A cura di Dott.ssa Antonella Memeo

Il T.A.R. Lombardia, Sez. Staccata di Brescia, con sentenza n. 1022/2022 ha respinto il ricorso proposto da una società per la condanna al risarcimento dei danni subiti per effetto del provvedimento del Prefetto della Provincia di Brescia con cui è stata emessa un’informazione interdittiva antimafia nei confronti della società ricorrente e del provvedimento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, con cui è stata comunicata l’avvenuta annotazione nel casellario informatico dell’Autorità, nonché dell’annotazione medesima.

Il Collegio ritiene che la ricorrente non abbia assolto al proprio onere probatorio.

Al riguardo,  rammenta che in base al principio sancito dall’art. 2697 c.c., (recepito dall’art. 64 c.p.a.), chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda e, «laddove il privato agisca per il risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo, lo stesso è tenuto a fornire, in modo rigoroso e circostanziato, la prova di tutti gli elementi dell’illecito e, in modo particolare, l’esistenza del nesso di causalità tra l’attività illegittima e il danno. Il risarcimento del danno, infatti, non costituisce una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, essendo per contro necessaria la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell’Amministrazione, incombendo sul danneggiato l’onere della prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, la mancanza di uno solo dei quali determina l’infondatezza della pretesa. Spetta, quindi, al ricorrente fornire la prova degli elementi costitutivi dell’illecito civile ovvero dell’elemento soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), necessari per fondare la responsabilità ex art. 2043 c.c.» (ex multis T.A.R. Lazio, Roma sez. II, 7 giugno 2022, n. 7374). 

Con particolare riferimento all’elemento soggettivo, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che «affinché possa configurarsi la responsabilità aquiliana della P.A. per l’illegittimo esercizio del potere, non è sufficiente la sola illegittimità del provvedimento, ma è altresì necessaria la sussistenza di un quid pluris, costituito dalla rimproverabilità soggettiva della P.A.» (ex multis T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 20 giungo 2022, n. 8259), intesa come apparato. L’unica eccezione al principio de quo si rinviene nelle procedure di aggiudicazione ove la Corte di Giustizia ha sancito, sin dal 2010, che la direttiva 89/665 «deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata» (cfr. Corte giustizia UE, sez. III, 30 settembre 2010, n.314). 

Ne consegue che, in tutte le ipotesi diverse dalle procedure di aggiudicazione, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria, insieme alla prova del danno subito, anche la sussistenza dell’elemento soggettivo nella forma del dolo ovvero della colpa.