di Daniela Sodo – Avvocato

Cassazione Civile – Sezione Sesta – ordinanza n. 8841 del 31.03.2021

La vicenda

A seguito di una opposizione avverso un pignoramento presso terzi il Giudice dell’esecuzione disponeva la sospensione della procedura ed all’esito del giudizio di merito rigettava l’opposizione proposta dopo avere ordinato l’integrazione del contradditorio nei confronti del soggetto terzo pignorato e condannato la parte soccombente alla refusione delle spese di lite anche nei confronti dello stesso terzo.

Avverso tale decisione, pertanto, il creditore proponeva ricorso in Cassazione eccependo, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 102,331 e 485 c.p.c. poiché a suo dire il Tribunale avrebbe erroneamente disposto l’integrazione del contraddittorio con il terzo pignorato, privo d’interesse, liquidando quindi a favore dello stesso costituitosi ingiustamente le spese processuali del relativo giudizio.

La decisione

Con la sentenza in commento la Corte Suprema, dopo aver dichiarato l’inammissibilità del ricorso per accertata appellabilità della sentenza di primo grado del Tribunale, in quanto decisoria di un’opposizione all’esecuzione, così qualificata dallo stesso Tribunale, introdotta in data successiva al 4 luglio 2009 e quindi ai sensi dell’art. 616 cpc come modificato dalla Legge n. 69 del 2009 con disciplina transitoria regolata dall’art. 58, sullo specifico punto oggetto di attenzione ha precisato come l’eccezione proposta sarebbe stata comunque ritenuta infondata in quanto il terzo pignorato è parte necessaria dell’opposizione esecutiva in cui si discuta dell’inefficacia o invalidità del pignoramento e, dunque, della liberazione di quanto staggito, avendo egli l’obbligo di non compiere atti che determinino l’estinzione o il trasferimento del credito (Cass. 17/02/2020, n. 3899), fermo restando che qualora il giudice ordini una chiamata, si determina un litisconsorzio necessario processuale (Cass. 06/05/2016 n. 9131, Cass. 30/08/2018 n. 21381).

Le riflessioni conclusive

Con questa laconica e significativa pronuncia i Giudici di legittimità ribadiscono un concetto di diritto quanto mai chiaro ed esaustivo in merito, appunto, alla necessità che laddove l’opposizione ad un pignoramento presso terzi riguardi espressamente motivi di invalidità o di inefficacia dell’atto esecutivo il soggetto terzo pignorato sia sempre litisconsorte necessario con conseguente obbligo della sua chiamata in causa.

Nel caso di specie, oltretutto, nella rilevanza della posizione assunta, in via preliminare ed assorbente, dalla Corte in ordine alla inammissibilità del ricorso di legittimità avverso una sentenza del Tribunale che sarebbe dovuta essere oggetto, ratione temporis, di appello, è significativo il fatto che la stessa Corte, de iure condendo e quasi a corollario della propria decisione, abbia voluto espressamente sancire il principio di diritto sopra enunciato, corredandolo anche di un riferimento alla propria precedente giurisprudenza che ne attesti la sussunzione in un orientamento consolidato sul tema (1) ed evidenziando altresì l’obbligo delle parti di adempiere comunque all’ordine di integrazione del contraddittorio senza, possiamo dire, discussioni di sorta.

Fa riflettere, infatti, al riguardo la “ raccomandazione “ contenuta nell’ordinanza in commento in merito alla necessità che detto ordine del Giudice di chiamata vada sempre e comunque rispettato dalle parti, pena, come è noto, la cancellazione della causa dal ruolo e l’automatica estinzione del processo, poiché è evidente come la stessa rappresenti, nel caso specifico, la chiusura definitiva di un concetto più ampio espresso dalla Corte.

La massima di diritto comunque enunciata dai Giudici di legittimità è giuridicamente ineccepibile sotto un profilo della testuale applicazione codicistica, perché risponde perfettamente al fondamentale principio della efficacia del giudicato e della conseguente opponibilità dei pronunciamenti giurisdizionali emessi, a maggior ragione appunto quando si tratti di discutere della validità di un atto esecutivo, il pignoramento presso terzi, che involge la sfera personale e patrimoniale di esso soggetto terzo pignorato ed i cui provvedimenti eventualmente modificativi devono essere portati a conoscenza di questi dovendone poi esso dare pratica e corretta esecuzione.

Il terzo, pertanto, diviene parte necessaria del giudizio di opposizione alla esecuzione o agli atti esecutivi solo qualora possieda un interesse all’accertamento dell’estinzione del suo debito al fine di non essere costretto a pagare di nuovo al creditore del suo debitore e spetta ovviamente al Giudice di merito accertare, insindacabilmente, questa circostanza imponendo dunque alle parti l’onere dell’eventuale integrazione del contraddittorio.

Ciò che, invece, non convince del tutto e che rappresenta, sia pure in via incidentale, la stranezza del caso in commento è il fatto che sia stata emessa una sentenza, nella fattispecie quella del Giudice di primo grado che ha deciso sull’opposizione, che abbia provveduto alla liquidazione di spese processuali in favore del soggetto terzo pignorato, non tanto e non solo perché, pur non conoscendo ovviamente gli sviluppi nel merito e nel dibattimento del contenzioso, riesce difficile comprenderne le motivazioni, quanto e piuttosto perché non sarebbe plausibile pensare che ciò sia stato determinato unicamente dalla avvenuta costituzione in giudizio del terzo pignorato.

La posizione sostanziale e processuale del terzo, infatti, in linea di massima è notoriamente estranea al contendere o, semmai, quanto meno defilata e comunque generalmente non tale da poterlo legittimare a sollevare eccezioni o rilievi in ordine all’effettivo oggetto del giudizio di opposizione.

Ora, è certamente vero, su un piano squisitamente accademico, che in detta ipotesi quest’ultimo assuma formalmente la veste giuridica di “parte processuale“ e non più, o non solo, quella di sostanziale “ausiliario“ del Giudice che invece acquisiva nella precedente fase nella quale egli è chiamato a rendere, nell’interesse superiore della Giustizia, la dichiarazione ex art. 547 cpc ed è obbligato a farlo in maniera tempestiva e nel rispetto delle prescrizioni codicistiche in modo da evitare inutili perdite di tempo e superflui sub-procedimenti quale può essere, ad esempio, quello di cui all’art. 548 cpc, ma è altrettanto vero, come detto, che lo stesso assiste, quasi passivamente, alla diatriba che di fatto riguarda la parte creditrice e quella esecutata in ordine alla regolarità ed all’efficacia del pignoramento.

Vi è, infatti, una netta differenza tra questa ipotesi, molto particolare e specifica nei suoi presupposti procedimentali, e quella, ad esempio, dell’accertamento del credito pignorato ex art. 549 cpc nella quale ugualmente il terzo pignorato viene coinvolto come “parte processuale” propriamente detta (2).

Solo in quest’ultima fattispecie, invero, a nostro parere detta qualifica in capo al terzo pignorato assume un significato maggiormente comprensibile e, di conseguenza, trova giustificazione la sua eventuale costituzione in giudizio con tutto quanto ne derivi anche in ordine all’applicazione dell’art. 91 cpc in tema di condanna alle spese di causa a carico della parte soccombente, dovendo esso terzo, a rigore, provvedere a tanto mediante patrocinio legale perché non  rientrante, questa fase, in quella propriamente esecutiva.  

Solo in questa ipotesi, pertanto, la statuizione sulle spese diventa non solo auspicabile ma addirittura doverosa, dovendo la stessa certamente interessare, come parte tenutane al rispetto, o lo stesso terzo pignorato che con il suo comportamento negligente abbia dato origine al giudizio di accertamento in questione per aver reso una dichiarazione errata o, peggio ancora, infondata o inveritiera ed aver costretto così il creditore ad ulteriori sforzi processuali (3), ovvero esso creditore procedente nell’ipotesi in cui, magari capoticamente, abbia inteso contestare la dichiarazione del terzo rivelatasi poi assolutamente corretta ed esauriente.

In tal modo, del resto, si spiega anche la possibilità per il terzo, sulla base proprio del provvedimento decisorio a lui opponibile emesso a conclusione del relativo procedimento, di agire nei confronti del creditore procedente per ripetizione dell’indebito oggettivo qualora ve ne siano i presupposti di legge (4).

Non così, invece, è a dirsi per la fattispecie in commento nella quale, a nostro parere, il limite della qualifica del terzo tra “parte processuale” ed “ausiliario del giudice” risulta quanto mai labile e semmai sembrerebbe propendere piuttosto per questa seconda qualifica.

Per quanto, invero, la riforma contenuta nella Legge n. 263 del 28 dicembre 2005 e, successivamente, nel D.L. n. 132 del 12 settembre 2014 abbia certamente limitato il potere motivazionale del Giudice in merito ad una eventuale compensazione delle spese di lite, come è noto dando origine ad un orientamento della Corte Suprema che ha visto sussistenti gli estremi della violazione di legge qualora tale decisione sia fondata su generici motivi di opportunità o di equità (5), non possiamo però pensare che ciò debba comunque sfuggire ad un più generale giudizio di “opportunità processuale” che tenga conto anche delle posizioni assunte dalle parti e dell’applicazione effettiva del principio di causalità e di soccombenza che sottende alla disciplina di cui all’art. 91 cpc.

Riteniamo, invero, che il caso in commento debba oggettivamente sfuggire a quel rigore codicistico che ha indotto il legislatore ad introdurre il comma 2 dell’art. 92 cpc e, dunque, a consentire la compensazione delle spese di lite solo “se vi è stata soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza, rispetto alle questioni dirimenti”, sebbene, come è noto, ciò sia stato “mitigato” dall’intervento della Corte Costituzionale (6) che ha aperto la fattispecie a “gravi ed eccezionali ragioni”.

In realtà, invero, l’ipotesi considerata non rientrerebbe nemmeno, a rigore, nella locuzione utilizzata dalla Corte Costituzionale poiché è evidente come la partecipazione del terzo pignorato ai giudizi di opposizione in questione rappresenti di per sé un passaggio obbligato per assicurare la pienezza del contraddittorio, per cui anche con questa pur lodevole apertura il problema ermeneutico oggi sollevato permane. 

Sorge, infatti, spontaneo chiedersi, salvo che nel giudizio di opposizione la posizione del terzo non abbia assunto rilevanza processuale ai fini del decidere, come possa mai incidere esso terzo pignorato in questa determinazione ed in forza di quale motivazione possa ritenersi “soccombente” la parte condannata a tale obbligo nei confronti del terzo che, lo ripetiamo, in linea puramente teorica, risulti estraneo a qualsivoglia discussione e spettatore solo passivo della controversia relativa al pignoramento eseguito presso di lui.

Non riusciamo invero a rinvenire alcuna plausibile motivazione che non sia quella, purtroppo, di una fredda, asettica e per ciò stesso incomprensibile applicazione del principio dell’obbligo di condanna alle spese di lite nei confronti delle parti comunque costituitesi in giudizio secondo i dettami, appunto, molto rigorosi della normativa sopra richiamata per cui confidiamo a presto in un dibattito, anche giurisprudenziale, sul tema che porti ad una posizione più netta e precisa nel senso da noi sommessamente auspicato.

  1. vedi Cassazione Civile – sentenza n. 10813 del 05 giugno 2020 e, conformi, n. 11585 del 19 maggio 2009, n. 13191 del 26 giugno 2015, n. 2333 del 31 gennaio 2017, n. 26523 del 19 novembre 2017 e n. 17113 del 28 giugno 2018
  • vedi Cassazione Civile, Sezione Terza, n. 26329 del 17 ottobre 2019 e, conforme. Cassazione Civile – Sezione Sesta – sentenza n. 19104 del 15 settembre 2020
  • si legga sul punto A.M. SOLDI, “Manuale dell’esecuzione forzata”, CEDAM, quinta edizione, 2015, pp. 1240 e ss.  
  • vedi Corte Costituzionale – sentenza n. 172 del 10 luglio 2019
  • vedi Cassazione Civile n. 9886 del 27 aprile 2009
  • vedi Corte Costituzionale – sentenza n. 77 del 19 aprile 2018