Non è necessaria la celebrazione dell’interrogatorio di garanzia in caso di accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero da parte del tribunale della libertà.

Prime riflessioni a caldo dopo l’informazione provvisoria diramata il 26 marzo scorso dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Di Enrico Ajmar

1. A seguito della camera di consiglio del 26 marzo scorso, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risposto negativamente al quesito posto dalla IV sezione della medesima Corte1 in ordine alla necessità di procedere ad interrogatorio di garanzia a seguito di misura disposta dal tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero.

Nell’attesa del deposito delle motivazioni della decisione, è possibile ripercorrere gli orientamenti interpretativi che hanno portato la sezione semplice a decidere di rimettere la questione al massimo consesso e sviluppare alcune prime considerazioni.

2. Due, fino ad oggi, gli orientamenti sul campo, come ben sintetizzato proprio nell’ordinanza di rimessione.

2.1. Il primo, espresso da una pronuncia del 2014 ad opera della VI sezione2 e ribadito da una successiva del 20173, di segno negativo.

La Corte, infatti, così aveva concluso: «qualora il tribunale, in accoglimento dell’appello del p.m. avverso la decisione di rigetto del gip, applichi una misura cautelare coercitiva, non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia, in quanto il provvedimento emesso in sede di appello cautelare è preceduto dall’instaurazione di un contraddittorio pieno, finalizzato ad approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare anche attraverso i contributi forniti dalla difesa».

A sostegno di tale orientamento si sono addotti diversi argomenti.

In primo luogo, la ratio dell’interrogatorio di garanzia sarebbe quella di ripristinare il contraddittorio tra le parti, fino ad allora non verificatosi attesa la decisione inaudita altera parte, caratteristica dell’emissione delle misure cautelari. Tale necessità, a tutta evidenza, non si paleserebbe in caso di applicazione della misura in seguito ad appello del Pubblico Ministero, attesa la possibilità per la difesa di portare elementi prima dell’eventuale sottoposizione dell’indagato. A ciò fa inoltre seguito la possibilità di proporre ricorso per Cassazione prima dell’esecuzione della misura.

In secondo luogo, la tesi sarebbe avallata da due casi in cui non si prevede l’adempimento dell’interrogatorio di garanzia, ossia il caso di misura emessa dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento e quello di «rinnovazione della misura a seguito di caducazione per ragioni meramente rituali e di rito di un precedente provvedimento coercitivo in relazione agli stessi fatti, con pregressa rituale celebrazione dell’interrogatorio».

2.2. Il secondo orientamento, sposato dai rimettenti ed espresso da una sentenza che si colloca temporalmente in mezzo alle due pronunce di segno opposto4, opta invece per riconoscere l’obbligatorietà dell’interrogatorio di garanzia a seguito dell’esecuzione di una misura coercitiva stabilita dal tribunale del riesame.

A sostegno di tale tesi si portano diversi argomenti, riproposti nell’ordinanza di rimessione.

In primo luogo, l’art. 294, comma 1 c.p.p. si limita ad escludere l’ipotesi di avvenuta apertura del dibattimento5 e quella di già intervenuto interrogatorio in sede di convalida dell’arresto o del fermo. Non vi è un’ulteriore eccezione espressa che consideri il caso di misura disposta dal tribunale in sede di appello ex art. 310 c.p.p.

In secondo luogo, si valorizza la ratio difensiva – e non istruttoria – dell’istituto, enucleabile anche dalla giurisprudenza costituzionale6 e dalle disposizioni che determinano la caducazione della misura in ipotesi di mancata celebrazione.

In terzo luogo, si valorizzano le differenze rispetto al diritto dell’indagato a rilasciare dichiarazioni spontanee in sede di riesame, atteso che ivi «il giudicante non provvede alle ammonizioni previste nell’art. 64 c.p.p.». Inoltre, l’indagato si trova a difendersi in relazione ad una potenziale applicazione e non in seguito all’avvenuta esecuzione della misura.

In quarto luogo, si evidenzia come tra applicazione in sede di appello ex art. 310 c.p.p. ed esecuzione intercorrano anche alcuni mesi, attesa la sospensione dell’efficacia della misura e la possibilità di ricorrere per Cassazione.

Infine, si rammentano alcuni precedenti in cui la Corte di legittimità ha avuto modo di pronunciarsi incidentalmente sulla questione, sancendo la competenza del Gip per la celebrazione dell’interrogatorio di garanzia a seguito di misura cautelare disposta dal riesame7.

3. La VI sezione, oltre a richiamare tutti gli elementi appena enucleati a favore della tesi dell’obbligatorietà, ricorda altresì che sussiste una differenza ontologica tra il contraddittorio in sede di riesame e quello in sede dibattimentale per via della “immanente presenza dell’imputato” in quest’ultima; circostanza, questa, che solo lì renderebbe superflua la celebrazione dell’interrogatorio di garanzia.

4. Ebbene, disattendendo i rilievi dei giudici rimettenti, le Sezioni Unite hanno invece optato per la tesi negativa.

In attesa del deposito della motivazione, si possono fornire alcune coordinate ermeneutiche a sostegno dell’orientamento ormai da considerare prevalente, principalmente mediante l’analisi degli argomenti di segno opposto.

Anzitutto, ineludibile è il dato per cui l’art. 294, comma 1 c.p.p. non prevede quale eccezione alla regola generale il caso di applicazione della misura in sede di appello del P.M. Tuttavia, la disciplina delle impugnazioni è contenuta in un diverso capo e si tratta di una disciplina speciale rispetto a quella che dispone l’applicazione delle misure da parte del giudice procedente. Se il legislatore avesse voluto prevedere la celebrazione dell’interrogatorio di garanzia anche in appello, lo avrebbe espressamente specificato.

A questa conclusione non ostano nemmeno gli altri tre argomenti addotti dall’orientamento proposto dai giudici rimettenti. La ratio difensiva – e non istruttoria – dell’interrogatorio non obbliga la sua celebrazione nella fase che, in ottica di codice di matrice accusatoria, è quella istruttoria per antonomasia, ossia il dibattimento. La possibilità di contribuire ex ante alla decisione in ordine all’applicazione della misura anziché potersi difendere solo dopo è di gran lunga più efficace in ottica difensiva, atteso che peraltro il difensore ha più “margine di manovra”, i tempi per imbastire una difesa sono più lunghi e l’indagato non è costretto ad avvalersi del diritto al silenzio, che è sì un diritto ma anche una pesante ipoteca atteso che si rifiuta, nel momento in cui è più immediatamente in gioco un valore quale la libertà personale, di proporre una versione alternativa a quella accusatoria8.

Infine, l’esecuzione dilazionata della misura è stabilita a favore e non a detrimento dell’indagato, che può anche decidere di non proporre ricorso per Cassazione per portare subito elementi nuovi al giudice che procede mediante istanza di revoca o sostituzione. In tale ultima sede, «il giudice, valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di provvedere può assumere l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini. Se l’istanza di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, il giudice deve assumere l’interrogatorio dell’imputato che ne ha fatto richiesta»9.

Nel complesso, pertanto, in attesa comunque del deposito delle motivazioni, si può iniziare a salutare favorevolmente l’orientamento accolto dalle Sezioni Unite.

1 Cass., sez. IV, ordinanza n. 1243 del 14 gennaio 2020.

2 Cass., sez. VI, n. 50768/2014.

3 Cass., sez. II, n. 38828/2017.

4 Cass., Sez. VI, n. 6088/2014 (dep. 2015).

5 Il contraddittorio garantito in questa sede rende superflua la celebrazione dell’interrogatorio di garanzia, atteso che l’imputato ha il diritto di essere sottoposto ad interrogatorio dal tribunale e di rendere spontanee dichiarazioni (cfr. art. 421, comma 2 c.p.p.).

6 Cfr. Corte cost., n. 95/2001 in cui si è dichiarata illegittima la mancanza di una previsione normativa che imponesse la celebrazione dell’interrogatorio di garanzia anche in seguito all’applicazione di una misura non custodiale.

7 Cfr. Cass., Sez. I, n. 2761/1992, Confl. comp. Trib. Sassari e G.I.P. Pret. Sassari; Cass., Sez. I, n. 3608/1992, Confl., comp. G.I.P. Pret. Crotone e Trib. Catanzaro. Un ulteriore precedente in tal senso, non menzionato nell’ordinanza di rimessione, è Cass., Sez. I, n. 43309/2007, confl. Comp. G.i.p. Trib. Treviso e Trib. Venezia, annotato da G. Cometti, Sulla competenza per l’interrogatorio di garanzia nel caso di custodia cautelare disposta dal tribunale in sede di appello, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, n. 2/2009, pp. 993 ss.

Nell’atto prodromico a quest’ultima pronuncia, il Gip sosteneva la competenza del tribunale in quanto quest’ultimo “giudice che ha deciso in ordine all’applicazione della misura cautelare” ex art. 294, comma 1 c.p.p. Dinanzi a tale assunto di una certa pregnanza letterale, i giudici di legittimità hanno opposto il rilievo per cui è solo il Gip “giudice che procede”, ex art. 279 c.p.p. e che la nuova formulazione dell’art. 294, comma 1 c.p.p. e l’introduzione del comma 4 bis nel medesimo articolo vanno spiegati alla luce delle pronunce della Consulta (nn. 77/1997 e 32/1999) che hanno imposto la celebrazione dell’interrogatorio fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. A suffragio di tale impostazione, la Corte ha richiamato altresì due propri precedenti (uno è il già menzionato Cass., Sez. I, n. 2761/1992; l’altro è Cass., Sez. I, n. 3668/1992), portando a sostegno della competenza del Gip anche le “difficoltà operative” che una diversa soluzione avrebbe comportato.

Il problema è ora a tutta evidenza superato dalla pronuncia delle Sezioni Unite le cui motivazioni si attendono. Non ci si può comunque esimere dal rilevare che la conclusione cui era addivenuta la Corte in punto competenza poteva essere la logica conseguenza di un diverso, e forse più lineare, percorso ermeneutico. Infatti, l’art. 279 c.p.p. fa riferimento al giudice che procede per precisare la competenza all’emissione della misura e non, più specificamente, in ordine alla celebrazione dell’interrogatorio di garanzia. Le novità normative introdotte a seguito delle pronunce di incostituzionalità, se ispirate da ratio differente, potevano comunque essere lette anche in una luce di affermazione della competenza del tribunale del riesame. Infine, le difficoltà operative, per quanto sussistenti, non possono certamente influenzare l’interprete nella determinazione della competenza. Si sarebbe forse potuto sostenere che il tribunale del riesame, nel decidere l’appello ex art. 310 c.p.p., sottostà alla disciplina ivi prevista, speciale rispetto a quella che il codice detta per l’applicazione della misura da parte dell’autorità che procede. Ebbene, atteso che quindi il riesame, sottostando alla propria speciale disciplina, non potrebbe sostituire o revocare il proprio provvedimento in seguito alla celebrazione dell’interrogatorio di garanzia, questo, in ossequio al disposto dell’art. 294, comma 3 c.p.p., non potrebbe che essere, per esclusione, celebrato proprio dinanzi al Gip.

8 Sarebbe peraltro interessante analizzare nella prassi giudiziaria la percentuale delle volte in cui gli indagati si sono sottoposti efficacemente ad interrogatorio.

9 Cfr. art. 299, comma 3 ter c.p.p.