Nota a sentenza della Corte Costituzionale del 9 aprile 2019, n. 78
Il coniugio nei procedimenti di chiamata dei docenti universitari? Nessuna illegittimità costituzionale
di Matteo Filice
Sommario: – 1. Il caso – 2. La legittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, lett. b della legge c.d. “Gelmini” – 3. Brevi conclusioni
- Il caso
Con la sentenza del 9 aprile 2019, n. 78 la Corte costituzionale1 ha suggellato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana con ordinanza dell’8 febbraio 2018 e relative all’art. 18, comma 1, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 240 del 2010 (c.d. Legge Gelmini), nella parte in cui non prevede, tra le condizioni che impediscono la partecipazione ai procedimenti di chiamata dei professori universitari, il rapporto di coniugio con un docente appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata, ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo.
Secondo il giudice a quo, la norma censurata viola anzitutto l’art. 3 della Costituzione in quanto lede il principio di uguaglianza ed è portatrice di notevole irragionevolezza. Ciò si dedurrebbe dalla mancata previsione del rapporto di coniugio tra le situazioni ostative alla partecipazione alle procedure selettive, a fronte della espressa previsione invece del rapporto di affinità, il quale presupporrebbe il rapporto coniugale. Al contempo l’organo giudicante rimettente reputa violato l’art. 97 della Costituzione per il contrasto con il principio di imparzialità2 dell’azione amministrativa.
In particolare, il giudizio dinanzi al giudice a quo ha per oggetto l’impugnazione della sentenza con cui il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha annullato la nomina della vincitrice della procedura selettiva indetta dall’Università degli studi di Catania per la chiamata di un professore di prima fascia, a causa dell’esistenza del rapporto di coniugio tra la vincitrice ed altro docente appartenente allo stesso dipartimento che aveva richiesto l’attivazione della procedura.
Il giudice di primo grado ha in sostanza interpretato estensivamente l’art. 18, primo comma, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 240 del 2010, contemplando anche il rapporto di coniugio.
V’è da dire che la successiva lettera c) del medesimo art. 18 estende il divieto in esame al conferimento di assegni di ricerca di cui all’art. 22, ai rapporti di lavoro dei ricercatori a tempo determinato ex art. 24 e, più in generale, ai “contratti a qualsiasi titolo erogati dall’ateneo”.
Il giudice a quo non ha mancato di rilevare che la stessa giurisprudenza amministrativa, anche di secondo grado, in diverse occasioni ha interpretato estensivamente il divieto, includendovi anche il rapporto di coniugio posto che “la familiarità tra giudicante e giudicato sarebbe della massima intensità”3 e che innanzi alla espressa previsione dell’affinità rileva la presupposizione del rapporto di coniugio.
Con memoria depositata il 16 maggio 2018, si è costituita L. L. B., parte appellata nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale. In via subordinata, ha chiesto altresì che la disposizione censurata sia ritenuta conforme agli artt. 3 e 97 Cost., ove interpretata in modo da ricomprendere anche il rapporto di coniugio tra le cause ostative alla partecipazione alle procedure selettive per la chiamata dei professori.
La parte privata costituita precisa che la disciplina è orientata a prevenire la disparità di trattamento fra gli aspiranti all’accesso a posti di professore e ricercatore nelle università, essendo finalizzata ad arginare il pericolo di alterazione della imparzialità, non essendo richiesta la prova dell’influenza che i rapporti familiari considerati possano avere sulla procedura selettiva. Inoltre, la medesima asserisce che l’estromissione dal concorso di coloro i quali si trovino in determinate posizioni con l’ente – ritenute tali da influenzarne la scelta – altro non è se non la manifestazione concreta della ratio che ispira l’art. 97 Cost., affinché la procedura selettiva possa dirsi rispondente all’interesse pubblico, a dispetto di ogni tipo di vantaggio individuale. Pertanto, a suo dire, è necessaria un’interpretazione della norma più ampia e conforme a Costituzione, che comunque può ritenersi autorizzata quandanche la norma stessa fosse di tipo eccezionale, posto che non si operi una discrasia rispetto alla ratio in essa insita.
L’Università degli studi di Catania, parte appellante nel giudizio a quo, ha ovviamente chiesto in via principale che la presente questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata perché la carenza normativa relativa al rapporto di coniugio è giustificata dal fatto che esso presenti preminenti profili caratteristici (a fondamento di un trattamento legislativo altrettanto differente) volti a tutelare la comune residenza coniugale a garanzia dell’unità familiare.
In soldoni, l’ateneo evidenzia che un trattamento di tal fatta operato dal legislatore sarebbe orientato a presidiare situazioni diverse rispetto a quelle dei parenti e degli affini, in ossequio all’art. 3 Cost. ed al principio di ragionevolezza. La difesa della parte appellante ha addotto in via subordinata l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 51, 97, 29, 30 e 31 Cost., laddove essa sia interpretata nel senso di contemplare anche il coniugio tra le situazioni ostative di cui alla norma in questione.
Con atto successivo depositato il 15 maggio 2018, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate eccependo l’inammissibilità della questione per il mancato esperimento di un’esegesi adeguata dell’enunciato normativo, nel senso di rinvenire nel rapporto di coniugio un fatto generatore della stessa incompatibilità tipizzata dalla disposizione contestata allorquando la familiarità importa l’indebolimento del principio di eguaglianza e della par condicio dei candidati.
Ancora, con atto depositato l’8 febbraio 2019, fuori termine, è intervenuto D. F., chiedendo che la questione in esame sia dichiarata inammissibile, o comunque non fondata, ed a sostegno della propria legittimazione a partecipare al giudizio costituzionale, ha dedotto di avere chiesto, in seno ad un diverso giudizio amministrativo, l’annullamento di un provvedimento di diniego di un incarico di docenza universitaria, occasionato dal rilievo del rapporto di coniugio con altro docente dello stesso dipartimento.
Nell’intreccio di tali problematiche si annida la rimessione della questione alla Corte costituzionale, per i connessi, intrinseci e delicati profili di (in)costituzionalità.
- La legittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, lett. b della legge c.d. “Gelmini”
L’attenzione attirata dall’art. 18 cit. ci consente di indugiare sulla ratio della norma.
E’ naturale che si rifletta su una possibile interpretazione estensiva ed analogica: si stimola una valutazione della disposizione – che non menziona il rapporto di coniugio ed a maggior ragione quello di convivenza more uxorio – alla luce della compatibilità con le norme cogenti e i principi costituzionali dell’ordinamento giuridico.
La legge c.d. “Gelmini” è focalizzata sulla responsabilizzazione di tutti i protagonisti del sistema universitario – impegnati nella realizzazione delle diverse missioni di cui è investito l’ente accademico – e teleologicamente orientata a limitare l’assunzione di comportamenti opportunistici dominati da conflitti d’interesse e tendenti ad instaurare circoli viziosi, a discapito della legittimità amministrativa.
In questo solco argomentativo degne di nota sono le pronunce dell’Autorità Nazionale Anticorruzione nella quali è stato osservato come debbano essere incluse nel portato della norma in esame sia il coniugio, sia lo stesso rapporto di convivenza more uxorio4.
Dette determinazioni si collocano in continuità con quanto già precedentemente sancito dalla giurisprudenza amministrativa5.
L’autorità amministrativa indipendente ha cooptato il coniugio tra le situazioni che danno luogo ad incompatibilità sull’assunto che lo stesso fosse celato sotto le spoglie del novero specificato dalla stessa norma, ben potendosi individuarlo e tirare fuori facendo buon uso delle tecniche di interpretazione giuridica. Secondo il ragionamento messo a punto dall’ANAC, considerato che affine è un parente del coniuge ai sensi dell’art. 78 c.c., sarebbe incoerente che i coniugi di chi fosse già professore presso il Dipartimento, del Rettore, del Direttore generale o di un componente del Consiglio di Amministrazione potessero essere tranquillamente chiamati o essere avvantaggiati dai contratti di ricerca e dai diversi incarichi presso il Dipartimento in questione o l’intero Ateneo.
L’ampliamento della portata normativa, a discapito dell’aderenza senza sbavature alla norma, è stata avallato altresì dal MIUR nell’atto di indirizzo n. 39 relativo all’aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione. L’atto de quo è andato oltre, come se la norma fosse stata “implicitamente” dotata di un’efficacia in fieri, in quanto ha ritenuto “di poter estendere la norma in argomento anche alle procedure di reclutamento di cui all’art. 24, comma 5 della legge n. 240/2010, nonché alle convenzioni di cui all’articolo 6, comma 11, e agli scambi di docenti ai sensi dell’articolo 7, comma 3, della medesima legge”6.
D’altro canto, i risultati cui si è giunti con gli approcci ermeneutici sinora descritti non risultano essere affatto invulnerabili se si pensa che la mancata menzione del coniugio potrebbe non essere stata una mera svista. Ci confortano, in merito, sia le decisioni della Consulta – che sovente ha sancito come il diritto al matrimonio, alla scelta del coniuge e quello a non essere sottoposti a interferenze arbitrarie nella vita privata siano da reputare esigenze prioritarie7 – sia lo stesso dato normativo8.
Estendere l’efficacia della norma parrebbe costituire un indirizzo incapace di potersi fregiare dell’immacolatezza e di essere immuni da vizi, in quanto viola il diritto di accedere agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost, incidendo altresì sul diritto di contrarre matrimonio e privando i coniugi della possibilità di carriera, rese sempre più difficili dalle esigue risorse disponibili.
Essendo le norme sulle incompatibilità limitative del diritto di esercitare pubbliche funzioni, ovvero dell’accesso ai concorsi e del fondamentale diritto al lavoro, allora devono interpretarsi come disposizioni per forza tipizzate e sfuggenti a qualsivoglia tentativo di essere soggette ad interpretazione analogica.
Coniugi e conviventi, rebus sic stantibus, possono essere beneficiati e destinatari delle procedure di cui all’art. 18 cit., in seno ai dipartimenti in cui già prestino servizio i partner, quandanche quest’ultimi fossero rettori, direttori generali o componenti dei Consigli di amministrazione.
La Consulta, infatti, con la pronuncia in esame ha cambiato rotta rispetto a quanto statuito dall’ANAC e dal MIUR e dalla stessa giurisprudenza amministrativa.
Essa ha in via preliminare dichiarato l’inammissibilità dell’intervento di D.F., perché depositato l’8 febbraio 2019, oltre il termine perentorio di 20 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’atto introduttivo del giudizio, per come previsto dall’art. 4, comma 4, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, giacché la pubblicazione dell’ordinanza del Consiglio di giustizia amministrativa è avvenuta nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 26 aprile 2018.
Inoltre, ha dichiarato altresì inammissibili le deduzioni svolte dall’Università degli studi di Catania, in relazione alla violazione degli artt. 2, 4, 29, 30, 31 e 51 Cost., in quanto dirette ad estendere il thema decidendum definito dall’ordinanza di rimessione, ritenuto che l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è circoscritto alle disposizioni e ai parametri indicati nell’ordinanza di rinvio, non potendo essere considerate ulteriori questioni dedotte dalle parti che non siano state fatte proprie dal giudice a quo.
La Corte ha poi non ritenuta fondata l’eccezione di inammissibilità della questione formulata dall’Avvocatura generale dello Stato per l’omessa sperimentazione di un’interpretazione conforme ai principi costituzionali e le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 240 del 2010, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
L’organo costituzionale ha ricordato come la norma rientri nell’alveo della regolamentazione delle procedure di chiamata dei professori universitari, tramite le quali le università coprono i posti di professore di prima nonché di seconda fascia e che trattasi di procedure di valutazione comparativa, il cui presupposto è il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale e possiedono le caratteristiche del concorso, prodromico all’individuazione del miglior candidato in ordine al ruolo da ricoprire9.
Quanto all’elencazione delle situazioni genetiche di incandidabilità che sembra rivelare una lacuna allorquando non annovera il rapporto di coniugio fra le cause ostative che menziona, la Corte costituzionale ne ha dichiarato la legittimità costituzionale: il fatto che la norma non includa il coniugio come motivo di incandidabilità degli aspiranti alla chiamata non può ritenersi, pertanto, irrazionale.
L’apprezzamento dei giudici costituzionali trae linfa dalla considerazione del coniugio quale situazione che postula un diversa ponderazione, poiché frappone all’egida dell’imparzialità non già solo il diritto a partecipare ai concorsi, ma anche la pluralità di necessità collegate all’unità familiare, dall’ordinamento giuridico tutelate e fondate sulla centralità della persona10, come peraltro suggellato dall’art. 2 della Costituzione. Tali esigenze non possono essere passibili di limitazioni e costrizioni di alcun tipo anche qualora i coniugi si trovassero a lavorare alle dipendenze del medesimo ente.
D’altronde, l’ostacolo dello stringente divieto potrebbe essere facilmente aggirato, dato che potrebbe essere eluso semplicemente non formalizzando il vincolo affettivo, pur di fatto essendovi, o ricorrendo al trasferimento dei dipendenti universitari partecipi alla causa ostativa altrove11.
Sino all’introduzione della disciplina in esame, il compito di evitare il pericolo di condizionamenti nello svolgimento della procedura era attribuito all’obbligo di astensione del soggetto che si trovasse in situazione di incompatibilità per come previsto dall’art. 5112 del codice di procedura civile, richiamato dall’art. 11 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 48713, “Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”.
Invero, delle cause di incompatibilità di cui all’art. 51 c.p.c. la giurisprudenza amministrativa ne ha fatto una generale applicazione efficace in tutti i settori della pubblica amministrazione, in quanto concreta traduzione dell’obbligo costituzionale d’imparzialità nelle procedure di reclutamento.
Le situazioni di rigida incandidabilità tipizzate dalla norma censurata sono manifestazione precipua di un meditato e peculiare equilibrio fra il diritto di ogni cittadino a partecipare ai concorsi universitari e le ragioni dell’imparzialità. Il problema della mancata inclusione del coniugio come motivo di incandidabilità degli aspiranti alla chiamata non può ritenersi abnorme perché gli aspetti connessi al coniugio sono portatori di specifici interessi, meritevoli di tutela, che non possono risultare scevri di adeguato vaglio condotto con lo scrupolo prescritto da principi di rango sovraordinato.
A ben vedere, il matrimonio sgorga sovente da un legame che si forma nell’ambiente di lavoro dove attecchiscono e si sviluppano le prospettive future di entrambe le parti: “si caratterizza per l’elemento volontaristico, viceversa mancante negli altri rapporti considerati, e comporta convivenza, responsabilità e doveri di cura reciproca e dei figli, così come previsto dal codice civile”14.
Il concorso di questi fattori assurge a validare ragionevolmente il trattamento riservato dalla disposizione di cui si discorre al vincolo derivante dal matrimonio.
L’organo di garanzia costituzionale osserva come “in altri sistemi giuridici vicini al nostro, da un lato, vengono promossi percorsi accademici che favoriscono l’unità familiare, e dall’altro lato, che qui maggiormente rileva, l’esigenza di preservare l’accesso alla carriera accademica da possibili condizionamenti è soddisfatta attraverso meccanismi diversi dalla drastica previsione dell’incandidabilità”15.
È, pertanto, più congeniale alle emergenti necessità dell’ordinamento giuridico una strategia che assegni l’incarico di assicurare l’imparzialità, la trasparenza e la parità di trattamento nelle procedure di selezione a soluzioni meno eccessive, parimenti satisfattorie e dirette ad evitare il conflitto di interessi.
Conclusivamente, quindi, le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa siciliano, sono state ritenute infondate, rilevandosi come “L’attuale regolazione delle situazioni che precludono la partecipazione alle procedure di chiamata costituisce, dunque, il risultato di un bilanciamento non irragionevole tra la pluralità degli interessi in gioco. La disposizione censurata non si pone, dunque, in contrasto con il parametro di cui all’art. 3 Cost., né lede i principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.”16.
- Brevi conclusioni
Alla luce della pronuncia della Corte che qui si passa in rassegna, l’intento perseguito dal legislatore con la legge c.d. “Gelmini” dell’imparzialità nell’esercizio dell’azione amministrativa17, non è venuto meno con una norma confezionata in un modo tale che sembrava eludere proprio detto risultato.
Anzi, v’è da dire che, nel caso di specie, il legislatore è stato oculato nell’allestimento della norma operando così un ragionevole distinguo consolidato dalla pronuncia di legittimità in esame, che ha chiarito l’equilibrio e la ponderatezza insiti nella norma.
La rimessione alla Corte costituzionale è certamente valutabile come sintomatica di un atteggiamento parsimonioso del giudice a quo che, anziché abbandonarsi ad un’eccentrica interpretazione della norma e nell’incertezza di una soluzione conforme a Costituzione che avrebbe potuto favorire il proliferare di una valutazione normativa a spregio del dato letterale, ha preferito affidarsi alla Consulta che può “fare quello che a nessun altro giudice è consentito, cioè “disporre” sullo stesso piano del legislatore, emanare “atti di potere” che incidono, trasformandoli, sugli stessi atti di potere che vincolano i giudici”18.
Estendere il divieto di cui all’art. 18 avrebbe significato inficiare le aspettative di vita familiare e di crescita professionale dei docenti – essendo gli stessi obbligati ad allontanarsi dal tetto familiare o dalla propria carriera – ed imporre un peso al coniuge molto più elevato di quello imposto ad un altro familiare non vincolato alla convivenza.
1 Per una panoramica complessiva sul ruolo e le funzioni della Corte costituzionale si v. Aa. Vv., Garanzie costituzionali. Art. 134 – 138, in Commentario della Costituzione, a cura di G.Branca, Il foro italiano, Bologna-Roma, 1981; V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale. I La Corte costituzionale, Padova, Cedam, 1984. Sul giudizio di legittimità costituzionale, si consiglia R.Romboli, E.Rossi, Giudizio di legittimità costituzionale delle leggi, in Enc. dir., V agg., Milano, 2001, pp. 217 ss; Il parametro nei giudizi di costituzionalità. Atti del Convegno di Palermo, 29-30 maggio 1998, a cura di G.Pitruzzella, F.Teresi, G.Verde, Torino, 2000.
2 Sull’imparzialità nella pubblica amministrazione si v. V. Cerulli Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, Giappichelli Editore, Torino, 2012, pp. 255 ss.
3 Si v. punto 2. del “Ritenuto in fatto” Corte. Cost. 9 aprile 2019, n. 78, in http://www.giurcost.org/decisioni/2019/0078s-19.html
4 Si v. delibera 22 novembre 2017, n. 1208, in www.anac.it
5 Si v. Cons. Stato, sez. VI, 4 marzo 2013, n. 1270; T.A.R. Abruzzo – l’Aquila, sez. I, 25 ottobre 2012, n. 703; T.A.R. Campania – Napoli, 24 maggio 2013, n. 2748; T.A.R. Roma, sez. III, 29 settembre 2015, n. 11393; T.A.R. Napoli, sez. II, 14 novembre 2016, n. 5234; T.A.R. Catania, sez. I, 19 maggio 2017, n. 1100.
6 Si v. atto d’indirizzo n. 39/2018 della Ministra Valeria Fedeli, p. 11, in http://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Atto+d%27indirizzo+n%C2%B039/
7 Si v. punto 3. del “Considerato in diritto” Corte Cost., 12 novembre 2002, n. 445, in http://www.giurcost.org/decisioni/2002/0445s-02.html. In questa pronuncia la Corte richiama la sua precedente sentenza, 24 luglio 2002, n. 332, in http://www.giurcost.org/decisioni/2000/0332s-00.html, in cui vennero dichiarate illegittime le norme che richiedevano, come requisito per l’accesso ai corpi militari, l’essere senza prole.
8 Si cfr. l’art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge, contro tali interferenze o lesioni”; l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
9 Si v. punto 5.1. “Considerando in diritto” Corte Cost., 9 aprile 2019, n. 78, in http://www.giurcost.org/decisioni/2019/0078s-19.html
10 Sul principio si v. N. Occhiocupo, Liberazione e promozione umana nella Costituzione: unità di valori nella pluralità di posizioni, Milano 1988, p. 34 ss. e p. 55 ss. Si v. altresì A. Vedaschi, Il principio personalista, in L. Mezzetti (a cura di), Principi costituzionali, Torino 2011, p. 274 ss.
11 Si v. la decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 21 novembre 2016, n. 417, in www.giustizia-aministrativa.it, nella quale si stabilisce l’illegittimità del concorso universitario per la nomina di un ricercatore posto che il trasferimento del padre, professore universitario, da un Dipartimento all’altro del medesimo ateneo è avvenuto con il chiaro scopo di aggirare le incompatibilità previste dall’art. 18 della legge n. 240 del 2010.
12A mente dell’art. 51 c.p.c. “Il giudice ha l’obbligo di astenersi:
1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
2. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore”.
13 Il comma 1 dell’art. 11 ex d.PR n. 487/1994, ultimo periodo, con riferimento alla commissione esaminatrice, dispone: “I componenti, presa visione dell’elenco dei partecipanti, sottoscrivono la dichiarazione che non sussistono situazioni di incompatibilita’ tra essi ed i concorrenti, ai sensi degli articoli 51 e 52 del codice di procedura civile”.
14 Si v. punto 5.2. del “Considerando in diritto”, Corte Cost. 9 aprile 2019, n. 78, in http://www.giurcost.org/decisioni/2019/0078s-19.html
15 Ibidem
16 Ibidem
17 Sull’azione amministrativa in generale, si cfr. A. Massera, I principi generali dell’azione amministrativa, a cura di V. Cerulli Irelli, Jovene editore, Napoli, 2006; A. Police, Principi generali dell’azione amministrativa, in La pubblica amministrazione e la sua azione, a cura di N. Paolantonio, A. Police, A. Zito, Torino, Giappichelli, 2005.
Sull’interpretazione conforme a Costituzione si v. G.Sorrenti, L’interpretazione conforme a Costituzione, Giuffrè, Milano, 2006.
18 R. Bin, La Corte costituzionale tra potere e retorica: spunti per una costruzione di un modello ermeneutico
dei rapporti tra Corte e giudici, in AA.VV., La Corte costituzionale e gli altri poteri dello Stato, Torino, 1993, p. 10. Con riguardo alla giurisprudenza della Corte costituzionale, si v. Ruggeri, Giurisprudenza costituzionale e valori, in Dir. pubbl., 1998, pp. 1 ss.; G. Silvestri, La Corte costituzionale nella svolta di fine secolo, in Storia d’Italia, ann. 14, Legge Diritto Giustizia, a cura di L. Violante in coll. con Minervini, Torino 1998, pp. 981 e ss.