A cura di Dott.ssa Antonella Memeo

Massima Corte Costituzionale Sent. n. 148/2022:

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 64, comma 3, cod. proc. pen., sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 14, par. 3, lett. g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP), nella parte in cui non prevede che gli avvisi nei confronti delle persone sottoposte alle indagini, ivi indicati, debbano essere rivolti alla persona cui sia contestato l’illecito amministrativo di cui all’art. 75 t.u. stupefacenti, o che sia già raggiunta da elementi indizianti di tale illecito, allorché la stessa sia sentita in relazione ad un reato collegato ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b) cod. proc. pen. Le sanzioni previste dall’art. 75 t.u. stupefacenti – a carico di chi acquisti sostanze stupefacenti per farne uso esclusivamente personale, momento saliente di emersione della strategia volta a differenziare, sul piano del trattamento sanzionatorio, la posizione del consumatore della droga da quelle del produttore e del trafficante – non hanno natura sostanzialmente punitiva secondo i criteri Engel, per cui non attraggono l’intera gamma delle garanzie, sostanziali e processuali, previste dalla Costituzione e dalle carte europee ed internazionali dei diritti per la materia penale, tra cui il “diritto al silenzio”. Né l’elevata carica di afflittività delle misure in esame esclude la loro finalità preventiva, o depone univocamente nel senso di una loro natura “punitiva”. Peraltro, la natura preventiva di tali “sanzioni” segna anche il limite dei poteri dell’autorità amministrativa nell’esercizio della propria discrezionalità rispetto alla loro irrogazione nel caso concreto. Nell’esercitare, dunque, la propria discrezionalità, il prefetto non potrà non orientarsi alla logica preventiva che sorregge la scelta legislativa. In tali valutazioni dovrà invece restare a priori esclusa ogni impropria logica punitiva, la quale chiamerebbe necessariamente in causa lo statuto costituzionale della responsabilità penale, incluso lo stesso “diritto al silenzio”, fatta salva la possibilità di puntuali verifiche relative alla legittimità costituzionale di singoli aspetti della disciplina di cui all’art. 75 t.u. stupefacenti

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Per sanzioni amministrative ‘punitive’ si intendono le misure afflittive che, per quanto applicate da organi di natura amministrativa e non giurisdizionale, sono attratte, per impulso degli impegni assunti a livello internazionale, nell’alveo protettivo delle principali garanzie riconosciute in «materia penale», al di là della loro formale qualificazione giuridica.

Nel nostro ordinamento si è tradizionalmente privilegiata una nozione formale di reato, inteso come ogni fatto per il quale l’ordinamento giuridico statuisce una sanzione penale.

La prospettiva assunta in sede di CEDU è, invece, di matrice sostanzialistica: qui, infatti, il riconoscimento come di carattere penale di un illecito consente l’estensione di alcune importanti garanzie a tutela dell’individuo.

Proprio in quest’ottica, fin dal 1976 i giudici europei occupandosi, nel caso Engel, di sanzioni disciplinari militari hanno elaborato due principali criteri sostanziali per la qualificazione di un provvedimento dei pubblici poteri come sanzione penale: 

  1. Qualificazione dell’illecito nel diritto interno;
  2. la natura dell’infrazione, e, in particolare, lo scopo deterrente/punitivo; 
  3. la severità, e, cioè, la particolare significatività del malum infliggibile.

Può ritenersi tratto comune a tutte le ricostruzioni più recenti in dottrina e giurisprudenza che sia sanzione una misura avente carattere repressivo e afflittivo. 

Questa, d’altro canto, è la nozione di sanzione amministrativa che, come visto, appare essere stata accolta più di recente anche dalla giurisprudenza nazionale, costituzionale e amministrativa.  

Recentemente, con sent. 14 giugno 2022, n. 148 la Corte Costituzionale ha aggiunto un ulteriore segmento alla tematica in oggetto, affermando che il giudizio in ordine alla natura sostanziale delle sanzioni amministrative parte dall’affermare che la pur riconosciuta “elevata carica di afflittività rispetto ai diritti fondamentali sui quali esse incidono non esclude, di per sé stessa, la loro finalità preventiva, né depone univocamente nel senso di una loro natura ‘punitiva’”. 

Al riguardo, ricorda come alle misure personali di prevenzione, che pure hanno una significativa incidenza su svariati diritti fondamentali, sia la Corte costituzionale che la Corte EDU abbiano sempre negato natura sostanzialmente penale, proprio in ragione della loro finalità preventiva e non punitiva.  

La Consulta ha utilizzato per accertare la natura preventiva della sanzione ex art. 75, comma 1, t.u. stupefacenti quale criterio sussidiario anche il legame della sanzione con un procedimento formalmente penale o la sua applicazione da parte del giudice penale, riconoscendone il carattere non punitivo atteso che il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni si svolgerebbe interamente innanzi all’autorità amministrativa, senza intervento dell’autorità giudiziaria.