Massima: Ai fini della consumazione del delitto di rapina impropria, non è necessario che l’agente abbia conseguito il possesso della cosa mobile altrui, essendo sufficiente che ne abbia semplicemente compiuto la sottrazione, rispetto alla cui sussistenza non assume rilievo in senso contrario il controllo del personale di vigilanza, siccome idoneo ad eventualmente impedire soltanto la successiva acquisizione di un’autonoma disponibilità della cosa stessa (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna per rapina impropria consumata di due soggetti che avevano sottratto altrettanti trapani da un esercizio commerciale, usciti dal quale avevano usato violenza nei confronti degli addetti alla vigilanza, che li avevano tenuti sotto controllo, al fine di assicurarsi la fuga ed il possesso dei trapani).

1.  Questione giuridica

I ricorrenti, in base alla ricostruzione posta in essere dai giudici del merito, avevano sottratto dei beni mobili altrui, utilizzando violenza nei confronti del personale di vigilanza, al fine di procurarsi l’impunità. Per tale ragione i ricorrenti in Cassazione erano stati condannati dalla corte d’appello per il delitto di rapina impropria ai sensi dell’art. 629, comma 2, c.p. Avverso tale sentenza i condannati avevano proposto ricorso per Cassazione adducendo, tra i diversi motivi, l’inosservanza ovvero l’erronea applicazione delle legge penale sostanziale; infatti, i ricorrenti, in virtù della mera sottrazione e dell’assenza di impossessamento, ritenevano la condotta sussumibile nella fattispecie tentata di rapina impropria ai sensi del combinato disposto degli artt. 56 e 628, comma 2, c.p.

2.  La c.d. rapina propria e la c.d. rapina impropria

Al fine di delineare negli esatti contorni la questione affrontata dalla sentenza in commento è necessario individuare la specifica differenza intercorrente tra la c.d. rapina propria e la c.d. rapina impropria. L’art. 628 c.p. sanziona la rapina, punendo con la pena della reclusione da cinque a dieci anni il seguente fatto tipico: “per procurare a se o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene[1]. Per la configurabilità di detta fattispecie è necessario che la violenza sia utilizzata nei confronti della persona offesa che detiene il bene[2];  diversamente, nel caso in cui la condotta violenta sia rivolta verso la res (e soltanto in maniera indiretta nei confronti della persona) è configurabile la fattispecie del furto con strappo di cui all’art. 624bis, comma 2, c.p3. Quanto osservato, però, non esclude la configurabilità del delitto di rapina di cui al comma 1 dell’art. 628 c.p. nel caso in cui la condotta violenta, ancorché esercitata sulla res, sia stata utilizzata per vincere la resistenza della persona offesa, come, ad esempio, nel caso in cui la res, particolarmente aderente al corpo del possessore, comporti sul bene, ai fini della relativa sottrazione ovvero dello spossessamento, l’utilizzo di una violenza tale da estendersi necessariamente anche alla persona offesa[3].

Il comma 1 dell’art. 628 c.p., invero, disciplina la c.d. rapina propria, in cui l’utilizzo della violenza o della minaccia è volto all’impossessamento del bene mobile altrui e si differenzia dalla c.d. rapina impropria disciplinata al comma 2 dello stesso articolo[4]. Quest’ultimo comma, infatti, estende l’applicazione della pena prevista nel comma uno a chiunque “adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”. Dunque, nella fattispecie della rapina impropria, a differenza della rapina propria, l’utilizzo della violenza o della minaccia è successivo alla sottrazione del bene ed è finalizzato a procurarsi l’impunità o l’impossessamento del bene[5] in un contesto nel quale, dunque, l’impunità o l’impossessamento sono gli scopi perseguiti dal soggetto agente attraverso la condotta violenta o minacciosa posta in essere dopo la sottrazione del bene altrui. 

Per la configurabilità del delitto di rapina impropria non è oltretutto necessaria la contestualità temporale tra la sottrazione della cosa mobile altrui e la violenza o la minaccia; è sufficiente, infatti, che tra le due condotte “intercorra un lasso di tempo idoneo a realizzare il requisito della quasi flagranza e tale da non interrompere il nesso di contestualità dell’azione tesa, da un lato, ad impedire al derubato di rientrare in possesso della refurtiva, e dall’altro ad assicurare l’impunità al soggetto agente[6]. A tal proposito, infatti, la violenza o la minaccia possono essere realizzate anche in un luogo diverso da quello in cui è avvenuta la sottrazione della cosa mobile altrui, così come la condotta violenta o minacciosa può essere perpetrata anche nei confronti di un soggetto diverso dal derubato[7]. In virtù di quanto sin qui argomentato, la differenza tra la rapina propria di cui al comma 1 dell’art. 628 c.p. e la rapina impropria di cui al comma 2 dell’art. 628 c.p. è individuabile, innanzitutto, nel momento temporale in cui viene utilizzata la violenza o la minaccia. Detta differenza risulta di fondamentale importanza, poiché incide diversamente sul dolo specifico richiesto per la configurabilità della fattispecie in oggetto. Infatti, nella fattispecie di cui al comma 1 la violenza o la minaccia precedono la sottrazione della cosa mobile altrui, in quanto la violenza e la minaccia sono le concrete modalità attuative attraverso cui il soggetto agente pone in essere la sottrazione del bene; di conseguenza, l’utilizzo della violenza o della minaccia per impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, giustifica il dolo specifico consistente nella coscienza e volontà di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, che è la finalità ultima per la quale il soggetto agente ricorre alla violenza o minaccia per sottrarre il bene altrui ed in tal modo impossessarsene.

Nella rapina impropria, invece, la violenza o la minaccia sono utilizzate dopo la sottrazione, la quale, dunque, viene posta in essere senza il ricorso ad alcuna condotta violenta o minacciosa. Nella fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 628 c.p., infatti, la violenza e la minaccia non sono finalizzate alla sottrazione della cosa mobile altrui, bensì sono poste in essere per impossessarsi del bene già sottratto (giova ribadirlo, senza violenza o minaccia) o per assicurarsi l’impunità. Dunque, nel delitto di rapina impropria, l’impossessamento non è l’evento del reato, bensì è espressione del dolo specifico richiesto per la configurabilità della fattispecie di cui al comma 2 dell’art. 628 c.p.[8]; infatti, la violenza o la minaccia sono poste in essere per scoraggiare la reazione della persona offesa che ha già subito la sottrazione del bene, mentre nella rapina propria la violenza o la minaccia sono poste in essere per coartare la volontà della persona offesa al fine di sottrarre il bene[9].

In sostanza, è la finalizzazione della condotta violenta/minatoria a contraddistinguere e differenziare le due fattispecie, proprio in virtù della diversa collocazione temporale delle stesse rispetto alla sottrazione, non essendo possibile configurare nella condotta del soggetto agente il concorso della rapina propria ed impropria[10].

3.  La c.d. rapina impropria ed il rapporto con l’impossessamento

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha individuato il  momento consumativo della rapina impropria nella semplice sottrazione del bene, differenziando il momento consumativo della rapina di cui al comma 2 dell’art. 628 c.p. da quello della rapina propria di cui al comma 1 del medesimo articolo e del delitto di furto di cui all’art. 624 c.p.

Infatti, se per le fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 628 c.p. e dell’art. 624 c.p. la consumazione del delitto richiede non la sola sottrazione, bensì anche l’impossessamento della cosa mobile altrui, per la consumazione della rapina impropria è sufficiente il solo perfezionamento della sottrazione; di conseguenza, il delitto di cui all’art. 628, comma 2, c.p. è configurabile nella forma consumata nel caso in cui il soggetto agente utilizzi violenza dopo la semplice apprensione del bene[11]. Dunque, la rapina impropria nella forma tentata è configurabile soltanto nel caso in cui il soggetto agente abbia utilizzato violenza o minaccia per assicurarsi il possesso o l’impunità dopo aver posto in essere atti diretti in maniera non equivoca alla sottrazione della cosa altrui, senza riuscire, però, a portare a compimento detta sottrazione[12]. Invero, proprio sul profilo relativo al compimento di atti diretti alla sottrazione della cosa mobile altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà del soggetto autore del reato, seguito dall’utilizzo di violenza o minaccia per assicurarsi il possesso o l’impunità, è di recente intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite14 al fine di comporre il precedente contrasto giurisprudenziale sul punto insorto: un orientamento giurisprudenziale aveva ricondotto detta fattispecie nel concorso del tentativo di furto e della violenza o minaccia ed era, dunque, contrario all’ammissibilità del tentativo per il delitto di rapina impropria. A tale assunto la Corte giungeva, basandosi essenzialmente sul dato letterale, affermando che il capoverso dell’art. 628 c.p., imponendo che la sottrazione della cosa preceda l’esplicazione di violenza o minaccia (“… adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione …”), fa sì che l’agente, qualora – sorpreso prima di aver compiuto la sottrazione – usi violenza o minaccia al solo fine di fuggire o procurarsi altrimenti l’impunità, risponda non di tentata rapina ma di tentato furto, eventualmente in concorso con altro reato avente come elemento costitutivo la violenza o la minaccia[13].

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2012, però, superando quest’ultimo orientamento, ha ritenuto configurabile il tentativo di rapina impropria[14], in un contesto nel quale, dunque, è configurabile la fattispecie tentata del delitto ex art. 628, comma 2, c.p. quando all’avente diritto non è stato sottratto il bene ed il soggetto agente utilizzi violenza o minaccia per procurarsi l’impunità dopo aver compiuto atti diretti in modo non equivoco per la sottrazione, senza riuscirvi per fatti indipendenti dalla propria volontà[15]. È configurabile, invece, la fattispecie consumata ove il soggetto agente, dopo la sottrazione del bene, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri l’impunità o l’impossessamento del bene18.  

4.  Soluzione giuridica

La sentenza in esame, dunque, nell’individuare il momento consumativo della rapina impropria, ha fatto riferimento ad un diverso momento di consumazione rispetto alla rapina propria ed al furto, per la consumazione dei quali, infatti, sono necessari sia la sottrazione, sia l’impossessamento della cosa mobile altrui. Nel delitto di cui all’art. 628, comma 2, c.p., invece, il momento consumativo richiede semplicemente la sottrazione, mentre l’impossessamento non costituisce in alcun modo un elemento materiale della fattispecie criminosa, bensì soltanto lo scopo della condotta del soggetto agente. Infatti, l’utilizzo della violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione del bene mobile altrui, per configurare la fattispecie consumata del delitto di rapina impropria, è tale ove sia funzionale per procurare a se o ad altri l’impunità o per assicurare a sé o ad altri il possesso, dunque l’impossessamento del bene sottratto[16].

In tale prospettiva trova giustificazione l’irrilevanza, ai fini della consumazione del delitto ex art. 628, comma 2, c.p., del controllo posto in essere dal personale di vigilanza della condotta finalizzata alla sottrazione, in quanto detto controllo non incide sulla sottrazione del bene, bensì soltanto sull’eventuale impossessamento, atteso che l’eventuale controllo costante dell’azione di sottrazione impedisce in capo al soggetto agente di acquisire l’autonoma disponibilità del bene sottratto. In tale prospettiva la Corte di Cassazione non ha fatto altro che dare seguito a quanto già sostenuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione furto20, rispetto al quale è stato rilevato come la costante vigilanza posta in essere dalla persona offesa (o dall’incaricato alla sorveglianza) sulla condotta del soggetto agente impedisce che quest’ultimo possa acquisire l’impossessamento del bene sottratto, il quale, dunque, resta nella sfera di vigilanza  e controllo della persona offesa, integrando il reato nella forma tentata.

Nello stesso senso, la Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, si è discostata dall’orientamento giurisprudenziale in tema di momento consumativo del furto nel caso in cui la condotta del soggetto agente non avvenga sotto il costante controllo della persona offesa o di un incaricato di quest’ultima. In tale ipotesi, in caso di sottrazione della cosa mobile altrui è configurabile la fattispecie consumata soltanto nel caso in cui il soggetto agente superi la barriera delle casse senza pagare la merce sottratta, mentre prima di tale momento la condotta non può che configurare la fattispecie tentata[17]. Infatti, soltanto con il superamento della barriera delle casse è possibile ritenere avvenuto e realizzato l’impossessamento del bene sottratto, in un contesto nel quale, però, anche prima del mancato pagamento è integrata la fattispecie tentata per effetto della sottrazione del bene. Quanto rilevato, però, non può essere applicato anche alla rapina impropria proprio perché basta la semplice sottrazione del bene mobile altrui per poter ritenere configurata la fattispecie consumata del delitto ex art. 628, comma 2, c.p., indipendentemente dal mancato pagamento o dalla costante vigilanza posta in essere dalla persona offesa o da una persona da questi incaricata sulla condotta posta in essere dal soggetto agente.

Ne deriva che per valutare se la rapina impropria è consumata o tentata non è possibile valutare la consumazione o meno del furto e il successivo utilizzo di violenza o minaccia, posto che una valutazione di questo tipo determinerebbe una errata equipollenza tra il furto consumato e la rapina impropria consumata, mentre, in realtà, il momento consumativo di dette fattispecie di reato, per come già osservato, è differente. Ciò in quanto, ai fini della consumazione del furto, è richiesto l’impossessamento, mentre,  per la rapina impropria, la mera sottrazione.

Dunque, la costante vigilanza dell’azione criminosa, impedendo l’impossessamento ma non anche la sottrazione, se esclude la configurabilità della fattispecie consumata del furto ex art. 624 c.p. e della rapina propria ex art. 628, comma 1, c.p. (ferma restando, in tali ipotesi, la configurabilità della fattispecie di reato nella forma tentata), non esclude, invece, la consumazione del delitto di rapina impropria ex art. 628, comma 2, c.p.

Conclusioni

La sentenza in commento ha permesso di superare la ritenuta equipollenza tra la sottrazione e l’impossessamento nel delitto di rapina impropria, inserendosi in quel filone giurisprudenziale che negli ultimi anni ha permesso di delimitare non soltanto la differenza tra la rapina impropria consumata e la rapina propria tentata, bensì anche i rapporti intercorrenti tra il furto e la rapina, propria ed impropria. Infatti, per la configurabilità della fattispecie consumata di cui all’art. 624 c.p. sono necessari sia la sottrazione, sia l’impossessamento, in un contesto nel quale la sola sottrazione configura il tentativo di furto ex artt. 56 e 624 c.p. Infatti, l’impossessamento costituisce il momento consumativo del delitto di furto, così come del delitto di rapina propria, mentre per la consumazione del delitto di rapina impropria è sufficiente la sottrazione del bene mobile altrui.

Infatti, in presenza di una tentata sottrazione, non portata a compimento per fatti indipendenti dalla volontà del soggetto agente, è configurabile il tentativo di rapina impropria mentre, qualora durante la sottrazione il soggetto agente utilizzi violenza o minaccia per sottrarre la cosa mobile altrui, ancorché la condotta non sia iniziata con la violenza o minaccia, è configurabile la fattispecie consumata del delitto di cui all’art. 628, comma 2, c.p., in quanto la condotta violenta o minacciosa è stata funzionale a portare a compimento la sottrazione.

Per la configurabilità della rapina propria, invece, è necessario che la violenza o la minaccia siano utilizzate non soltanto per la sottrazione, bensì anche per l’impossessamento, ragion per cui, in presenza di violenza o minaccia utilizzate per sottrarre il bene, senza che si verifichi l’effettivo impossessamento in capo al soggetto agente, è configurabile il tentativo della rapina di cui al comma 1 dell’art. 628 c.p. Diversamente, nel caso in cui la sottrazione avvenga senza violenza o minaccia e ad esse si faccia ricorso per impossessarsi del bene, è configurabile la fattispecie consumata del delitto di rapina impropria.

La conclusione cui giunge la Suprema Corte, a parere dello scrivente, crea alcune incertezze circa l’inquadramento, all’interno della previsione legislativa, delle molteplici fattispecie concrete configurabili. Di fatto, nella ricostruzione sopra descritta viene escluso dal fatto tipico l’elemento dell’impossessamento, derubricato nella mera sottrazione. Ciò rende di fatto labile, a tratti impercettibile, il confine interpretativo – recte, il discrimine – tra il tentativo di furto ed il tentativo di rapina impropria, potendo configurarsi astrattamente, seguendo la linea tracciata dalla Corte di legittimità, entrambe le fattispecie nel medesimo caso concreto. Tali circostanze comportano, pertanto, l’attribuzione all’interprete di una notevole responsabilità – ovvero discrezionalità – in tutti quei casi in cui sia chiamato ad individuare, tra le due, la fattispecie di reato effettivamente ricorrente nel caso di specie, entrambe (nella forma tentata) astrattamente configurabili, se non, addirittura, sovrapponibili.


[1] Sulla rapina propria v. G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, Vol. II, Tomo 2, Zanichelli, 2015, pp. 124 ss. e F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale I, Giuffrè, 2016, pp. 529 ss.

[2] G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., p. 125. 3 Cass., 21 gennaio 2020, n. 6730.

[3] Cass., sez. II, 21 febbraio 2019, n. 16899.

[4] Sulla rapina impropria v. G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., pp. 133 ss., F. ANTOLISEI, op. cit., pp. 535 ss. e R.

GIOVAGNOLI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Itaedizioni, 2021, p. 613.

[5] G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., p. 134, F. ANTOLISEI, op. cit., p. 536.

[6] Cass., sez. II, 10 aprile 2020, n. 13381.

[7] Cass., sez. II, 29 maggio 2019, n. 26596; nello stesso senso v. Cass., sez. II, 3 novembre 2010, n. 42076, Cass., sez I, 9 aprile 2009, n. 30127 e Cass., sez. II, 30 giugno 2016, n. 37016.

[8] Cass., sez. II, 29 maggio 2019, n. 26596.

[9] Cass., sez. I, 15 giugno 2004, n. 45160: “Le figure criminose previste, rispettivamente, nel primo e nel secondo comma dell’articolo 628 c.p. (rapina propria e impropria) individuano due distinte, autonome ipotesi di reato, in quanto, pur avendo entrambe ad oggetto la medesima condotta volta all’impossessamento della cosa mobile altrui, l’elemento psicologico si atteggia in modo differente giacché, mentre nella rapina propria la violenza o la minaccia hanno lo scopo di coartare la volontà della persona offesa, che viene spossessata del bene, in quella impropria esse vengono esercitate per scoraggiare la reazione della persona offesa che ne ha già subito lo spossessamento“.

[10] Cass., sez. I, 29 maggio 1990, n. 7379.

[11] G. FIANDACA, E. MUSCO, op. cit., p. 136, F. ANTOLISEI, op. cit., p. 538.

[12] Cass., sez. IV, 26 aprile 2019, n. 13192: “è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per fatti indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per procurare a se o ad altri l’impunità“. 14 Cass., sez. un., 19 aprile 2012, n. 34952.

[13] R. GIOVAGNOLI, op. cit., p. 616.

[14] Cass., sez. un., 19 aprile 2012, n. 34952: “è configurabile il tentativo di rapina impropria (e non il concorso tra tentativo di furto e i reati di violenza o minaccia) nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per procurare a se o ad altri l’impunità“.

[15] Cass., sez. II, 14 novembre 2014, n. 49486. Sul punto cfr., altresì, R. GIOVAGNOLI, op. cit., pp. 618 ss. 18 Cass., sez. II, 14 novembre 2014, n. 49486.

[16] Cass., sez. II, 29 maggio 2019, n. 26596. 20 Cass., sez. un., 17 luglio 2014, n. 52117.

[17] Cass., sez. V, 19 gennaio 2011, n. 7042: “in tema di furto, il prelevamento della merce dai banchi di vendita di un grande magazzino a sistema self service e l’allontanamento senza pagare realizzano il reato di furto consumato; tuttavia, allorché l’avente diritto o persona da questi incaricata sorvegli l’azione furtiva, così da poterla interrompere in qualsiasi momento, il delitto non può dirsi consumato neanche con l’occultamento della cosa sulla persona del colpevole, perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell’offeso“.