte le società controllate; la denominazione, la sede sociale, l’attività svolta, l’ultimo bilancio disponibile di tutte le controllate non residenti nonché la quota di partecipazione agli utili riferita alla controllante ed alle controllate di cui all’articolo 131, comma 2 [18], l’eventuale diversa durata dell’esercizio sociale e le ragioni che richiedono tale diversità; la denominazione dei soggetti cui è stato attribuito l’incarico per la revisione dei bilanci, le conferme dell’avvenuta accettazione di tali incarichi e l’elenco delle imposte relativamente alle quali verrà presumibilmente richiesto il credito di cui all’articolo 165. Il legislatore, inoltre, classifica le istanze presentate dalle società che presentano i requisiti per essere considerate “non operative” nonché le istanze delle società in perdita sistematica ai sensi e per gli effetti della disciplina prevista dall’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (interpello ex obbligatorio). Come si legge nell’art. 30, comma 4, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244: “Per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o di cessione ai sensi dell’articolo 5, comma 4 ter, del decreto-legge 14 marzo 1998 n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 13 maggio 1988 n. 154. Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi”. Come risulta chiaro dal testo, l’elemento di criticità dello strumento in esame è costituito dall’impossibilità di richiedere il rimborso e la compensazione del credito IVA annuale qualora il contribuente sia qualificato come ente non operativo.
Per comprendere meglio gli effetti e la natura dell’interpello in esame, dobbiamo individuare i possibili comportamenti che il contribuente può tenere qualora ritenga sussistenti le “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4…”.
Al contribuente che intenda richiedere il rimborso IVA annuale, viene data da possibilità di provare la sussistenza delle oggettive situazioni di impossibilità attraverso la presentazione di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi degli articoli 47 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
Attraverso la sottoscrizione della citata dichiarazione sostitutiva, la società attesta di essere una “start-up innovativa”[19], di cui agli articoli 25, comma 2, e 26 comma 4, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, oppure di essere una società operativa ex lege. In alternativa alla dichiarazione sostitutiva il contribuente può proporre, preventivamente, interpello disapplicativo della disciplina in esame. L’ultima categoria disciplinata è quella delle Istanze previste ai fini del riconoscimento del beneficio ACE [20] (aiuto alla crescita economica) di cui all’articolo 1 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214, in presenza di operazioni potenzialmente suscettibili di comportare indebite duplicazioni di benefici, ai sensi dell’articolo 10 del decreto ministeriale 14 marzo 2012 [21] (tipologia di interpello ex obbligatoria). Il contribuente dovrà quindi dimostrare la non duplicazione del beneficio nelle situazioni oggetto delle disposizioni con finalità antielusiva.

5. Interpello antiabuso

L’interpello antiabuso, già noto prima della riforma fiscale come “interpello antielusivo”, costituisce un altro strumento di dialogo tra contribuente e amministrazione, disciplinato dalla lett. c) dell’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, con finalità antielusive.
La norma, trova fondamento nella disciplina dell’abuso di diritto, così come statuito anche dagli ermellini, i quali hanno stabilito che: “in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di determinati vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, sebbene non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un agevolazione o un risparmio di imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che giustificano l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici” [22]. Attraverso siffatto strumento il contribuente ha la possibilità di chiedere all’amministrazione se le operazioni che intende realizzare, costituiscono in concreto, un’ipotesi di abuso di diritto.
Il quesito, a differenza del passato, può estendersi a tutto il settore impositivo e non limitarsi alla sola materia della imposta sui redditi.
La domanda dovrà essere, comunque, circostanziata, perché oltre a descrivere la fattispecie concreta in relazione alla quale il parere è richiesto, dovrà contenere altresì, l’esatta indicazione del settore o dei settori impositivi cui essa si riferisce, pena l’inammissibilità della medesima. Infatti testualmente l’Agenzia delle Entrate afferma che: “L’istanza è finalizzata a ottenere un parere sull’applicazione della nuova disciplina dell’abuso del diritto ad una fattispecie specifica. Si ricorda che, a differenza della vecchia disciplina antielusiva, applicabile solo in materia di imposte sui redditi, la nuova disposizione concerne ogni settore impositivo, con la conseguenza che le istanze di interpello, potendo riguardare ogni profilo, dovranno correttamente indicare il settore o i settori impositivi in relazione ai quali si pone il dubbio in ordine alla abusività della fattispecie.”
Andando più nello specifico sulla procedura e il contenuto dell’istanza, le istanze di interpello devono essere presentate alla Direzione Regionale competente in relazione al domicilio fiscale del soggetto istante. L’istanza deve essere presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima. La stessa, così come previsto dall’art. 3 del D.Lgs. n. 156/2015, oltre a dover fare espresso riferimento alle disposizioni che disciplinano il diritto di interpello, deve contenere le seguenti informazioni:

a) i dati identificativi dell’istante ed eventualmente il suo legale rappresentante, compreso il codice fiscale;

b) l’indicazione dell’istanza di interpello ex art. 11, comma 1, lett.

c), dello Statuto del contribuente; c) la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie;

d) l’applicazione della disciplina dell’abuso del diritto di cui all’art. 10 bis dello Statuto del contribuente, alle operazioni oggetto di interpello;

e) l’esposizione, in modo chiaro ed univoco, della soluzione proposta;

f) l’indicazione del domicilio e dei recapiti anche telematici dell’istante;

g) la sottoscrizione dell’istante o del suo legale rappresentante.

L’Amministrazione invita il contribuente alla regolarizzazione dell’istanza, entro il termine di trenta giorni, qualora essa sia carente di alcuni requisiti, quali: l’esposizione della soluzione proposta, l’indicazione del tipo di istanza, le disposizioni oggetto di istanza, la sottoscrizione dell’istanza; in questo caso il termine per la risposta, che di norma è di centoventi giorni per l’interpello antiabuso, ricomincerà a decorrere dal giorno in cui la regolarizzazione è stata effettuata.
Le istante di interpello sono dichiarate inammissibili quando: mancano i dati identificativi o la descrizione della fattispecie, non sono presentate preventivamente, non ricorrono le obiettive condizioni di incertezza, hanno per oggetto la medesima questione sulla quale il contribuente ha già ottenuto un parere, riguardano questioni per le quali sono state già avviate attività di controllo alla data di presentazione dell’istanza di cui il contribuente sia formalmente a conoscenza, il contribuente non provvede a regolarizzare l’istanza nei termini previsti.
Per quanto riguarda la risposta dell’Amministrazione, questa risponde alle istanze di interpello antiabuso nei termini di 120 giorni, che cominciano a decorrere dalla data di ricezione dell’istanza.
La risposta, scritta e motivata, produce effetti diversi nei confronti del contribuente e dell’amministrazione. Infatti essa, se da un lato non è vincolante per il destinatario, che potrebbe decidere di non conformarsi, dall’altro vincola ogni organo dell’Amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitatamente al contribuente istante. Se l’Amministrazione non comunica la risposta al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione della soluzione così come prospettata dallo stesso contribuente.
Gli atti emessi, anche a contenuto in positivo sanzionatorio, discordanti con la risposta espressa o tacita, sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo che l’Amministrazione rettifichi la soluzione interpretativa con efficacia esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante.
La presentazione delle istanze non produce effetto sulle scadenze previste dalle norme tributarie, né sulla decorrenza dei termini di decadenza, e non comporta interruzioni o sospensioni dei termini di prescrizione.
L’Amministrazione può provvedere a rispondere mediante pubblicazione di circolare o risoluzione. Si tratta, ad esempio, dei casi in cui vi sia un numero elevato di contribuenti che ha presentato istanze aventi ad oggetto la stessa questione o questioni analoghe tra loro. In ogni caso, la comunicazione ai singoli istanti resta comunque valida.

6. Interpello disapplicativo.

L’interpello disapplicativo, detto anche negativo è, invece, finalizzato alla rimozione degli effetti dannosi derivanti dalle norme tributarie antielusive, norme che per loro natura, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive, altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario (art. 37-bis, 8o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973)[23].
Il contribuente, pertanto, in forza della presunta legittimità del comportamento posto in essere, ha la facoltà di interpellare l’Amministrazione finanziaria, affinché venga da essa accertato che i presunti effetti elusivi non si sono realizzati, né potrebbero verificarsi in futuro.
Il soggetto interessato, quindi, attraverso questa forma d’interpello, prova a giustificare un comportamento fiscalmente dubbio per evitare un accertamento di natura fiscale [24]. Laddove poi l’amministrazione dovesse condividere le ragioni contenute nella domanda dell’istante, propendendo, dunque, per la disapplicazione della norma oggetto di interpello, il contribuente potrà beneficiare degli effetti giuridici derivanti dall’operazione economica precedentemente posta in essere, senza, tuttavia, incorrere nelle limitazioni previste dalla specifica norma antielusiva applicabile nel caso di specie. Per quanto riguarda poi, nello specifico il procedimento di interpello, il contribuente interessato a presentare domanda di interpello disapplicativo, deve rivolgersi all’ufficio locale territorialmente competente, affinché la stessa Agenzia provveda a redigere, entro trenta giorni dalla ricezione della domanda, un proprio parere, che, unitamente all’istanza dell’interpellante, verrà successivamente inviato al Direttore Regionale dell’Agenzia delle entrate, destinatario finale della richiesta.
A pena di inammissibilità, il contribuente ha l’onere di indicare nell’istanza quanto occorrente per la sua identificazione, nonché illustrare i motivi a sostegno della richiesta di disapplicazione, allegando tutti i documenti necessari.
Presentata l’istanza, e appuratane l’ammissibilità da parte dell’amministrazione, ha inizio l’attività di verifica, diretta ad accertare la verosimiglianza e fondatezza delle motivazioni del contribuente sottese alla richiesta di disapplicazione della specifica norma antielusiva. A tal proposito, nell’intento di assicurare un esaustivo controllo sulla domanda, si rammenta che il Direttore Regionale può compiere attività istruttorie, nei riguardi sia del contribuente sia di terzi.
L’interpello disapplicativo è uno strumento, espressamente previsto dal legislatore tributario, che consente al contribuente di sottrarre la propria vicenda giuridica dall’operatività della disciplina antielusiva, attraverso un’accurata valutazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, delle prove prodotte.
La ratio dell’istanza «disapplicativa», quindi, differisce dalla quella sottesa all’interpello ex art. 11 della l. n. 212 del 2000, diretta a superare un’incertezza interpretativa sul caso di specie [25].
Tali diverse caratteristiche, inevitabilmente, si riversano sui presupposti giuridici sottesi ai due procedimenti.
Se, ad esempio, nell’interpello ordinario, si è discusso in merito all’eventuale necessarietà della preventività dell’istanza, la questione non si pone nell’interpello disapplicativo.
Dall’esame dell’art. 37-bis, 8o comma, d.p.r. n. 600 del 1973, infatti, nulla si ricava in merito alla preventività della richiesta. Teoricamente, quindi, non parrebbero sussistere ragioni ostative alla previsione di un interpello successivo, purché sorretto da un interesse rilevante del contribuente alla risposta dell’ufficio.
Nessun dubbio, invece, sul fatto che non possa essere avanzata alcuna richiesta in concomitanza o nel perdurare di un’indagine o di un controllo sul rapporto obbligatorio d’imposta interessato, così come in presenza di un contenzioso tributario.
In conclusione, per quanto concerne la risposta del Direttore Regionale, questi si pronuncia entro novanta giorni dalla domanda del contribuente e, laddove propenda per la disapplicazione della norma antielusiva, il relativo decreto-risposta vincolerà la sola amministrazione.
La favorevole risposta del Direttore, tuttavia, non delegittima l’ufficio dalla facoltà di accertare, in ogni momento, la falsità, l’incompletezza o l’erroneità delle circostanze e delle prove presentate dal contribuente istante, procedendo, ove necessario, al recupero dei tributi non versati e all’irrogazione delle congrue sanzioni.
In caso di responso negativo, invece, il contribuente non rimane vincolato al decreto del Direttore, dovendosi, in ogni caso, escludere l’impugnabilità del decreto davanti agli organi giurisdizionali.
Secondo quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria, infatti, il decreto del Direttore non va considerato come manifestazione di una pretesa impositiva o sanzionatoria, ma, al contrario, deve ad esso attribuirsi natura meramente interpretativa: il decreto non può essere trattato alla stregua di un atto finale, immediatamente impugnabile [26].
Conformemente si è espressa taluna giurisprudenza di merito [27]. Nella specie i giudici di secondo grado, nel riformare la decisione di prime cure favorevole all’impugnazione del provvedimento di diniego, hanno escluso una presunta equiparazione del decreto-risposta ad un atto di diniego di agevolazione

7. Le nuove regole comuni alle istanze di interpello

La volontà del legislatore di omogeneizzare la disciplina degli interpelli ha reso possibile di individuare alcuni aspetti comuni, sul piano procedimentale a tutte le tipologie di interpello, prescindendo dunque dalle particolarità consacrate con riguardo alle diverse forme previste dall’articolo 11 della Legge n.212/2000. Partendo da un’analisi dei commi 3 e seguenti del citato articolo 11, delle disposizioni di cui agli articoli da 2 a 5 del decreto [28] ed in parte degli aspetti eminentemente procedurali del Provvedimento [29], si intende vagliare le novità operative comuni a tutte le istanze di interpello in seguito al riordino della disciplina. In attuazione del criterio direttivo della maggiore omogeneità della disciplina degli interpelli vengono previste regole comuni sui presupposti e i soggetti legittimati alla presentazione delle istanze, gli uffici competenti e le modalità di presentazione dell’istanza.
In primo luogo si osserva che l’articolo 2, comma 1 del D.Lgs. 156/2015 dispone in materia di “soggetti legittimati a presentare istanza di interpello”. Come si legge dal comma in esame: “Possono presentare istanza di interpello, ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000 n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente, i contribuenti, anche non residenti, e soggetti che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti o sono tenuti insieme con questi o in loro luogo all’adempimento di obbligazioni tributarie”. Risulta chiaro come i soggetti legittimati siano i contribuenti, anche non residenti, nonché “coloro che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti” e coloro che rivestono il ruolo di sostituti e responsabili d’imposta [30] a condizioni, però, che l’istanza si riferisca a casi concreti e personali. Come osservato nella relazione illustrativa al decreto, tale condizione è espressione di un principio comune a tutte le tipologie di interpello, secondo cui questo deve essere finalizzato a conoscere il trattamento tributario di atti, operazioni o iniziative riconducibili direttamente alla sfera degli interessi del soggetto istante [31]. Queste considerazioni generali valgono per tutte le istanze di interpello caratterizzate da “difetto di personalità”. In tutti questi casi, salvo che l’istanza non venga regolarizzata attraverso la procedura tardiva, la stessa non produce gli effetti tipici dell’interpello e l’Amministrazione finanziaria comunicherà al contribuente l’impossibilità di acquisire le predette istanze, rappresentando eventualmente quale soggetto, nel caso concreto, è titolato alla presentazione di un’istanza di interpello [32].
Il secondo aspetto da tenere in considerazione, per garantire una migliore uniformità della disciplina, è quello relativo alla competenza degli uffici predisposti a ricevere le istanze di interpello. Viene individuata la regola generale secondo cui la competenza è attribuita alle Direzioni Regionali, salvo le deroghe contenute all’interno del Provvedimento. I motivi che hanno spinto il legislatore a questa importante novità, dal punto di vista operativo, sono principalmente due: il primo è strettamente legato al conseguimento di notevoli vantaggi in termini di economia della procedura; il secondo riguarda lo snellimento della procedura dovuto al fatto che le istanze possono essere immediatamente istruite dal soggetto competente alla risposta. Per comprendere meglio la competenza attribuita alla Direzione regionale non si può prescindere da un’analisi del Provvedimento, secondo cui: “Le istanze di interpello riguardanti i tributi erariali sono presentate alla Direzione Regionale competente in relazione al domicilio fiscale del soggetto istante; le istanze concernenti l’imposta ipotecaria dovuta in relazione agli atti diversi da quelli di natura traslativa, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali nonché le istanze di cui all’art. 11, comma 1, lettera a) della legge 27 luglio 2000, n. 212 aventi ad oggetto disposizioni o fattispecie di natura catastale sono presentate alla Direzione Regionale nel cui ambito opera l’ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello”. Secondo quanto disposto dal provvedimento, la competenza degli uffici è diversamente articolata a seconda che le istanze concernenti i tributi amministrati dall’Agenzia abbiano ad oggetto i tributi erariali o l’imposta ipotecaria dovuta in relazione agli atti diversi da quelli di natura traslativa, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali, nonché i casi in cui, più generalmente, le istanze hanno ad oggetto disposizioni o fattispecie di natura catastale. Per quanto attiene alle prime, infatti, l’interpello è presentato alla Direzione regionale competente in base al domicilio fiscale; per quanto riguarda le seconde queste sono validamente presentate alla Direzione regionale nel cui ambito opera l’ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello [33]. Quanto alle ipotesi di deroga della competenza della Direzione regionale, vengono classificate fattispecie diverse: le Amministrazioni centrali dello Stato, gli enti pubblici a rilevanza nazionale, i soggetti non residenti, indipendentemente dalla nomina di un rappresentante fiscale in Italia o dalla circostanza che i medesimi soggetti assolvano gli obblighi o esercitino i diritti in materia di imposta sul valore aggiunto direttamente ai sensi dell’articolo 35 ter, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 [34], ed i soggetti di più rilevante dimensione [35], presentano le istanze alla Direzione Centrale Normativa.
La presentazione delle istanze è rinvenibile in tre diverse modalità: consegna a mano; spedizione a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento; per via telematica attraverso l’impiego della posta elettronica certificata [36]. L’istanza di interpello, redatta in forma libera ed esente da bollo, è sottoscritta ed esibita dal contribuente agli uffici competenti con le modalità di presentazione precedentemente elencate. È, inoltre, prevista una modalità di presentazione semplificata per le istanze presentate dai contribuenti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato [37], i quali possono inoltrare l’istanza mediante l’utilizzo della posta elettronica.

8. Conclusioni

L’analisi fin qui prospettata permette l’apprezzamento per la svolta impressa, al nostro ordinamento, a seguito dell’introduzione dell’istituto dell’interpello.
La ragione fondamentale che suffraga tale assunto è data dal fatto che l’interpello, ormai, costituisce un’essenziale espressione della funzione consultiva e di assistenza che l’Amministrazione finanziaria deve svolgere nella fase dello spontaneo adempimento dei rapporti obbligatori d’imposta [38].
Gli interpelli sono da considerare a pieno titolo fra i mezzi capaci di assicurare la certezza del diritto, che come sappiamo, costituisce un valore essenziale ed irrinunciabile sia nell’ordinamento nazionale sia in quello dell’Unione Europea.
Inoltre, gli istituti in esame soddisfano anche l’interesse erariale al corretto assorbimento dei doveri contributivi assicurando una certa e celere individuazione dei relativi mezzi finanziari rispetto a quella che, ordinariamente, si riscontra quando si verifica una contrapposizione con il contribuente soggetto ad imposizione [39].
Gli interpelli si inseriscono poi nell’ottica di una più ampia e proficua collaborazione fra l’Amministrazione ed il contribuente [40].
L’accertamento tributario, grazie a questi istituti, perde la connotazione meramente repressiva degli illeciti fiscali e permette di assolvere una funzione di guida ed indirizzo per la corretta attuazione dei precetti tributari [41].
Quindi, come già detto in precedenza, gli interpelli ricoprono un ruolo di fondamentale importanza nell’evoluzione che caratterizza l’applicazione dei rapporti impositivi. Congiuntamente all’accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale, essi permettono il corretto adempimento degli obblighi impositivi in un’ottica di collaborazione, dialogo e valorizzazione del reciproco affidamento fra l’Amministrazione e il privato.
Tuttavia, è chiaro che la valutazione generalmente positiva dell’istituto in esame porta ad auspicare una valorizzazione del ruolo degli interpelli che al contempo possono, in taluni aspetti, a tutto oggi migliorare.

[1] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.305 del 31 Dicembre 1991

[2] Si v. A. Tommasini, Riordino degli interpelli: un’occasione da non perdere, in Corr. Trib., 2014.

[3] Il comma 1 dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000,n.212, ha subito notevoli modifiche in seguito alla riforma dell’istituto; oggi sulla questione in esame prevede che i presupposti di interpello sussistano “quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza e non siano comunque attivabili le procedure di cui all’articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’articolo 1 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147”.

[4] Da definizione di M. Gabelli, in “La revisione della disciplina degli interpelli”, Fiscalità e commercio internazionale, n.4/2016, p.47.

[5] L’Amministrazione finanziaria dovrà, in sede di accertamento, non solo verificare l’esistenza dei fatti e delle condizioni, ma anche della loro rilevanza ai fini dell’accesso al regime.

[6] “Il consolidato nazionale è un particolare regime di determinazione del reddito complessivo Ires per tutte le società partecipanti, rappresentato dalla somma algebrica delle singole basi imponibili che risultano dalle rispettive dichiarazioni dei redditi. Le società che intendono adottare la tassazione consolidata di gruppo (articoli 117-129 del TUIR) devono esercitare la specifica opzione che dura per un triennio ed è irrevocabile” come da definizione dall’Agenzia delle Entrate.

[7] La disciplina del Controlled Foreign Companies (CFC) rappresenta uno strumento utilizzato dagli ordinamenti fiscali per contrastare la localizzazione fittizia di redditi significativi in società partecipate estere residenti in Paesi a fiscalità privilegiata che non procedono alla sistematica distribuzione dei dividendi.

[8] Agenzia delle Entrate, circolare n. 9/E dell’1/04/2016 p.10.

[9] Le disposizioni in esame prima delle modificazioni recenti, erano contenute nell’art.11, comma 13, della legge 30 dicembre 1991, n. 413. L’entrata in vigore del D.Lgs. 156/2015, l’art. 7, comma 6, ha comportato l’abrogazione dell’art. 11, comma 13, della legge 30 dicembre 1991, n. 413.

[10] Art.167, comma 5, TUIR: “Le disposizioni del comma 1 non si applicano se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che: a) la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento; b) dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al comma 4.”

[11] Art.167, comma 8-ter, TUIR: “Le disposizioni del comma 8-bis non si applicano se il soggetto residente dimostra che l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale. Ai fini del presente comma il contribuente può interpellare l’Amministrazione finanziaria secondo le modalità indicate nel comma 5. Per i contribuenti che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo l’interpello di cui al precedente periodo può essere presentato indipendentemente dalla verifica delle condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 8-bis.”

[12] I passive income sono redditi come di capitale, dividendi, royalties, canoni di locazione, non generati da un’attività operativa. Nella circolare 65 del dicembre 2000, Assonime aveva dato la definizione di passive income come reddito “derivante, più che dall’esercizio di una effettiva attività economica, dalla produttività insita in cespiti di facile mobilità, quale, tipicamente, il reddito di natura finanziaria”.

[13] Art. 124, comma 5 del TUIR: “Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche nel caso di fusione di una società controllata in altra non inclusa nel consolidato. Nel caso di fusione della società o ente controllante con società o enti non appartenenti al consolidato può essere richiesta, mediante l’esercizio dell’interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la continuazione del consolidato. Con il decreto di cui all’articolo 129 sono disciplinati gli eventuali ulteriori casi di interruzione anticipata del consolidato”.

[14] Gli articoli in questione disciplinano i requisiti di accesso alla tassazione consolidata distinguendo quelli di natura strettamente soggettivi (forma societaria) e quelli soggettivi (controllo, durata, esercizio congiunta dell’opzione).

[15] L’art 11 del DM 9 giugno 2004 disciplina le operazioni che non determinano l’interruzione della tassazione di gruppo: “La fusione tra società consolidate non interrompe la tassazione di gruppo. Il vincolo di permanenza temporale nel consolidato delle società partecipanti alla fusione si trasferisce alla società risultante dalla fusione, che è tenuta a rispettare il termine che scade per ultimo. La fusione tra la consolidante e una o più consolidate estingue la tassazione di gruppo tra i soggetti stessi senza gli effetti di cui all’art. 124 del testo unico. Nel caso di fusione per incorporazione della consolidante in una consolidata permane la tassazione di gruppo nei confronti delle altre consolidate. La fusione per incorporazione di società non inclusa nel consolidato in società inclusa nel consolidato non interrompe la tassazione di gruppo, qualora permangano i requisiti di cui all’art. 117 del testo unico. La scissione totale o parziale di consolidata che non comporti modifica della compagine sociale non muta gli effetti derivanti dall’opzione alla tassazione di gruppo, fermo restando i requisiti richiesti di cui all’art. 117, comma 1, del testo unico; in tal caso, le società beneficiarie che si costituiscono per effetto della scissione si considerano partecipanti alla tassazione di gruppo per un periodo pari a quello residuo della società scissa, ancorché non esercitino l’opzione di cui all’art. 117, comma 1, del testo unico. Se la consolidata è beneficiaria di una scissione di società, anche non inclusa nella tassazione di gruppo, non si verifica interruzione della tassazione di gruppo, qualora permangano i requisiti di cui all’art. 117 del testo unico. La scissione parziale della consolidante non modifica gli effetti derivanti dall’opzione alla tassazione di gruppo da parte della scissa, fermo restando i requisiti richiesti di cui all’art. 117, comma 1, del testo unico. La liquidazione volontaria della consolidante o della consolidata non interrompe la tassazione di gruppo. I conferimenti effettuati da soggetti partecipanti alla tassazione di gruppo, qualora permangano i requisiti di cui all’art. 117 del testo unico. non interrompono la medesima tassazione di gruppo.”

[16] L’articolo 166, comma 1 del TUIR afferma che: “Il trasferimento all’estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero. Per le imprese individuali e le società di persone si applica l’articolo 17, comma 1, lettere g) e l).”

[17] Art.130 comma 2 del TUIR: “L’esercizio dell’opzione di cui al comma 1 (Soggetti ammessi alla determinazione della unica base imponibile per il gruppo di imprese non residenti) è consentito alle società ed agli enti: a) i cui titoli sono negoziati nei mercati regolamentati; b) controllati ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1) del codice civile esclusivamente dallo Stato o da altri enti pubblici, da persone fisiche residenti che non si qualifichino a loro volta, tenendo conto delle partecipazioni possedute da loro parti correlate, quali soggetti controllanti ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, numeri 1) e 2), del codice civile di altra società o ente commerciale residente o non residente.”

[18] Quanto gli effetti dell’esercizio dell’opzione l’articolo 131, comma 2 afferma che “Nel caso in cui la partecipazione in una controllata non residente sia detenuta in tutto o in parte per il tramite di una o più controllate residenti, per la validità dell’opzione di cui all’articolo 130 è necessario che la società controllante e ciascuna di tali controllate residenti esercitino l’opzione di cui alla sezione II. In tal caso la quota di reddito della controllata non residente da includere nella base imponibile del gruppo corrisponde alla somma delle quote di partecipazione di ciascuna società residente di cui al presente comma.”

[19] Bruno Pagamici in “Start – up innovativa”, 2015, p.1, dà una definizione completa della Start – up: “la società di capitali, costituita anche in forma di cooperativa, che svolge attività necessarie per sviluppare e introdurre prodotti, servizi o processi produttivi innovativi ad alto valore tecnologico, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non siano quotate sul mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione. La società deve essere in possesso di determinati requisiti, alcuni obbligatori altri alternativi”.

[20] Il beneficio ACE (introdotto dall’art.1 del D.L. 6 dicembre 2011, n.201, c.d. “Decreto Monti”) introduce la deducibilità dall’imponibile di parte dell’incremento di capitale proprio dell’impresa, calcolato rispetto al patrimonio netto alla chiusura dell’esercizio in corso, moltiplicato per un coefficiente fissato annualmente dal governo.

[21] L’articolo 10 del D.M. 14 marzo 2012 dispone in materia antielusiva andando ad indicare i soggetti sottoposti alla disciplina in esame e disciplinando gli effetti sulle variazioni fiscali in aumento.

[22] Cass. 11.05.2012, n. 7393 

[23] F. Pistolesi, Gli interpelli tributari, op. cit., 87 ss.).

[24] F. Carriolo, Interpelli probatori e disapplicativi: in particolare, CFC, dividendi e participation exemption.

[25] Agenzia delle entrate, circ. n. 6 del 21 gennaio 2000, e in finanze.it «documentazione tributaria»; (bancadatifisconline).

[26] Riv. giur. trib.,2005, 349-351

[27] Comm. trib. reg. Toscana, 22 marzo 2005, n. 33

[28] Decreto Legislativo 156/2015

[29]Il 4 gennaio 2016 è stato pubblicato il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate contenente le nuove disposizioni procedurali applicabili alle istanze validamente presentate a partire dalla predetta data.

[30] Per questioni attinenti l’applicazione dell’IVA, non sono legittimati a presentare istanze d’interpello i cessionari o i committenti considerati “consumatori privati” ai fini di questo tributo.

[31] La Circolare n.9/E del 1° aprile 2016 chiarisce che “ciò comporta che in caso di presentazione di istanze da parte di coloro che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti e di coloro che rivestono il ruolo di sostituti e responsabili d’imposta, è sempre necessario che nell’istanza siano indicate le generalità delle parti cui si riferisce il rapporto oggetto dell’interpello, anche per consentire una corretta parametrazione, nelle diverse sedi, degli effetti della risposta”.

[32] Cfr. Circolare n.9/E del 1° aprile 2016, p.24.

[33] Cfr. Circolare n.9/E del 1° aprile 2016, p.25.

[34] Articolo 35 ter, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633: “I soggetti non residenti nel territorio dello Stato, che, ai sensi dell’articolo 17, terzo comma, intendono assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti in materia di imposta sul valore aggiunto direttamente, devono farne dichiarazione all’Ufficio competente, prima dell’effettuazione delle operazioni per le quali si vuole adottare il suddetto sistema.”

[35] Coloro che conseguono un volume d’affari o ricavi non inferiore a cento milioni di euro con riferimento all’ultima dichiarazione presentata (articolo 27, comma 10, decreto legge 29 novembre 2008, n. 185).

[36] Con le medesime modalità può essere presentata anche la documentazione integrativa.

[37] Coloro che provvedano invece alla nomina di quest’ultimo inoltrano le istanze di interpello attraverso le modalità di presentazione previste per tutti gli altri contribuenti.

[38] A. Fantozzi, Il diritto tributario, 2003, osserva come “in un sistema tributario basato sull’adempimento spontaneo, è logico ritenere che l’Amministrazione, a fronte della peculiare funzione di controllo, debba svolgere anche quella di consulenza giuridica e di assistenza”.

[39] Vedi C. ROMANO, Le ragioni.

[40] In questi termini, A. COMELLI, La disciplina dell’interpello.

[41] Vedi M. MICCINESI, L’interpello.