Di Francesca Dimundo
Sommario: 1. Premessa – 2. Natura giuridica del contratto preliminare. – 3. Risoluzione del contratto preliminare – 4. La trascrizione – 5. 5. Azioni esperibili a tutela degli stipulanti – 6. Ipotesi peculiari del contratto preliminare
1.Premessa.
Il codice civile non contiene una definizione del contratto preliminare, ma fa spesso riferimento allo stesso in diverse norme. Pensiamo all’art.1351 c.c., il quale stabilisce quale forma deve avere il contratto preliminare; all’art.2932 c.c., con riguardo alla esecuzione in forma specifica; all’art. 2645 C.c., che si occupa della trascrizione, ed all’art. 2645 bis c.c., che si occupa della trascrizione del preliminare.
Dal complesso delle norme che richiamano tale figura contrattuale e dei principi che regolano l’intero ambito delle obbligazioni e del contratto in generale, si può dire che il contratto preliminare è il contratto con cui le parti si impegnano a stipulare un successivo contratto, detto definitivo, i cui elementi fondamentali sono già fissati nello stesso preliminare.
Pertanto, esso si presenta come un vero e proprio contratto, tanto è vero che la giurisprudenza, in più occasioni, ha affermato la sua sottoposizione alla disciplina generale della contrattazione, come gli artt. 1337 e 1338 c.c. con riguardo alla buona fede, le norme sulla invalidità del consenso, le norme sulla risoluzione.
Così, al pari di un qualsiasi altro contratto, anche il preliminare possiede una causa. In proposito, secondo la dottrina maggioritaria, la causa del contratto preliminare risiede nella esigenza e nella volontà delle parti di controllare le sopravvenienze. Più precisamente, le parti si vincolano ad un determinato accordo contrattuale, /del quale hanno stabilito il contenuto, la causa, hanno fissato tutti i punti, ma si impegnano a stipulare il contratto in un momento successivo, al fine di avere la possibilità di controllare le sopravvenienze, i mutamenti di fatto e di diritto che potrebbero realizzarsi entro un arco temporale, verificarli, accertarsi della correttezza e della legittimità dell’operazione, in modo da determinarsi al meglio.
2. Natura giuridica del contratto preliminare
Una questione dibattuta riguarda la natura giuridica del contratto de quo.
Una parte della dottrina ha ritenuto che il contratto preliminare abbia natura preparatoria. Questo significa che esso determina l’obbligo di prestare il consenso in una fase successiva, con la conseguenza che unico oggetto di obbligazione è il prestare il consenso. Pertanto, l’assetto causale degli interessi non si determina nella fase di stipula del preliminare, ma nella fase successiva, quando le parti addiverranno alla stipula del contratto definitivo. Da tale considerazione, discende una serie di importanti conseguenze. In primo luogo, è solo il definitivo ad essere in grado di informarci sulla causa tipica di questo contratto; è al contratto definitivo che bisogna guardare per comprendere qual è la causa concreta che le parti stanno perseguendo, per verificare l’assetto degli interessi che i contraenti vogliono realizzare, per accertare la disciplina del contratto. Conseguentemente, nei confronti del contratto preliminare sarebbe possibile esperire solo le azioni poste a tutela della validità del consenso; la parte potrà impugnare il contratto, fare valere i vizi del consenso, chiedendo l’annullamento, o, eventualmente, fare valere delle ipotesi di nullità che possano essersi verificate nel momento in cui le parti si sono impegnate a prestare il successivo consenso. Al contrario, aderendo a questa teoria, non sarebbero esercitabili le azioni che guardano alla prestazione ed all’adempimento e che hanno carattere funzionale, come l’azione di risoluzione, di adempimento, proprio perché le parti non hanno assunto obblighi differenti e ulteriori oltre a quello di prestare il successivo consenso. Un’altra conseguenza importante è che, per comprendere l’assetto degli interessi e la disciplina contrattuale applicabile all’intera operazione, per determinare quali sono gli obblighi delle parti e le posizioni debitorie e creditorie delle stesse, occorre guardare al contratto definitivo, atteso che il contratto preliminare non ha una funzione di individuazione degli obblighi delle parti, ma ha solo la funzione di vincolare le parti alla successiva prestazione del consenso.
Una seconda teoria afferma, invece, che il contratto preliminare sia il luogo giuridico in cui si determina l’assetto degli interessi. Esso è la fonte della causa del contratto, mentre il definitivo è una mera esecuzione del preliminare, un mero atto solutorio dell’obbligo assunto con il prodromico contratto. Pertanto, è al preliminare che bisogna guardare per la valutazione della posizione delle parti, per l’individuazione delle posizioni debitorie e creditorie, degli obblighi che le parti hanno reciprocamente assunto. Naturalmente, sulla base di tale orientamento, si rovesciano completamente tutti gli assunti della teoria precedentemente espressa. È il contratto preliminare che determina la causa concreta e tipica del rapporto; al contratto preliminare sono riferibili non solo le azioni a tutela della volontà delle parti o le azioni sulla validità del consenso, non solo le ipotesi di annullabilità del consenso, di nullità per mancanza di forma; ma, rispetto al preliminare sono esperibili tutte le azioni che attengono all’adempimento, come le azioni di rescissione, di risoluzione, le quali devono guardare al preliminare, che è la sede ove nasce e si sviluppa l’obbligo delle parti.
Le due teorie innanzi spiegate offrono soluzioni diverse in caso di difformità tra contratto preliminare e contratto definitivo: secondo la prima teoria, vale solo il contratto definitivo; per la seconda teoria, vi sarebbe la prevalenza del contratto preliminare e semmai potrebbe porsi solo un problema di validità del definitivo inteso come atto solutorio.
Una terza posizione, consolidata nella dottrina e giurisprudenza, sviluppa e meglio precisa la prima teoria, sostenendo che il contratto preliminare ha una doppia natura. Da una parte, esso ha natura preparatoria, poiché le parti si obbligano a prestare il consenso e l’obbligo principale è quello dello scambio dei consensi con riguardo ad un assetto di interessi che il contratto preliminare individua, ma che poi saranno stabiliti nel definitivo; è al contratto definitivo che dobbiamo guardare per definire gli obblighi e i diritti delle parti con riguardo a quanto fissato prima dal contratto preliminare. Dall’altra, con il preliminare le parti assumono un obbligo immediato, che è quello di prestare tutta l’attività preparatoria necessaria per potere successivamente adempiere all’obbligo previsto per il definitivo. Quindi, le parti si vincolano su un duplice piano: sul piano della successiva prestazione del consenso, ma anche sul piano della necessità di compiere immediatamente tutte le attività che sono indispensabili per potere successivamente addivenire alla stipula del definitivo e adempiere a quanto verrà individuato nel contratto definitivo. In base a tale teoria, è al contratto definitivo che dobbiamo guardare per individuare le posizioni debitorie e creditorie: il preliminare esce dall’orizzonte delle parti, una volta concluso il contratto definitivo, il quale è l’unica fonte che regola il rapporto contrattuale. Conseguentemente, in caso di difformità tra contratto preliminare e contratto definitivo, bisognerà avere riguardo all’ultimo contratto, che è quello che fissa gli obblighi e i diritti delle parti. In questo quadro, potranno utilizzarsi i rimedi a tutela della volontà, ma anche i rimedi risolutori, per l’ipotesi in cui le parti non adempiano ai loro obblighi preparatori.
3. Risoluzione del contratto preliminare
Una questione che storicamente torna all’attenzione della giurisprudenza è quella relativa alla forma della risoluzione consensuale del contratto preliminare, atteso che l’art. 1351 c.c. prevede che il contratto preliminare deve avere la stessa forma richiesta dal contratto definitivo.
Una prima teoria afferma la libertà della forma, stante il principio generale della libertà della forma che vige nel nostro ordinamento, secondo il quale, ove non sia espressamente prevista una data forma, le parti possono concludere liberamente il contratto; tanto si deduce dal fatto che l’art. 1351 c.c. nulla dice in ordine alla risoluzione dei contratti che hanno ad oggetto la compravendita immobiliare, così come nulla dice sulla risoluzione del contratto preliminare. La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, invece, fanno notare come in questo caso agisca il principio del contrarius actus, per cui il contratto stipulato per iscritto non potrebbe che essere risolto per iscritto.
In ordine al contenuto del contratto preliminare, una questione che ha diviso la giurisprudenza è quella riguardante il preliminare ad effetti anticipati, che è quello in cui le parti non soltanto si obbligano alla conclusione di un contratto definitivo, ma prevedono anche che alcuni effetti del contratto siano immediati. Tipica ipotesi è quella di compravendita di bene immobile in cui venditore e compratore, non solo si scambiano la promessa di concludere il contratto definitivo di compravendita, ma conferiscono alcuni effetti immediati a questo contratto, perché il venditore concede all’acquirente l’immediata possibilità di utilizzare il bene immobile e l’acquirente versa al venditore una parte del prezzo. Secondo una prima tesi, in tale caso, non ci si trova di fronte ad un contratto preliminare, ma di fronte ad un definitivo ad effetti differiti, poiché le parti hanno ormai scambiato il consenso sulla vendita dell’immobile che quindi si è trasferito, ed hanno invece spostato nel tempo alcuni effetti, che sono la consegna definitiva dell’immobile e il pagamento dell’intero prezzo. Una seconda teoria afferma che qui ci si trova di fronte ad un ordinario contratto preliminare, dal momento che nulla toglie che le parti in un contratto preliminare possano prevedere prestazioni ulteriori, come quella di dovere eseguire immediatamente alcuni obblighi. Nel 2008, si assiste ad una nuova ricostruzione dell’istituto ad opera della Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali basano la loro elaborazione sulla figura del collegamento negoziale, dando vita ad una posizione che è poi divenuta maggioritaria. In particolare, esse ritengono che in questa fattispecie vengano in rilievo tre contratti: il contratto preliminare, con cui le parti si obbligano alla prestazione successiva del consenso in ordine al contratto definitivo, accanto a questo contratto preliminare di compravendita c’è un comodato, per cui una parte attribuisce ad un’altra in comodato un bene immobile e la controparte che versa il prezzo sta facendo un mutuo gratuito. Da ciò deriva che la materiale disponibilità del bene di cui gode l’acquirente va qualificata come detenzione proprio perché discende da un contratto di comodato: detenzione qualificata perché esercitata nel proprio interesse ma alieno domino. Quindi, non ci si trova di fronte ad un possesso, né tanto meno ad un possesso valido ad usucapionem, salvo che non vi sia stata un’ipotesi di interversio possessionis ai sensi dell’art. 1411, nel senso che il soggetto ad un certo punto inizia ad utilizzare il bene come fosse proprio. I termini di decadenza, di prescrizione per le azioni edilizie per i vizi del bene decorrono in ogni caso dal contratto definitivo; quindi, questa detenzione non porta ad una anticipazione degli effetti traslativi; perciò, il termine di prescrizione per l’azione edilizia inizia a decorrere dal momento in cui il contratto definitivo è stato stipulato ed il bene definitivamente consegnato.
4. La trascrizione del contratto preliminare
Un tema importante è quello relativo alla trascrizione. L’art. 2645 bis c.c. prevede la possibilità di trascrivere alcuni contratti preliminari, quando questi abbiano i requisiti previsti dalla legge. Le conseguenze di questa trascrizione che vanno a tutela dell’acquirente, della parte debole che acquista l’immobile, sono due: l’effetto tipico della trascrizione che è quello prenotativo, che fa si che, quando il definitivo venga successivamente stipulato, gli effetti del contratto definitivo retroagiscono al momento della trascrizione del contratto preliminare, ciò a tutela del soggetto che provvede alla sua trascrizione. La giurisprudenza sottolinea che questo effetto prenotativo si verifica quando vi sia una perfetta corrispondenza tra il contratto preliminare e il contratto definitivo. Il secondo effetto è previsto dall’art. 2775 bis c.c., il quale sancisce la nascita di un privilegio speciale sull’immobile a favore del prommissario acquirente in caso di mancata esecuzione del contratto preliminare. Tuttavia, questo effetto, ai sensi dell’art. 2775 bis c.c., non è opponibile ai creditori garantiti da ipoteca relativi a mutui erogati al promissario per l’acquisto del bene immobile nonché ai creditori garantiti da ipoteca ai sensi dell’art. 2825bis; quindi, detta norma prevede che questo privilegio ceda di fronte ad ipotesi particolari di ipoteca, indicate nel 2° co.. Il punto oggetto di dibattito è stato la capacità di questo privilegio di essere superiore a ipoteche diverse rispetto a quelle individuate dal 2° co. dell’art. 2775 bis. Ci si è chiesti se la trascrizione del contratto preliminare ed il privilegio che ne deriva, consentano all’acquirente di essere preferito anche ai creditori garantiti da ipoteca diversi rispetto a quelli espressamente previsti dal ricitato art. 2775 bis, co.2., considerato che l’art.2748, 2 co., c.c., prevede che “ i creditori che hanno privilegio sui beni immobili sono preferiti ai creditori ipotecari se la legge non dispone diversamente”. Con riferimento alle altre ipotesi di ipoteca, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno bene ricostruito anche il tema del privilegio nel suo rapporto con l’ipoteca ma anche nelle sue caratteristiche intrinseche. Si è affermato che l’art. 2748 c.c. non fa riferimento ad ipotesi espresse di legge, non dice che il privilegio prevale sull’ipoteca salvo le ipotesi espressamente previste dalla legge, ma fa riferimento alla legge in generale, all’ordinamento giuridico in generale, nel quale occorre trovare la risposta a questo interrogativo. Al fine di risolvere tale quesito, occorre muovere dalla ratio del privilegio. Il privilegio, in generale, va a tutelare posizioni di soggetti deboli, che l’ordinamento giuridico ritiene meritevoli di particolare tutela, perché la loro posizione riflette una situazione di interesse generale che merita una tutela superiore rispetto alla condizione del titolare di ipoteca. Nel caso in questione, questa situazione non si verifica perché ci si trova di fronte a due soggetti che sono entrambi creditori; l’uno, creditore portatore di ipoteca, l’altro, titolare del credito derivante dal preliminare che ha trascritto; l’ordinamento giuridico non ha ragione per ritenere degno di maggiore tutela l’uno piuttosto che l’altro, perché nessuna delle due posizioni riflette un interesse generale. Ecco perché, quindi, guardando all’intero ordinamento giuridico può escludersi che il privilegio derivante dalla trascrizione del contratto preliminare possa prevalere sulle altre ipoteche che siano state precedentemente iscritte. In questo caso prevale l’ipoteca.
5. Azioni esperibili a tutela degli stipulanti
A questo punto è utile analizzare i rimedi esperibili a tutela degli stipulanti.
Con riferimento alla risoluzione del contratto preliminare, la giurisprudenza aderisce alla teoria secondo la quale, dal contratto preliminare, derivi non solo l’obbligo di prestare il consenso, ma derivino anche obblighi prestazionali: una vera e propria doppia natura. Questo significa che nei confronti del contratto preliminare è possibile l’azione risolutoria ma non soltanto. La giurisprudenza ammette anche la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta; nel riconoscere la rescissione anche al contratto preliminare, si ritiene che, in tale caso, essa avrebbe un doppio termine iniziale, che decorre dal contratto preliminare ma anche dal contratto definitivo. La giurisprudenza, invece, esclude la revocatoria del contratto preliminare, perché esso non ha effetti traslativi e non rientra pertanto nell’ambito degli atti di cui all’art. 2901 c.c.. Senz’altro, la revocatoria è ammissibile nei confronti del contratto definitivo; ma, nell’ottica della realizzazione di una unitaria operazione economica, alla quale danno origine nel loro complesso i due contratti, mentre l’accertamento dell’elemento soggettivo va riferito al contratto preliminare, che rappresenta il momento in cui si compie e si consuma la libera scelta di contrarre del terzo ed in cui va operata la valutazione di priorità della tutela da accordare alla conservazione della garanzia patrimoniale per i creditori o alla conservazione della scelta negoziale del terzo; l’eventus damni dovrà essere accertato avendo riguardo al momento della stipula del definitivo, che riducendo il patrimonio immobiliare del debitore pone in essere il concreto pericolo di un effetto lesivo per il ceto creditorio.
Una questione molto interessante, della quale si è occupata la giurisprudenza, riguarda la nullità del contratto preliminare per mancanza dei requisiti urbanistici dell’immobile oggetto del trasferimento. In tema, è espressamente previsto a pena di nullità che vada inserito nel contratto di trasferimento immobiliare il titolo concessorio, la concessione urbanistica, la regolarità urbanistica, e che, in caso di mancata indicazione, il contratto è nullo. La giurisprudenza ci dice però che il contratto preliminare non può essere affetto da questa nullità. Infatti, la speciale ipotesi di nullità derivante dalla mancanza dei requisiti urbanistici riguarda esclusivamente il contratto di trasferimento immobiliare, riguarda il contratto traslativo e non riguarda ancora il contratto preliminare. Per cui, il trasferimento del bene privo di concessione è nullo e non la promessa di trasferimento. Quindi, il vincolo giuridico nasce e semmai dall’impossibilità di compiere la prestazione in esso prevista, cioè di compiere il contratto valido di trasferimento, perché ovviamente il contratto definitivo sarebbe nullo lì dove la concessione non venisse rilasciata, potrebbe prospettarsi una responsabilità per inadempimento; anche perché, nel periodo di tempo che intercorre tra il preliminare e il definitivo, la parte obbligata potrebbe ottenere il titolo concessorio e, quindi, rendere regolare il trasferimento.
Un’altra forma tipica di tutela è prevista dall’art.2932 c.c., il quale consente alla parte non inadempiente di ottenere una esecuzione in forma specifica in cui la sentenza del giudice che ha valore costitutivo prende il luogo del contratto e, quindi, attraverso l’intervento del giudice si determina la nascita del rapporto che non è nato attraverso la prestazione del consenso della controparte. Per potere agire ex art. 2932 c.c., è necessario che il termine sia scaduto e, ove sia stato previsto, la costituzione in mora delle parti. Tuttavia, non viene in rilievo la colpa. Il ritardo prescinde completamente dalla colpa che invece è necessaria per l’eventuale azione risarcitoria. Il secondo presupposto è l’offerta della controprestazione, che l’art. 2932 cc. prevede debba essere fatta nei modi di legge; deve trattarsi di una seria manifestazione di volontà, altrimenti, ci si troverebbe di fronte ad un’ipotesi di inadempimento. L’offerta si concretizza nell’offerta di stipulazione del contratto, mediante invito presso un notaio, se si tratta di trasferimento di bene immobile con indicazione del tempo e del luogo. La giurisprudenza, tuttavia, tende a condizionare l’effetto traslativo della sentenza al pagamento effettivo del prezzo da parte dell’acquirente ove sia inadempiente il debitore. La giurisprudenza, inoltre, richiede che sussistano tutti gli elementi perché si possa addivenire alla sentenza ex art. 2932 c.c. : ove occorra la concessione edilizia per il trasferimento immobiliare, essa è indispensabile perché si possa avere la sentenza ex art. 2932 c.c. . In passato, si riteneva che dovesse esserci un perfetto parallelismo tra il contratto preliminare e la sentenza ex art. 2932 c.c. e non fosse possibile alcun tipo di modifica. In realtà, piano piano, anche questa posizione è stata scalfita, e, con riferimento al tema dei vizi, la giurisprudenza ritiene che il promissario acquirente, di fronte all’inadempimento del debitore, sotto il profilo della prestazione del consenso ma anche sotto il profilo della qualità del bene, dei vizi presenti nel bene, possa chiedere al giudice l’azione quanti minòris nell’ambito dell’azione ex art. 2932 c.c. La sentenza ha effetti costitutivi e determina gli effetti del contratto che doveva essere concluso; tuttavia, ha natura giudiziaria, ma tale sua natura non altera il fatto che si tratti di rapporto contrattuale, che ha la sua fonte nell’espressione del consenso che le parti hanno dato nel contratto preliminare; è una sentenza che tiene luogo del contratto e che non altera la natura contrattuale del rapporto. Quindi, si produrranno gli effetti tipici del contratto e le parti potranno ricorrere ai rimedi contrattuali nelle ipotesi di inadempimento, eccessiva onerosità sopravvenuta, impossibilità della prestazione. La sentenza, invece, non può essere oggetto di rimedio contrattuale, ma può essere impugnata solo nelle forme tipiche delle impugnazioni delle sentenze. Ovviamente, l’inadempimento del preliminare può dare luogo a tutti gli altri rimedi che sono tipici dell’inadempimento contrattuale e, quindi, anche la risoluzione per inadempimento.
6. Ipotesi peculiari del contratto preliminare
All’attenzione della giurisprudenza sono state riportate alcune questioni riguardanti l’ammissibilità del contratto preliminare di preliminare, del contratto preliminare di vendita di cose altrui e di beni in comunione legale.
Con riguardo al preliminare di preliminare, si osserva che, talvolta, le parti si impegnano non a stipulare il contratto definitivo, ma a stipulare un contratto preliminare, nel quale, poi, a sua volta, si impegneranno alla stipula di un contratto definitivo.
Le Sezioni Unite,nel 2009 , hanno ritenuto che questo contratto manchi della meritevolezza di tutela, facendo notare che, rispetto a tale fattispecie, siano configurabili due possibilità: o le parti si sono, in realtà, impegnate ad un contratto definitivo e, quindi, si tratta di un normale contratto preliminare, oppure si tratta di un contratto nullo perché le parti stanno rinviando ad un successivo preliminare, mancando, quindi, l’oggetto del contratto preliminare.
Nel 2015, le Sezioni Unite hanno ribaltato questa posizione, sostenendo che non può escludersi a priori che in ogni ipotesi di preliminare di preliminare manchi la serietà nel rapporto; occorre, piuttosto, analizzare la causa concreta di quel rapporto, bisogna comprendere cosa le parti hanno esattamente voluto attraverso la stipulazione del preliminare di preliminare. Infatti, è possibile che le parti abbiano inteso impegnarsi alla stipulazione del successivo contratto, senza volere essere sottoposti alla disciplina di cui all’art. 2932 che normalmente si applica all’ipotesi di contratto preliminare. La loro volontà potrebbe essere nel senso di stabilire che, in ipotesi di inadempimento, vi sia soltanto una responsabilità risarcitoria per inadempimento contrattuale. Le parti si impegnano alla stipulazione di un successivo contratto preliminare, in modo tale che, durante questa fase, ove il controllo delle sopravvenienze porti ad un ripensamento, non possa trovare applicazione 2932 c.c., per cui la parte adempiente non può rivolgersi al giudice per ottenere una sentenza che tenga luogo del contratto non concluso; si determina, solo, una sua responsabilità risarcitoria da inadempimento, ma non si vedrà però costretto alla nascita del rapporto giuridico a seguito di una sentenza costituiva ex art. 2932 c.c.. Quindi, compito del giudice è quello di verificare se le parti hanno voluto concludere solo una sorta di puntuazione, che per quanto specifica non determina la nascita del contratto, rinviando la stipulazione del contratto preliminare; in tale caso, il rapporto è nullo, non ha valore giuridico; tutt’al più, potrebbe valere al fine della responsabilità precontrattuale ove ne ricorrano i presupposti, ma non si avrebbe un contratto preliminare meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico; oppure, è possibile che le parti abbiano costruito un rapporto in cui la causa concreta sia quella di consentire un controllo delle sopravvenienze forte, in modo da consentire ad una parte un ripensamento ed essere tenuta eventualmente solo al risarcimento del danno, senza essere costretta ad una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c .
Nel caso di preliminare avente ad oggetto la vendita di cose altrui, le Sezioni Unite hanno affermato che il soggetto che si impegna con un contratto preliminare a vendere un bene che non è di sua proprietà, ma che è altrui, affermando che il bene sia proprio, non conclude un contratto nullo. Il contratto preliminare avente ad oggetto un bene altrui è ammissibile e la risoluzione del contratto per impossibilità o per inadempimento non è consentita fino al momento in cui non scade il termine per la conclusione del contratto definitivo, perché fino a quel momento la parte potrebbe ottenerne la proprietà del bene e, quindi, essere in grado di adempiere puntualmente alla proprio obbligo.
Nel caso di preliminare avente ad oggetto la vendita di un bene in comunione legale senza il consenso dell’altro coniuge, la Cassazione afferma che non è necessaria la volontà di entrambi i soggetti proprietari dell’immobile in comunione legale; ma, ai fini della validità del contratto preliminare, basta solo il consenso dello stipulante, non essendo la mancanza del consenso dell’altro coniuge presupposto di nullità, ma di annullabilità che va fatta valere ex art. 184 c.c. ,nei termini previsti dalla norma. È la stessa soluzione che la giurisprudenza ha assunto in tema di donazione di beni in comunione legale. La Cassazione ha ritenuto nullo il contratto preliminare quando tutti i soggetti del rapporto, sia venditore che acquirente, conoscono il fatto che il bene sia in comunione legale e che l’altro coniuge non ha prestato il consenso.
Francesca Dimundo