Mediazione obbligatoria – controversia in materia di condominio – irregolare esperimento della procedure di mediazione per carenza di legittimazione dell’amministratore – onere della parte di attivarsi per il corretto ed effettivo instaurarsi della procedura.

La parte sulla quale grava l’onere di attivare la procedura di mediazione deve attivarsi per il corretto ed effettivo instaurarsi della stessa, non potendosi solo limitare alla presentazione dell’istanza, ma dovendo partecipare alla procedura munito dei poteri necessari allo svolgimento della stessa; grava pertanto sul condominio l’obbligo di adottare la delibera di attribuzione dei poteri all’amministratore, non potendosi questi limitare ad una presenza formale, priva di ogni potere decisionale a causa del mancato costituirsi (validamente) dell’assemblea per mancanza del quorum.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato a mezzo posta con invio in data 21.3.2017, il condominio XY  di via ZZ  in Roma ha proposto appello per la riforma della sentenza n. 2105 del 24.1.2017 con cui il Giudice di Pace di Roma ha dichiarato improcedibile la sua domanda di condanna della condòmina  AA al pagamento della somma di Euro 2.000,00, risultante a suo carico in forza del bilancio consuntivo della gestione ordinaria 2015, approvato con delibera condominiale dell’11.3.2016.

Premesso che il giudice a quo ha motivato la decisione ritenendo che il condominio, pur invitato dallo stesso giudice, non avesse regolarmente attivato la procedura di mediazione obbligatoria, causa la mancata adozione da parte dell’assemblea condominiale – nonostante il rinvio dell’incontro di mediazione – della delibera di autorizzazione all’amministratore di parteciparvi, parte appellante critica la decisione per avere erroneamente ritenuto che la domanda del condominio fosse sottoposta al procedimento di mediazione obbligatoria e per non considerato che il procedimento era stato regolarmente attivato e si era concluso negativamente.

Ha quindi chiesto la riforma della sentenza e, nel merito, che sia accolta la propria domanda, che ha riproposto e sostenuto con l’affermazione che il debito della controparte trova titolo nella delibera assembleare di approvazione del bilancio e del relativo stato di riparto, mai dalla stessa impugnata.

AA si è costituita in giudizio chiedendo la conferma della sentenza, di cui ha difeso le ragioni, e concludendo, nel merito, per il rigetto della domanda, deducendo la nullità della delibera posta a base della pretesa del condominio, per avere essa posto a suo carico la spesa relativa ai lavori effettuati nel 2012 sull’impianto fognario, cui si riferisce l’importo richiesto, in totale spregio del criterio dì ripartizione delle spese stabilito dall’art. 1123 codice civile.

All’udienza del 9.5.2018, precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica.

Motivi della decisione

L’appello proposto è infondato.

La sentenza impugnata merita di essere condivisa, sia nella sua premessa, laddove ha ritenuto la domanda proposta dal condominio sottoposta al procedimento di mediazione obbligatoria, invitando espressamente il condominio, quale parte attrice, ad attivarlo, sia in relazione alla sostanziale irregolarità del procedimento di mediazione introdotto, per non avere ricevuto l’amministratore del condominio – nonostante il rinvio dell’incontro disposto dal mediatore – specifica autorizzazione dell’assemblea a parteciparvi, essendo la relativa riunione andata deserta per difetto del quorum, rendendo così del tutto infruttuosa la procedura.

Quanto al primo profilo è sufficiente richiamare la disposizione dì cui all’art. 71 quater, comma 1, disp. att. cod. civ., che definisce controversie condominiali, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 in tema di mediazione obbligatoria, quelle in cui si discuta dell’applicazione della normativa in materia condominiale posta dal capo II, titolo VII del libro III del codice civile e dagli artt. 61 e seguenti delle disposizioni di attuazione, tra le quali certamente rientrano le liti in cui si controverta sulla debenza a carico dei condomini dei contributi per le spese relative alla gestione delle cose comuni, previsti specificatamente, tra gli altri, dagli artt. 1123 cod. civ. c 63 disp att.

Con riferimento alla irregolarità ed infruttuosità della procedura di mediazione attivata dal condominio, può invece osservarsi che ai sensi del comma 3 del cit. art. 71 quater, l’amministratore di condominio è legittimato a partecipare alla procedura di mediazione solo previa delibera assembleare, che nel caso di specie è mancata, avendo lo stesso amministratore dichiarato al mediatore, che per tale motivo ha chiuso la procedura senza sentire le parti e tentarne la conciliazione, che l’assemblea convocata a tal fine non si era potuta svolgere per difetto del quorum.

Sostiene sul punto l’appellante che nel caso di specie tale delibera dell’assemblea non fosse  necessaria, in quanto l’amministratore ha una legittimazione autonoma, senza necessità di essere autorizzato dall’assemblea, ed anzi il dovere di agire in giudizio nei confronti dei condomini morosi nel pagamento dei contributi condominiali. L’argomento non è però convincente, in quanto la legge distingue chiaramente la legittimazione dell’amministratore ad agire in giudizio per la riscossione dei contributi (art. 1130,comma 1, n. 3, cod. civ. e art. 63 disp. att.) dalla legittimazione dello stesso a partecipare alla procedura di mediazione, richiedendo espressamente in quest’ultimo caso la delibera dell’assemblea, diversità di disciplina che trova chiaramente la sua ragion d’essere nella necessità di conferire a chi interviene in mediazione la possibilità di disporre della lite, vale a dire di negoziare sulla res controversa, salva poi la ratifica da parte dell’assemblea della proposta di mediazione (art. 71 quater, comma 5), e quindi nell’esigenza di potenziare la finalità di composizione della controversia connaturata alla procedura di mediazione.

Ne discende la correttezza della pronuncia di improcedibilità adottata dal Giudice di Pace, in quanto di fatto la procedura di mediazione, pur attivata, non ha avuto luogo per fatto addebitabile al condominio, per essere l’amministratore, che pure vi era intervenuto, privo della legittimazione assembleare a parteciparvi, situazione che di fatto ha impedito di dar corso alla procedura. L’obbligo previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e successive modificazioni di attivare la procedura di mediazione espressamente elevato dalla legge a condizione di procedibilità del giudizio di merito, comporta infatti a carico della parte che debba attivarla, in conformità alle finalità della legge di favorire la composizione bonaria delle liti al di fuori e prima del processo, non solo l’obbligo di introdurre la relativa procedura ma anche di presenziare alla stessa munito dei necessari poteri, essendo questi necessari per il buon esito del procedimento.

Una soluzione diversa, che limiti l’adempimento alla sola presentazione dell’istanza di mediazione e non anche alla partecipazione alla procedura, si risolverebbe infatti in una mera formalità priva di scopo, in quanto mai in questo caso la procedura potrebbe avere successo.

Ne consegue che quando la chiusura anticipata del procedimento, senza possibilità di esperire il tentativo di mediazione, sia addebitabile alla parte istante, per non avere posto in essere la necessaria collaborazione all’espletamento della procedura e non ad  errore dell’organismo di mediazione di cui essa non possa ritenersi responsabile, la condizione di procedibilità prevista dalla legge non può ritenersi adempiuta. Con l’effetto che la domanda di merito è improcedibile.

L’appello va pertanto rigettato, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese dì giudizio.
La richiesta formulala dall’appellata di condanna per responsabilità processuale aggravata è respinta, non rinvenendosi nella condotta del condominio gli estremi del dolo o della colpa grave.

P.Q.M.

rigetta l’appello proposto dal condominio XY di via ZZ  in Roma e lo condanna al pagamento delle spese di questo grado di giudizio, che liquida in curo 2.025,00, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2018.

Mediazione – controversia in materia di condominio – revoca giudiziale dell’ammi-nistratore – improcedibilità per mancato esperimento della procedura di mediazione – Esclusione in considerazione della natura camerale del procedimento

Deve ritenersi esclusa dall’ambito delle controversie condominiali sottoposte a mediazione obbligatoria, l’ipotesi di revoca giudiziale dell’amministratore; sebbene la Corte di Cassazione (con ordinanza del 18 gennaio 2018) abbia precisato l’interpretazione della nozione di “controversia condominale” riportandovi anche le questioni ex artt.  61- 72 disp. att. c.c., (essendo l’art.. 64 disp. att. c.c., relativo, appunto, alla revoca dell’amministratore), tuttavia  l’art. 5, comma 4, lett.f (come sostituito dal d.l. n. 69 del 2013, conv. in l. n. 98 del 2013) del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, è inequivoco nel disporre che il meccanismo della condizione di procedibilità, di cui ai commi 1 bis e 2, non si applica nei procedimenti in camera di consiglio, essendo proprio il giudizio di revoca dell’amministratore di condominio un procedimento camerale plurilaterale tipico.

La Corte di Appello di Palermo

Seconda Sezione civile

Letti gli atti e udito il relatore, osserva quanto segue.

Svolgimento del processo.

Con ricorso del 12 settembre 2017, XX.e YY. chiedevano la revoca di ZZ. dalla carica di amministratore del Condominio WW in Bagheria, lamentando gravi irregolarità consumate nell’adempimento del suo mandato;

deducevano, in particolare, la violazione dell’art. 1129, comma 2° c.c. per non avere comunicato i propri dati anagrafici e professionali;

e del comma 12 n. 1 dell’art. 1129 c.c., per non avere reso il conto della gestione fin dalla sua nomina- avvenuta il 2 aprile 2014-entro il termine di 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio contabile.

L’amministratore eccepiva preliminarmente l’improcedibilità della domanda, per il mancato esperimento del tentativo di mediazione; nel merito, deduceva la cessazione della materia del contendere posto che l’assemblea, nell’adunanza del 30 gennaio 2018, aveva deliberato l’approvazione dei bilanci consuntivi oltre che del bilancio preventivo per il periodo 1 gennaio-31 dicembre 2017.

Aggiungeva che l’assemblea, con la medesima delibera, le aveva confermato l’incarico.

Il Tribunale, con decreto del 4 maggio 2018, rigettava l’eccezione di improcedibilità del ricorso;  sollevava WW. dall’incarico e lo condannava al pagamento delle spese di lite.

Con ricorso dell’11 maggio 2018, WW. ha interposto gravame chiedendo la riforma della pronuncia.

I reclamati hanno resistito al gravame, chiedendone in rigetto e insistendo nell’ulteriore motivo di revoca, dichiarato assorbito dal Tribunale, concernente la mancata presentazione del rendiconti per quasi quattro anni dalla nomina.

Tanto premesso, con il primo motivo, la reclamante lamenta il mancato accoglimento dell’eccezione di improcedibilità del ricorso per il mancato esperimento del tentativo di mediazione.
Si duole che il Tribunale abbia disatteso l’insegnamento della Suprema Corte espresso con
l’ordinanza del 18 gennaio 2018, la quale, nel richiamare espressamente il decreto reso da questa Corte di Appello in data 29 luglio 2016, in un caso analogo, ha dichiarato improcedibile la richiesta di revoca dell’amministratore di un condominio, proprio per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione.

Motivi della decisione

La censura è infondata.

Anche se la massima ufficiale dell’ordinanza del 18 gennaio 2018 indirizza nel senso richiesto dal reclamante, l’integrale lettura del provvedimento non lascia adito a dubbi sulla correttezza della decisione del Tribunale di escludere la soggezione del giudizio di revoca dell’amministratore di condominio al procedimento di mediazione. Afferma il Supremo Collegio “ E’ vero infatti che l’art. 71 quater disp. att. cc., (introdotto dalla L 11 dicembre 2012, n. 220) precisa che per le “controversie in materia di condominio” ai sensi del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 1, si intendono tra le altre, quelle degli artt., da 61 a 72 disp. att. c.c., (essendo l’art.. 64 disp. att. c.c., relativo, appunto, alla revoca dell’amministratore)”. Per contro, l’art. 5, comma 4, lett.f (come sostituito dal d.l. n. 69 del 2013, conv. in l. n. 98 del 2013) del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, è inequivoco nel disporre che il meccanismo della condizione di procedibilità, di cui ai commi 1 bis e 2, non si applica nei procedimenti in camera di consiglio, essendo proprio il giudizio di revoca dell’amministratore di condominio un procedimento camerale plurilaterale tipico.

Con il secondo motivo, WW.  si duole che il primo giudice l’abbia sollevato dal suo incarico, ritenendo erroneamente che la sola mancanza del codice fiscale nella deliberazione di nomina dell’amministratore fosse sufficiente a integrare una grave irregolarità e provocare la revoca dalla carica. Allega che i dati anagrafici erano indicati nel preventivo allegato al verbale dell’assemblea e che il codice fiscale era stato portato in assemblea ma non verbalizzato.

La censura è infondata.

Dagli atti di causa non emerge alcun documento che dimostri l’adempimento del reclamante a tali obblighi in occasione della nomina, tant’è i dati anagrafici sono stati forniti dall’amministratore in occasione dell’adunanza del 30 gennaio 2018, a riprova che non erano stati prodotti prima. In ogni caso, nel corso della medesima assemblea non emerge che sia stato comunicato il codice fiscale.

E poiché secondo la novella n. 220/ 2012, in vigore dal 18 giugno 2013 e pertanto, applicabile ratione temporis, la mancata comunicazione dei detti dati costituisce grave irregolarità, il Tribunaleha correttamente revocato la R. dall’incarico di amministratore del condominio.
E’ troncante, in ogni caso, la sussistenza della grave irregolarità riproposta dai reclamati in questo grado, concernente l’omessa presentazione dei rendiconti dal 2014 fino al 30 gennaio 2018, in palese elusione del dettato normativo secondo il quale tra gli obblighi dell’amministratore di condominio, sia nella precedente disciplina che in quella attuale, vi è quello di redigere ilrendiconto annuale. E ora (dopo la riforma del 2012) deve essere approvato dall’assemblea,appositamente convocata entro centottanta giorni dalla fine dell’esercizio.

E in caso di omissione diquesto adempimento scatta la «grave irregolarità» e la revoca. Tanto è vero che l’articolo 1129 delCodice civile, al 12° comma, n. 1), ritiene che: «Costituiscono, tra le altre, gravi irregolarità: 1) l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale (,.)».

Ciò posto, qualora penda un provvedimento giudiziale di revoca, le delibere di approvazione tardiva dei rendiconti, eventualmente adottate nelle more di detto procedimento, non valgono a sanare l’inadempimento dell’amministratore che ha tra i suoi precipui compiti, quello di rendere il conto della sua gestione. La ratio dì tale previsione è quella di colpire la condotta inerte di quegli amministratori che impediscono di fatto, all’assemblea, ogni tipo di controllo sulla propria gestione.

Con il terzo motivo, l’appellante eccepisce l’improcedibilità della domanda anche sotto il differente profilo della mancata convocazione di un’assemblea prima di adire l’autorità giudiziaria ex art. 1129 c.c.

A parte la novità della questione, introdotta per la prima volta nel giudizio di gravame, si rileva l’infondatezza in diritto dell’argomentazione difensiva proposta dalla reclamante. La revoca giudiziale dell’amministratore, nella sua disciplina sostanziale e procedurale, non ha subito particolari modifiche a seguito della riforma del 2012. Viene, infatti, mantenuta dal legislatore la medesima formula («può altresì essere…»), che consente all’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, di disporre la revoca per le medesime
tre tipiche fattispecie previste ante riforma. Non vi è motivo, pertanto, di discostarsi dalla letterale interpretazione della norma, unanimemente accolta da dottrina e giurisprudenza, che vede il singolo condomino immediatamente legittimato ad adire l’autorità giudiziaria per ottenere la revoca dell’amministratore, senza necessità di coinvolgere preventivamente l’assemblea.

Nessuna condizione di procedibilità può, quindi, ravvisarsi per tale procedimento di volontaria giurisdizione, contrariamente a quanto avviene per il procedimento di nomina
dell’amministratore, per il quale il comma 1 dell’art. 1129 c.c. espressamente condiziona tale azione all’inerzia assembleare (l’inciso che si rinviene nel primo comma «se l’assemblea non vi provvede», non lascia spazio a dubbi di sorta sulla necessità dì una preventiva convocazione assembleare prima di ricorrere all’autorità giudiziaria).

Anche le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano a carico del reclamante ed in favore dei reclamati in complessivi euro 1.450,00. oltre iva e c.p.a. come per legge.

Poiché il reclamo è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte di WW. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione rigettata, a norma del comma 1 bis,

P.Q.M.

Rigetta il reclamo.

Condanna il reclamante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio che liquida in complessivi euro 1.450,00, oltre iva e cpa come per legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art 13 comma 1 quater del testo unico di cui al D.P.R, 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione rigettata, a norma del comma 1 bis.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Appello del 29 giugno 2018.