di Rossella Magliocco
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Evoluzione normativa ed orientamenti giurisprudenziali sulla natura del provvedimento di scioglimento e sui presupposti – 3. Il procedimento di scioglimento e i suoi effetti alla luce della novella introdotta dal D.L. 113/2018 (c.d. Decreto Sicurezza) convertito, con modificazioni, in L. 132/2018 – 4. Analisi statistica dei livelli di condizionamento mafioso sul territorio nazionale – 5. Considerazioni conclusive: i possibili rimedi.
- Premessa
Il fenomeno delle infiltrazioni mafiose negli enti locali afferisce all’insieme di operazioni condotte dagli esponenti della criminalità organizzata al fine di penetrare con insistenza e violenza nei sistemi politici degli enti stessi, in modo da imporre il proprio controllo su una porzione territoriale significativa, intraprendere e dirigere qualsiasi attività ed assumere le decisioni fondamentali.[1] Si evidenzia che le organizzazioni criminali di stampo mafioso hanno subito negli anni una profonda evoluzione, acquisendo una diversa identità. Si parla, a tal proposito, del nuovo volto della mafia[2], dotata di un’organizzazione strutturata, costituita da personalità che rivestono ruoli ben definiti e radicata all’interno di un determinato territorio che funge da raggio di azione iniziale dell’intera attività criminale.[3] Gli esponenti delle descritte organizzazioni, facendo leva sull’inerzia della politica, tendono ad assumere un ruolo di spicco a livello sociale, mostrandosi, tra l’altro, come tutori della collettività in grado di risolvere tutte le problematiche prospettate dai cittadini e di amministrare la giustizia in maniera da restituire una rinnovata comunità. È lapalissiano che tale atteggiamento riverberi i propri effetti sull’intera macchina politica che i mafiosi hanno l’obiettivo precipuo di invadere e di conquistare. Tale finalità è perseguita mediante il ricorso ad innumerevoli meccanismi, tra i quali si annovera lo strumento di infiltrazione più ricorrente ascrivibile al voto che viene estorto ai cittadini attraverso minacce di mali ingiusti ovvero promesse di ingiustificati vantaggi. Infiltrarsi negli enti locali significa non soltanto rafforzare il proprio potere politico ed economico, ma anche imporre la propria autorità sul territorio, acquisire prestigio[4] e “condurre traffici illeciti mediante canali leciti”[5]. L’ordinamento ha tentato, quindi, di apprestare degli strumenti di difesa contro la criminalità organizzata rinvenibili non soltanto nel settore penale, ma anche in quello amministrativo. Si discute, a tal proposito, dello scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose, oggetto della presente disamina. Si tratta, invero, di uno strumento straordinario, l’extrema ratio cui ricorrere laddove qualsiasi altro meccanismo di difesa si rivelerebbe infruttuoso ovvero inutilizzabile a causa dell’elevata contaminazione mafiosa e del notevole condizionamento perpetrati all’interno della collettività e in special modo nel sistema politico. L’obiettivo che tale misura si pone è quello di garantire il ripristino della sovranità sottratta al popolo ed il rispetto dei principi costituzionali, quali il diritto di voto, il buon andamento e la trasparenza amministrativa, che l’infiltrazione mafiosa va ad eludere e a comprimere.[6]
- Evoluzione normativa ed orientamenti giurisprudenziali sulla natura del provvedimento di scioglimento e sui presupposti.
La normativa legittimante l’applicazione della misura straordinaria dello scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose ha subito nel tempo una profonda evoluzione assolvendo, inizialmente, ad una funzione meramente sanzionatoria e successivamente ad una diversa e maggiormente incisa funzione di carattere preventivo. Tuttavia, gran parte della dottrina tende a definire la normativa attuativa di tale strumento come emergenziale[7], in quanto emanata soltanto a seguito del verificarsi di eventi eclatanti che hanno segnato la storia dell’Italia. Ed invero, in un periodo immediatamente successivo alla strage di Taurianova del 1991 che ha causato grandi distruzioni e ha destato clamore nell’opinione pubblica, sollevando terrore ed indignazione, lo Stato ha adottato la prima normativa in materia, mediante l’emanazione del D.L. 31 maggio 1991 n. 164, convertito in L. 22 luglio 1991 n. 221, recante “misure urgenti per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi di altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”. In particolare, rileva l’introduzione dell’art. 15 bis dopo l’art. 15 della L. 19 marzo 1990 n. 55 che ha apportato importanti modifiche alla disciplina previgente. Ed infatti, la citata disposizione normativa consente di addivenire allo scioglimento qualora si rinvengano, a seguito di accertamenti, “collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”. Il Decreto di scioglimento ha una durata “da dodici a diciotto mesi”. Con il medesimo provvedimento, è prevista, inoltre, la nomina di una commissione straordinaria, composta sa “tre membri scelti tra i funzionari dello stato in servizio o in quiescenza, e tra magistrati di giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza”. [8]
Il richiamato art. 15 bis della L. 55/1990 è stato, tuttavia, tacciato di incostituzionalità e la questione è stata devoluta alla Corte Costituzionale con Ordinanza del TAR Lazio-Roma 8 luglio 1992 n. 681, prospettando il possibile contrasto con gli articoli 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 128 della Carta Costituzionale, per le seguenti ragioni:
- a) consente di attribuire rilevanza a “collegamenti indiretti” di taluni amministratori con la criminalità organizzata. In tal modo la valutazione circa la sussistenza di collegamenti tra l’organo elettivo e la criminalità organizzata avverrebbe sulla base di elementi dalla consistenza inferiore rispetto a quelli indiziari richiesti in sede penale;
- b) prevede lo scioglimento dell’intero organo elettivo anche in presenza di collegamenti relativi soltanto ad alcuni amministratori. Tale misura andrebbe ad incidere sul principio di personalità della responsabilità penale, coinvolgendo anche soggetti estranei al descritto rapporto.
- c) stabilisce il permanere degli effetti dello scioglimento per un periodo da dodici a diciotto mesi. Ciò provocherebbe diverse conseguenze, tra cui la sospensione dell’elettorato attivo e passivo e dell’autonomia degli enti locali.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 103 del 19.03.1993 ha rigettato le questioni proposte, reputandole infondate. In particolare, la Corte ha osservato che “la disposizione impugnata è formulata in modo da assicurare il rispetto dei principi che si assumono violati, e contiene in sé tutti gli elementi idonei a garantire obiettività e coerenza nell’esercizio dello straordinario potere di scioglimento degli organi elettivi conferito all’autorità amministrativa. Infatti, la Corte ha evidenziato che, dalla lettura della disposizione nel suo complesso, si evince ictu oculi, la stringente consequenzialità che deve rinvenirsi, ai fini dell’applicabilità della misura, tra i collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata e/o le forme di condizionamento con la compromissione della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento delle amministrazioni ed il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, ovvero quando il suddetto collegamento o le suddette forme di condizionamento risultino “tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”. La descritta connessione deve risultare espressamente e chiaramente dalla motivazione del provvedimento che deve dar conto al giudice di tutte le indagini e le valutazioni effettuate. Il sindacato giurisdizionale circa la congruità e la logicità delle argomentazioni è garanzia del restringimento dell’arbitrio dell’autorità amministrativa. Inoltre, la Corte ha indagato sulla natura del provvedimento di scioglimento, precisando che si tratta di una misura di carattere straordinario e sanzionatorio che ha come diretto destinatario l’organo collegiale complessivamente considerato, sebbene sia caratterizzata da “rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la sua ricaduta sulle comunità locali che la legge intende sottrarre, nel loro complesso, all’influenza della criminalità organizzata”. Proprio in virtù della straordinarietà di tale strumento, il Giudice delle Leggi, a proposito della durata degli effetti dello scioglimento, ne ha evidenziato la legittimità chiarendo che “Il protrarsi degli effetti dello scioglimento può consentire, nel frattempo, di intervenire sul terreno del ripristino della legalità, della eliminazione degli effetti prodotti dall’inquinamento criminoso, della creazione di condizioni nuove che, avvalendosi della precedente esperienza, permettano la ripresa della vita amministrativa al riparo dai collegamenti e dai condizionamenti cui si era voluto ovviare con lo scioglimento.
Le disposizioni in materia sono, poi, trasfuse negli artt. 143, 144, 145 e 146 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L.), che sono stati ulteriormente rivisitati dal legislatore mediante l’emanazione della L. 15 luglio 2009 n. 94 (il c.d. Pacchetto Sicurezza).[9]
In particolare, la disciplina contenuta nel menzionato art. 143 T.U.E.L. è stata resa maggiormente specifica, mediante l’indicazione dei presupposti in presenza dei quali si procede con l’applicazione della misura. La norma lascia intuire che lo scioglimento non può fondarsi su elementi ambigui o incerti, ma chiarisce espressamente che si applica laddove, a seguito degli accertamenti, emergano “concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”. Dall’esegesi della disposizione, si desume palesemente che rispetto alla precedente formulazione, la normativa è caratterizzata da diversi punti di novità. Ed infatti, oltre alla specifica indicazione dei caratteri dell’univocità, della chiarezza e della rilevanza degli elementi fondanti la misura[10], la norma specifica che i collegamenti con la criminalità organizzata devono essere di tipo mafioso o comunque similare affinché sia possibile applicare il provvedimento di scioglimento. In aggiunta, la nuova disposizione chiarisce l’ambito dei soggetti cui la disciplina è rivolta; si tratta degli amministratori di cui all’art. 77, comma 2, T.U.E.L. Ed infine, altro punto innovativo rispetto al passato è rappresentato dall’ampliamento della portata oggettiva della normativa, la quale prevede che, per l’applicazione della misura, è necessario che i collegamenti ovvero le forme di condizionamento siano tali da alterare la volontà non solo degli organi elettivi, ma anche degli organi amministrativi.
Nonostante i numerosi interventi legislativi, il contributo degli orientamenti giurisprudenziali in materia si è rivelato essenziale onde consentire di sciogliere i nodi creati dal legislatore stesso e rendere la normativa maggiormente chiara in ordine ai presupposti e all’ambito di applicazione. Ed infatti, la giurisprudenza ha tentato di chiarire, innanzitutto, cosa debba intendersi per collegamenti e condizionamenti, laddove i primi si caratterizzano per il rapporto (anche di parentela o di amicizia) che sussiste con gli esponenti della criminalità organizzata in termini di costante frequentazione e significative relazioni tali da compromettere anche la trasparenza amministrativa nella gestione dei compiti istituzionali e nella concessione di servizi. Quanto ai condizionamenti, ci si riferisce a tutte quelle ipotesi in cui le scelte politiche sono influenzate dall’ingerenza della criminalità organizzata.[11]
Tutti questi elementi, considerati probanti di collegamenti e condizionamenti mafiosi, devono essere valutati nel loro complesso, a livello sistematico, in quanto se considerati singolarmente non sono in grado di dimostrare la concreta sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura, giacché soltanto dall’esame complessivo è possibile rilevare la ragionevolezza dell’addebito mosso nei confronti dell’organo collegialmente inteso. Ed infatti, la giurisprudenza è granitica nel ritenere che “Lo scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio ma preventivo, per la cui legittimità è sufficiente la presenza di elementi indizianti, che consentano di individuare la sussistenza di un rapporto inquinante tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente considerato infiltrato. Il quadro fattuale posto a sostegno del provvedimento di scioglimento ex art. 143, T.U.E.L. deve essere valutato non atomisticamente ma nella sua complessiva valenza dimostrativa, dovendosi tradurre in un prudente apprezzamento in grado di lumeggiare, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell’ente che la norma intende prevenire”.[12] Da tale pronuncia giurisprudenziale emerge un ulteriore aspetto fondamentale afferente alla natura degli elementi posti alla base del provvedimenti di scioglimento. È sufficiente che questi assumano un grado di significatività anche inferiore rispetto agli indizi, benché costituiti da situazioni di fatto evidenti. Infatti, lo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose assume una rilevanza straordinaria per fronteggiare situazioni altrettanto straordinarie e garantire tutela alla legalità ed al buon andamento amministrativo; pertanto, i fatti fondanti il provvedimento non devono rivestire lo status di prove sul piano della responsabilità penale dei singoli, atteso che i collegamenti e/o i condizionamenti con la criminalità organizzata possono sussistere anche quando un comportamento illecito non concretizzi gli estremi di una fattispecie delittuosa.[13] Si tratta, quindi, di un atto di alta amministrazione[14] caratterizzato da ampia discrezionalità amministrativa nella valutazione degli elementi tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori. Tuttavia, tale discrezionalità incontra un limite nella motivazione del provvedimento che deve dare contezza dell’iter logico seguito al fine di considerare gli indizi raccolti concordanti nonché indicativi dell’influenza del crimine organizzato sull’amministrazione. In tale senso, la novella del 2009 “non ha voluto elidere quella discrezionalità, ma controbilanciarla, ancorandola a fatti concreti e univoci, in funzione della necessità di commisurare l’intervento più penetrante dello Stato a contrasto del fenomeno mafioso con i più alti valori costituzionali alla base del nostro ordinamento, quali il rispetto della volontà popolare espressa con il voto e l’autonomia dei diversi livelli di governo garantita dalla Costituzione”.[15]
Dall’analisi effettuata, si comprende che la natura della misura in questione si è nel tempo evoluta da sanzionatoria a preventiva, in quanto ha come diretti destinatari gli organi elettivi nel loro complesso e non il singolo amministratore ed è stata posta a tutela della collettività e dell’ente medesimo dalle ingerenze criminali essendo rivolta ad interrompere rapporti di connivenza e soggezione. Quindi, il provvedimento di scioglimento è caratterizzato da specialità, atteso che costituisce una forma di controllo[16] che lo Stato esercita sull’ente locale al fine di garantire il regolare funzionamento del sistema amministrativo e la continuità nell’esercizio delle funzioni dell’ente.[17]
- Il procedimento di scioglimento e i suoi effetti alla luce della novella introdotta dal D.L. 113/2018 (c.d. Decreto Sicurezza) convertito, con modificazioni, in L. 132/2018.
La L. 94/2009 ha introdotto significative modifiche rispetto alla disciplina previgente non soltanto in riferimento ai presupposti, ma anche in relazione al procedimento volto all’applicazione della misura oggetto della presente disamina. L’art. 143, comma 2, T.U.E.L. individua dettagliatamente quali funzioni competono al Prefetto e, quindi, quale ruolo riveste all’interno del procedimento. Pare opportuno premettere che l’attività della Prefettura si sostanzia in una serie di fasi ed è fondata principalmente sull’osservazione e sul monitoraggio dell’ente che potrebbe subire influenze criminali in un’ottica di prevenzione. Ed infatti, nel momento in cui il Prefetto viene a conoscenza, mediante l’acquisizione di documentazione (elettorale, contabile, di assegnazione di funzioni pubbliche o di selezione dei dipendenti) da cui risultino gravi irregolarità ed incongruenze ovvero di denunce sul malfunzionamento dell’ente in generale, deve svolgere un insieme di indagini onde verificare se si tratta di mere inefficienze ovvero se il disservizio rilevato afferisce ad un grave condizionamento di tipo mafioso. In particolare, al fine di valutare e verificare la sussistenza degli elementi probanti il condizionamento ovvero il collegamento con la criminalità organizzata, il Prefetto territorialmente competente effettua l’accesso presso l’ente interessato onde disporre ogni opportuno accertamento. A tal proposito, nomina una Commissione di indagine, costituita da tre funzionari pubblici, i cui poteri di accesso sono disciplinati dall’art. 1 della L. 629/1982 e sono rivolti agli enti locali, agli enti pubblici economici e ad altri soggetti quali, ad esempio, società di gestione, società partecipate dagli enti locali ovvero imprese aggiudicatarie o partecipanti a gare pubbliche di appalto. Compito principale della Commissione è quello di acquisire informazioni e documenti in relazione a quei settori dell’ente che sono, per loro natura, maggiormente interessati da possibili infiltrazioni criminali. Tali attività di indagine possono avere una durata di tre mesi decorrenti dall’accesso, rinnovabili una sola volta per un periodo pari ad ulteriori tre mesi. Terminati i lavori, la Commissione rassegna al Prefetto le conclusioni. Si apre, pertanto, la fase procedimentale disciplinata dal comma 3 dell’art. 143 T.U.E.L, in virtù del quale il Prefetto, a sua volta, entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della Commissione d’indagine, trasmette al Ministero dell’Interno un rapporto in merito agli elementi rilevati nell’espletamento delle funzioni demandate che siano tali da far presumere la sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, in modo da proseguire l’iter e verificare se sussistono tutti i presupposti necessari per procedere allo scioglimento.[18] Il Decreto di scioglimento viene emanato dal Presidente della Repubblica entro tre mesi dalla trasmissione della relazione su proposta del Ministro dell’interno in cui sono indicati, ai sensi dell’art. 143, comma 4, T.U.E.L., “in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico” nonché “gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento”. Il Decreto di scioglimento viene, infine, trasmesso alle Camere e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, conservando gli effetti per un periodo che va da dodici a diciotto mesi, prorogabili, in casi eccezionali, fino ad un massimo di ventiquattro.
La disciplina in materia ha subito delle modifiche a seguito dell’emanazione del D. L. 4 ottobre 2018, n. 113 recante “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”. In particolare, l’articolo 28 del Decreto Sicurezza ha disposto l’inserimento all’interno dell’art. 143 T.U.E.L. del comma 7-bis che prevede un notevole ampliamento e rafforzamento dei poteri assegnati al Prefetto.
Ed invero, nelle ipotesi contemplate dal comma 7 dell’art. 143, laddove dalla relazione predisposta dal Prefetto dovessero emergere in riferimento ad uno o più settori dell’amministrazione “situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un’alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni comunali o provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati”, il Prefetto interviene in un’ottica social preventiva al fine di eliminare qualsiasi minaccia riscontrata, facendo salvi gli eventuali profili penalistici, e ricondurre, così, l’attività amministrativa alla normalità. È funzione del Prefetto disporre gli atti da adottare entro un determinato termine, assicurando anche il supporto tecnico-amministrativo dei propri Uffici affinché tutto l’iter venga seguito correttamente. Tuttavia, se il termine fissato dovesse decorrere infruttuosamente, “il Prefetto assegna all’Ente un ulteriore termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il quale si sostituisce, mediante commissario ad acta, all’amministrazione inadempiente”.
La pronuncia di scioglimento degli Enti locali per infiltrazioni mafiose porta con sé una serie di conseguenze. L’art. 143, comma 4, secondo periodo, T.U.E.L. prevede che tale misura comporta “la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte”. Altri effetti sono disciplinati dai commi successivi del medesimo articolo. In particolare, il comma 5 prevede, da un lato, una forma di cautela mediante la sospensione dall’impiego del dipendente, anche nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora “la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell’ente locale”, e, dall’altro, vere e proprie sanzioni, disciplinando di destinare il dipendente “ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell’autorità competente”. Ulteriori casi di risoluzione di incarichi sono previsti dal successivo comma 6, in virtù del quale “A decorrere dalla data di pubblicazione del decreto di scioglimento sono risolti di diritto gli incarichi di cui all’articolo 110, nonché gli incarichi di revisore dei conti e i rapporti di consulenza e di collaborazione coordinata e continuativa che non siano stati rinnovati dalla commissione straordinaria di cui all’articolo 144 entro quarantacinque giorni dal suo insediamento”.
In aggiunta alle descritte conseguenze dettate dall’applicazione della misura dissolutoria, si pone a carico degli amministratori responsabili delle azioni che hanno determinato lo scioglimento dell’Ente, l’assoggettamento al regime dell’incandidabilità[19] alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, ai sensi dell’art. 143, comma 11, T.U.E.L., “limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo”. La disciplina oggetto di analisi ha subito profonde modifiche a seguito dell’emanazione della L. 01 dicembre 2018 n. 132 “(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113). Ed invero, all’art. 28 del Decreto Sicurezza è stato aggiunto il comma 1-bis in virtù del quale l’incandidabilità si estende, oltre ai casi di elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, anche “alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento europeo”; e non più soltanto con riguardo alla tornata elettorale successiva allo scioglimento stesso, bensì ai due turni elettorali successivi (sempre “qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo”).
Ulteriore aspetto da analizzare, la cui necessità sorge a seguito dello scioglimento, riguarda la gestione straordinaria dell’Ente interessato dalla misura. Le normative rilevanti sull’argomento sono gli artt. 144, 145, 145-bis e 146 T.U.E.L. che disciplinano le modalità di nomina della Commissione Straordinaria, l’organizzazione ed il funzionamento della stessa ed i poteri ad essa attribuiti. L’insediamento della Commissione Straordinaria nella realtà dell’Ente sciolto per infiltrazioni mafiose è fondamentale onde garantire una rinascita ed un risanamento dell’Ente medesimo. Costituisce, invero, una garanzia per la tutela dell’interesse della collettività al buon andamento dell’azione amministrativa e all’imparzialità. Tale garanzia è confermata dalla composizione dell’Organo Straordinario che è costituito da tre membri con competenze specifiche[20], rivestendo il ruolo di funzionari di Stato o di magistrati ordinari.[21] La Commissione, nominata con il decreto di scioglimento, rimane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile ed ha il compito di risanare l’Ente e di ripulirlo da qualsiasi forma di condizionamento con la criminalità organizzata. Tuttavia, i poteri attribuiti alla Commissione dovrebbero subire un notevole ampliamento, non risultando sufficiente che la stessa revochi gli atti e i provvedimenti emanati dai soggetti colpiti dalla misura dissolutoria. Infatti, un intervento in tal senso non sempre si traduce in un regolare ripristino della macchina amministrativa. Sarebbe opportuno, invece, che la stessa esercitasse funzioni maggiormente propulsive ed incisive in modo da condurre una concreta attività di recupero dell’ente nei rispetti della Costituzione.[22]
- Analisi statistica dei livelli di condizionamento mafioso sul territorio nazionale.
A partire dalla strage di Taurianova del 1991 sino ad oggi si è fatto ampio ricorso alla misura dello scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose. Tanto è vero che fino al 23 giugno 2019 sono stati emanati complessivamente 515 decreti di scioglimento, dei quali 187 di proroga di precedenti provvedimenti. Su 328 decreti di scioglimento, 26 sono stati annullati dai giudici amministrativi, 23 sono gli scioglimenti decisi nel 2018 e 9 nei primi sei mesi del 2019.[23]
Si evidenzia che il maggior numero di provvedimenti di scioglimento è stato adottato nei territori del mezzogiorno, in cui la mafia è radicata in misura notevole. Le regioni del Sud Italia sono più esposte al fenomeno, in quanto è proprio in queste terre che le più note organizzazioni criminali sono sorte, hanno costruito la loro struttura fortemente gerarchizzata ed hanno acquisito forza (anche economica) e potere. Tuttavia, il resto della penisola non è certamente esente dal fenomeno[24], sebbene vada riconosciuto che gli scioglimenti per mafia costituiscano fattispecie straordinarie nelle regioni centrali e settentrionali, rispetto al meridione. Ciò posto, al fine di prevenire il fenomeno delle infiltrazioni è necessario operare un’indagine a livello nazionale, atteso che gli affari illeciti possono celarsi e radicarsi in qualsiasi territorio.
Nel grafico seguente, si evidenziano le percentuali di scioglimento in quelle regioni in cui la presenza mafiosa è stata rilevata in misura maggiore.
Fonte dei dati: www.avvisopubblico.it |
Tra il 1991 e la prima metà del 2019 si sono realizzati, come dimostra il grafico, i seguenti numeri di scioglimento: Campania 108 (8 archiviati, 10 annullati), Calabria 115 (19 archiviati, 10 annullati), Sicilia 79 (5 archiviati, 3 annullati), Puglia 15 (3 archiviati, 1 annullato), Lombardia 1 (2 archiviato), Piemonte 3 (1 archiviato), Liguria 3 (1 archiviato, 2 annullati), Lazio 2 (3 archiviati), Emilia R. 1 (1 archiviato), Basilicata 1. Nell’anno 2019 anche la Sardegna è stata interessata da indagini in tal senso, che, tuttavia, hanno condotto a ben 2 archiviazioni.
Nei primi anni di applicazione della misura dissolutoria (1991-1993) si è registrato complessivamente il maggior numero di scioglimenti per infiltrazioni mafiose. L’intento era certamente quello di utilizzare il nuovo strumento predisposto per mano del legislatore al fine di purificare gli enti in cui si riscontravano degli indici di presenza mafiosa tali da determinare il sorgere di forme di condizionamento o di collegamento con la criminalità organizzata. Negli anni successivi, il binomio mafia-politica ha dato luogo ad un numero di scioglimenti compreso tra i 3 ed i 15, fino al 2012 in cui si contano ben 24 episodi, con specifico riferimento alla Calabria (10), alla Campania (6) ed alla Sicilia (5). Tuttavia, nel medesimo anno, si sono rilevati 2 casi di scioglimento per infiltrazioni mafiose anche in Piemonte ed 1 caso in Liguria. Si evidenzia che se prima del 2012, le ipotesi di scioglimento nelle regioni settentrionali costituivano fattispecie del tutto isolate, a partire da quell’anno il fenomeno pare essersi espanso notevolmente anche nel settentrione, in cui si sono riscontrati diversi casi di scioglimento.[25]
È palese come tali risultanze si riflettano negativamente sul tessuto sociale e politico-amministrativo dell’ente stesso. Un comune assoggettato al commissariamento a seguito di scioglimento per mafia produce inefficienze in termini di qualità dei servizi offerti ai cittadini e di garanzie di tutela degli interessi della collettività.[26]
Per quanto concerne la mafia siciliana, facendo particolare riferimento alle città dell’Isola in cui il fenomeno è più diffuso (Palermo, Trapani, Agrigento e Catania), questa è presente e opera in maniera attiva anche con riferimento all’assetto politico e amministrativo. Difatti gli arresti, i sequestri e gli scioglimenti degli enti sono stati tanti e utili a dimostrare come incide la criminalità organizzata sugli affari pubblici e sul potere decisionale e gestionale. L’obiettivo della mafia è quello di crescita e rinnovamento, piuttosto che l’arricchimento che poteva senz’altro contraddistinguerla un tempo, ma lontano da quello presente. L’interesse primario, ad oggi, è quello di espandere le proprie radici, arrivando a costruire un meccanismo di potere e di controllo parallelo a quello statale. Difatti, risulta anche difficile conoscere il fenomeno, vista la brutale crescita che ha subito negli anni, cooperando anche a livello orizzontale con altre strutture gerarchiche di stampo mafioso. Il grafico seguente rappresenta quanto appena sostenuto, evidenziando le seguenti conclusioni: Palermo (33 scioglimenti, 1 annullati, 1 archiviato), Agrigento (9 scioglimenti), Caltanissetta (8 scioglimenti, 1 annullato, 1 archiviato), Catania (11 scioglimenti), Messina (5 scioglimenti), Ragusa (3 scioglimenti, 1 annullato), Trapani (8 scioglimenti, 2 archiviati), Enna (1 archiviato), Siracusa (2 scioglimenti).
Fonte dei dati: www.avvisopubblico.it |
La Camorra è un’organizzazione mafiosa gerarchizzata ed operante soprattutto nella regione Campania. Anche in questi casi l’obiettivo perseguito è quello di attuare un controllo sul territorio, tale da permettere ai traffici illeciti condotti dagli esponenti della criminalità organizzata di passare attraverso i giusti canali leciti per occultarne la provenienza. I mezzi con cui impongono il loro potere sono i tradizionali strumenti dell’intimidazione e della minaccia di un danno ingiusto ovvero della promessa di grandi utilità. In termini di infiltrazioni negli enti locali, si evincono dal grafico i seguenti risultati: Napoli (59 scioglimenti, 7 annullati, 3 archiviati), Avellino (4 scioglimenti, 1 archiviazione), Benevento (1 scioglimento), Caserta (36 scioglimenti, 3 annullati, 4 archiviati), Salerno (8 scioglimenti).
Fonte dei dati: www.avvisopubblico.it |
Per quanto concerne la Regione Puglia, le organizzazioni criminali di stampo mafioso sono diverse e sparse su tutto il territorio. Non sono quindi riconducibili solo ed esclusivamente all’associazione mafiosa conosciuta come “Sacra Corona Unita”. Infatti, è possibile rinvenire tante ramificazioni di tale organizzazione criminale, una serie di gruppi separati ed aventi vertici autonomi. Tuttavia, non si esclude una loro collaborazione e cooperazione volta a raggiungere risultati di più ampio raggio. La mafia pugliese, per quello che risulta dalle più recenti acquisizioni processuali, a differenza delle altre associazioni mafiose, è più localizzata senza estendere i propri confini al di fuori della regione di appartenenza. Si evincono dal grafico i seguenti risultati: Bari (5 scioglimenti, 1 annullato), Barletta, Andria, Trani (1 scioglimento), Brindisi (1 scioglimento), Foggia (2 scioglimento, 1 archiviato), Lecce (5 scioglimenti, 1 archiviato), Taranto (1 scioglimento, 1 archiviato).
Fonte dei dati: www.avvisopubblico.it |
La ‘ndrangheta è un’associazione criminale a conduzione familiare gerarchicamente organizzata che opera principalmente nella regione Calabria.[27] L’obiettivo della consorteria criminale non è solo quello di accumulare ricchezza da fonte illecita, ma anche e soprattutto di imporre il proprio controllo sul territorio esercitando un potere ed un dominio forte sull’intera comunità, assoggettando la collettività al proprio volere. Tale forma di organizzazione criminale è quella meglio consolidata anche nell’area delle infiltrazioni mafiose negli enti locali. Ed infatti, come mostra il grafico seguente, ha ottenuto ben 115 decreti di scioglimento a partire dal 1991 sino alla prima metà del 2019, suddivisi nel modo seguente: Reggio Calabria (66 scioglimenti, 7 archiviati, 3 annullamenti), Cosenza (4 Scioglimenti, 6 archiviazioni, 1 annullamento), Catanzaro (13 scioglimenti, 1 archiviato, 3 annullati), Crotone (9 scioglimenti, 1 archiviato, 2 annullati), Vibo V. (23 scioglimenti, 4 archiviati, 1 annullato).
Fonte dei dati: www.avvisopubblico.it |
Le organizzazioni criminali sono penetrate già da tempo in diverse regioni del Nord Italia, al fine di accrescere il loro potere e di arricchirsi investendo soprattutto nelle grandi opere pubbliche. La criminalità organizzata si è insediata ormai in tutta la penisola grazie alla strategia del c.d. cono d’ombra in virtù della quale i mafiosi tendono a muoversi dai piccoli comuni delle regioni meridionali verso i piccoli comuni delle regioni settentrionali in cui riescono ad imporre potere e supremazia in modo lineare ed occulto senza destare sospetti nelle istituzioni.
Fonte dei dati: www.avvisopubblico.it |
Da quanto analizzato si evince che negli ultimi anni sono cresciuti in maniera esponenziale i Comuni sciolti per mafia e la Calabria insieme alla Campania si trova in una posizione di primazia rispetto alle altre Regioni, dal momento che alcuni comuni, addirittura, sono stati sciolti più di una volta, altri hanno visto il rinnovo del decreto di proroga. Ciò costituisce un chiaro segno del controllo mafioso sulla politica.[28]
- Considerazioni conclusive: i possibili rimedi.
Numerose, negli anni, sono state le proposte di revisione della normativa in materia formulate dalla Commissione Antimafia, giungendo anche alla proposizione, a livello preventivo, di forme di tutoraggio e assistenza da parte dello Stato centrale nei confronti degli Enti locali, pur assicurandone l’autonomia. La dottrina, nel tempo, considerando la portata dirompente della normativa in materia di scioglimento degli enti locali per infiltrazione mafiosa e nel contempo rilevandone i limiti, ha proposto diversi interventi volti ad un rafforzamento della disciplina. Tra questi, grande attenzione è rivolta alle funzioni della Commissione Straordinaria che dovrebbero subire un profondo ampliamento ricomprendendo poteri di natura ispettiva sulle attività esercitate dalla precedente amministrazione. [29] Ci si interroga, tuttavia, sull’utilità che in un tale contesto possa rivestire una revisione legislativa non accompagnata da attività tali da consentirne e garantirne una successiva corretta applicazione. La mera funzione repressiva rimane fine a sé stessa e non produce risultati soddisfacenti in termini di prevenzione del fenomeno. Ed invero, seppur fondamentale si appalesa una revisione della normativa tale da renderla maggiormente chiara, specialmente con riferimento alle attività dei Commissari straordinari e all’istituzione di efficienti sistemi di controllo, questa deve essere preceduta ed accompagnata da un contributo concreto e diretto di tipo culturale, volto soprattutto a sensibilizzare la collettività alla legalità ed alla giustizia. La criminalità organizzata priva la persona della propria identità, facendo in modo che sia completamente asservita alla realizzazione di interessi aventi fonte illecita. Si rivela, allora, necessaria un’operazione di informazione in modo da rendere tutti edotti delle conseguenze negative derivanti dall’asservimento di ciascuno alla mafia. La cultura è l’unico strumento idoneo a garantire un elevato livello di prevenzione del fenomeno. Queste operazioni devono coinvolgere soprattutto gli Enti più vicini al cittadino, i Comuni, mediante una corretta informazione e formazione dei dirigenti che vi operano, affinché svolgano la propria attività entro i limiti imposti dalla legge. Gli enti locali devono dare il buon esempio, cercando di adottare tutte le misure necessarie a garantire la realizzazione dei diritti dei cittadini, nel rispetto dei principi di eguaglianza, parità di opportunità e di trattamento. L’organizzazione dei ruoli è fondamentale, in modo che ognuno faccia il proprio dovere senza invadere l’ambito di competenza altrui. I consociati devono riscontrare efficienza e trasparenza[30] nei sistemi politici ed amministrativi e, soprattutto, devono essere liberi di scegliere, mediante il voto, i propri rappresentanti in maniera democratica. Affinché ciò accada, si deve avere contezza delle conseguenze negative che l’infiltrazione mafiosa nei Comuni genera non solo sul singolo, ma sull’intera collettività. È necessario riorganizzare gli Enti in modo che curino la comunità e rispondano alle esigenze dei cittadini adottando elevati livelli di trasparenza cosicché tutti siano vigili ed attenti sulla liceità e legittimità degli interventi posti in essere. L’educazione alla legalità deve coinvolgere tutti i cittadini e deve partire dalle scuole, dalle università, in cui organizzare incontri, convegni, progetti, invitando personalità di grande rilievo, in modo da sensibilizzare i giovani, affinché abbiano una nuova coscienza e tutti gli strumenti utili a riconoscere chi impedisce la valorizzazione dei talenti. Addirittura, sarebbe opportuno istituire un insegnamento negli istituti scolastici, una materia denominata “Mafia”, in modo che se ne parli e si garantisca un’educazione alla legalità sin dall’infanzia.
L’obiettivo cui si deve tendere è quello di restituire al Paese la democraticità e la sovranità popolare riconosciute a livello Costituzionale.
[1] Per approfondimenti v. A. CRISMANI, L’influenza della criminalità organizzata sul libero esercizio dell’azione amministrativa degli enti locali, in federalismi.it n. 7/2014.
[2] N. GRATTERI – A. NICASO, Padrini e padroni, Mondadori, Milano 2016 p. 167: “Se un tempo però erano gli ‘ndranghetisti a chiedere favori ai politici, oggi sono questi ultimi che si rivolgono ai boss per garantirsi sostegno elettorale: Sperano di trovare un accordo, promettendo di sdebitarsi in caso di conseguimento di un brillante risultato elettorale. Insomma, da un capo all’altro dell’Italia, alla base di ogni patto scellerato tra boss e politici ci sono relazioni reciprocamente vantaggiose. Da una parte il politico ha necessità di aumentare il pacchetto di preferenze elettorali per incrementare il consenso politico, dall’altra le cosche hanno l’interesse ad incassare sia denaro, sia maggiori vantaggi che possano derivare da futuri incarichi ricoperti dal candidato, il quale diviene una risorsa che la mafia impiega per consolidare il proprio potere su quel territorio”
[3] A. BECCHI, Criminalità organizzata. Paradigmi e scenari delle organizzazioni mafiose in Italia, Donzelli, Roma 2000
[4] Per approfondimenti v. F. ALFANO – E. GULLOTTI, Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni e condizionamenti della criminalità organizzata, in Nuova Rass. Online, 3/2010; R. SCIARRONE, Mafie Vecchie, mafie nuove: radicamento ed espansione, Donzelli, Roma 2009.
[5] V. METE, Fuori dal Comune. Lo scioglimento delle amministrazioni locali per infiltrazioni mafiose, Bonanno, Roma 2009.
[6] N. PAOLANTONIO, Il principio di continuità dell’azione amministrativa, in M. RENNA – F. SAITTA, Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffré, Milano 2012.
[7] C. PROVENZANO, Scioglimento dei comuni per mafia, Città del sole, Reggio Calabria 2016; V. MONTARULI, Lo scioglimento degli organi elettivi degli enti locali per infiltrazioni della criminalità organizzata, ESI, Napoli 2014; V. METE, ibidem.
[8] L’articolo 15 della legge n. 55/1990, nella sua formulazione originaria, prevedeva la sospensione degli amministratori locali, nel caso in cui fossero assoggettati a processo penale per aver compiuto il delitto di cui all’art. 416bis c.p. (associazione a delinquere di stampo mafioso). Lo stesso accadeva nei confronti degli amministratori a carico dei quali veniva imposta una misura di sicurezza, perché sospettati di partecipare alle associazioni criminali. La finalità era quella di non compromettere l’intero Ente, solo per la responsabilità di alcuni componenti. Mediante la nuova formulazione della normativa si è, invece, inteso assoggettare l’intero ente a tale procedimento per ripulirlo completamente e permetterne il regolare funzionamento. Per approfondimenti v. V. MONTARULI, op.cit.
[9] Per approfondimenti, v. P. CLARIZIA, La nuova disciplina dello scioglimento degli organi elettivi, in Il sistema della sicurezza pubblica, a cura di F. RAMACCI, G. SPANGHER, Milano 2010.
[10] T.A.R., Roma, sez. I, 05/02/2019, n. 1433: “L’ art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000 , al comma 1 (nel testo novellato dall’ art. 2, comma 30, l. n. 94/2009 ), richiede che la situazione di condizionamento dell’ente locale da parte della criminalità sia resa evidente da elementi concreti, univoci e rilevanti, che assumano valenza tale da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle Amministrazioni Comunali e Provinciali. Gli elementi sintomatici del condizionamento criminale devono, quindi, caratterizzarsi per concretezza, in quanto assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; per univocità, intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; per rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale”, in Foro Amministrativo (II) 2019, 2, 286.
[11] Ex multis v. Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 marzo 2011 n. 1547, in giustiziaamministrativa.it.
[12] T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, 05/02/2019, n. 1433, in Foro Amministrativo (II) 2019, 2, 28.
[13] T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I, 15/11/2004 n. 16778, in giustamm.it.
[14] Per approfondimenti v. F. G. SCOCA, Scioglimento degli Organi elettivi per condizionamento della criminalità organizzata, in riv. Giur. It. 2016.
[15] Consiglio di Stato, Sez. III, 28/06/2017, n. 3164, in Redazione Giuffrè Amm. 2017.
[16] Per approfondimenti v. R. ROLLI, Il comune degli altri. Lo scioglimento degli organi di governo degli enti locali per infiltrazioni mafiose, ARACNE editrice, Roma 2014; S. CASSESE, I controlli nella pubblica amministrazione, Bologna 1993; C. GELATI, I controlli sugli organi degli enti locali, in Nuova Rassegna, 2000.
[17] L. OLIVERI, Il controllo sostitutivo ed il controllo sugli organi degli enti locali, in giustamm.it
[18] L’articolo 143, comma 3, TUEL prevede, inoltre, che, prima di trasmettere la documentazione probante l’infiltrazione al Ministero, il Prefetto deve obbligatoriamente consultare il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica in aggiunta alla partecipazione del Procuratore della Repubblica competente per territorio. Tuttavia la dottrina in ordine a tale aspetto ritiene che “Costituiscono il Comitato de quo anche il Presidente della Provincia, il Sindaco del comune capoluogo di provincia, nonché i sindaci di altri comuni interessati. La presenza di queste figure quando si affrontano tematiche relative allo scioglimento dell’ente dovrebbe essere inibita, perché potrebbe influire negativamente sulla decisione finale, minando l’imparzialità e neutralità della procedura amministrativa, facendo in modo che assuma una connotazione politica” (cit. V. MONTARULI, Lo scioglimento degli organi elettivi degli enti locali per infiltrazioni della criminalità organizzata, op. cit. p. 93).
[19] Cons. Giust. Amm. Sicilia, sent. 14 marzo 2000, n. 113 “L’incandidabilità costituisce una nuova incapacità giuridica speciale, ontologicamente e teleologicamente diversa dalle altre situazioni che, del pari, impediscono l’elezione o la permanenza in una carica pubblica, perché limitano l’esercizio del diritto di elettorato passivo”. In dottrina, sul punto v. M.S. CINNERA, La partecipazione dell’”incandidabile” alle elezioni per il rinnovo dei consigli comunali (e provinciali): nullità dei voti o delle elezioni? in giustamm.it. L’autore afferma: “Si è riconosciuta nell’incandidabilità una nuova figura di incapacità giuridica (speciale), una situazione, cioè, che, a differenza dell’ineleggibilità e dell’incompatibilità, che come essa afferiscono al diritto di elettorato passivo, incide direttamente quel diritto (meglio, sulla legittimazione rispetto ad a quel diritto) e non, semplicemente, l’esercizio dello stesso”.
[20] Sul tema v. G. AVANZINI, Il Commissario Straordinario, Giappichelli, Torino 2013; G. BERTI, L. TUMIATI, Commissario e Commissione Straordinaria, in Enc. Dir. Vol. 7, Milano, 1960; F. TERESI, I Commissari straordinari, Milano 1994. Per approfondimenti V. anche A. FIORITTO, I Commissari straordinari, Aedon, 2/2009.
[21] Per approfondimenti v. R. CAVALLO PERIN – A. ROMANO, Commentario breve al testo unico sulle autonomie locali, CEDAM, 2006.
[22] Per approfondimenti v. R. ROLLI, Il comune degli altri. Lo scioglimento degli organi di governo degli enti locali per infiltrazioni mafiose, op.cit.
[23] Dati di avvisopubblico.it.
[24] L. SCIASCIA, Il giorno della civetta, Adelphi, Milano 1993: “Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia […]. A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno […] La linea della palma […] Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su per l’Italia, ed è già oltre Roma”.
[25] Sul punto v. N. DALLA CHIESA, M. PANZARASA, La ‘ndrangheta al Nord, Einaudi, Torino 2012; E. CICONTE, F. FORGIONE, I. SALES, Atlante delle mafie. Storia, economia, società, cultura, Volume secondo, Rubbettino Editore, Roma 2013.
[26] Sul tema v. A. NICASO, Alle origini della ‘ndrangheta. La Picciotteria, Rubbettino editore, Soveria Mannelli 1990, p. 7: “La Corruzione è contraria ai principi che guidano la democrazia. Quando le mafie si infiltrano nelle istituzioni indeboliscono lo Stato di diritto che si fonda sul rispetto delle leggi, ma anche sull’uguaglianza e sulla trasparenza. Le mafie restano tali anche quando non fanno uso della violenza, in quanto il clima di assoggettamento può scaturire dalla fama criminale. Le mafie sono pericolose anche quando non si fanno notare, in contesti in cui tutti conoscono tutti, dove certi confini sono sbiaditi”. Sul punto v. anche Per ulteriori approfondimenti V. J. TRUMPER, A. NICASO, N. GRATTERI, M. MADDALON, Male lingue. Nuovi e vecchi codici delle Mafie, Pellegrini, Cosenza 2014; N. GRATTERI, A. NICASO, Dire e non dire. I dieci comandamenti della ‘ndrangheta nelle parole degli affiliati, Mondadori, Milano 2012; L. REPACI, Racconti Calabresi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002.
[27] V. N. GRATTERI, A. NICASO, Fratelli di sangue, Pellegrini, Cosenza 2009; E. CICONTE, Processo alla ‘ndrangheta, Laterza, Bari-Roma 1996; L. PAOLI, Fratelli di Mafia. Cosa Nostra e ‘Ndrangheta, Il Mulino, Bologna 2000; M. BRANDON ALBINI, Mezzogiorni vivo. Popolo e cultura nell’Italia del Sud, Ercoli, Milano 1965; M. CASABURI, Borghesia Mafiosa. La ‘ndrangheta dalle origini ai giorni nostri, Dedalo, Bari 2010; O. MALAGODI, Calabria desolata, Klipper, Cosenza 2005.
[28] Sul tema V. M. MASSARI, Attraverso lo Specchio, Pellegrini, Cosenza 2012; A. MAMMONE, N. TRANFAGLIA, G.A. VELTRI, Un Paese normale? Baldini Castoldi Dalai, 2011; S. FLORIANI, R. SIEBERT, Incontri fra le righe, Pellegrini editore, 2010; E.G. PARINI, La Mafia, il territorio e la società, in La società e il suo doppio (a cura di) F. RUGGERI, FrancoAngeli, Milano 2011; E. G. PARINI, Mafia, politica e reazioni sociali. Due casi in Calabria, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999.
[29] V. per approfondimenti R. ROLLI, Il Comune degli altri. Lo scioglimento degli organi di governo degli enti locali per infiltrazioni mafiose, op.cit.
[30] Per approfondimenti v. M. CLARICH – B.G. MATTARELLA, La prevenzione della corruzione, in MATTARELLA – PELISSERO, La legge anticorruzione, Giappichelli, Torino 2013; G. D’URGOLO, Trasparenza e prevenzione della corruzione nella P.A.: la recente introduzione del Freedom Act of Information nell’ordinamento italiano, in giustamm.it.; A.G. OROFINO, Profili giuridici della Trasparenza Amministrativa, Cacucci editore, Bari 2013.