Riflessioni su Cass., sez. I, n. 9049/20, Pres. Di Tommasi, Rel. Santalucia

di Italo Guagliano

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La vicenda e l’iter processuale. – 3. La posizione di garanzia nell’ordinamento penale italiano. – 4. Posizione di garanzia e obbligo di intervento. 5. – La posizione di garanzia nel caso Vannini.

1 Introduzione

La recente sentenza n. 9049/20 pronunciata dalla sez. 1 della Corte di Cassazione[1], avente ad oggetto il caso dell’omicidio del giovane Marco Vannini, rappresenta spunto di assoluto interesse per tentare di affrontare il dibattuto tema dei reati omissivi impropri e, in particolare, l’aspetto riguardante la posizione di garanzia. Tale elemento, come noto, a fronte di un aspro dibattito dottrinale, è rimasto a lungo trascurato dalla giurisprudenza di legittimità che, nel corso degli anni, ha scarsamente avvertito la necessità di ricorrere alla responsabilità per omesso impedimento dell’evento[2][3], finendo così per trascurare tutte le istanze provenienti dalla letteratura circa la necessità di ancorare il concetto di posizione di garanzia a canoni di certezza maggiori. Non si sottrae da tale andamento la sentenza in commento, la quale rappresenta un’occasione persa da parte della Corte di Cassazione per effettuare un’analitica trattazione dei c.d. obblighi di garanzia.

            La motivazione fornita dalla Corte di legittimità per i motivi di cui a breve si dirà, infatti, si espone a forti perplessità, facendo propria una definizione di posizione di garanzia che rischia di estendere la punibilità per i reati omissivi impropri al di là dei limiti costituzionali, facendo sorgere dubbi circa la sua compatibilità con il principio di legalità e, in particolare, con uno dei suoi corollari: il principio di tassatività.[4] L’operatore del diritto, come ben noto, è chiamato a non confondere il piano morale con quello giuridico, evitando di cedere alla tentazione di seguire l’esempio fornito da quegli ordinamenti a legalità sostanziale nei quali il reato in forma omissiva viene punito, in mancanza di una espressa previsione legislativa, solo in virtù di fonti c.d. materiali dalle quali far derivare l’obbligo giuridico per un soggetto di impedire qualsiasi evento lesivo all’interno della propria comunità. E’ ben noto come in ordinamenti quali quello cinese, sprovvisti di un’autonoma nozione di reato omissivo, lo stesso venga punito in virtù di posizioni di garanzia non derivanti da obblighi giuridici di impedire l’evento, quanto da situazioni fattuali quali, ad esempio, lo “stretto rapporto di vita”[5]. Tali situazioni fattuali sembrano trovare parziale dimora anche nella sentenza in commento, sebbene, come a breve si dirà, mascherati da un esplicito riferimento all’istituto dell’ “assunzione volontaria” dell’obbligo di garanzia. La Corte di Cassazione, nel caso di specie, nonostante si dimostri avveduta circa i limiti della c.d. teoria formale della posizione di garanzia, incapace, come noto, di selezionare fra gli innumerevoli obblighi di agire previsti dal nostro ordinamento quelli dai quali scaturisce una posizione di garanzia con conseguente punibilità ex art. 40 co. 2 c.p.[6], trascura – nonostante averli formalmente enunciati – i criteri elaborati dalla dottrina per distinguere la posizione di garanzia dal mero obbligo di attivarsi ex art. 593 c.p., finendo per effettuare un’interpretazione del secondo comma dell’art. 40 c.p., in contrasto con il principio di tassatività con conseguente estensione dell’ambito di punibilità ben oltre i limiti costituzionali. Prima di analizzare le criticità della sentenza in oggetto, appare necessario richiamare brevemente la vicenda fattuale così come risultante dall’istruttoria dibattimentale e non intaccata dalla ricostruzione effettuata dalla Corte di legittimità.[7]

2 La vicenda e l’iter processuale

La sentenza ha ad oggetto la vicenda che ha visto coinvolto Antonio Ciontoli e i membri della sua famiglia: la moglie, Maria Pezzillo, e i suoi due figli Federico e Martina Ciontoli. Antonio Ciontoli, nella serata del 17 maggio 2015, simulando uno scherzo attraverso l’utilizzo di una pistola semiautomatica, ritenuta dallo stesso erroneamente scarica, esplose un colpo nella direzione di Marco Vannini che lo raggiunse al livello della faccia esterna del terzio medio del braccio destro con tramite che attraversò il lobo superiore del polmone destro e successivamente il cuore, provocando una ferita ritenuta dai periti atipica, in virtù della relativa paucisintomaticità che ne derivò e della lunga sopravvivenza del ferito, conseguenza del fatto che il colpo non produsse una devastazione dei tessuti e assicurò una “sopravvivenza non ordinaria nei casi di ferita da arma da fuoco”.[8] A tale condotta – posta nel capo di imputazione alla stregua di un antefatto[9] -, sulla cui natura colposa i giudici di legittimità e di merito non hanno espresso dubbi, ne seguì una di carattere omissivo attraverso la quale il Ciontoli, ritardando i soccorsi e fornendo informazioni false al personale paramedico, causò[10] in concorso con i suoi familiari[11] il decesso di Marco Vannini.[12] La medesima imputazione di omicidio omissivo è stata formulata anche nei confronti dei familiari del Ciontoli, i quali, pur non essendo presenti al momento dell’esplosione del colpo, omisero per un tempo apprezzabile di avvertire i soccorsi nonché di meglio verificare la causa del malessere di Marco Vannini, fornendo quindi un apporto causale fondamentale alla morte del ragazzo. Alla luce di questa ricostruzione appare evidente che, in virtù della natura omissiva dei reati contestati, i temi decisori, come rilevato dalla Corte di legittimità[13], sono costituiti dai profili soggettivi di responsabilità e dalla sussistenza o meno delle posizioni di garanzia in capo ad Antonio Ciontoli e agli altri imputati. Proprio in ordine alla posizione di garanzia risultano censurabili, in primis, le motivazioni fornite dalle Corti di merito: la sentenza di primo grado ha, infatti, assegnato rilevanza causale alle condotte omissive valorizzando il “dovere giuridico di garantire il soccorso a chi ne abbia necessità” confondendo così l’obbligo di attivarsi di cui all’art. 593 c.p. con l’obbligo di garanzia ex. art. 40 co. 2 c.p., il quale lo annovera espressamente fra i requisiti essenziali per la configurazione di un reato omissivo improprio. La Corte di assise ha poi escluso la configurabilità del reato di omissione di soccorso in virtù di un imprecisato grado di negligenza, riscontrabile nel caso di specie, maggiore di quello che sarebbe astrattamente previsto per il reato ex art. 593 c.p. Di diverso avviso si è mostrata la Corte di assise di appello, la quale, interrogata sul punto, ha posto alla base della qualificazione del fatto di reato in omicidio omissivo la posizione di garanzia derivante dall’obbligo giuridico di impedire l’evento basato sul “principio generalissimo del neminem laedere”[14] Anche tale motivazione, per i motivi che ci si appresta a dire, risulta erronea poiché basata su una definizione non costituzionalmente legittima della posizione di garanzia, in quanto contrastante con il principio di tassatività.

            La sentenza della Corte di Cassazione, pur individuando correttamente le criticità delle sentenze di merito in ordine alla posizione di garanzia, fornisce una motivazione non convincente che rappresenta spunto di assoluto interesse per analizzare il concetto di posizione di garanzia alla luce della letteratura più recente. La Corte di legittimità, infatti, dopo aver ravvisato l’astratta configurabilità della fattispecie di omissione di soccorso[15], ne esclude l’applicabilità, in virtù della presenza in capo a tutti gli imputati di una posizione di garanzia, dalla quale sarebbe derivato l’obbligo per gli stessi di impedire l’evento morte di Marco Vannini e la conseguente responsabilità a titolo di omicidio omissivo. Ciò che non convince è proprio la motivazione posta alla base di tale affermazione da parte dei giudici di Cassazione: essi affermano, infatti, che la suddetta posizione di garanzia sarebbe sorta, in seguito all’evento traumatico costituito dal ferimento di Marco Vannini ad opera di Antonio Ciontoli, in virtù dell’assunzione volontaria effettuata da parte di quest’ultimo e dei suoi familiari di un dovere di protezione e quindi di un obbligo di impedire conseguenze dannose per la vita del giovane Vannini.[16] L’assunzione della posizione di garanzia sarebbe stata inoltre favorita dai rapporti di spiccata confidenza che, a detta dei giudici di legittimità, legavano Marco Vannini con la famiglia Ciontoli, tali da poter essere definiti di “tipo familiare”. Secondo questa ricostruzione, quindi, il dovere di impedire l’evento si concretizzò in ragione del ferimento avvenuto quando la vittima era ospite della famiglia Ciontoli, e si tramutò in un vero e proprio obbligo di protezione, diverso dal mero obbligo di intervento previsto dal reato di cui all’art. 593 c.p.

3 La posizione di garanzia nell’ordinamento penale italiano

Per comprendere le possibili conseguenze che potrebbero derivare da una simile interpretazione della posizione di garanzia ex art. 40 co. 2 c.p. occorre necessariamente ricostruire, seppur brevemente, la funzione che la stessa svolge all’interno del nostro ordinamento, nonché il dibattito da sempre presente in dottrina circa la sua corretta configurazione. Come ben noto, gli ordinamenti a legalità formale subordinano la configurabilità dei reati omissivi impropri alla presenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento previsto dalla fattispecie, in presenza del quale il mancato impedimento dell’evento lesivo o pericoloso equivale a cagionarlo[17]. Tale previsione, però, come anticipato in premessa, si espone a profonde divergenze in ordine alle fonti dalle quali deriverebbe l’obbligo di impedire l’evento.[18] Come noto, in letteratura si sono avvicendate tre diverse concezioni che, con fortune alterne, sono state recepite anche dalla giurisprudenza italiana: la teoria formale, la sostanzialistico-funzionale e la mista.[19] Come rilevato da autorevole dottrina[20] la scarsa giurisprudenza italiana è rimasta sostanzialmente ancorata alla teoria formale, caratterizzata dalla necessaria previsione espressa dell’obbligo giuridico di agire all’interno di fonti formali (si parla del c.d. trifoglio[21]), costituite dalla legge, dal contratto o dalla precedente azione pericolosa. In seguito, parte della dottrina ha esteso l’ambito delle fonti, ricomprendendovi la negotiorium gestio e la consuetudine[22], facendo sorgere dubbi circa la loro compatibilità con il principio di legalità e, in particolare, con due suoi corollari: il principio di tassatività e la riserva di legge. Sebbene la teoria formale abbia il pregio di aver ricondotto la responsabilità omissiva al principio di legalità (salvo quanto si dirà in seguito in ordine alla categoria dell’assunzione volontaria e della precedente azione pericolosa), la stessa si espone a insuperabili critiche in ordine alla incapacità della stessa di selezionare fra gli innumerevoli obblighi di agire previsti dal nostro ordinamento, quelli idonei a far sorgere una posizione di garanzia. Si pensi all’obbligo di intervento previsto dalla fattispecie di cui all’art. 593 c.p.: in assenza di criteri ulteriori per selezionare tra gli obblighi di agire quelli dai quali scaturisce una posizione di garanzia, dalla mera omissione di soccorso potrebbe scaturire in caso di morte del pericolante la responsabilità per omicidio omissivo.[23] Di tale rischio sembra esserne consapevole la Corte di Cassazione[24] che, nella sentenza in commento, dopo aver enunciato i criteri distintivi fra gli obblighi di agire in generale (e in particolare quello previsto dalla fattispecie di cui all’art. 593 c.p.) e gli obblighi di garanzia, di cui a breve si dirà, ne omette l’applicazione, facendo derivare la posizione di garanzia da una situazione fattuale, non quindi ancorata a un obbligo giuridicamente previsto in capo agli imputati. Ad altre insuperabili censure si espongono le ulteriori due teorie elaborate dalla dottrina per l’individuazione delle posizioni di garanzia: la concezione sostanzialistico-funzionale e la c.d. teoria mista. La prima, in particolare, essendo stata elaborata dalla dottrina tedesca in assenza di una disciplina specifica circa la responsabilità omissiva[25], sebbene abbia il pregio di individuare un criterio per la selezione delle posizioni di garanzia sulla base di un “obbligo fattuale di garanzia” del bene, assunta in concreto da specifici soggetti (ad es. per convivenza continuativa) nei confronti di beni giuridici bisognosi di una tutela rafforzata per incapacità di adeguata protezione da parte del titolare, mal si concilia, come rilevato da autorevoli esponenti della letteratura[26] con il principio della riserva di legge, fondando la nascita della posizione di garanzia su criteri meramente fattuali. Neppure la teoria mista¸ attualmente prevalente nella dottrina italiana, sembra però poter soddisfare i criteri di legalità e di certezza richiesti dal nostro ordinamento: il tentativo di effettuare una sintesi delle due teorie sopra esposte attraverso la selezione delle posizioni di garanzia in base al duplice requisito di una loro previsione formale e di una corrispondente posizione fattuale di garanzia, si espone a insormontabili limiti. In particolare, appare evidente che, rimettendo la selezione degli obblighi di garanzia fra gli innumerevoli obblighi di agire previsti dal nostro ordinamento al criterio sostanzialistico, essa finisca per riproporre quei problemi di incertezza già propri della teoria sostanzialistico-funzionale, sprovvista di criteri precisi con conseguente ampio margine di discrezionalità per l’interprete. In attesa di un intervento legislativo, a gran voce richiesto dalla dottrina maggioritaria[27], non può che essere accolta la definizione di posizione di garanzia costituzionalmente orientata elaborata da parte della dottrina che, de jure condito, meglio garantisce il rispetto del principio di tassatività e di riserva di legge.[28] Appare necessario, a questo punto, analizzare tale definizione al fine di verificarne il rispetto da parte della sentenza in commento.

Il rispetto del dettato costituzionale impone di ricostruire l’obbligo di garanzia come “l’obbligo giuridico, gravante su specifiche categorie predeterminate di soggetti previamente forniti degli adeguati poteri giuridici, di evitare eventi offensivi di beni altrui, affidati alla loro tutela per l’incapacità dei titolari di adeguatamente proteggerli”.[29] Tale definizione, infatti, rappresenta il frutto di un’elaborazione costituzionalmente orientata dell’obbligo di garanzia che garantisce il rispetto del principio della riserva di legge, prevedendo la giuridicità dell’obbligo, con esclusione di tutte quelle posizioni fattuali di garanzia alle quali anche la sentenza in commento, come visto, sembra far riferimento[30]; del principio di tassatività, richiedendo la specifica individuazione dell’obbligo; del principio di libertà personale, prevedendo la necessità che la posizione di garanzia gravi su soggetti predeterminati, legati da un rapporto giuridico con il bene da proteggere o con il bene fonte di pericolo. Infine, tale definizione è frutto della necessità che la posizione di garanzia sia rispettosa del principio della personalità della responsabilità penale, in maniera tale da differenziarla da tutti gli altri obblighi di agire presenti nel nostro ordinamento. Tale differenziazione è resa possibile dalla necessaria presenza, al fianco dei doveri impeditivi, di speculari poteri conferiti da una norma giuridica al fine di assolvere all’obbligo di garanzia, nonché dalla necessaria preesistenza dell’obbligo di garanzia rispetto alla situazione di pericolo, in maniera tale da permettere al titolare della posizione di garanzia di utilizzare i propri poteri per tutelare il bene giuridico a lui affidato anche in via preventiva.[31] Il requisito della preesistenza della posizione di garanzia al verificarsi del presupposto di fatto da cui origina l’obbligo di impedimento, infatti, fonda il dovere-potere di vigilanza sul bene protetto e il dovere di rimozione del pericolo una volta insorto.[32] Come affermato da autorevole dottrina[33], infatti,  proprio la giuridicità del potere impeditivo rappresenta un criterio di distinzione dell’obbligo di garanzia dal mero obbligo di attivarsi, caratterizzato da soli poteri fattuali e contingenti.

4 Posizione di garanzia e obbligo di intervento

Individuato in questi termini l’ambito operativo della posizione di garanzia, appare un compito decisamente meno arduo individuare le differenze che la distinguono dal mero obbligo di attivarsi, nonché verificare la corretta applicazione, da parte della Corte di legittimità nella sentenza in commento, dei principi fino ad ora illustrati.[34] Il primo elemento distintivo, come visto, è rappresentato dal fatto che nel mero obbligo di intervento, previsto ad esempio nella fattispecie di cui all’art. 593 c.p., il rapporto tra il soggetto titolare dell’obbligo e il bene giuridico tutelato è creato direttamente dalla norma incriminatrice e si instaura soltanto nel momento in cui si verifica il presupposto di fatto indicato nella norma stessa. A differenza di quanto avviene in presenza di una posizione di garanzia, quindi, è assente un pregresso affidamento del bene all’obbligato e non esiste un preesistente specifico rapporto giuridico. L’obbligo di attivarsi sorge in maniera contestuale alla situazione occasionale di pericolo, a differenza di quanto avviene nel caso di un obbligo di garanzia, il quale viene posto a presidio di un bene già necessitante di una tutela, indipendentemente dal sorgere di una situazione di pericolo.[35] Si pensi all’obbligo di soccorso che sorge nei confronti di colui che si imbatte nell’automobilista appena ferito da un incidente stradale: appare evidente come in tale circostanza il soccorritore non assumerà una posizione di garanzia, in quanto sprovvisto di un preesistente potere giuridico che gli avrebbe permesso di impedire il sorgere della situazione di pericolo (ad esempio impedendo all’automobilista di tenere una guida pericolosa). Da ciò ne consegue che lo stesso non potrà mai rispondere per la morte dell’automobilista ex art. 40 co. 2 c.p. per l’omesso impedimento dell’evento lesivo, in quanto sprovvisto di una posizione di garanzia. Egli potrà, al più, essere punito sulla scorta della norma che prevede l’obbligo di attivarsi e, laddove lo stesso sia previsto da una fattispecie penale, in base alla norma sul reato omissivo proprio (nel caso in esempio ex art. 593 c.p.)[36].

5 La posizione di garanzia nel caso Vannini

Fatte queste necessarie premesse, appare evidente come la Corte di legittimità nella sentenza

in commento, abbia del tutto disatteso le indicazioni fornite dalla dottrina in ordine alla corretta individuazione delle posizioni di garanzia e alla distinzione delle stesse dai meri obblighi di intervento. Nonostante la Corte abbia richiamato brevemente le considerazioni qui fatte in ordine alla suddetta distinzione, essa ha infatti poi omesso di darne corretta applicazione. Nel caso di specie, d’altronde, appare evidente come i membri della famiglia Ciontoli fossero sprovvisti di un preesistente obbligo di garanzia a tutela della vita di Marco Vannini e che, contrariamente, gli stessi siano stati raggiunti esclusivamente da un obbligo di intervento ai sensi dell’art. 593 c.p.: come si è avuto modo di vedere, e come d’altronde enunciato dalla Corte stessa, affinché possa sorgere una responsabilità ex art. 40 co. 2 c.p. è necessario che l’agente sia titolare di un obbligo di garanzia preesistente rispetto alla situazione di pericolo che lo concretizza. Laddove, invece, l’agente sia sprovvisto di un preesistente potere-dovere di tutela del bene giuridico posto in pericolo, si concretizzerà esclusivamente un mero obbligo di intervento previsto e punito, in caso di inadempimento, dalla fattispecie di cui all’art. 593 c.p. D’altronde, nel caso affrontato dalla Corte, non potrebbe dirsi sussistente alcun rapporto giuridico preesistente fra gli imputati e la vittima. Tale differenziazione è stata peraltro enunciata dalla stesso collegio che, in premessa all’analisi del caso concreto, ha affermato: “La distinzione tra i due obblighi (di garanzia e di attivarsi n.d.r.) è stata chiarita dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che, da un lato, ha individuato la posizione di garanzia nell’obbligo gravante su categorie predeterminate di soggetti a cui la legge extrapenale o altra fonte giuridica – quale il contratto – capace di produrre un obbligo assegni a terzi adeguati poteri per l’impedimento di eventi offensivi di beni altrui, la cui tutela è a loro affidata in ragione dell’incapacità dei titolari di provvedere autonomamente alla loro protezione; e dall’altro, ha messo in evidenza che l’obbligo di attivarsi è invece quello di agire a tutela di certi beni che sorge in capo a soggetti privi di poteri giuridici impeditivi dell’evento al verificarsi di un determinato presupposto di fatto individuato dalla stessa norma incriminatrice”[37]. Appare evidente come l’interpretazione qui effettuata dalla Corte di Cassazione sia perfettamente sovrapponibile a quella elaborata dalla dottrina più recente e precedentemente analizzata e, al contempo, sia stata del tutto disattesa dalla medesima Corte. I familiari del Ciontoli, infatti, sprovvisti di un previo potere-dovere impeditivo, sono stati raggiunti dall’obbligo di attivarsi esclusivamente al verificarsi del presupposto di fatto previsto dalla norma di cui all’art. 593 c.p., rappresentato dal ferimento colposo del Vannini ad opera di Antonio Ciontoli. Solo in tale momento essi, imbattendosi nel pericolante, hanno assunto il ruolo non di garanti, bensì di soccorritori occasionali, difettando di una previa posizione di garanzia. Richiamando l’esempio fatto in precedenza, sarebbe infatti inammissibile immaginare una responsabilità a titolo di omicidio omissivo per il passante che, imbattutosi nell’automobilista ferito, si rifiuti di aiutarlo accettando il rischio della sua morte o, diversamente, lo aiuti in prima persona senza chiamare i soccorsi, tenendo così un comportamento colposo in quanto contrastante con norme comuni di diligenza. Le medesime osservazioni possono essere svolte nei confronti dei richiami effettuati dalla Corte di legittimità ai preesistenti rapporti personali intercorrenti fra gli imputati e la vittima: come si è avuto modo di vedere in premessa, infatti, le situazioni fattuali di garanzia non possono costituire all’interno del nostro ordinamento unico criterio per selezionare gli obblighi di garanzia; una simile concezione, fatta propria da coloro che aderiscono alla teoria sostanzialistico-funzionale, non guardando alla sussistenza di un obbligo formale, mal si concilia con i principi di tassatività e di riserva di legge.[38] D’altronde, già in passato la stessa Corte di Cassazione si era mostrata consapevole dei rischi derivanti da una piena adesione all’idea che dalla mera situazione di fatto possa derivare l’obbligo di garanzia in capo ad un soggetto: in tale occasione la Corte di legittimità aveva quindi circoscritto l’ambito applicativo dell’affermazione ai soli agenti di pubblica sicurezza con esclusione dei comuni cittadini.[39] Come si è avuto modo di dire in precedenza, l’utilizzo di categorie fattuali non permette di circoscrivere entro confini chiari la responsabilità per non impedimento, vista la mancanza di criteri definiti per delimitare le posizioni di garanzia, con il rischio che a ciò consegua una inammissibile estensione dell’ambito di punibilità, come ci dimostra l’esperienza della giurisprudenza tedesca, attualmente ancora ancorata alla teoria sostanzialistico-funzionale.[40] Anche il riferimento all’assunzione volontaria della posizione di garanzia effettuato dal collegio si espone a profondi dubbi in ordine alla sua fondatezza e alla sua legittimità costituzionale. La Corte afferma, infatti, che i membri della famiglia Ciontoli avrebbero assunto volontariamente e unilateralmente rispetto a Marco Vannini un dovere di protezione e quindi un obbligo di impedire conseguenze dannose per i suoi beni.[41] Il richiamo effettuato dai giudici di legittimità è alla negotiorum gestio che, come visto in precedenza, viene ricondotta da parte della dottrina alle fonti formali dalle quali può sorgere una posizioni di garanzia[42]. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’obbligo di garanzia, però, mal si concilia con la possibilità che la disciplina sulla gestione del negozio altrui, di cui all’art. 2028 c.c., possa essere utilizzata per far sorgere una posizione di garanzia ex art. 40 co. 2 c.p. Come evidenziato dalla dottrina maggioritaria[43], infatti, l’utilizzo della negotiorum gestio rappresenta un mero tentativo della teoria formale di ricondurre a una fonte legislativa – quella prevista dall’art. 2028 c.c. – una serie di circostanze caratterizzate da un’assunzione meramente fattuale di obblighi di intervento, quali ad esempio: l’assunzione volontaria conseguente a un contratto nullo e quindi inidoneo a far sorgere una posizione di garanzia o, come nella vicenda in trattazione, il caso della vera e propria assunzione volontaria unilaterale. La teoria che vorrebbe ricondurre la negotiorum gestio fra le fonti formali delle posizioni di garanzia non soddisfa, però, i principi costituzionali in tema di responsabilità penale. In primis, essa mal si concilia con il principio della riserva di legge, poiché alcuni dei requisiti in tema di attività gestoria previsti dall’art. 2028 c.c. – quale ad esempio la natura patrimoniale dell’attività – ne precludono l’applicazione per la creazione di una posizione di garanzia nei casi in cui il bene da tutelare o proteggere sia personale, quindi incompatibile con il carattere della patrimonialità della gestione. In maniera analoga non potrebbe sorgere una posizione di garanzia sulla base della negotiorum gestio, la quale come visto prevede tra i propri requisiti la spontaneità dell’intervento, in tutti quei casi in cui il bene in pericolo sia rappresentato dalla vita o dall’incolumità personale: in tali casi, infatti, l’intervento gestorio non sarebbe spontaneo bensì conseguenza dell’obbligo di intervento previsto dalla fattispecie di cui all’art. 593 c.p.. Nel caso in commento, quindi, gli imputati non hanno assunto spontaneamente la gestione dell’incolumità del Vannini, essendo stati gli stessi obbligati a farlo in virtù di quanto previsto dal reato di omissione di soccorso, configurabile – come ha affermato la stessa Corte – anche nei confronti di colui che ha colposamente provocato la situazione di pericolo: non solo quindi nei confronti dei familiari, assenti al momento del ferimento del Vannini, ma anche nei confronti dello stesso Antonio Ciontoli, autore del ferimento. La mancanza del requisito della spontaneità non rende quindi configurabile la posizione di garanzia sulla scorta dell’istituto della negotiorum gestio, il quale, inoltre, come evidenziato da autorevole dottrina[44], è sprovvisto anche del requisito della preesistenza del rapporto giuridico fra il bene tutelato e il soggetto che compie l’attività gestoria[45]; requisito che, come si è avuto modo di vedere, permette di effettuare la distinzione fra le posizioni di garanzia e i meri obblighi di intervento. Alcuni autori, consapevoli del rischio derivante dall’inclusione della gestione di attività altrui tra le fonti degli obblighi di garanzia, hanno individuato come limite a tale teoria il criterio di natura sostanzialistico-funzionale dell’aumento del rischio, in base al quale l’assunzione volontaria diviene fonte di obblighi di garanzia solo laddove l’intervento del garante induca il titolare del bene giuridico tutelato a correre un rischio che altrimenti non avrebbe corso. Tale limite permetterebbe di evitare la punibilità ex art. 40 co. 2 c.p., 575 c.p. per omicidio omissivo, nei casi in cui un soccorritore occasionale, dopo aver assunto l’obbligo di soccorso, ne abbia poi interrotto l’esecuzione con conseguente morte del pericolante: una situazione, quindi, del tutto sovrapponibile al caso oggetto della sentenza in commento. Parte della dottrina ha evidenziato, però, che l’utilizzo di un criterio di derivazione sostanzialistica, tra l’altro del tutto estraneo alla gestione dell’attività altrui così come disciplinata dall’art. 2028 c.c., rischierebbe di portare con sé quei rischi di indeterminatezza e discrezionalità già analizzati e legati alla teoria sostanzialistico-funzionale. I limiti evidenziati rendono evidente come il richiamo all’assunzione volontaria effettuato dalla Corte di legittimità[46] mal si concili con un’interpretazione della posizione di garanzia rispettosa dei principi costituzionali di tassatività, riserva di legge e personalità. Non ci si può esimere dal notare, inoltre, che anche prescindendo dal dibattito presente in dottrina circa la fondatezza della teoria della negotiorum gestio come fonte di posizioni di garanzia, la stessa mal si presti ad essere adoperata nel caso in commento, ciò in virtù del limite rappresentato dal criterio dell’aumento del rischio: l’intervento degli imputati, infatti, essendo avvenuto in un momento successivo rispetto al sorgere della situazione di pericolo, non ha comportato un aumento del rischio per la vita del Vannini.

Alla luce di quanto detto appare evidente che la Corte di legittimità nella sentenza in commento abbia del tutto ignorato le istanze provenienti la dottrina circa la necessità di effettuare una lettura del secondo comma dell’art. 40 c.p. compatibile con il dettato costituzionale. L’interpretazione fatta propria dalla Corte fa ancora una volta sorgere dubbi in ordine al sistema delle posizioni di garanzia nel diritto penale italiano e fa riecheggiare le voci di coloro che da tempo auspicano un intervento del legislatore volto a tipizzare in qualche modo le posizioni di garanzia quale perno centrale attorno a cui ruota la fattispecie omissiva impropria.[47]


[1] Consultabile presso il database della Corte di Cassazione al seguente indirizzo: http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20200306/snpen@s10@a2020@n09049@tS.clean.pdf

[2] Una rassegna giurisprudenziale in tema di posizione di garanzia è presente in Bisori, L’omesso impedimento del reato, pp. 1352 e ss.

[3] In questi termini si esprimono anche Fiandaca – Musco, Diritto Penale – Parte Generale, Torino, p. 345.

[4] Per una disamina circa la compatibilità dell’obbligo di garanzia con il principio di tassatività si v. Mantovani, Diritto Penale – Parte generale, 9° edizione, Milano, p. 158.

[5] Cfr. Mantovani, op. cit., p. 156.

[6] In ordine alle criticità della teoria formale si v. Caraccioli, voce Omissione (dir. Pen.), in Noviss. Dig. It., XI, Torino, 1965, pp. 896 e ss.

[7] La ricostruzione della vicenda è effettuata in maniera dettagliata a pp. 3 e ss. della sentenza in commento.

[8] In questi termini si sono espressi concordemente i periti e i consulenti di parte durante l’istruttoria dibattimentale. (cfr. par. 8 sentenza in commento).

[9] “dopo che Ciontoli Antonio (…) aveva esploso colposamente” cit. par. 3 sentenza in commento;

[10] Sul nesso causale nei reati omissivi impropri si v. G. Fiandaca – E. Musco, op. cit. , Torino, pp. 589 e ss.

[11] Sulla natura concorsuale della fattispecie non concorda la Cassazione nella sentenza in commento.

[12] In ordine all’elemento soggettivo di questo secondo tratto di condotta si sono espresse in maniera differenziata i le Corti di merito. La Corte di Assise ha infatti ritenuto sussistente l’accettazione dell’evento morte con conseguente sussistenza del dolo in forma eventuale. La Corte di Assise di appello ha invece riformato la sentenza di primo grado riqualificando l’imputazione in quella di omicidio colposo con l’aggravante di aver previsto l’evento. Su tale punto, non oggetto di questa trattazione, si concentra in maniera dettagliata la sentenza della Corte di Cassazione in commento.

[13] Cfr. par. 4 sentenza in commento.

[14] Cfr. par. 7 sentenza in commento.

[15] In contrasto con quanto affermato dalla Corte di appello di assise che aveva escluso fossero ravvisabili nel caso di specie tutti gli elementi tipici della fattispecie ex art. 593 c.p.

[16] Cfr. par. 18 sentenza in commento.

[17] L’art. 40 co. 2 recita: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”

[18] Antolisei, L’obbligo di impedire l’evento, in Riv. It, 1936, 121; Battiati, Considerazioni critiche in ordine ai più recenti orientamenti giurisprudenziali sui reati omissivi improprii e sull’obbligo di impedire l’evento, in Giust. Pen., 2012.

[19] Giunta, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva imporpria, in Dir. Pen. e proc., 1999, 620 e ss.

[20] Mantovani, op.cit., Milano, p. 156.

[21] G. Fiandaca – E. Musco, op. cit., p. 641.

[22] Caraccioli, voce Omissione (dir. Pen.), in Noviss. Dig. It., XI, Torino, 1965, 896 e ss.

[23] In questi termini si esprime Mantovani in op. cit., p. 156.

[24] Cfr. par. 14 sentenza in commento.

[25] Si v. Androulakis, Studien zur Problematik der unechten Unterlassungsdelikte, 1963.

[26] Cfr. Mantovani, op. cit., p. 158.

[27] G. Fiandaca – E. Musco, op. cit. Torino.

[28] L’elaborazione della seguente definizione si deve a Mantovani in Diritto Penale – Parte generale, 9° edizione, Milano.

[29] Mantovani, op. cit..

[30] Ci si riferisce al richiamo fatto dalla Corte di cassazione ai rapporti, di carattere familiare, intercorrenti fra la vittima e gli imputati, dai quali sarebbe derivato. Insieme all’assunzione volontaria, l’obbligo di protezione in capo a questi ultimi. Più dettagliatamente si v. infra.

[31] Sulla necessaria preesistenza dell’obbligo di garanzia al presupposto di fatto che attualizza i poteri impeditivi si v. in giurisprudenza Cass., 19/02/08 in Cass. pen., 2009, 597.

[32] In questi termini Vitarelli, Delega di funzioni e responsabilità penale, Milano, 2006, pp. 324 e ss.

[33] Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia, obbligo di sorveglianza, Torino,1999.

[34] Nonché dall’obbligo di sorveglianza, non oggetto di questa trattazione.

[35] Caravatta, La responsabilità penale del datore di lavoro (tesi di laurea) in Giurisprudenza penale web, 2018.

[36] In questi termini Leoncini, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino,1999, 153 ss.; Mantovani, Diritto penale – Parte speciale, Libro I, n. 28. Milano.

[37] Cit. sentenza in commento, par. 15

[38] Fiandaca, Reati omissivi e responsabilità penale per omissione, in Foro it., 1983, V, p. 90

39la predetta posizione di garanzia si atteggia in modo peculiare anche in ragione del ruolo ricoperto dai ricorrenti che, quali agenti di polizia, rivestivano una posizione di maggior protezione e garanzia rispetto alla posizione gravante sul comune cittadino” [39] Cit. Sentenza  Cass., sez. V, 10 maggio 2016, n. 19448 commentata da Sabato in L’agente di pubblica sicurezza può abbandonare un incapace?, in Penale Contemporaneo, I/17.

[40] In tal senso si v. Barwinkel, Die Struktur der Garantieverhaltnisse bei den unechten Untelassungsdelikten, 1968.

[41] Cfr. sentenza in commento, par. 18

[42] Grispigni, Diritto penale italiano, Vol. I, Milano, 1952, p. 55

[44] Mantovani, op. cit. p. 168

[45] In questi termini si esprime Pisapia, Abbandono diminori o incapaci, in Enc. dir., I, Milano, 1958.

[46] Cfr. sentenza in commento, paragrafi 18 e 19.

[47] G. Fiandaca – E. Musco, op. cit., p. 644, cit.