Di Alessandro Puzzanghera

Premessa

La presente trattazione si pone nel solco della riflessione relativa alla legittimità dell’istituzione del Parco archeologico del Colosseo nonché della nomina, a mezzo di selezione pubblica internazionale, del Direttore dello stesso. In proposito, la scansione processuale che ha caratterizzato siffatta vicenda ha visto alternarsi, all’impugnativa degli atti ritenuti illegittimi relativi alla procedura in questione, ad opera dell’Unione Italiana Lavoratori Pubblica Amministrazione – Coordinamento Mibact – dinnanzi al TAR Lazio, il consequenziale appello della sentenza di prime cure.

La ricorrente adduceva l’irregolarità dell’atto istitutivo il Parco archeologico Colosseo (decreto 12 gennaio 2017) e la consequenziale illegittimità dell’apertura della selezione del Direttore del suddetto Parco anche a cittadini non italiani.

Il TAR adito, non solo non riteneva il decreto adottato dal Ministero di natura regolamentare, per lo più affermava che: “la normativa italiana pone un chiaro ed insormontabile sbarramento alla partecipazione di soggetti non provvisti del requisito della cittadinanza italiana a procedure concorsuali nella pubblica amministrazione in relazione a posti di livello dirigenziale generale comportanti esercizio di poteri autoritativi”, tra i quali rientra il posto di Direttore del Parco medesimo.

Tale sentenza è stata, poi, impugnata dal Ministero, per difetto di legittimazione del Sindacato. Un giudizio in cui si sono costituiti non solo l’Unione italiana lavoratori pubblica amministrazione – Coordinamento Mibact, ma anche il Codacons, con la richiesta di rigettare l’appello proposto dal Ministero.

La causa infine è giunta al vaglio del Consiglio di Stato ed è stata discussa in camera di consiglio il 20 luglio 2017, concludendosi con l’adozione di una sentenza in forma semplificata. Ed è su questo versante che si soffermerà la riflessione ([1]).

 

  1. Introduzione alle questioni di diritto proposte al Collegio

In prima istanza, le questioni poste all’esame del Collegio attengono alla legittimità del decreto 12 gennaio 2017 del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, con il quale è stato istituito il Parco Archeologico del Colosseo, nonché del Decreto del Direttore generale del Ministero 27 febbraio 2017, n.149, e con il quale è stata indetta la selezione pubblica internazionale per il conferimento dell’incarico di Direttore del suddetto Parco.

L’appellante contesta in primo luogo la sentenza di prime cure, nel punto in cui il decreto ministeriale viene considerato illegittimo, in quanto tale atto non sarebbe stato adottato nelle forme del regolamento, profilandosi invece contrario alle procedure di adozione degli atti normativi.

Il primo motivo dell’appello è fondato a livello costituzionale, sulla scorta dell’art. 97, oggi comma 2, laddove afferma che: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. La prefata disposizione, autorizzando i pubblici uffici all’adozione di provvedimenti di attuazione normativi o non normativi, prevede “una riserva di legge relativa” ([2]).

Nello specifico, il Mibact, ha sempre avuto una posizione speciale nelle articolazioni e nelle relazioni tra uffici centrali e periferici. In proposito, nel 2014 è stato avviato un processo di profonda riorganizzazione di tale Ministero, l’art. 14 del Decreto Legge 31 maggio 2014, n. 83 ([3]) ha autorizzato l’adozione di un decreto del Mibact, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione per:

  • trasformare i poli museali, gli istituti e luoghi della cultura statali e gli uffici competenti su complessi di beni distinti da eccezionale valore archeologico, storico, artistico o architettonico in Soprintendenze dotate di autonomia scientifica, finanziaria, contabile e organizzativa (comma 2);
  • individuare i poli museali e gli istituti della cultura statali di rilevante interesse nazionale che costituiscono uffici di livello dirigenziale “al fine di adeguare l’Italia agli standard internazionali in materia di musei e di migliorare la promozione dello sviluppo della cultura, anche sotto il profilo dell’innovazione tecnologica e digitale” (comma 2-bis).

 

Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 ([4]) è stata ridisegnata la struttura organizzativa del Ministero, in particolare, a livello di amministrazione centrale, con l’istituzione di tre nuove direzioni generali: “Educazione e ricerca”, “Musei” e “Turismo”. L’art. 30 dello stesso decreto, precisamente al comma 2 lettera a, n. 1 e 2, nel regolare gli istituti centrali e dotati di autonomia speciale, ha incluso, tra gli altri, quali uffici di livello dirigenziale generale: 1) la Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’area archeologica di Roma; 2) la Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia.

A ciò si aggiungano tutta una serie di decreti che, a partire dal 2014 e sino al decreto oggetto di impugnazione, hanno inciso profondamente sulla organizzazione centrale e periferica del Ministero. Soltanto con la legge n. 232 del 2016, sono stati autorizzati i decreti ministeriali non regolamentari, al fine di adeguare agli standard internazionali le Soprintendenze speciali. Per tale motivo il decreto impugnato, nel rispetto della fonte primaria, ovvero la sopracitata legge n.232, ha provveduto all’istituzione del Parco archeologico del Colosseo, alla riorganizzazione della Soprintendenza speciale per il Colosseo e dell’area archeologica centrale che è stata rinominata “Soprintendenza speciale archeologia, belle arti e paesaggio di Roma”.

Il secondo motivo contestato dall’appellante, è rappresentato dall’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’incarico di Direttore del Parco archeologico possa essere attribuito soltanto a cittadini italiani. Il motivo è fondato dal punto di vista costituzionale posto che il primo comma dell’art.51 Cost., sancisce l’efficacia del principio di eguaglianza, per gli uffici pubblici di carattere burocratico ( ai quali si accede mediante concorso) e per le cariche elettive. Il secondo comma sancisce la possibilità di far entrare ai pubblici uffici e alle cariche elettive anche italiani non presenti nel territorio della Repubblica. A ciò si aggiunga il secondo comma dell’art.54 Cost., per cittadini che svolgono funzioni pubbliche, i quali, oltre al generale dovere di fedeltà, devono osservare precisi obblighi nel momento dello svolgimento delle funzioni.

 

  1. L’importanza dell’essere “Cittadini dell’Unione”

A differenza del primo giudice, che aveva considerato tali norme come una sorta di “riserva” a favore dei cittadini italiani, il Consiglio di Stato, già in un precedente parere del 1990, aveva contemplato l’art. 51 come una norma “aperturista” e non “preclusiva” ([5]). Una lettura che si pone in linea con il trend europeo, ed in particolare con l’art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ([6]) (TFUE) ove dispone che: i) è “istituita una cittadinanza dell’Unione”; ii) “è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”; iii) “la cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce”. Tale definizione “cittadini dell’Unione” assume particolare rilevanza in quanto funzionale al riconoscimento di taluni diritti (oltre che l’imposizione di taluni doveri) tra i quali vi è “il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”.

Sempre a livello europeo appare opportuno rilevare in questa sede come l’art. 45 del TFUE prevede che deve essere assicurata la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (par.1). Una previsione che implica “l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro” (par.2). Tale norma pone due deroghe, la prima deroga opera per “motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica”. La seconda, invece, risponde alla volontà del legislatore europeo di sottrarre l’intero settore dei lavoratori “dagli impieghi nella pubblica amministrazione”.

Dopo una serie di dibattiti sul concetto di “pubblica amministrazione”, i giudici europei nel 2014 prospettarono una vera e propria nozione di pubblica amministrazione ([7]). Così, “in questo contesto (…) secondo una scelta spiccatamente politica, ma già anticipata soprattutto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione ([8]) si è preferito ampliare l’ambito della giurisdizione amministrativa tout court considerata e di conseguenza anche l’ambito della sua giurisdizione esclusiva” ([9]). I giudici dichiararono necessaria la nazionalità esclusivamente in quei posti in cui vi doveva essere la partecipazione. Una partecipazione, diretta o indiretta, all’esercizio dei pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche. Da ciò deriva l’esistenza di un rapporto particolare di solidarietà nei confronti dello Stato nonché la reciprocità dei diritti e doveri che costituiscono il fondamento del vincolo di cittadinanza.

Il possesso della cittadinanza come requisito per accedere ai pubblici impieghi risale all’epoca dei nazionalismi ottocenteschi, quando prevalse il pensiero per cui non era consentito agli stranieri l’accesso alle funzioni pubbliche, ed in particolare al pubblico impiego statale ([10]).

Successivamente all’Unità, anche in Italia si affermò il requisito della cittadinanza in riferimento alle cariche superiori o direttive e poi, con l’inizio del Novecento ma soprattutto con l’avvento del fascismo, la cittadinanza divenne priorità, anche per l’accesso a funzioni tecniche o minori, sulla base dell’idea che il pubblico impiego fosse fondato principalmente sui vincoli di fedeltà e fiducia tra Stato e impiegato.

Il requisito della cittadinanza per l’ammissione ai pubblici uffici ed alle cariche elettive è rimasto per lungo tempo ed è stato anche confermato dal Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità economica europea, che espressamente sottraeva ai principi della libera circolazione dei lavoratori gli “impieghi nella pubblica amministrazione” ([11]).

Tuttavia, la giurisprudenza della Corte di Giustizia si è evoluta progressivamente limitando la portata della norma sia il suo oggetto, sia per quanto riguarda il suo ambito di applicazione soggettivo.

Il primo profilo, è stato chiarito dalla sentenza Sotgiu del 1974, in quanto il limite riguarda soltanto l’accesso, ma non il rapporto di lavoro ([12]). Una volta instaurato il rapporto di lavoro anche l’accesso sarà consentito ai cittadini di altri Paesi europei, evitando così differenze di trattamento con i cittadini del Paese ospitante.

Per il secondo profilo, la Corte di Giustizia, con la sentenza Commissione c. Belgio del 1980 ha chiarito che la deroga, riguarda “un complesso di posti che implicano la partecipazione, diretta o indiretta, all’esercizio dei pubblici poteri ed alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche. Posti del genere presuppongono infatti, da parte dei loro titolari, l’esistenza di un rapporto particolare di solidarietà nei confronti dello Stato nonché la reciprocità di diritti e di doveri che costituiscono il fondamento del vincolo di cittadinanza” ([13]).

La definizione di “pubblica amministrazione” ai fini dell’applicazione della deroga, spetta al giudice europeo, che ha ritenuto che vi rientrino i posti “che hanno un rapporto con attività specifiche della pubblica amministrazione in quanto incaricata dell’esercizio dei pubblici poteri e responsabile della tutela degli interessi generali dello Stato, cui vanno equiparati gli interessi propri delle collettività pubbliche, come le amministrazioni comunali” ([14]).

Si rileva, pertanto, che nell’ottica europea, il concetto di “pubblica amministrazione” assume valore sul versante “funzionale-dinamico” in luogo di quello “strutturale statistico”. Sulla base di questo criterio, i dirigenti statali devono essere tutti italiani, significa di fatto ritenere che ciò che rileva è l’esistenza di una pubblica amministrazione che conferisce l’incarico e non l’esistenza di un incarico espressione, diretta o indiretta, di un pubblico potere.

 

 

  1. Funzioni tecniche ed economiche eseguite dal Direttore del Parco archeologico del Colosseo

Nel caso in questione, seguendo il criterio “funzionale dinamico”, analizzando la natura dell’attività e dunque dei compiti attribuiti al Direttore del Parco archeologico del Colosseo, occorre valutare se gli stessi si inseriscano nell’ambito di funzioni pubbliche, che giustificano la previsione della cittadinanza italiana, ovvero di funzioni aventi carattere tecnico o di gestione economica.

I direttori hanno, innanzitutto, una responsabilità generale nella gestione del museo. Il direttore di ogni museo statale, e non soltanto quelli dotati di autonomia speciale, infatti, “è responsabile della gestione del museo nel suo complesso, nonché dell’attuazione e dello sviluppo del suo progetto culturale e scientifico” ([15]).

Si tratta di una disposizione molto rilevante, che non soltanto costituisce una questione di principio ma è anche piena di implicazioni operative. Essa si salda, quasi costituendone un contrappunto, con la norma che enuncia i principi che regolano l’attività del museo, che deve essere ispirata a “imparzialità, buon andamento, trasparenza, pubblicità e responsabilità di rendiconto (accountability)” ([16]).

Il bando di concorso, riprendendo quanto già previsto dall’art. 35 del d.P.C.M. 29 agosto 2014, n. 171 ([17]), identifica i compiti del Direttore del museo, con un lungo elenco di funzioni ([18]). Queste funzioni sono strettamente collegate alle indicazioni della Raccomandazione UNESCO in tema di musei, adottata nel 2015, che ha individuato i principali compiti delle istituzioni museali, consistenti nelle funzioni di conservazione, educazione, ricerca e comunicazione del patrimonio culturale ([19]).

Il bando, inoltre, prevede che il Direttore eserciti le funzioni spettanti ai Soprintendenti Archeologia, belle arti e paesaggio sull’area di cui all’accordo di valorizzazione stipulato in data 21 aprile 2015 tra il Ministero e Roma Capitale ([20]). Tale accordo di valorizzazione aveva come oggetto la definizione delle strategie e degli obiettivi comuni di «valorizzazione dell’Area Archeologica Centrale di Roma» (art. 1). In particolare si prefiggeva due obiettivi: il primo era quello di promuovere la conoscenza, sostenere la conservazione e assicurare le migliori condizioni di uso e fruizione pubblica dell’area predetta (art. 2, comma 1), il secondo consisteva nella creazione di un «apposito ente, di natura consortile non imprenditoriale di diritto pubblico denominato “Consorzio Fori Romani” », al quale affidare il compito di elaborare e sviluppare il piano strategico di sviluppo culturale e di valorizzazione delle aree in questione (art. 2, comma 2). Ulteriori disposizioni dell’accordo prevedono la disciplina del Consorzio (artt. 5, 6 e 8); la durata, le risorse e gli impegni (artt. 7, 9, 10).

Dall’analisi dei compiti sin qui riportati, per la maggior parte si parla di attività essenzialmente finalizzate ad assicurare una migliore utilizzazione, nella prospettiva di valorizzazione, dei beni pubblici.

Il primo giudice ha ritenuto, invece, che siano espressione di un potere pubblico i compiti di cui alle lettere a), h), l), o), p).

I giudici di Palazzo Spada rilevano sia le attività che afferiscono alla gestione del Parco e dei beni (lettere a) e p)), sia le attività di autorizzazione al prestito di beni culturali (lettera h)) ed infine le attività che riguardano la responsabilità di procedure di evidenza pubblica (lettere l) e o)).

Tali attività hanno valenza marginale nella valutazione complessiva di tutte le funzioni spettanti al Direttore, anche tenuto conto che quando le stazioni appaltanti si rivolgono ad una centrale di committenza, per lo svolgimento delle sole «attività di centralizzazione delle committenze», questa può essere anche «ubicata in altro Stato membro dell’Unione europea» (art. 37, comma 13, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 10 ([21]), recante «Codice dei contratti pubblici»).

 

 

  1. La presunta illegittimità del Decreto del 7 aprile 2017

I ricorrenti in relazione al Decreto del 7 aprile 2017 hanno inteso rilevare la illegittimità del conferimento ad interim dell’incarico dirigenziale per il Parco archeologico del Colosseo per mancanza di una struttura preesistente rimasta priva di titolare e conseguente impossibilità di esercitare le funzioni conferite per mancanza della nuova struttura. In aggiunta le altre ragioni che hanno spinto i ricorrenti a rilevare la illegittimità del conferimento dell’incarico dirigenziale riguardano il mancato rispetto della procedura di interpello con adeguata pubblicità e il possibile aggravio della spesa pubblica, in assenza di effettive ragioni di necessità ed urgenza.

Al decreto impugnato dai ricorrenti è seguita l’adozione di nuova struttura organizzativa e la nomina all’incarico dirigenziale, avvenuta in applicazione dell’art. 19, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ([22]), tramite decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente.

L’art. 19 non contempla una procedura di selezione pubblica, contestata dalla parte appellata, al primo comma prevede unicamente il rispetto dei criteri oggettivi (valutazione delle attitudini e delle capacità professionali), che devono presiedere nel singolo dirigente al fine di assicurare il rispetto del principio di distinzione tra politica e amministrazione.

In riguardo alla specifica vicenda esaminata dal Collegio, il lamentato aggravio di spesa, a prescindere dalla sua effettiva sussistenza, non può costituire motivo di invalidità dell’atto.

Secondo i ricorrenti, l’illegittimità degli atti impugnati è nata dalla violazione della riserva di legge dell’art. 97 Cost. in materia di organizzazione, in quanto la legge, se da un lato, non avrebbe autorizzato la creazione di un apposito ufficio dirigenziale, dall’altro, avrebbe autorizzato l’adozione di un decreto con l’obiettivo di adeguare le strutture agli standard internazionali e alla nuova disciplina sul silenzio assenso tra amministrazioni, ad esempio la Soprintendenza speciale del Colosseo sarebbe perfettamente adeguata agli standard internazionali, essendo stata realizzata tramite il sito Unesco. Tuttavia, sempre a parer dei ricorrenti, il decreto impugnato ha staccato la porzione centrale, con gravissima compromissione non solo giuridica ma anche economica, tanto da provocare l’apertura di una verifica da parte dell’Unesco. Il decreto impugnato e il bando prevedevano una «procedura di selezione pubblica internazionale» mentre l’art. 14, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83 del 2014 si è limitato a prevedere soltanto una «selezione pubblica»; con mancata informazione obbligatoria al sindacato e conseguente apertura di un tavolo di concertazione.

L’art. 14, comma 2-bis, prevede effettivamente una «selezione pubblica», il che, come già sottolineato, ha comportato l’applicazione delle fonti primarie e secondarie generali. Ciò nonostante la “non applicazione” del decreto regolamentare che limita l’accesso alla dirigenza statale ai soli cittadini italiani per violazione del diritto europeo comporta che la valutazione di legittimità degli atti impugnati deve essere fatta avendo come parametro di riferimento il diritto europeo. Il tutto implica, che per le ragioni esposte, la previsione di una “selezione pubblica internazionale” è conforme, in ragione alla natura delle funzioni del direttore del Parco. In conclusione, è sufficiente rilevare che l’asserita lesione delle prerogative sindacali sopra indicate non può risolversi in una illegittimità amministrativa, in quanto il sistema ha previsto altre e diverse forme di tutela dei lavoratori che non possono trovare ingresso in questo giudizio ([23]).

 

 

  1. La decisione del Collegio

Contrariamente a quanto rilevato dal TAR Lazio ([24]) non ci sarebbero dubbi di compatibilità costituzionale posto che l’art.51 Cost. si deve leggere in conformità con l’art. 11 Cost. “nel senso di consentire l’accesso dei cittadini degli Stati dell’Unione europea agli uffici pubblici e alle cariche pubbliche nazionali in via generale, sulla base del principio della libera circolazione delle persone ex art. 45 TFUE”, ad eccezione degli impieghi di cui al par.4 di tale articolo come interpretato dalla Corte di giustizia ([25]).

Oggetto di impugnazione, in primo grado, sono stati: sia la circolare del 21 aprile 2017, n. 88 della Direzione Generale Organizzazione del Mibact, sia il decreto direttoriale del 21 aprile 2017, rep. n. 503, di attribuzione delle nuove denominazioni AOO e codice IPA che la nota 21 aprile 2017 n. 5182 della Direzione Generale Bilancio, nonché tutti gli atti dei sottostanti procedimenti amministrativi, presupposti, preordinati, connessi, conseguenti e quei provvedimenti non perfezionati.
La parte resistente ha rilevato l’illegittimità degli atti evidenziando non soltanto il contrasto con il decreto ministeriale 12 gennaio 2017 ma anche la violazione delle norme sull’amministrazione digitale.

Nonché dichiarando illogicità dello “spacchettamento” dell’originaria Soprintendenza in cinque diversi istituti.

In relazione al primo e secondo profilo, le censure sono inammissibili per genericità non risultando indicate le ragioni, sia dall’asserito contrasto degli atti impugnati con il decreto del 12 gennaio 2017, sia della violazione delle norme in materia di amministrazione digitale.
In relazione al terzo profilo si tratta di censure con cui, da un lato, si prospettano possibili future illegittimità in relazione ad atti che neanche vengono in rilievo in questa sede con conseguente loro inammissibilità, dall’altro si prospettano questioni che attengono al merito delle scelte amministrative, con conseguente loro infondatezza.
La novità e la complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta ([26]), in conclusione si è pronunciato accogliendo l’appello proposto con il ricorso n. 4486 del 2017, in parte rigettando e in parte dichiarando inammissibili i motivi riproposti da Unione Italiana Lavoratori Pubblica Amministrazione – Coordinamento Mibact; infine ha dichiarato la compensazione tra le parti nella spesa alle liti.

La decisione del Consiglio di Stato è importante, innanzitutto, per la decisione nel caso specifico. In secondo luogo, perché afferma la legittimità del cambiamento amministrativo e culturale che prevede l’utilizzo di strumenti di gestione economica e manageriale dei beni culturali e l’apertura all’esterno.

Se all’inizio del nuovo millennio, in atti ufficiali, si leggeva che “in Italia il museo si caratterizza come un istituto scarsamente “tipizzato”: tanto nel caso dei musei pubblici quando dei musei privati esso non è cioè regolato da norme specifiche” ([27]). Al giorno d’oggi questa scarsa tipizzazione può dirsi superata. Il museo in Italia gode di una propria autonoma rilevanza, e, con riferimento alle principali istituzioni museali nazionali, presenta un elevato grado di autonomia, possiede uno statuto ed un suo bilancio, è considerato centro di imputazione di responsabilità ([28]).

Al vertice amministrativo del museo, vi è un direttore, che ha responsabilità precise di gestione dell’istituzione museale, ed al quale sono al contempo attribuite tutte le funzioni per conseguire gli obiettivi affidatigli.

Si è ritenuto di individuare le figure più idonee per tali incarichi, introducendo profili di trasparenza rafforzati, rispetto a quanto avviene ordinariamente nell’ipotesi di attribuzione di incarichi dirigenziali, a norma dell’artt.19, del D. Lgs. N. 165/2001, con l’intenzione di risolvere un annoso problema, che attenta dottrina aveva già rilevato venti fa: quello della “asimmetria tra un corpo di tecnici della tutela non affiancato da un corpo di tecnici della valorizzazione” ([29]). Oggi, infatti, non è più indubbio la necessità di affrontare i processi di valorizzazione con un approccio manageriale ([30]), che possa far “fruttare” – non esclusivamente in senso patrimoniale, ma anche e soprattutto in termini di adempimento alla missione di garantire la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale – il museo.

Alla luce di quanto è emerso dalla vicenda e dalle decisioni del T.A.R. del Lazio e del Consiglio di Stato, testimonia, una volta di più, la necessità di concentrare l’attenzione sulle funzioni amministrative. Tali funzioni, secondo l’insegnamento della dottrina, rilevano in quanto attribuite ad un’organizzazione amministrativa ([31]).

L’operazione di riforma da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha ottenuto proprio questo effetto, ovvero quello di far “emergere” le funzioni, tramite la razionalizzazione delle strutture depurate a curare ciascun interesse ([32]) o, come nel caso dei musei ( o della corrispondente Direzione Generale Musei, costituita nel 2014), disponendo la vera e propria “istituzione” di tali apparati organizzativi, conferendogli non soltanto veste formale ( di ufficio dirigenziale) e riconoscibilità, secondo modalità sconosciute in passato, ma al tempo stesso conferendogli poteri davvero necessari al perseguimento della funzione.

Una volta completata tale operazione, di per sé di assoluta rilevanza, assume un valore ancora superiore, tenendo conto che ha determinato un allineamento dell’Italia agli standard museali elaborati in sede globale, portando finalmente a considerare un museo per quello che davvero è ( o che dovrebbe essere), e dunque un luogo di educazione, ricerca e comunicazione del patrimonio culturale, dove pertanto appaiono improprie limitazioni allo svolgimento di tali funzioni, con riferimento alla posizione del vertice amministrativo dell’istituzione museale, fondate sulla nazionalità.

Pienamente condivisibile è quindi la sentenza del 24 luglio 2017, n. 3666, con cui la Sezione Sesta del Consiglio di Stato ha riformato quanto era stato detto dalla sentenza del TAR Lazio, rilevando che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, i compiti di gestione del Parco archeologico e dei beni culturali in consegna, attengono ad “un’attività prevalentemente rivolta alla gestione economica e tecnica”.

Pertanto, affinché le amministrazioni italiane sfruttino in toto le opportunità offerte dal mercato “europeo” del lavoro, il Collegio, previa non applicazione della normativa interna in contrasto con il diritto dell’Unione, ha sancito la legittimità della partecipazione di cittadini non italiani alla procedura concorsuale.

[1] Cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI. del 24.07.2017 (Adunanza Plenaria 18 aprile 2018)

[2] Nella totale assenza di una previsione costituzionale che contempli una “riserva di regolamento”. Nell’art. 97 Cost. è identificato un “canone di ripartizione” della funzione d’organizzazione : esso individua «una riserva (relativa) di potere del Parlamento (in termini usuali e abbreviati: riserva di legge)» e «una riserva limitata di potere dell’apparato esecutivo (in termini usuali e abbreviati : riserva di regolamento)».

[3] Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo.

[4] Entrata in vigore del provvedimento: 10/12/2014

[5] Consiglio di Stato, sez. II, parere, 20 gennaio 1990, n. 234

[6] Il TFUE modificato dall’articolo 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dall’Italia con Legge 2 agosto 2008, n. 130 è, accanto al Trattato sull’Unione Europea (TUE), uno dei trattati fondamentali dell’Unione Europea.

[7] Direttive UE del Parlamento Europeo e del Consiglio nn. 2014/23; 2014/24 e 2014/25.

[8] Corte di Cassazione 26 febbraio 1999 n.101 e Corte di Cassazione SS.UU. 13 febbraio 1999 n.64.

[9] E. Picozza, Il concetto di pubblica amministrazione, in Riv. dell’Arb., 3/2015, p. 449.

[10] Andando oltre l’obiettivo, richiamato dall’art. 6 della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 26 agosto del 1789 di consentire, in condizioni di parità, a tutti gli appartenenti ad una comunità di accedere alla funzione pubblica, così superando le riserve ed i privilegi del passato, ma non di porre una riserva per l’accesso alle cariche pubbliche a favore dei cittadini.

[11] Art. 48, par. 4, Tr. Cee, poi art. 39, par. 4, Tr. Ce ed ora art. 45, par. 4, Tr. Funz. Ue.

[12] Corte di giustizia UE, 12 febbraio 1974, Sotgiu c. Deutsche Bundespost, causa 152/73, parr. 5-6

[13] Corte di giustizia UE, 17 dicembre 1980, Commissione c. Belgio, causa 149/79, par. 10

[14] Sentenza del 26 maggio 1982, Commissione c. Belgio, causa 149/79, par. 7

[15] Art. 4, D.M. 23 Dicembre 2014.

[16] Art. 1, D.M. 23 Dicembre 2014

[17] Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell’Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell’articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.

[18] a) programma, indirizza, coordina e monitora tutte le attività di gestione del Parco archeologico; b) cura il progetto culturale del parco archeologico; c) stabilisce l’importo dei biglietti di ingresso; d) stabilisce gli orari di apertura del museo; e) assicura elevati standard qualitativi nella gestione e nella comunicazione, nell’innovazione didattica e tecnologica; f) assicura la piena collaborazione con la Direzione generale Musei, il segretario regionale, il direttore del Polo museale regionale e le Soprintendenze; g) assicura una stretta relazione con il territorio; h) autorizza il prestito dei beni culturali delle collezioni di propria competenza per mostre od esposizioni sul territorio nazionale o all’estero; i) autorizza le attività di studio e di pubblicazione dei materiali esposti e/o conservati presso il parco archeologico; l) dispone l’affidamento delle attività e dei servizi pubblici di valorizzazione del parco archeologico; m) coadiuva la Direzione generale Bilancio e la Direzione generale Musei nel favorire l’erogazione di elargizioni liberali da parte dei privati a sostegno della cultura; n) svolge attività di ricerca, i cui risultati rende pubblici, anche in via telematica; propone alla Direzione generale Educazione e ricerca iniziative di divulgazione, educazione, formazione e ricerca legate alle collezioni di competenza; collabora altresì alle attività formative coordinate e autorizzate dalla Direttore generale Educazione e ricerca; o) svolge le funzioni di stazione appaltante; p) amministra e controlla i beni in consegna ed esegue sugli stessi anche i relativi interventi conservativi; concede altresì l’uso dei beni.

[19] UNESCO, Reccomendation concerning the Protection and Promotion of Museums and Collections, their Diversity and their Role in Society, Adopted by the General Conference at its 38th Session, Paris, 17 November 2015.

[20] Il Ministro dei beni e delle attività e del turismo, e il Sindaco di Roma Capitale, hanno firmato ai Mercati Traianei l’accordo per la valorizzazione dell’area archeologica centrale di Roma.

[21] Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

[22] Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[23] T.A.R. Roma, (Lazio), sez. II, 08/05/2017

[24] T.A.R. Roma, (Lazio), sez. II, 24/05/2017

[25] Sentenza Consiglio di Stato n. 2120/2015, cit. punto 6.2 della parte in diritto.

[26] Con decreto n.115/13 del Presidente del Consiglio di Stato è stato determinato che la prima e la seconda sezione svolgono funzioni consultive mentre la terza, la quarta, la quinta e la sesta svolgono le funzioni giurisdizionali assegnate al Consiglio.

[27] D.M. 10 maggio 2001, recente “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifico e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei”.

[28] Tali innovazioni sono state fortemente apprezzate anche all’estero. In una recente intervista Jack Lang, più volte Ministro della cultura francese, ha dichiarato che “l’autonomia e la libertà che ( il Ministro Italiano) ha dato alle istituzioni culturali e ai musei provano che l’Italia può dimostrare coraggio e immaginazione, doti che aiutano a uscire dalla crisi”, in P. Treccagnoli, Jack Lang: “Italia lasciata sola, sta pagando un prezzo altissimo”, Padova, 11 luglio 2017.

[29] S. Cassese, I beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, cit., 674.

[30] V.G. PIPERATA, La valorizzazione economica dei beni culturali: il caso dei musei e delle collezioni, in Aedon. Rivista di arti e diritto on line,2014.

[31] Si veda M. S. Giannini, Diritto amministrativo, Vol. I, II ed., Milano, 1998, 86.

[32] Si veda L. Casini, “Todo es peregrino y raro…” : Massimo Severo Giannini e i beni culturali, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2015, 3. 987-1005, ove l’A. afferma che “ la riforma del Ministero attuata con il d. P. C. M. n. 171 del 2014 ha in vero messo finalmente in primo piano le funzioni, distinguendo tra attività di tutela e valorizzazione”.