La Corte di Cassazione ribadisce alcune coordinate ermeneutiche nell’ambito dell’accertamento della responsabilità dei magistrati.

Nota a Cass., III sezione civile, n. 7760/2020

Di Enrico Ajmar

1. Con la pronuncia in commento i giudici di legittimità, nel cassare la decisione della Corte territoriale, hanno avuto modo di svolgere alcune precisazioni in punto accertamento del nesso eziologico nel giudizio di risarcimento del danno per inerzia della magistratura requirente.

2. Significativa è la vicenda che occasiona l’intervento della Suprema Corte.

In sostanza, a monte del giudizio civile in esame vi è una difficile separazione tra coniugi, sfociata poi nell’omicidio della donna. Tale ultimo evento è però anticipato da numerose condotte dell’uomo1, riportate all’autorità giudiziaria dalla persona offesa con dodici denunce presentate nell’arco di un anno. In ultimo, alcuni mesi prima dell’omicidio, la donna denuncia nuovamente l’uomo per delle minacce effettuate con un coltello a serramanico; lo stesso utilizzato per il compimento del delitto.

I figli della donna, ravvisando nel mancato ordine di perquisizione e sequestro una condotta omissiva in capo alla Procura della Repubblica di Caltagirone2, presentano così domanda di condanna dello Stato italiano al risarcimento del danno. In primo grado la domanda viene accolta ma, in appello, la Corte territoriale nega il risarcimento riformando la sentenza del tribunale.

Oggetto del ricorso e, conseguentemente, della pronuncia in commento è il ragionamento compiuto dai giudici di seconde cure in punto nesso di causalità tra omissione della magistratura requirente ed evento morte3.

3. A tal proposito, la Corte di legittimità accoglie le censure di contraddittorietà avanzate dalla difesa.

Infatti, se da un lato i giudici di appello evidenziano la fermezza del proposito omicida, parlando di omicidio accuratamente programmato e nient’affatto connotato da dolo d’impeto, dall’altro effettuano una valutazione del tutto astratta, statuendo che l’eventuale sequestro del coltello non avrebbe impedito la morte della donna.

Efficacemente la Suprema Corte evidenzia come, così motivando, si priva di rilevanza la condotta omissiva dilatando «l’incidenza dell’inadempienza dell’organo giudiziario ai limiti del caso fortuito e della forza maggiore» o comunque restringendo «l’evitabilità dell’evento ai soli casi di assoluta impossibilità di una condotta positiva alternativa». L’accertamento del nesso causale in tema di responsabilità civile risponde invece a logiche del tutto diverse e si basa sull’accertamento della probabilità positiva o negativa in concreto e non statistica, quindi secondo il giudizio di c.d. probabilità logica4.

La contraddizione nel provvedimento impugnato è dunque evidente: il nesso eziologico deve essere anzitutto valutato in concreto e, hic et nunc, l’evento morte è stato cagionato dal coltello. Escludendo si sia trattato di un omicidio d’impeto, si esclude altresì che l’aggressore avrebbe comunque posto in essere il delitto così come realizzatosi utilizzando un qualunque altro utensile presente sul luogo del delitto; vero è che l’omicidio, programmato in anticipo, ha previsto proprio l’uso del coltello, di cui è mancato il sequestro, portato apposta per l’occasione e non trovato casualmente nelle vicinanze del luogo dell’aggressione.

Atteso che la non corretta applicazione delle norme riguardanti l’accertamento del nesso eziologico configurano violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.5, la Corte conclude annullando l’impugnata sentenza e rinviando la causa ad altra Corte d’Appello.

1 Non menzionate nella pronuncia in commento attesa l’irrilevanza ai fini risarcitori.

2 La Procura, una volta ricevuta la notitia criminis, ha «proceduto esclusivamente alla – doverosa – iscrizione… nel registro degli indagati per i reati di cui agli artt. 612 e 388 cod. pen.; 4, l. 110/75 con successivo esercizio dell’azione penale». Peraltro, come evidenziato nella sentenza d’appello, «il quadro normativo dell’epoca (2007) non consentiva la richiesta, e quindi l’emissione, di misura cautelare per i fatti di cui alle denunce del giugno 2007, né era stato introdotto nell’ordinamento il reato di cd. Stalking, di cui al d.l. n. 11 del 23/11/2009» e, non risultando patologie psichiatriche o stati di tossicodipendenza, non sussistevano i «presupposti applicativi della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura di cui agli artt. 73 e segg. cod. proc. pen. e per il trattamento sanitario obbligatorio di cui alla legge n. 833 del 23/12/1978».

3 Con il ricorso la difesa ha altresì riproposto la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali, disattesa dal tribunale. Tale profilo è stato però reputato assorbito dal primo e dovrà essere riproposto dinanzi al giudice del rinvio.

4 Cfr. Cass. n. 23197/2018, richiamata nella pronuncia in commento.

5 Così Cass. n. 13096/2017, richiamata nella pronuncia in commento.