Questo scritto è dedicato al Dott. Cosimo Donatiello Commissario di Pubblica Sicurezza e alle sue insostituibili qualità umane, professionali, di studioso e di amico.
Prof. Luigi Colacino Cinnante
1.
Il delitto “abuso d’ufficio”, i reati propri e l’invalidità amministrativa
L’illecito penale di cui parleremo non fa parte dei reati che ordinariamente possono essere commessi da ciascuno di noi e che sono definiti reati comuni.
Ve ne sono, infatti, taluni, come l’abuso d’ufficio previsto dall’art. 323 del codice penale, che è possibile imputare solo a chi sia titolare di (o cui sono <<conferite>>) determinate qualità, potestà o posizioni soggettive pubblicistiche, e/o a chi sia in relazioni particolari con i “destinatari” delle attività degli organi amministrativi.
Ci stiamo riferendo ai reati propri. E, tra essi, all’abuso d’ufficio che è quella fattispecie in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio – come si vedrà meglio – ricevono fraudolentemente per sé stessi, o per altri, utili, o vantaggi economici, oppure profitti ingiusti di varia tipologia, causando a terzi danni arbitrari, con la violazione—come ora enuncia l’articolo 323 del codice penale — di una o più regole di condotta contenute negli atti con forza e valore di legge.
Si avrà modo di rilevare come nella precedente configurazione di tale reato, e, quindi, prima del 2020 — il giudice o l’interprete dovessero accertare se nei singoli casi l’atto, l’attività, o i comportamenti illeciti fossero in contrasto con i doveri o gli obblighi discendenti sia dalle norme legislative che regolamentari, o di altra fonte derivata.
Preliminarmente tuttavia è necessario chiarire che i <<possibili>> atti o comportamenti adottabili – dai pubblici ufficiali o dagli incaricati del servizio pubblico- sono invalidi o illeciti non perché “viziano” l’esercizio della funzione degli organi pubblici per l’eventuale presenza d’illegittimità amministrative di varia gravità, come l’eccesso di potere, o altre invalidità che determinino la nullità dei provvedimenti; ma proprio e solo perché contrari alle disposizioni del codice penale (art. 323), e, quindi, alle norme imperativo-cogenti di tale ramo del diritto pubblico (o, se si preferisce, in relazione di antigiuridicità con l’ordinamento penale) .
Dal punto di vista sostanziale l’abuso è reato perché gli atti e/o i comportamenti che lo realizzano nella realtà economica e sociale, a giudizio del legislatore, contrastano con le finalità dell’ordinamento giuridico ed esigono come sanzione una specifica pena criminale. (1)
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(1) Sull’antigiuridicità nel diritto penale confr. R. Dell’Andro, Antigiuridicità, in Enc. del diritto,1958, 542 ss. ; F. Antolisei Manuale di diritto penale, Parte Generale, 1980,155 ss.; vedi anche M. Siniscalco, I principi del sistema penale e la Costituzione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale,1976 1122, ss.; A. Moro, Lezioni di istituzioni di diritto e procedura penale , Bari, Cacucci, 2005, a cura di F. Fritto, 332 e parte IV; Marinucci – Dolcini, Manuale di Diritto Penale, parte generale, Mi, 2017, passim, specie 269 ss.. Sull’invalidità dei provvedimenti amministrativi confr. V. Cerulli-Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, To, 2017, 472 ss.. Vedi anche F. Benvenuti, Disegno dell’ amministrazione italiana, Cedam,189,199 ss.; F. G. Scoca, Osservazioni sparse sull’invalidità del provvedimento, in Incontri sull’Attività amministrativa e il procedimento, a cura di Paola Piras, To, 2006,161 ss.; L. Colacino Cinnante, Pubblica amministrazione e trasformazioni dell’ordinamento, Jovene, 2007, passim, specie 447 ss..
2.
La disciplina penalistica relativa all’abuso d’ufficio.
E’ fuor di dubbio che l’abuso d’ufficio, — e, quindi, le norme del codice penale che ne costituiscono la disciplina — sia un istituto separato e autonomo rispetto a qualsiasi ipotesi d’illegittimità amministrativa; pur se vi sono elementi normativi della fattispecie legale che sembrano avere, e talvolta hanno, un rapporto di accessorietà con il diritto della pubblica amministrazione.
Se, infatti, tale abuso è un delitto contro gli apparati burocratici, centrali o periferici, e si realizza con attività materiali, o atti giuridici, adottati in violazione di norme con forza e valore di legge, ciò impone al giudice penale di accertare se nei vari casi i comportamenti, gli atti, le attività o le omissioni, contrastino con gli obblighi o i doveri discendenti da tali norme sull’attività amministrativa, proprio come, appunto, nel diritto vigente impone ora, expressis verbis, il legislatore nell’art. 323 c.p.
L’abuso d’ufficio, nel suo significato e valore di reato contro la pubblica amministrazione, non può non avere, quindi, ampia autonomia e separazione rispetto ai vizi degli atti amministrativi.
E’ una fattispecie normativa corrispondente al tenore delle disposizioni citate dell’art. 323 c.p., che in forza delle sue norme fa specifico riferimento e rinvio alla realizzazione di atti giuridici, o di attività materiali, che violino specifiche regole di condotta contenute esclusivamente negli atti con forza e valore di legge (da cui non residuino margini di discrezionalità per il soggetto agente).
Il pubblico ufficiale, o l’incaricato del pubblico servizio, pertanto, nei casi concreti di abuso, adottano o emanano atti o attività di varia tipologia e attuano fattispecie che sono in contrasto con gli obblighi od i doveri discendenti dalla normativa primaria vigente (si rilegga il citato art. 323 c.p.); e, per meglio precisare, provenienti esclusivamente dalle varie disposizioni aventi forza e valore di legge.
Il codice penale punisce tali funzionari o agenti amministrativi (il pubblico ufficiale, o incaricato di pubblico servizio) che per commettere l’illecito di cui all’articolo citato, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, abbiano trasgredito quelle “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti con forza di legge”.
Il legislatore, con la legge n.120 dell’11-9-2020 di conversione del D.L. 16-7-2020, in cui sono le disposizioni dell’art. 23 che ha modificato il contenuto normativo dell’art. 323 c.p. prima vigente, ha identificato la sostanza dell’illecito nella violazione, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, di specifiche norme legislative che avrebbero dovuto esclusivamente guidarne le condotte. (1)
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(1) Sui confini tra diritto penale e amministrativo vedi la sempre illuminante analisi di F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, Mi, 1980, 8 ss.; Marinucci, Dolcini, Manuale di diritto penale, cit., passim e particolarmente 21 ss.
3.
Sugli elementi oggettivi e soggettivi del reato abuso d’ufficio
Nel reato che ci occupa, il pubblico ufficiale, o gli incaricati di un pubblico servizio, sono responsabili, quindi, dell’illecito, come ora stabilisce l’art. 323 c.p., nell’ipotesi in cui abbiano adottato atti giuridici o attività materiali che violano esclusivamente norme di fonte legislativa.
Se questo è, pertanto, uno degli elementi normativi della fattispecie <<abuso d’ufficio>>, ciò mostra come il nostro ordinamento penalistico sia pervaso da una concezione del reato il cui valore primario – impronta dell’insieme – è il fatto dannoso; poiché i profili soggettivi del dolo, e/o della colpa, normalmente costituiscono dei puri limiti alla responsabilità del soggetto attivo del reato.
L’abuso può essere inteso e classificato come illecito penale solo avendo come principale punto di riferimento l’interesse giuridico leso o esposto a pericolo, mediante l’azione o l’omissione del responsabile, si tratti del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio.
E come accade in tutti gli altri reati, è necessario valutarlo e classificarlo soprattutto alla stregua dei beni (materiali o morali) incisi con le azioni o le omissioni del responsabile.
Non ha quindi rilevanza il disegno dell’autore, trattandosi di elemento intenzionale prevalentemente soggettivo; pur se il dolo consiste nella volontà e coscienza di esercitare una funzione amministrativa e/o di abusare dei poteri ad essa inerenti. (1)
Il diritto penale non punisce che le lesioni reali degli interessi, non certo i propositi dei responsabili.
Solo i beni individuali o collettivi costituiscono, come appare evidente, il <<sostegno>> e la base di ogni figura di reato; e nell’abuso d’ufficio il bene protetto è sia la legalità dell’esercizio dei poteri amministrativi che il buon andamento dell’amministrazione pubblica.
L’essenza dell’illecito ben si coglie nel qualificare e analizzare l’uso, illecito/illegittimo, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio, dei poteri e/o degli <<strumenti>> posti dalle norme a disposizione degli autori. (2)
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(1)- Confr. Cass.pen. 17-12-1998, n. 13278]
(2)-Sui reati propri e sulle qualifiche del soggetto agente, a parte G. Bettiol Sul reato proprio, Mi, 1939, passim; vedi M. Gallo, Dolo, E. D., 757 ss.; Idem, L’ elemento oggettivo del reato, To, 1967,16 ss.; F. Antolisei, Manuale diritto penale, cit. passim, specie 140 ss.; F. Mantovani, Diritto penale, Cedam,1979, passim, ; specie 452 ss.; 463 ss.; 479 ss.; G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di diritto penale, cit., passim, 199 ss.,232 ss., 540 ss.]
4.
I
Invalidità degli atti amministrativi e sua diversità da quella penale.
Anche l’invalidità amministrativa, come s’è già accennato, indica un contrasto tra atti della Pubblica amministrazione e norme imperative o cogenti, siano esse legislative, costituzionali, comunitarie o internazionali.
Tale conflitto si sostanzia, prevalentemente, in un’opposizione tra le manifestazioni di esercizio del potere amministrativo e i principi, e/o il tessuto normativo che “danno confini e disciplina” secondo il principio di legalità e quello di legittimità costituzionale, al comportamento, all’attività e alla discrezionalità degli agenti pubblici nell’adozione dei vari atti e provvedimenti collegati ai diversi rapporti.
Nel nostro ordinamento amministrativo, pur se ampio e decisivo, anche storicamente, è stato ed è l’apporto creativo della giurisprudenza, sia del Consiglio di Stato e dei Tribunali Amministrativi, quest’ultima non è dal punto di vista formale una fonte del diritto amministrativo. Pur se ha svolto e continua a dispiegare un ruolo decisivo soprattutto per avere fatto emergere storicamente, e/o consolidato, principi generali o fondamentali del diritto della P.A., oltre che decisive elaborazioni giurisdizionali, traendoli anche dai principi inespressi del complesso dell’ordinamento positivo. (1)
Per i principi e il diritto sull’attività dell’Amministrazione, i singoli atti, senza considerare la tipologia dogmatica cui siano ascritti, non possono essere difformi dalle norme che disciplinano i poteri amministrativi — da cui devono essere retti e guidati.
In caso di evenienza “patologica”, non corrispondendo alla fattispecie astratta costituita dalle disposizioni normative da cui sono previsti e disciplinati, diventano invalidi.
Ciò può verificarsi o per vizi radicali di legittimità (nullità), oppure, quando non essendovi conformità rispetto alla disciplina normativa che li riguarda sono qualificati come annullabili, sia per vizi di legittimità e di merito (2).
Si vede bene come l’invalidità degli atti amministrativi comprenda sia le fattispecie di nullità degli atti dell’Amministrazione (si pensi alla mancanza del soggetto o della forma, oppure alle ipotesi d’incompetenza assoluta, ecc.); che quelle di annullabilità per vizi di legittimità e/o di merito. Si consideri, ad esempio, l’incompetenza, l’eccesso di potere o i vizi di merito: e, cioè, quelle che implicano e coinvolgono la libertà delle scelte, connaturali ad ogni esercizio del potere amministrativo. (3)
In ogni caso è essenziale rivedere la funzione amministrativa e la giurisdizione soprattutto alla luce del d.lgs. n. 104 del 2010 che ha arricchito l’impianto costituzionale ed amministrativo di “giustizia amministrativa” con il codice del processo amministrativo .
Per effetto dell’art. 114, 4 c., lett. b, ad esempio, tale codice riconosce il potere del giudice dell’ottemperanza di dichiarare la nullità degli atti adottati in violazione o in elusione del giudicato, pur se la nullità per tali atti era già stata sanzionata dall’ art. 21-septies della legge n. 241/1990.
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(1) Confr. su questo punto l’ analisi di D. Corletto , Vizi formali e poteri del giudice amministrativo, Dir. Proc. amm.. , 2006, 33 ss.; V. Cerulli –Irelli, più luoghi , come Lineamenti di diritto amministrativo, To,2019, specie 9 ss.; F. Benvenuti , Disegno dell’ amministrazione italiana, Cedam,1996, 442 ss.; M. S. Giannini Diritto amministrativo ,I, Mi, 3ed.,1993,specie 58 ss.; M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bo, 1976, passim 17 ss.; 33 ss.; 173 ss. . Sulle situazioni legittimanti al processo amministrativo confr. A. Romano, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Mi, 1975, passim.
(2) Sui provvedimenti amministrativi nulli perché viziati da “carenza di potere” confr. sia la risalente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Un. n.1657 del 1949, che S. U. n. 120 del 21-3-2001 e S.U. n. 20994 del 28-10-2005. In dottrina vedi A. Carbone, La nullità e l’azione di accertamento nel processo amministrativo, Dir. Amm., 2009,795 ss.; V. Cerulli-Irelli, Invalidità ed inesistenza degli atti amministrativi e delle leggi, jn Diritto pubblico ,2015,203 ss. .Importanti sono stati i rilievi critico-ricostruttivi di A. Romano, Diritto Amministrativo, in Diritto Amministrativo, Monduzzi, vol. I, 1993, 63 ss; 68 ss; 128 ss.; 247 ss.
(3)Sulle situazioni legittimanti il processo amministrativo oltre ad A. Romano, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria su citato, ci limitiamo a ricordare A Travi Lezioni di giustizia amministrativa, To, passim specie 95 ss.; 143 ss.; 161, 190, 245 ss.; V. Cerulli-Irelli Lineamenti del diritto amministrativo, cit., 476 ss.; F.G. Scoca, Osservazioni sparse sull’ invalidità del provvedimento, cit., specie 145 ss.; F. Benvenuti, Disegno dell’ amministrazione italiana , cit. 189 ss., 203 ss., 244 ss., 445 ss.; L. Colacino Cinnante, Pubblica amministrazione e trasformazioni dell’ ordinamento, cit., specie 447 ss., 4 77 ss..
II
Invalidità amministrativa e penale – Continua
Spicca chiaramente la differenziazione e l’eterogeneità rispetto all’invalidità nel diritto penale che ricorre solo nelle ipotesi in cui sono commessi fatti o atti contro i quali il nostro codice o/e le leggi penali, reagiscono con sanzioni criminali.
Sappiamo, altresì, che nel nostro ordinamento, s’è radicata un‘accentuata concezione legalistico-formale: a) per vigenza del principio generale “nullum crimen, nulla poena sine lege”, che pervade l’ ordinamento penale; b) degli artt. 25, 27 dellaCostituzione; c) dell’ art. 1 codice penale del 1931 e delle altre disposizioni di tale complesso normativo che fungono da preleggi per la materia di diritto penale. Per essi in tanto un fatto, un atto, o un comportamento può essere qualificato o trattato come reato se è indicato come tale dalla legge.
Per tale ragione non sono punibili quelle condotte non espressamente “incriminate”– pur se antisociali o odiose! — dal legislatore comune o costituzionale.
Tutto ciò consente di comprendere agevolmente come l’ordinamento penale sia dotato di un suo specifico e separato meccanismo di enucleazione dei fatti e atti punibili; e il reato abuso d’ufficio appartenga a una dimensione giuridica che usualmente non ha o può avere specifiche connessioni con la problematica dei vizi e dell’invalidità amministrativa.
Pertanto se il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, nella trattazione-svolgimento del servizio o delle funzioni, procaccia per sé, o per altri, ingiusti vantaggi patrimoniali, violando specifiche regole di condotta previste espressamente dal legislatore da cui non residuino margini di potere discrezionale, essi possono divenire imputabili per avere commesso il reato di abuso d’ufficio; e l’eventuale illegittimità degli atti o dei provvedimenti avrebbe rilievo non certo per essere incorsi in vizi della funzione amministrativa (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere, ecc.).
L’illegittimità, o meglio, l’illiceità si manifesterebbe esclusivamente nella contrarietà alle disposizioni del codice penale, ora condensate, per l’abuso d’ufficio, nell’art. 323 c.p.
5.
Sulla specificità dell’abuso d’ufficio. Reato che può essere commesso da un pubblico ufficiale o da incaricato di pubblici servizi.
Come si é già messo in chiaro il reato è imputabile solo a chi nelle pubbliche amministrazioni sia titolare di specifiche “situazioni soggettive” potestative; e/o sia in relazione determinata con i terzi.
Com’è noto, e come avremo modo di chiarire, in dottrina e nella pratica del diritto penale, per quanto concerne le nozioni di pubblico ufficiale e d’incaricato di un pubblico servizio, v’è una contrapposizione tra teoria soggettiva ed oggettiva. (1)
Detto in forma cursoria la prima è fondata sulla struttura casistica dell’art. 358 c.p., ed elegge come parametro per il conferimento delle qualifiche, il rapporto di dipendenza della persona fisica — del pubblico ufficiale e/o dell’incaricato di pubblico servizio — dallo Stato o dall’ ente pubblico.
E’ molto probabilmente più fondata la teoria oggettiva poiché sovrappone e mette a fianco dei c.d. criteri “soggettivistici” del rapporto di dipendenza delle singole figure soggettive parametri d’individuazione delle qualità di pubblico ufficiale, e/o d’incaricato di pubblico servizio, prettamente oggettivi designando categorie generali cui ricondurre le due figure.
Si ricostruisce, infatti, un concetto di pubblica funzione e/o servizio pubblico– di pubblico ufficiale, o di responsabile del servizio — del tutto affrancati dai presupposti delle formali investiture; per ricostruirli con l’utilizzo di categorie generali cui ricondurre entrambe le figure soggettive pubblicistiche.
Sia l’una e l’altra sono ricostruite in senso funzionale, fondandosi sui caratteri effettivi dell’attività svolta concretamente.
I reati propri, o <<speciali>> secondo altra “dizione” utilizzata per differenziarli da quelli “comuni”, non possono essere commessi da tutte le persone, e per distinguerli non è sufficiente fermarsi alla locuzione legislativa, poiché occorre di volta in volta un’indagine sulle norme incriminatrici per valutare se l’atto delittuoso possa effettivamente essere commesso da ogni persona o solo da chi rivesta una determinata qualità, oppure che si trovi in una specifica situazione.(2)
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(1) Sul pubblico ufficiale e gli incaricati di pubblico servizio vedi Marinucci- Dolcini, Manuale, cit., passim,19 ss.; 147; 232 ss.; 497 ss.. F. Antolisei, Parte Spec., II, cit., 737 ss..
(2) Su chi svolge servizi pubblici e sull’azione amministrativa mediante organismi e/o enti (pubblici o privati) confr. tra i più autorevoli F. Benvenuti, Disegno dell’amministrazione italiana, Cedam,1996, 334 ss.; M.S. Giannini, Diritto Amministrativo, 3* ed., Giuffrè, 1993, 371 ss., 657 ss.. Vedi anche, V. Cerulli- Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, 2° ed. To, 2019 233 ss. che delinea, altresì, i principi giuridici di fonte europea su persone ed imprese che esercitano pubblici servizi e le attività relative.
6.
Legge penale, leggi sulle amministrazioni e personale <<pubblico>>
Come già sappiamo le norme della legge, e quindi, il codice penale del 1931 come modificato, nella disciplina del delitto “abuso d’ufficio” configura come fatto necessario il possesso, da parte dei soggetti attivi dell’illecito, di una determinata posizione soggettiva specifica di qualità organizzativa “pubblicistica” perché il fatto sussista come reato; e, cioè, il possesso, per attribuzione/conferimento, delle qualifiche o di pubblico ufficiale e/o d’incaricato di pubblico servizio.
Se prima dell’art. 23 del D.L. n.76/2020 – convertito con la legge n. 120 dell’11-9-2020 — la condotta incriminata per abuso d’ufficio (art.323 c. p.) consisteva nel dispiegamento di attività (inerenti alla funzione) o al servizio, svolte con violazione di leggi e/o di regolamenti, oltre che nell’eventuale inosservanza degli obblighi di astensione tipizzati nella stessa fattispecie penalistica, dopo l’ emanazione della legge n. 120 /2020, può essere attribuita rilevanza non certo più alla trasgressione delle disposizioni normative contenute nei regolamenti o in fonte terziarie, ma unicamente all’infrazione di specifiche regole di condotta previste esclusivamente dagli atti con forza e valore di legge.
E’ chiaro che l’ambito oggettivo di applicazione della fattispecie penalistica è stato ristretto, perché non sono più assoggettabili a pena e sanzionabili, ad esempio, i comportamenti o le attività che possano avere violato norme regolamentari, o di tipo “terziario”.
Secondo le disposizioni dell’art.323 c.p. l’abuso è commesso quando nell’esercizio delle funzioni e/o dell’attività di servizio, intenzionalmente le figure soggettive imputabili, i titolari degli uffici od organi amministrativi, oppure gli incaricati di pubblico servizio, violano le regole di condotta previste dalle leggi in forma specifica, per “procurare”, per sé od altri, un ingiusto vantaggio patrimoniale, o arrecare a terzi un danno indebito.
Stiamo parlando come appare evidente, dei funzionari, impiegati od agenti amministrativi pubblici : personale congiunto, o collegato, professionalmente alle Amministrazioni per svolgere sia funzioni che servizi.
Poiché l’abuso è commesso anche quando si svolge un’attività materiale in violazione di norme di legge, il giudice penale nell’individuare gli obblighi o i doveri derivanti dal diritto amministrativo, potrà e dovrà accertare, in tutte le ipotesi, se i vari atti o attività erano contrari a quegli obblighi/doveri funzionali.(1)
Dalla restrizione dell’area applicativa della preesistente incriminazione (abolizione parziale del reato) il legislatore ha conservato rilevanza penale a tutti gli atti e comportamenti posti violando norme di atti con forza e valore di legge.
Il reato può essere consumato anche quando è omessa una prescritta astensione, pur essendovi interessi propri dell’agente amministrativo, o dei suoi prossimi congiunti . (2)
Sui delitti compiuti dai titolari di pubblici uffici o dagli incaricati di pubblici servizi, abusando dei propri poteri vedi anche ciò che si dirà nel testo.
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(1) [Confr. Marinucci, Dolcini, Manuale Diritto Penale cit., 21 ss.; 91ss.;124 ss. dove si mostra come dalla restrizione dell’ area applicativa della preesistente incriminazione (abolizione parziale del reato) il legislatore abbia conservato la rilevanza penale di tutti gli atti e comportamenti posti violando norme di atti con forza e valore di legge; idem, 96 ss. dove è indicato il significato della nuova configurazione del delitto di abuso d’ufficio (oramai le condotte abusive si individuano esclusivamente sul fondamento del contrasto con norme legislative). Si veda sull’esercizio delle funzioni amministrative, Cerulli-Irelli V. , Lineamenti del diritto amministrativo, To, 2017,171,173 ss.; sullo svolgimento dei pubblici servizi e delle potestà amministrative confr. Idem, op. cit.146 ss.. Si legga per completare, sia Idem, La pubblica amministrazione e la sua azione, Saggi sulla legge n. 241/1990 dopo le riforme di cui alle leggi n.15/2005 e n. 80/2005, To, 2005, 1 ss.; che, nel volume, a cura di V. Cerulli-Irelli L’invalidità amministrativa, To, 2009, oltre il saggio introduttivo di F. Luciani, L’invalidità dei provvedimenti amministrativi, profili generali, 4 ss., quello di E. Pulcini, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecnico discrezionali ecc., pag.299 ss. Vedi anche L. Colacino Cinnante, Pubblica amministrazione e trasformazioni dell’ ordinamento, Na, 2007,77,81 ss. ss,84 ss., 131 ss.,173 ss.,218 ss., 227 ss. ]
(2) Si rilegga l’art. 323 c. p., 1 c. citato.
7.
Abuso d’ufficio e illegittimità degli atti amministrativi.
Qui appare opportuno mettere in risalto come l’abuso d’ufficio sia un reato plurimo se non altro perché il bene giuridico protetto non è solo l’imparzialità, il buon andamento, la legalità dell’azione degli uffici amministrativi, ma anche il patrimonio dei terzi che può essere inciso o danneggiato dall’esercizio illecito per il codice dei reati della funzione o dell’attività svolti dai funzionari competenti (sia esso il pubblico ufficiale e/o l’incaricato di servizio pubblico).
Sembra evidente, come si è già posto in rilievo, che quelli dell’art. 323 c.p. sono precetti da un lato diretti a tutelare legittimità e buon andamento (degli Uffici
Amministrativi),dall’altro i cittadini, e/o destinatari delle attività amministrative dalle prevaricazioni delle autorità.
E’ evidente, a tenore di tali norme, come si possa parlare di abuso d’ufficio nei casi in cui sono adottati atti giuridici, oppure svolte condotte o attività decisionali o fisico-materiali, ecc., che violano le regole di condotta specifiche imposte dal legislatore.
L’agente della P.A. – sia esso pubblico ufficiale o incaricato di svolgere un pubblico servizio – con il suo comportamento criminoso trasgredisce specifiche regole di condotta contenute specificamente nelle norme con forza e valore legislativo; pertanto in fonti primarie secondo il principio della gerarchia delle fonti.
E’ possibile riferirsi – come s’è visto — solo alle disposizioni con forza e valore di legge, e pertanto solo alle leggi dello Stato, o ai decreti governativi con forza e valore di legge ordinaria.
Sono queste, in un ordinamento costituzionale come il nostro che è anche caratterizzato dal carattere assoluto della riserva di legge statale in materia penale, le fonti del diritto consentite.
Anche i provvedimenti normativi emanati dal potere esecutivo con forza e valore di legge — Decreti legislativi e Decreti- legge — sono ammessi nella materia che trattiamo, poiché, pur adottati, come dispongono le norme costituzionali, dal Governo, sono atti con forza e valore di legge, assoggettati al controllo del Parlamento e della Corte Costituzionale (artt. 76. 77, 134 Cost.) .(1)
E’ evidente il fondamento giuridico- politico di tale riserva di legge: le scelte in materia criminale non possono che essere riservate all’unico potere dello stato democratico/rappresentativo della volontà dei cittadini. Si considerino altresì, il secondo e terzo comma dell’art. 25 Cost. che confermano il principio di cui parliamo, che, come dovrebbe essere noto, con la sua origine illuministico-liberale, si è sposato con la Costituzione del 1948, collegandosi al principio della separazione dei poteri, per dare garanzia e certezza alla libertà individuale: le limitazioni di libertà contemplate dalle norme penali devono essere dettate dal Parlamento espressione diretta della sovranità dei cittadini, attraverso la dialettica maggioranza/minoranza, chiamata a esprimere la volontà generale.
A titolo di esempio chiarificatore si pensi come nel 2008 sia stata una legge di conversione – L. 24-7-2008, n. 125 – a confermare e convalidare il c.d. Decreto-legge sicurezza del 2008, che aveva introdotto una nuova circostanza aggravante comune per chi si trovasse illegalmente nel nostro territorio nazionale.
Si pensi, ancora, al reato che configura nuove figure delittuose, come gli atti persecutori di cui all’art. 612 –bis del c.p. – noti nella cultura anglosassone come <<stalking>> – e introdotti nel nostro codice con un decreto legge del 23-2-2009 n. 11, poi convertito nella legge 23-4- 2009 n. 38. (2)
Può essere più esplicito chiarire che tali figure di reato collegabili all’abuso d’ufficio spesso consistono in comportamenti che possono generare nelle vittime effetti destabilizzanti della serenità e dell’ equilibrio psicologico; in realtà una sorta di duplicazione del reato di lesioni.
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(1) Sul principio di stretta legalità – nullum crimen, nulla poena sine lege – confronta per tutti, F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte generale, Mi, 1980 48 ss.; Marinucci Dolcini, Manuale, parte generale, cit., 41 ss. E si veda , tra le altre sentenze, Corte Cost., n. 230 del 18-10- 2012.
(2) [Sull’abuso d’ufficio v’è, come è facile immaginare, una vasta letteratura che in parte è già stata citata. Confr. ancora, E. Contieri , Abuso innominato d’ufficio, E. d. D.,187; L. Stortoni L’ abuso di potere nel diritto penale, Mi,1976, passim, 152 ss; G. Scarpa, L’abuso d’ufficio, Bo, 1970, 68; F. Antolisei, Manuale di diritto penale, VIII ed., aggiornata da L. Conti, 779 ss.; Marinucci, Dolcini, Manuale di diritto penale, parte generale, VI ed., Giuffrè, 2017, 21 ss. , 73 ss., 91 ss.; 96 ss.; 124 ss.; 232 ss.;335 ss.]
8.
L’abuso d’ufficio tra i reati contro la pubblica amministrazione
Richiamiamo il testo dell’art. 323 c.p., dopo l’ultima riforma del 2020 : “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuano margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, o negli altri casi prescritti , intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno, hanno carattere di rilevante gravità”.(1)
Non è certo superfluo ripetere che ci stiamo riferendo a uno dei reati contro l’amministrazione pubblica, senza intendere l’abuso d’ufficio in senso lato, come usava in precedenza il legislatore, la dottrina, e/o la prassi e la cultura giuridica che nella nozione di P.A. includevano tutta l’attività e le funzioni dello Stato e degli altri enti pubblici, includendovi altresì l’attività giudiziaria e/o quella legislativa.(2)
Solo alla tutela dell’organizzazione e dell’attività amministrativa, in senso stretto e tecnico, abbiamo fatto qui riferimento.(3)
L’art. 23,1 c., del D.L. 16-7-2020 n.76, come convertito nella legge 11-9-2020 n.120, ha, come si è già messo in risalto, sostituito la locuzione normativa di “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti con forza di legge, e dalle quali non residuino margini di discrezionalità” a quella precedente, “norme di legge o di regolamento”.
E’ icastico e comprensivo ricordare che il contenuto dell’art. 323 c.p., era il seguente “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, oppure omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.”(3)
Si deve ancora ricordare che l’art. 1, 75 c. della Legge 11-2012 n. 190, come già s’è avuto modo di dire, aveva aumentato la pena da uno a quattro anni, sanzione che è stata confermata dalla legge n.76/2020. (4)
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(1)E’ utile rilevare come l’ art. 323, 2-bis c. p., nel prevedere circostanza attenuante , stabilisca che quando i fatti di cui all’articolo precedente sono di particolare tenuità, le pene devono essere diminuite.
(2) Sul punto si veda Cass. 22-5-1981, in Riv. pen. 1982, 630. Tale globale << comprensione>> nell’attuale ordinamento si opporrebbe all’autonomia delle singole funzioni scolpita dalla Costituzione su cui vedi, F. Tagliarini, Il concetto di P.A. nel diritto penale, 1973, passim, e Idem, Omissione rifiuto e ritardo in atti di ufficio, Enc. Dir., 65.
(3) Sull’obbligo di astensione degli amministratori degli enti locali si considerino le disposizioni degli artt. 77 e 78 del D. L. vo 18-8-2000 n. 267.L’ultimo articolo or ora citato contiene, ad esempio, una serie di norme che prevedono divieti od obblighi di astensione per gli amministratori degli enti locali quando vi siano correlazioni dirette tra le deliberazioni del singolo ente e specifici interessi degli amministratori o dei parenti di questi ultimi.
(4) Sui delitti contro la pubblica amministrazione confr. M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali. Commentario sistematico, Giuffrè, 2019, passim; F. Sarullo, A. Giglia, I delitti contro la pubblica amministrazione, Associazione Forense Hermes, 2020. Si veda anche I delitti contro la pubblica amministrazione dopo la riforma. Il nuovo codice di procedura penale a un anno dall’entrata in vigore, Na,1991.
9.
Poteri amministrativi, abuso e confini della giurisdizione del giudice penale
Non è inopportuno riflettere come prima della modifica dell’art. 323 c. p. determinata dal decreto semplificazioni 16-7-2020 n.76, la condotta potestativa materiale rilevante sul piano penalistico era qualificabile illecita nei casi in cui i titolari degli uffici amministrativi, oppure coloro i quali assicurano ai cittadini i vari servizi pubblici – dalle aziende di trasporto, agli uffici di prestazioni sanitarie, alle imprese che costruiscono alloggi oppure offrono servizi d’istruzione, o postali o di telecomunicazioni, ecc. – avessero violato norme di leggi e di regolamenti amministrativi.
E per tale aspetto e misura l’illecito era circoscritto univocamente in tali ambiti e presupposti normativi di comportamento punibili, riducendo così massicciamente, rispetto al passato, lo spazio della violazione della norma del codice penale configurandolo come reato di evento che semplicemente richiedeva il dolo generico.
Invero già con la legge 16-7-1997 n.23 – come si è avuto modo di vedere –, era stato limitato il più possibile il potere del giudice penale di sindacare settori istituzionalmente riservati alle scelte discrezionali della pubblica amministrazione.
E pertanto sino alla modifica del 2020, gli estremi delle condotte di “abuso” non potevano che essere ricondotti alla violazione indeterminata di norme di legge o di regolamento; o all’inosservanza dell’obbligo di astensione al cospetto di un interesse proprio, o di un prossimo congiunto, o anche agli altri casi preveduti, circoscrivendo in tal modo, in modo univoco e in ambiti definiti i presupposti degli atti e dei comportamenti penalmente sanzionabili.
Il disposto normativo del decreto semplificazioni del 2020 ha pur sempre configurato un reato di evento che presuppone un <<dolo generico>>; pur se ha mutato l’elemento oggettivo della fattispecie, attribuendo rilevanza esclusivamente alla violazione di “specifiche regole di condotta previste espressamente dalla legge o da atti con forza di legge da cui non residuino per i soggetti agenti margini di discrezionalità amministrativa”(Confr. l’ art. 23 legge 11-9-2020, n. 120 già citato). (1)
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(1) Sulle potestà precettive, la discrezionalità e l’autonomia amministrativa ci sembra possibile rinviare a A. Carbone, Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo, To, 2020, specie 36 ss.; 66 ss.; V. Cerulli-Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, cit., 282 ss.; L. Colacino Cinnante Pubblica amministrazione e trasformazioni dell’ ordinamento, Na, 2007, 19 ss., 131 ss.,156 ss.,420 ss., 433 ss., 501 ss., 628 ss., 694 ss.
10.
L’abuso d’ufficio. Le norme con forza e valore di legge
Se l’illecito si configura sempre come reato di evento che presuppone il dolo generico, è stato modificato, come s’è avuto cura di rilevare, l’elemento oggettivo della fattispecie penalistica, attribuendo rilevanza alle specifiche regole di condotta espressamente previste da leggi o da atti aventi forza di legge. Pur se deve trattarsi, e qui lo ribadiamo, di precetti giuridici da cui non residuino margini di discrezionalità per l’organo amministrativo o per il titolare del pubblico servizio.
E’ indubbio come le fonti normative secondarie e/o terziarie, siano state eliminate tra quelle idonee ad “attivare” il reato abuso d’ufficio, modificando l’ambito oggettivo di applicazione della fattispecie.(1)
Prima dell’entrata in vigore dell’art. 23 D. L. n. 76/2020, poi convertito nella legge n.120 del 2020, la condotta preveduta e punita dall’art.323 c.p. era relativa– come non possiamo non rievocare– al compimento di atti od azioni, inerenti alla funzione o al servizio che avessero trasgredito precetti di leggi o regolamenti; oltre che nell’ inosservanza di obblighi di astensione tipizzati nella stessa fattispecie penale del codice o in altre fonti normative.
Conclusivamente non solo non sono più sanzionabili sul piano penalistico le condotte compiute trasgredendo norme regolamentari o terziarie; oramai le disposizioni della legge n. 120 del 2020 si riferiscono unicamente a quelle specifiche regole di condotta contenute in atti con forza e valore di legge (cioè a norme primarie).
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(1) Sulla forza ed il valore dei regolamenti amministrativi ci permettiamo rinviare a L. Colacino Cinnante, Trasformazione dell’ amministrazione e potere regolamentare, in Scritti in onore di G. Guarino, Cedam, 1998, 691 ss.. Ma vedi anche Le fonti del diritto amministrativo, AIPDA, 2015-2016, Na; V. Cerulli-Irelli, Lineamenti di diritto ammministrativ,To,2017, 7 ss.. D.U. Galetta, Le fonti del diritto amministrativo europeo, in Diritto amministrativo europeo, a cura di M.P. Chiti, 89 ss.; M.P. Chiti Diritto Amministrativo Europeo, Mi, 2018, 161 ss.
11.
Continua
Regole di condotta e atti legislativi
Come ben sappiamo la formulazione di tali norme (legislative) è conferita secondo le fonti sulla normazione alle due Camere rappresentative.
Pur se si tratta di funzione che può essere esercitata oltre che dal Parlamento, anche dal Governo con decreti legge (art.77 Cost.; artt.1,1 e 2 c.;art.2 Disps. l. in g.; art. 15 legge 3-8-1988 n. 400), o con i decreti legislativi adottati sul fondamento di una legge di delegazione che deve determinare oltre all’oggetto, i principi e i criteri direttivi, oltre che i termini entro cui la delegazione deve essere esercitata (art. 76 Cost. e art.14 Legge n. 400/1988.).
E’ consolidato, quindi, come anche tali regole di condotta contenute nel disposto precettivo degli atti del Governo con forza e valore legislativo, sono equiparate a quelle contenute nelle leggi per ciò che concerne il valore formale e assoggettate al controllo giurisdizionale della Corte Costituzionale (art. 134 Cost .)
Aggiuntiva qualità necessaria per la conformazione/commissione del delitto di cui all’art. 323 c.p. diviene quella secondo cui i precetti violati dal pubblico ufficiale o dall’incaricato del pubblico servizio, non contemplino margini di discrezionalità in sede applicativa per i soggetti agenti.
Le regole di condotta da cui residuano tali spazi di scelte, o campi di autonomia discrezionale per l’Amministrazione sono norme che lasciano agli uffici una estensione più o meno ampia di possibilità di decisione sulla disciplina degli interessi pubblici e privati, e cioè campi di azione più o meno ampi per determinare in forme concrete l’ esecuzione/svolgimento dei precetti e delle regole primarie.(1)
Legando gli abusi d’ufficio rilevanti per la competenza del giudice penale alla trasgressione di espresse e specifiche norme di condotta primarie, o sub-primarie — contenute, pertanto, in leggi ordinarie o in atti aventi forza di legge, che , come è noto sono equiparati alla legge per il loro valore formale, e si veda anche l’ art. 134 Cost. — il legislatore ha voluto, per molti aspetti, restringere l’area applicativa della possibile incriminazione, poiché, sicuramente, ha escluso, tra l’altro, che le violazioni di principi generali possano integrare il delitto de quo.
Come ben ci si rende conto, le norme dei decreti legge e dei decreti legislativi, pur essendo confinati nella loro capacità ed efficacia dalla legge e dalla Costituzione, sono equiparati per il valore formale agli atti legislativi ordinari, perché contengono disposizioni che prevalgono su tutte quelle prodotte da atti di pari grado secondo il modulo dell’abrogazione; e inoltre perché possono eventualmente determinare l’invalidità delle fonti secondarie (regolamenti amministrativi) o terziarie. Tanto ciò è vero che sono assoggettati, come già s’è avuto modo di dire, al giudizio della Corte Costituzionale.
E si deve porre in evidenza il dato che con tale provvedimento legislativo del 2020 si è voluto, per molti riguardi, affievolire la responsabilità di funzionari, impiegati od addetti ai servizi pubblici, soprattutto per consentire loro un più aperto e meno complesso svolgimento dell’ esercizio delle funzioni e/o delle competenze necessarie per l’esercizio dei poteri discrezionali, e, quindi, per l’ offerta di funzioni e servizi amministrativi, o di pubbliche prestazioni.
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(1) Sulla discrezionalità del potere amministrativo, oltre alla dottrina dei Maestri, G. Zanobini, M. S. Giannini, E. Cannada Bartoli, G. Miele, F. Benvenuti, P. Virga, A. Romano, si veda S. Cognetti, Il controllo giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, in Dir. proc. amm., 2013, 349 ss.; e il volume L’invalidità amministrativa, a cura di V. Cerulli –Irelli, L. De Lucia, To, 2009,263 ss; B. Gilberti , Il merito amministrativo, Pd., 2013, passim; vedi anche A. Romano Tassone, Sulle vicende del concetto di <<merito>>, in Diritto amministrativo,2008,507ss.
12.
Abuso d’ufficio e invalidità amministrativa
Si è già detto che i titolari degli organi amministrativi, e/o i responsabili del pubblico servizio, per perpetrare il delitto di abuso d’ufficio (art.323 c.p.) debbono violare specifiche regole di condotta previste espressamente dalla legge o da atti aventi forza e valore di legge.
Tale tipo di trasgressione per il legislatore del 2020 è l’elemento principale dell’illecito penalistico.
In modo correlativo, pur se ovviamente in forme separate e indipendenti rispetto al reato di cui all’art. 323 c.p., acquistano rilievo le fattispecie d’invalidità amministrativa; che è quel concetto giuridico, secondo le cui qualificazioni, determinati atti e provvedimenti della P. A. sono contra costitutionem o legem, perché violano norme imperative, di carattere cogente.
Quando i provvedimenti o gli atti amministrativi non sono in conformità con la fattispecie della Costituzione o della legislazione che li prevedono e legittimano, sono viziati e invalidi; pur se v’è una serie crescente e/o decrescente di tale “patologia giuridica” che determina in modo progressivo l’inidoneità a costituire nuove fattispecie normative dell’ordinamento amministrativo.
In realtà è noto come le graduazioni di difformità dal parametro normativo cui la P.A. di volta in volta deve corrispondere, sono molteplici; essendovi illiceità, invalidità assolute, nullità o illegittimità intese come precarie forme di regolarità, annullabilità relative e/o sanabili, ecc..
Pertanto le varie qualificazioni negative dei provvedimenti, e/o degli atti invalidi, non sono altro che la reazione che il sistema normativo, e/o l’ordinamento amministrativo, “contrappone” a tale anormalità.
Tuttavia non è possibile trascurare un fatto giuridico essenziale: le attività o i singoli atti esercizio di poteri amministrativi sono usualmente procedimentalizzati; e consistono, prevalentemente, di un’articolata serie di attività e/o fatti giuridici assoggettati a norme imperative, e ciò fa meglio intendere l’estensione dello spazio dell’invalidità amministrativa.
E, quindi, ad esempio, un provvedimento non solo può essere ex sé e come tale adottato contra legem, ma il contrasto con i principi e i parametri normativi può radicarsi — determinando l’invalidità dell’intera fattispecie — anche nei casi in cui uno degli atti del procedimento è invalido, perché adottato contro la disciplina specifica che lo riguarda e che è stata violata. (1)
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(1) Sull’ invalidità dei provvedimenti e atti amministrativi confr. Cons. St., IV, 17-7-2013 e si veda l’analisi di F. G. Scoca sull’evoluzione del modo di intendere l’ eccesso di potere e gli altri vizi della funzione amministrativa nel citato Osservazioni sparse sull’invalidità del provvedimento, cit., specie 145 ss.. Sull’ attività e l’ organizzazione dei pubblici uffici in dottrina confronta sempre l’ insegnamento di M. S. Giannini, Diritto amministrativo, Mi, 1970, 588 ss., 609 ss.; 612 ss; 618 ss.,1052 ss.; magistero penetrato nella cultura amministrativa. Sui vizi e l’anormalità dei provvedimenti amministrativi vedi anche A. Cerri, Istituzioni di diritto pubblico, Mi, 2006, passim, specie 251 ss.; 255 ss. 263 ss., e in adempimento delle fonti internazionali e di quelle degli ordinamenti sovranazionali, 364 ss. ; così come S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, Mi, 2000, 247 ss.; 356 ss.; 435 ss.; F. Benvenuti Disegno dell’amministrazione italiana, Cedam, 1996, 189 ss, 203 ss.,244, 442 ss.; Cerulli –Irelli V. Note critiche in materia di vizi formali degli atti amministrativi, Dir. Pubbl. 2004,187 ss.; Idem, Lineamenti del diritto amministrativo,To,2017, passim, specie 463 ss. D. Corletto, Vizi formali e poteri del giudice amministrativo, in Dir. Proc. amm., 2006,33 ss.; F. Luciani Il vizio formale nella teoria dell’ invalidità amministrativa To, 2003 . Sui presupposti generali della teoria dogmatica dell’efficacia con cui valutare l’autorità e l’efficacia dei provvedimenti amministrativi è di grande interesse e insegnamento la voce “Efficacia giuridica” di A. Falzea per l’ Enciclopedia del diritto, vol. XIV, Mi, 1965, 432 ss.
13.
Abuso d’ufficio e delitti contro la pubblica amministrazione
Negi artt 314-360 c. p. v’è, com’è noto, una <<codificazione>> di quei reati contro la pubblica amministrazione che sono indirizzati a immettere e a rafforzare legittimità, imparzialità e trasparenza negli apparati burocratici.
In realtà appare non del tutto infondato pensare che per il legislatore degli anni ’30 la “pubblica amministrazione” comprendesse tutta l’attività dello Stato (oltre che dei vari enti pubblici); e fosse, pertanto, non un complesso di Uffici e Servizi proveniente dai cittadini e posto al loro servizio, quanto una P.A. proveniente dal potere statale ed a questo subordinata come braccio esecutivo.
E, quindi, che quelle norme del codice penale che prevedevano delitti contro la P.A. avessero la funzione di proteggere non solo ed esclusivamente l’attività amministrativa intesa in senso tecnico, ma anche l’esercizio delle altre attribuzioni statali fondamentali, come quella legislativa, e/o giudiziaria, ecc.
Certamente nell’attuale diritto positivo non solo tale presupposto ideologico-normativo è poco aderente al complesso dei principi e delle norme vigenti; ma ci si rende, altresì conto di come sarebbe sterile fare riferimento sia a una nozione unitaria dei delitti contro la pubblica amministrazione che a una tipologia congiunta di reati lesivi dell’attività funzionale dello Stato e/o degli enti pubblici.
Tanto ciò è vero che dalle norme del codice penale quella categoria di delitti che, ad esempio, possono ledere interessi politici – e, cioè, quelli riguardanti lo Stato e gli altri enti esponenziali di collettività, nella propria entità unitaria di governo della cosa pubblica, sono inseriti separatamente: o negli artt. 1-16 c. p.; oppure nel titolo III, nelle disposizioni poste nell’ art. 39 sino all’ art. 84 c. p..
In queste pagine ci limitiamo a studiare, comunque, soltanto uno dei delitti dei pubblici ufficiali e/o degli incaricati di un pubblico servizio, e ad analizzare soprattutto quelle violazioni dell’art. 323 c.p. commesse attraverso un esercizio distorto delle potestà e doveri funzionali degli uffici amministrativi.
Già si è avuto modo di evidenziare come la figura penalistica dell’abuso potrebbe rapportarsi a quelle attività amministrative che garantiscono non solo un regolare funzionamento degli Uffici, ma anche imparzialità ed efficienza con il rispetto delle varie sfere di attribuzione e di competenze.
E sappiamo come sia vero che, anche e soprattutto i valori supremi possano <<contenere>> l’oggettività giuridica primaria della configurazione e proibizione dei reati.
In realtà, come si già messo in luce la protezione del buon andamento e dell’imparzialità è sia presupposta che stimolata dall’ art. 323 c. p..
Quest’ultimo per altro si deve trasformare in un rafforzamento dei valori sottesi anche agli art. 3, 2c., 97, 98 Cost.; oltre chè alla legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990.
14.
Abuso d’ufficio e margini di discrezionalità degli agenti amministrativi
Gli uffici amministrativi e/o il personale addetto a un pubblico servizio, devono, secondo la prescrizione normativa di cui al c.p. (art.323), rispettare e attuare quelle regole di condotta imposte dalle norme con forza e valore di legge .
Quid quando residuano da tali disposizioni – pertanto da tali specifiche regole di condotta imposte dal legislatore — spazi di scelta per gli amministratori, o esercenti il pubblico servizio?-
Essi devono pur sempre applicare la disciplina normativa primaria, costituzionale, comunitaria.
Se in tale caso rimane aperto uno spazio discrezionale, non potranno che svolgerlo e/o completarlo secundum legem et costituzionem, o in accordo/svolgimento dei parametri comunitari e/o internazionali.
Tutto ciò è facilmente comprensibile e ci riporta a un normale procedimento del diritto amministrativo attuativo delle leggi e degli altri parametri normativi.
Su tale modulo di attuazione amministrativa del corpus normativo si deve dare conto della possibilità che funzionari, impiegati, o gestori del pubblico servizio violino quelle specifiche regole di condotta che fanno parte del corpus legislativo che dovrebbe essere svolto od attuato per procurare a sé stessi o ad altri, in modo intenzionale—dolosamente—ingiusti vantaggi patrimoniali, arrecando ai cittadini, al destinatario o destinatari dell’ attività amministrativa, danni materiali o morali.
Il codice penale ha previsto, nell’art. 323 c.1, proprio tale fattispecie, e la qualifica, come ormai sé è detto, abuso d’ufficio.
L’articolo lascia intendere, e presuppone, che il reato si possa concretare quando l’azione amministrativa degli organi competenti non sia sorretta e limitata dai confini giuridici corretti dello svolgere le scelte, anche e proprio di quelle discrezionali che dirigono l’esercizio del potere amministrativo; oppure di quelle attività << di gestione>> che dovrebbero garantire le varie prestazioni materiali in cui consistono i servizi pubblici.
Ecco perché l’art. 323 c.p. traccia gli elementi del reato proprio come violazione di quelle regole specifiche dell’atto legislativo che non attribuiscono alcun margine di discrezionalità amministrativa.
15.
Le disposizioni dell’art. 323 c. p. come reato che ha sempre coinvolto la responsabilità sia penale e amministrativa?
Come abbiamo avuto occasione di verificare le disposizioni che configurano tale delitto contro la P. A. erano state modificate sia dall’ art. 13 della legge 26-4-1990 n. 86, che dall’art. 1 della legge n. 234 del 16-7-1997; e, inoltre, dal comma 75° lett. p) dell’art. 1 legge 6-11-2012, n. 190, che aveva inasprito le sanzioni perché la pena della reclusione da sei mesi a tre anni era stata sostituita con una da uno a quattro anni; e recentemente dall’ art.23 D.L. n. 76/2020 (convertito con la legge n. 120 del 28-9-2020).
Dovrebbe essere evidente che l’abuso d’ufficio, come reato contro la pubblica amministrazione, non poteva non porre problemi di connessione tra ordine amministrativo e diritto penale; anche perché storicamente il giudice dei reati ha costantemente vantato, specie prima del 1948 (data dell’inizio della vigenza della Costituzione Repubblicana), un notevole spazio di discrezionalità valutativa sul ricorrere degli estremi dell’illecito che oggi si è largamente ristretto.
E, infatti, non può più penetrare in modo rilevante all’interno dell’esercizio delle scelte amministrative, se non altro perché le norme incriminatrici, in applicazione del principio di determinatezza, corollario di quello di legalità, sono divenute più circonstanziate e precise, sino a delimitare grandemente il potere punitivo. E ciò pur se è vero che non si può disciplinare ogni episodio delle azioni penalmente sanzionabili.
Come si è avuto modo di notare la struttura dell’abuso di ufficio è stata assoggettata a modifiche, perché oggi è necessario che il titolare dell’ ufficio (o l’ agente amministrativo), per consumare il reato deve effettivamente con dolo intenzionale produrre ingiusti vantaggi patrimoniali per sé o per altri, violando norme di legge.
E’ indispensabile, inoltre, ricordare che prima della legge n. 26/1990, tecnicamente l’illecito era innominato; di modo che erano punite le attività dei pubblici ufficiali che, con abuso delle potestà d’esercizio delle funzioni svolte, avessero commesso, per procurare ad altri danni o vantaggi, qualsiasi fatto non preveduto dalle norme come reato.
L’art. 13 della legge or ora citata, modificando l’art. 323 c.p. allora vigente come s’è detto, era divenuto fonte delle norme d’ incriminazione dell’amministratore che, abusando del proprio ufficio, avesse procurato a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale, o inciso il patrimonio o la sfera giuridica dei terzi con danni ingiusti.
Qualora il vantaggio avesse avuto carattere <<lucrativo>> era prevista circostanza aggravante.
Tuttavia per effetto della legge n. 234/1997 era stato ristretto il campo d’intervento del giudice penale, anche per affrancare l’Amministrazione dalle possibili intrusioni dei giudici dei reati, con il prevedibile blocco o paralisi dell’azione amministrativa.
In modo tale che il legislatore ha adottato le espressioni di cui all’art. 323 c. p. che ormai conosciamo.
Sembra quasi evidente che il reato vigente, pur mantenendosi la riserva “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, consenta di pensare che l’art. 323 c. p. abbia una funzione sussidiaria rispetto a reati abusivi più gravi contro la P.A., come ad esempio, la concussione o la corruzione.
Su ciò vedi anche le considerazioni successive.
16.
Accenni alla distinzione tra pubblico ufficiale e incaricato di pubblico servizio.
Configurazione dell’illecito penale e illegittimità degli atti amministrativi.
Il pubblico ufficiale, e/o l’incaricato di pubblico servizio, cui siano attribuite le competenze ad adottare attività, procedimenti amministrativi, o atti normativi, hanno anche la possibilità di formare ed adottare fattispecie illegittime, e/o illecite, sia per il diritto amministrativo che penale.
In tali casi, oltre ad esservi una verosimile mancanza dei requisiti di validità amministrativa – si pensi a fattispecie affette da violazioni di legge o alle figure sintomatiche d’eccesso di potere – potrebbe anche conformarsi proprio quel tipo di fattispecie delittuosa disegnata dall’art. 323 c.p. (abuso d’ufficio) nella previsione della legge 234 del 16-7-1997 n. 234 che, come si è avuto cura di suggerire, aveva rinnovato le norme poste nella precedente legge n. 86 del 1990 con cui era già stato modificato l’ articolo del codice penale.
Come già si è sostenuto il reato previsto, anche nella modifica del 1997, non era stato ben definito; sì da consentire ancora l’incombere del sindacato del giudice penale sull’adozione, la qualità, gli effetti delle scelte amministrative.
Qui dobbiamo limitarci a rilevare che, anche dopo il mutamento legislativo, sempre e solo il pubblico ufficiale e /o l’incaricato di pubblico servizio — e, quindi chi ha la funzione di svolgere attività o offrire prestazioni rilevanti d’interesse collettivo e/o pubblico – avrebbero potuto essere soggetti attivi del reato.
E’ opportuno ricordare che pubblico ufficiale è chi, con o senza rapporto d’impiego con lo Stato o l’ente pubblico, in modo temporaneo o permanente, con o senza retribuzione, per obbligo o volontariamente, esercita una funzione amministrativa.
I pubblici servizi, d’altro canto, costituiscono quel complesso di compiti e di prestazioni d’interesse pubblico/collettivo predisposto e offerto dagli enti pubblici, oppure da operatori privati.
Tali concetti risaltano nel nostro ordinamento sia perché, in forza di disciplina fondamentale, è proprio la Costituzione a fissarli come, ad esempio, nell’art. 43, quando menziona i servizi pubblici essenziali che Stato ed altri enti pubblici possono avocare a sé e svolgere; sia perché nel diritto amministrativo sono pubblici tutti quei servizi espletati dai pubblici poteri, così come lo sono tutte quelle funzioni ed attività aventi ex sé una intrinseca ed oggettiva natura pubblica, astraendo da chi effettivamente li svolga. (1)
———————————–
(1) Sui servizi pubblici vedi A. Cerri, Istituzioni, cit., 124 ss. dove è tra l’ altro posto in luce come in relazione al riparto delle competenze e delle funzioni amministrative, dopo la modifica del Tit. V, della Cost., si debba oramai parlare di generalità delle competenze delle Regioni e di tassatività di quelle statali. S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, cit. 123, 135, 142 ss. , 226; V. Cerulli/Irelli, Lineamenti del diritto amministrativo, To, 2017, 233 ss. Per taluni utili riferimenti confronta anche il nostro studio Pubblica Amministrazione e Trasformazioni dell’Ordinamento, cit. passim, specie cap. VII, 131 ss.]
17.
Sul ruolo e funzioni del pubblico ufficiale
Come emerge dall’art. 357 c.p., nella modifica degli anni ’90, la qualifica di pubblico ufficiale può essere conferita a tutti quei soggetti che concorrono a formare la volontà di una P.A.: sia a chi è fornito di potestà decisionali che di poteri certificativi, così come di attestazione o di coazione.
In realtà anche un soggetto privato può concorrere a formare la volontà di una P.A. (1)
Sappiamo come, specie in passato, lo status di pubblico ufficiale fosse legato al ruolo formale del soggetto all’interno dell’organizzazione pubblica. Come esempio si pensi agli impiegati dello Stato dopo le riqualificazioni delle leggi n. 86/1990 e n. 181/1992.
Nell’attuale quadro il fulcro si è spostato sulla funzione dell’unità organizzativa, piuttosto che sul suo ruolo formale. E, altresì, con la modifica dell’art. 357 del c.p. v’è stato un ampliamento della nozione di pubblica funzione, poiché può essere pubblico ufficiale anche chi concorra, in modo sussidiario od accessorio ad attuare gli obiettivi o i fini dell’ Amministrazione.
Che vi possa essere il concorso di un privato in un reato proprio – che normalmente può essere commesso solo da chi possiede le specifiche qualità organizzativo/pubblicistiche – è pacificamente ammesso da dottrina e giurisprudenza. (2)
Permane evidente, in ogni caso, che la fattispecie criminosa dell’art. 323 c.p. non è neppure ora ben determinata nella sua dizione formale; ed è indubitabile che la configurazione contenga ipotesi un po’ incerte ed elastiche, se non disposizioni penali in bianco; tali, comunque, da consentire l’inserimento delle scelte e dei provvedimenti amministrativi in configurazioni e giudizi penalistici ampi o imprecisi, se non vaghi e/o dubbi; convertendo virtualmente il potere discrezionale amministrativo in capacità commissiva del reato.
Com’è ora stabilito, tuttavia, la condotta dell’agente pubblico deve integrare la violazione di norme di legge(art.323 c. p. ,I* c.).
E, pertanto, la rilevanza penalistica della condotta è collegata a qual cosa di immediata verificabilità: la violazione di disposizioni legislative scritte.
E, quindi, quando v’è abuso per omissione, la contrarietà vi sarà solo quando tale condotta omissiva non rispetti un obbligo di fare.
Si tratta come ormai sappiamo di “reato proprio” che può essere consumato sia dal pubblico ufficiale, che dal titolare di pubblico servizio che la legge n. 86 del 1990 ha contemplato per non lasciare impuniti quei comportamenti con cui avrebbe potuto essere distratto denaro o altra cosa mobile a vantaggio di privati da parte di quest’ultimo tipo di figura soggettiva.
Se l’azione delittuosa deve essere posta nello svolgimento delle funzioni/o del servizio, è chiaro come sia stato tolto ogni rilievo a quegli atti adottati in occasione dell’espletamento dei compiti attribuiti all’Ufficio, oppure con il mero abuso di qualità, e cioè, avere agito al di fuori dell’esercizio delle funzioni o del pubblico servizio.
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(1) Vedi sul punto Cassazione penale 7-6-2001, n. 191171
(2) Confr., per tutti Marinucci , Dolcini, Manuale cit.,2017, 234 ss.
18.
Pubblico ufficiale e abuso d’ufficio
Tuttavia è necessario mai dimenticare che l’“abuso d’ufficio” è nell’ordinamento penale uno dei reati che possono essere commessi contro la Pubblica Amministrazione e che sui suoi elementi oggettivi e soggettivi il legislatore italiano è periodicamente intervenuto.
In realtà l’“Abuso di ufficio in casi non preveduti specificamente dalla legge”(art.323 c.p.) — come si intitola il citato articolo del codice penale –, è configurato e sancito, per tutelare l’imparzialità, il buon andamento e la capacità dell’ amministrazione pubbliche e di tutte le organizzazione burocratiche nazionali, decentrate e/o locali di perseguire i fini assegnati dalla Costituzione, dalle leggi e/o dall’ordinamento europeo e internazionale.
Il delitto si può manifestare con una serie di fattispecie criminose attribuibili, secondo l’attuale tenore dell’articolo del codice, esclusivamente agli organi e figure soggettive pubbliche già indicate, quando nell’esercizio delle funzioni, intenzionalmente procurino a se stessi, o ad altri, “vantaggi patrimoniali” violando norme di legge.
Indubbiamente per l’ordine giuridico il reato potrebbe anche attuarsi con l’adozione di decisioni amministrative illegittime o illecite adottate in <<mancanza di attribuzione normativa>> di potestà.
E quindi in tali frangenti l’illegittimità amministrativa può e deve essere interpretata nei suoi valori generali; e, pertanto, anche come violazione di norme costituzionali o legislative, o anche d’istruzioni, o di altre norme interne adottate per rendere il più regolare e corretto svolgimento dell’attività degli uffici.
Come ha avuto occasione di segnalare determinata giurisprudenza, nel reato di cui stiamo parlando, l’uso dell’avverbio “intenzionalmente “ per qualificare il dolo, implica che l’illecito sussiste solo quando l’agente si rappresenta e vuole l’ evento di danno altrui, o di vantaggio patrimoniale proprio, o di terzi, come conseguenza diretta e immediata della propria condotta e come obiettivo primario perseguito; non invece quando l’ autore intende perseguire l’ interesse pubblico come obiettivo primario.
Infatti, per la configurabilità dell’elemento soggettivo è richiesto il dolo intenzionale, ossia la rappresentazione e la volizione dell’evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell’agente e obiettivo primario da questi perseguito.
Si veda, a maggiore chiarimento, ciò che si è avuto modo di dire nel testo. (1)
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(1) [ Confronta come, tra le altre, Cass. Pen. VI, n. 1332 del 14.1-2016 bene interpreti e spieghi il valore dell’ avverbio “intenzionalmente” posto nell’ art. 323 c.p.]
19.
Invalidità in diritto penale e amministrativo. L’impronta del codice Rocco.
Già si è ben visto come le attività delittuose contro la Pubblica Amministrazione, di cui agli artt. 314 ss. c. p., devono essere contrarie non alle leggi relative alla P.A. e al diritto amministrativo; ma esclusivamente alle disposizioni del codice dei reati. Tra cui, proprio e anche quelle contenute nel citato articolo 323 c.p.. (1)
Diviene chiaro, altresì, che quando l’esercizio di una potestà pubblica è affetto dai vizi di legittimità della funzione amministrativa (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere, ecc.) essi sono conoscibili esclusivamente dal giudice amministrativo: poiché tale invalidità concerne la collisione dell’esercizio (in concreto) delle potestà con la specifica disciplina che le concerne. Ed ha il suo consolidato sistema di tutela che riguarda, appunto, il potere amministrativo e il rispetto dei principii che sovrintendono alla legalità e all’esercizio delle potestà dell’Amministrazione. (2) (3)
Si deve, quindi, confermare che l’invalidità penalistica riguarda esclusivamente l’antinomia con le norme del codice e delle leggi penali, non avendo certo alcuna attinenza con l’inosservanza dei criteri o norme e principi che disciplinano l’esercizio delle potestà amministrative.
Ricordiamo qui, inoltre, ciò che è stato rafforzato anche da autorevole dottrina: pur se il codice penale vigente ha norme di origine autoritaria, contiene al tempo stesso principi e istituti che appartengono anche alla tradizione penalistica liberale.
In esso, infatti, le influenze della scuola classica e di quella positiva hanno trovato una sintesi originale; poiché nel codice Rocco, entrato in vigore nel 1931, sono introdotti anche quegli elementi d’innovazione configuratisi in Italia dopo la I° guerra mondiale, con l’inserimento e l’ <<apertura>> ai mutamenti storico- sociali ed economici culminati negli anni ’20 e successivi.
Tanto ciò è vero che il disegno di elaborare un nuovo codice penale si era già radicato nella cultura penalistica italiana ben prima del fascismo. (4)
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(1) Sulle fonti del diritto penale confr. F-Antolisei, Manuale di diritto penale, Mi, 1980, 47ss.. E, confronta, altresì, la fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n. 12 del 1966, in Giur. Cost. 1966, 143 (sempre “confermata” o” rafforzata”). Per tale giurisprudenza e dottrina l’attività normativa in tale materia pertiene esclusivamente alla legislazione dello Stato. E, quindi, quando promana da altre entità od organizzazioni , è illegittima. Si consideri che anche nell’attuale momento storico non può essere vigente alcuna potestà <<sazionatoria>> penalistica dell’ Unione Europea, soprattutto perché nessuna delle disposizioni dei Trattati, neppure l’ art. 86 TFUE, ha conferito agli organi comunitari la competenza ad emanare norme incriminatrici. Vedi su questo punto tra gli altri, Marinucci , Dolcini, Manuale, cit., 49 ss..
(2) Vedi, tra gli altri, anche l’impatto degli artt. 21 septies e 21 octies della legge n. 241 del 1990.
(3) Confr. sui vizi di legittimità della funzione amministrativa l’autorevole, ampia e penetrante analisi di F. Satta , Giustizia amministrativa, 2* ed., Cedam, ,specie 223 ss. . Sui numerosi problemi dell’invalidità amministrativa ci permettiamo anche di rinviare al nostro “Pubblica Amministrazione e trasformazione dell’ ordinamento”, cit., specie cap. 24, 461 ss., e, per uno sguardo sulla giustizia nell’ amministrazione confr. 707 ss.
(4) Confr. in tal senso G, Vassalli, Diritto penale, in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia, Mi,1982, passim specie 245 ss.
20.
Abuso d’ufficio e irrilevanza dei vizi degli atti amministrativi
Come ora dovrebbe apparire evidente alla fine del nostro excursus, quando si considera l’abuso d’ufficio ciò cui si deve dare risalto, anche dopo le modifiche delle varie leggi emanate sulla materia è esclusivamente, l’eventuale contrarietà dei fatti, degli atti, dei provvedimenti, delle decisioni, ecc., delle varie pubbliche amministrazioni, alle norme penalistiche contenute nell’art. 323 c.p..
Qualsiasi profilo dell’invalidità amministrativa e, quindi, tra essi, anche l “eccesso di potere” o altri, ancor più gravi, non può avere valore d’identificazione degli estremi del reato; o fungere da traccia per il giudice penale per l’ identificazione.
La modifica delle disposizioni del codice operata dalla legge n. 234 del 1997 già aveva individuato le condotte o i comportamenti illeciti perseguibili esclusivamente nel contrasto con specifiche norme di legge o regolamento (si rilegga l’art. 323 c.p. all’ epoca vigente).
E quindi, ancor di più nell’attuale diritto positivo, è precluso al giudice penale considerare rilevanti tutti quei vari comportamenti, individuabili, per esempio, per mezzo degli ampi o elastici parametri dello sviamento di potere; o anche valutare la presenza della violazione dei flessibili concetti di ragionevolezza, di buon andamento o d’imparzialità degli uffici amministrativi (artt. 97 Cost. e 41 Carta dei diritti U.E.; principi e norme della legge sul procedimento).
Ciò non toglie che tutte le fattispecie di <<abuso d’ufficio>>, di cui al citato articolo del codice penale (323 c. p.), offrano la possibilità ai vari organi di amministrazione e al giudice di identificare gli obblighi e doveri derivanti dalle disposizioni di diritto amministrativo; e, quindi, l’ accertamento se determinati atti o comportamenti colposi o <<dolosi>>, o i vari atti o le attività, abbiano rispettato le norme legislative; così come verificare se la presenza di un’eventuale violazione di esse sia in contrasto con i precetti posti nell’art. 323, o in altre disposizioni del codice penale.
Tuttavia in tali fattispecie, come ora ci appare più evidente, il diritto penale non si può intersecare con il diritto amministrativo.
Pur se ciò non toglie che ogni situazione patologica potrebbe anche reclamare una molteplicità di sanzioni, o d’interventi reattivi pur in branche o sedi contenziose differenti e separate.
Diviene plausibile, com’è possibile immaginare che la fattispecie criminosa “abuso d’ufficio”, sanzionata nell’ordinamento penale, possa costituire al tempo stesso un illecito secondo norme e principi differenti: da quelli disciplinari a quello amministrativo, civile, ecc. . (1)
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(1) [ Confr. : art. 41 Carta dei diritti U.E.; artt. 97, 98 Cost.; art. 2,1c.lett. c D. Lvo. n. 109/2006; Sui vari problemi relativi a tale reato si vedano, tra gli altri, Marinucci, Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale. Mi, 2017, 19 ss., 92 ss. e passim. In giurisprudenza vedi ad esempio Cass. Pen., III, n. 52053, del 15-11-2017; Cass. Sez. Un. Civ. 13-11-2012 n. 19704]
21.
Conclusione
Svolgimento delle funzioni amministrative e diritto penale
Come abbiamo cercato di dimostrare gli interessi protetti nell’art. 323 c.p., così come in altre previsioni contenute negli artt. 314 ss. stesso codice, devono essere identificati nella legalità, buon andamento, imparzialità degli uffici amministrativi.
Si tratta di valori e principi di garanzia e di tutela per un’amministrazione giusta ed efficiente, con la più ampia aderenza alla giustizia. E, quindi, indirizzati a organi pubblici che non possono non perseguire fini e obiettivi imposti dalle leggi, norme costituzionali e dai trattati che vincolano il nostro paese anche con le limitazioni della legge penale.
Si è reso anche evidente che imparzialità e buon andamento nello svolgimento delle funzioni da parte degli uffici amministrativi non possono avvantaggiare quest’ultimi o terzi, o entità e centri esponenziali ignorati dalla legge e dalle altre disposizioni vigenti, specie quando ciò è in danno di chi è fornito di tutela e, quindi, degli altri consociati. Anche perché non è possibile alterare diritti, equità e libertà di partecipazione alla vita civile, economica, amministrativa e politica.
Abbiamo anche verificato come l’abuso d’ufficio sia un reato multiforme, perché non si mette a fuoco solo nell’uso illegittimo – da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio – dell’esercizio di quei poteri o facoltà messi a disposizione dall’ordinamento; ma anche di qualsiasi altra manifestazione di illegalità e/o di iniquità dell’ azione amministrativa che determini danni o svantaggi non previsti e ammessi; come, per usare esempi di scuola, nei casi in cui gli uffici responsabili distolgano dal lavoro operai o impiegati alle proprie dipendenze, per destinarli ad attività o funzioni a beneficio di privati; oppure ottengano indebitamente da altri funzionari notizie riservate.
In realtà abbiamo verificato come attività e comportamenti abusivi non siano solo in contrasto con i principi e norme del diritto penale, ma anche con una serie di regole fondamentali e disposizioni vigenti nel diritto amministrativo.
Il reato, come abbiamo riscontrato, può anche consistere in qualsiasi tipo di violazione del buon andamento, dell’obiettività, equità od imparzialità che devono sempre caratterizzare lo svolgersi delle funzioni amministrative.
La rilevanza dei delitti contro la P.A. risalta poiché essi incidono gravemente, arrecando non solo danni patrimoniali ma anche morali.
Trasgressioni e violazioni che spesso determinano non solo un ostacolo al buon andamento di uffici pubblici ma, altresì, indebite appropriazioni nel godimento sia di denaro, che di cose mobili o immobili.
Abbiamo indicato le figure soggettive pubbliche cui può essere imputata la condotta di svolgimento o esecutiva delle ipotesi di reato, e verificato come queste rilevino nel compimento di attività o azioni in occasione dell’ufficio con l’ abuso di qualità: cioè azioni materiali al di fuori dell’ esercizio della funzione o del servizio.