Supera il vaglio preliminare di ammissibilità il conflitto di attribuzione proposto dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Verona nei confronti del Senato.
Nota a Corte cost., n. 69/2020
Di Enrico Ajmar
1. La Corte costituzionale, a seguito della camera di consiglio del 23 marzo scorso, ha concluso per l’ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri1 proposto dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Verona nei confronti del Senato.
Sommariamente, la vicenda processuale è la seguente: una senatrice, «imputata dei reati di cui agli artt. 416, comma 1, e 318 del codice penale per avere, per l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri, in qualità di senatrice della Repubblica, accettato la promessa e ricevuto denaro e altre utilità dal direttore generale di un consorzio, per la promozione, il rafforzamento e l’appoggio politico al sodalizio criminoso costituito dallo stesso consorzio, da realizzarsi, in particolare, attraverso la presentazione di un emendamento a esso favorevole, nonché attraverso il concreto interessamento circa l’iter legislativo di tale emendamento», solleva eccezione di insindacabilità dinanzi al Gup che, quindi, sospende il processo e trasmette gli atti al Senato. In seguito, quest’ultimo approva la relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, concludendo per l’insindacabilità dell’operato dell’imputata.
Il giudice, in tale frangente, individua un’usurpazione dei propri poteri rilevando che «il Senato avrebbe ritenuto insussistente il reato di corruzione per mancanza dell’elemento soggettivo e, in particolare, della cosiddetta voluntas accipiendi; e che, in questo modo, il Senato avrebbe esercitato un sindacato sulla non manifesta implausibilità dell’accusa, attribuendosi un potere inesistente di valutarne il fondamento non rientrante nell’ambito delle attribuzioni della Camera di appartenenza del parlamentare». Questa è, in sostanza, la genesi del casus belli.
A supporto della propria tesi, ossia nel senso della non preclusione della perseguibilità del delitto di corruzione per l’esercizio della funzione ad opera dell’art. 68 Cost., il giudice a quo richiama due precedenti di legittimità2.
2. Nell’attesa del giudizio sul merito del conflitto, pare utile ripercorrere le argomentazioni poste alla base della delibera di insindacabilità3 e fornire alcune indicazioni su quanto potrà essere vagliato dalla Consulta.
In particolare, emerge come il procedimento fosse già stato attenzionato dall’Assemblea nel corso della precedente legislatura, quando il Senato aveva espresso un’autorizzazione parziale all’acquisizione delle intercettazioni telefoniche4, sollevando altresì un conflitto di attribuzione presso la Corte costituzionale, con un giudizio ancora pendente al momento della negazione dell’autorizzazione a procedere5.
Per quanto invece concerne la specifica vicenda in esame, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari «ha rilevato che, pur essendo precluso alla stessa l’esame di merito dell’accusa, che ovviamente è riservato all’autorità giudiziaria, la Corte costituzionale impone comunque un giudizio sulla plausibilità della stessa, in base, in particolare, alla sentenza n. 188 del 2010». Il relatore, quindi, riporta come la Giunta non abbia ritenuto plausibile l’impianto accusatorio per tre motivi:
- l’emergere, dalle intercettazioni autorizzate, di come la senatrice «abbia offerto, anzi abbia insistito per il pagamento del soggiorno in Costa Smeralda», pagamento rifiutato dall’imprenditore, talché mancherebbe l’elemento soggettivo;
- la soggezione a deliberazione collegiale dell’emendamento, “sul cui esito è difficile dare certezze”;
- il ritiro di due emendamenti, nonché la declaratoria di inammissibilità di un terzo, accompagnata dall’approvazione, per la disciplina di quella materia, di un emendamento non presentato dalla senatrice imputata.
Le conclusioni della Giunta vengono accolte dall’Assemblea che, pertanto, approva la delibera di insindacabilità oggetto del conflitto.
3. Ebbene, sui rilievi posti dal Senato è possibile svolgere alcune considerazioni tentando di mettere in luce alcune criticità.
In ordine al primo argomento addotto, lo stesso relatore afferma che si era negata l’autorizzazione all’utilizzo di quasi tutte le intercettazioni. Tale diniego era dovuto al fatto che, a parere di Palazzo Madama, la Procura della Repubblica veronese avrebbe dovuto richiedere l’autorizzazione subito dopo la prima captazione, e ciò a tutela dell’insindacabilità e dell’autonomia dell’istituzione parlamentare. È però allora lecito domandarsi come il Senato, nel rendere la seconda pronuncia oggetto del conflitto in commento, sia stato in grado di escludere la plausibilità (o la non implausibilità) dell’accusa a fronte dello stralcio di (quasi tutte le) intercettazioni, la cui rilevanza in termini di colpevolezza non è stata esclusa dalla “rituale” pronuncia di diniego parlamentare. In altre parole, è quantomeno discutibile dal punto di vista metodologico prima operare in senso demolitivo su un’indagine, poi sancire l’implausibilità a seguito della mutilazione del compendio indiziario per motivi formali.
Inconferente appare altresì il richiamo al precedente n. 188/2010 della Corte Costituzionale, atteso che in questo caso l’autorità giudiziaria richiedente non aveva motivato adeguatamente in ordine ai requisiti richiesti per porre la Camera di appartenenza in grado di ponderare la decisione in ordine all’autorizzazione6. Da tale pronuncia non è quindi desumibile l’attribuzione in capo al Parlamento di un potere di vaglio sulla plausibilità del compendio indiziario, che dovrebbe quindi continuare a spettare all’autorità giudiziaria.
In ordine poi alle altre due circostanze, si osserva che l’art. 318 c.p., rubricato “corruzione per l’esercizio della funzione” e integrante il delitto di c.d. corruzione impropria, prescinde dall’effettivo conseguimento per il corruttore di qualsivoglia utilità7 ed è strutturato come reato di pericolo. Motivo per cui, nel caso di specie, è irrilevante l’effettiva approvazione di emendamenti ad hoc.
4. In conclusione, sono allora da sciogliere almeno due nodi: se sia concessa una valutazione di implausibilità dell’impostazione accusatoria alla Camera di appartenenza dell’imputato, circostanza che sembra esclusa, o quantomeno non presa in considerazione, dal precedente richiamato dal Senato; se, in caso affermativo, la Corte si possa spingere a sindacarne il merito nell’eventuale e successivo giudizio sul conflitto di attribuzione.
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1 L’art. 37, comma 1 della l. n. 87/1953 prevede infatti la necessaria sussistenza di due elementi – uno soggettivo e l’altro oggettivo – nello stabilire che «il conflitto tra poteri dello Stato è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali». Tale valutazione viene effettuata dalla Corte inaudita altera parte per poi ordinare, in caso di esito positivo del vaglio di ammissibilità, l’integrazione del contraddittorio.
2 Cass., sez. VI, n. 36769/2017 e n. 40347/2018. Con la prima, la Corte ha avuto modo di affermare, per quanto qui di interesse, che «deve ritenersi che l’immunità prevista dall’art. 68 Cost., comma 1, non preclude la perseguibilità del reato di corruzione per esercizio della funzione in relazione all’attività del Membro del Parlamento», richiamando altresì una pronuncia della Corte costituzionale – la n. 379/1996 – in cui si è affermato che: «non è, in conclusione, rinvenibile, nei fatti per i quali l’autorità giudiziaria sta procedendo, alcun elemento o frammento della concreta fattispecie che coinvolga beni o diritti che si sottraggano all’esaustiva capacità classificatoria del regolamento parlamentare (come invece accadrebbe, ad esempio, in presenza di episodi di lesioni, minacce, furti ai danni di Parlamentari, corruzione, ecc.), sicché l’attività posta in essere dai Membri delle Camere in questione non può formare oggetto di attività inquisitiva del pubblico ministero, né di accertamento da parte del giudice». Nella seconda, i giudici di legittimità hanno invece affermato che «può dunque concludersi che nei confronti del parlamentare è configurabile, ricorrendone i presupposti normativi e ferma restando l’insindacabilità delle espressioni proprie dell’attività funzionale del parlamentare, il reato di corruzione impropria. Se dunque non è configurabile la corruzione propria, deve ritenersi che nel caso di specie il fatto, come accertato dai Giudici di merito, possa essere riqualificato come corruzione impropria ai sensi del previgente art. 318, comma 1, in relazione all’art. 321 c.p., fatto tuttora sussumibile anche nella fattispecie delineata dal novellato art. 318 c.p.». Vi è da dire che, però, tali due sentenze originano da due casi differenti: il primo relativo alla corruzione per perseguire, al di fuori del Parlamento e presso altri organi, interessi diversi da quelli dell’Italia; il secondo, forse maggiormente noto alle cronache, relativo alla corresponsione di una somma ad un parlamentare per fare cadere il Governo allora in carica.
3 Cfr. resoconto stenografico, seduta del 9 gennaio 2019, reperibile al link: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=18&id=1093865, da cui è possibile altresì trarre una parte dell’impianto accusatorio. Dalla relazione emerge infatti che la senatrice si sarebbe impegnata a svolgere dell’attività emendativa a vantaggio di un consorzio e di due società private in cambio di diverse utilità: un soggiorno per tre persone in Costa Smeralda, l’assunzione di una persona a sé vicina in una delle società nonché il pagamento di una somma di denaro per il sostegno alla campagna elettorale di un esponente politico a sé vicino. A tal proposito, occorre precisare che dalla richiesta dell’utilizzazione di intercettazioni da parte del Gip (p. 7) emerge come il soggiorno in Costa Smeralda sia stato per cinque persone e sia durato due settimane: cfr. http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1023728.pdf.
4 Più precisamente, il Senato ha autorizzato l’utilizzazione di una sola intercettazione su venti. Ulteriori dettagli su questa delibera sono disponibili al link: http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/ProcANL/ProcANLscheda38472.htm. Il resoconto stenografico della relativa seduta dell’Assemblea è reperibile al link: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1043927.pdf. Vi è da precisare che si tratta di intercettazioni effettuate sull’utenza di uno degli imputati, che aveva quindi avuto conversazioni con plurimi soggetti, tra cui anche la senatrice.
5 Tale circostanza emerge dalla relazione (http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1063335.pdf) ma non è reperibile la pronuncia, probabilmente non avendo superato il vaglio di ammissibilità.
6 Cfr. par. 5, Corte Cost. n. 180/2010. I commi 2 e 3 dell’art. 6, l. n. 140/2003 richiedono infatti la motivazione in ordine alla necessità delle intercettazioni nonché l’indicazione delle «norme di legge che si assumono violate e gli elementi sui quali la richiesta si fonda, allegando altresì copia integrale dei verbali, delle registrazioni e dei tabulati di comunicazioni» Nel denegare l’autorizzazione, l’organo parlamentare aveva commentato sulla necessità di «un adeguato e specifico corredo motivazionale che possa consentire al destinatario della richiesta di valutare e contemperare gli interessi in gioco»; corredo motivazionale mancante nella richiesta, come accertato dalla Consulta.
7 Così come, del resto, anche il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, previsto all’art. 319 c.p. Per un commento sulla distinzione tra le due fattispecie, cfr., ex plurimis, M. Minervini, Il controverso rapporto tra i delitti di corruzione e la discrezionalità amministrativa, in Diritto Penale Contemporaneo, n. 12/2017, pp. 93 ss.