Non è giustificata la discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato in ordine agli aumenti dovuti all’anzianità maturata.

Di Enrico Ajmar

1. Con la pronuncia in commento la quarta sezione della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, con ciò confermando l’impostazione dei primi due giudici, che hanno riconosciuto una discriminazione nel mancato riconoscimento ai lavoratori precari degli aumenti retributivi conseguenti all’anzianità; aumenti riconosciuti, invece, ai colleghi a tempo indeterminato.

2. In particolare, la Corte ha ravvisato come la pronuncia di appello sia conforme all’orientamento di legittimità secondo cui «nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini dell’attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato… sicché vanno disapplicate le disposizioni dei… c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato»(1). Ciò in virtù del fatto che manca una giustificazione oggettiva alla prevista disparità di trattamento.

3. Ulteriore questione problematica affrontata dalla quarta sezione è costituita dalla durata della prescrizione. A tal proposito, la Corte, dichiarata l’inammissibilità del motivo per carenza di allegazione di elementi a suo sostegno, ritiene di dover comunque prendere posizione ex art. 363, comma 3 c.p.c.

In questo frangente i giudici di legittimità non condividono la qualificazione operata dai giudici d’appello, che hanno ritenuto la prescrizione decennale attesa la natura risarcitoria del credito fatto valere (decennale in quanto la responsabilità per mancata attuazione delle direttive è da inadempimento). Nel caso di specie, infatti, trattasi di direttiva self executive e, pertanto, la natura del credito è di tipo retributivo e non risarcitorio e, pertanto, segue la prescrizione quinquennale ex art. 2948, nn. 4) e 5). A tal fine, il dies a quo è costituito «per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza e per quelli che si maturano alla cessazione del rapporto a partire da tale momento». La precarietà del rapporto non giustifica l’applicazione di una disciplina di minor rigore in punto sospensione dei termini prescrizionali, atteso che i pubblici uffici sono retti dai principi espressi all’art. 97 Cost.

4. Alcune osservazioni a margine di questo condivisibile arresto sembrano doverose. In particolare, la pronuncia ora commentata sembra cercare di mettere (almeno) un punto fermo in una situazione caotica quale quella che vive ormai da anni il comparto scuola. Interessanti sono le parole utilizzate nel ricorso del Miur e che riportano i giudici di legittimità: «il ricorso al contratto a termine nell’ambito scolastico risponde ad esigenze oggettive e temporanee e, pertanto, in assenza della necessaria continuità del rapporto, non può essere valorizzata ai fini retributivi l’anzianità di servizio». Il quadro così descritto, ossia che il ricorso al precariato costituisca risposta ad esigenze temporanee, non rappresenta di certo l’assetto attuale; sembra piuttosto la descrizione di un normale “mondo parallelo”. È noto che il numero di docenti a tempo determinato abbia ormai superato il limite di umana tollerabilità ed è altresì noto che proprio in queste settimane sono in corso complessi esercizi di equilibrio tra stabilizzazioni, concorsi ordinari e concorsi straordinari. Sarebbe auspicabile un coraggioso intervento del Parlamento nel senso di porre fine alle situazioni di incertezza e di riconoscere altresì dignità a titoli di studio che vengono invece bistrattati, a vantaggio di categorie che non si sono premurate di partecipare a precedenti concorsi e che non hanno conseguito titoli di aggiornamento auspicando in una stabilizzazione violativa dell’art. 97, comma 4 Cost.(2) Ancora con riferimento ai concorsi, sembra auspicabile un’eliminazione dello iato che separa la proclamazione dei vincitori e l’immissione in ruolo.

****************************************

1() Cfr. Cass., sez. IV, n. 22558 e 23868/2016. Tali arresti trovano conferma nella sentenza CGUE del 20 giugno 2019, causa C-72/18.

2() Il chiaro riferimento è ai diplomati magistrali, cui si consente ancora l’accesso al concorso per la scuola primaria e dell’infanzia a vent’anni dal conseguimento del titolo, alla questione delle graduatorie ad esaurimento e all’inibizione all’accesso ad altri soggetti anche loro precari e dotati invece di titoli di studio più qualificanti, quali la laurea in discipline affini al corso abilitante.