Di Renato Rolli e Dario Sammarro

Sommario : 1. Il nuovo codice nell’ ottica del Parere n.855 del Consiglio di Stato 2. Contesto normativo di riferimento 3. Il divieto di gold plating 4. Il riparto di competenza tra Stato e Regioni 5. Entrata in vigore, fase transitoria e abrogazioni 6. I decreti correttivi 7. Istituti che suscitano maggiore attenzione 8. L’ esame dei singoli articoli 9. Esecuzione 10. Regimi di appalto 11. Contratti di concessione 12.Ricorsi giurisdizionali 13.Rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale14. Il ruolo dell’ ANAC e l’ applicazione del nuovo codice

1. Il nuovo codice nell’ ottica del Parere n.855 del Consiglio di Stato

Il Consiglio dei ministri ha approvato venerdì 15 aprile 2016, in esame definitivo, il decreto legislativo di attuazione (n.11/2016) delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori speciali dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché sul riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture(1). I testi delle direttive appaiono ispirati da ragioni di “politica pubblica” destinata alla realizzazione di una crescita «intelligente, sostenibile ed inclusiva garantendo contemporaneamente l’uso più efficiente possibile degli investimenti pubblici». Le direttive de qua sono state precedute dalla pubblicazione del Libro Verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici, che aveva individuato alcuni obiettivi essenziali nella necessaria revisione del quadro normativo (modernizzazione delle procedure, problemi relativi all’esecuzione, accesso delle PMI al mercato, ma soprattutto «uso strategico degli appalti pubblici» in risposta alle nuove sfide, con particolare riferimento all’innovazione ed ai servizi sociali, prevenzione di conflitti di interesse e lotta contro la corruzione)(2). Tali direttive sono state tradotte nel decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (“Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”) e successivamente pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 19 aprile 2016(3). Si è data così vita al nuovo

Note:
1) COMUNICATO STAMPA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI N. 112 DEL 15 APRILE 2016
2) Sul tema, non si può prescindere da un rinvio a F. Cardarelli, Le direttive europee sui contratti pubblici in F.Caldarelli, Tiziano Treu e R.Garofali ( a cura di), Libro dell’ anno 2015 , Treccani
3) Sul recepimento delle direttive europee si veda A.Pajno, La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione ,relazione al 61° Convegno di Studi Amministrativi – Varenna, 17 – 18 e 19 settembre 2015, in giustizia-amministrativa.it; N.Torchio, Le nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni, in lineavcp.it, Giugno 2014

codice degli appalti. Detto codice conferma l’impianto del testo preliminare del 3 marzo 2016 e la formulazione in base alla legge delega del 28 gennaio 2016, n. 11, approvata dalle Camere il 14 gennaio 2016. La nuova normativa contiene recepimenti dei pareri del Consiglio di Stato, delle Commissioni parlamentari competenti e della Conferenza Unificata. Trattandosi di norma ordinamentale non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Il Governo recepisce quindi in un unico decreto, passando dagli oltre 2.000 articoli del vecchio codice agli attuali poco superiori ai 200, quanto prescritto dalle direttive europee(4). E’ da segnalare come il codice sia entrato in vigore a seguito di tappe forzate, entro il termine assegnato dagli organismi europei. La velocità imposta dalla circostanze e la necessità di rispettare il termine prescritto ha forse inciso sulla qualità del testo, che appare di non agevole lettura data anche una notevole compressione dal punto di vista sistematico. Si è aperta così la delicata e lunga fase transitoria dal vecchio al nuovo sistema di affidamento di appalti e concessioni; i rischi maggiori in tale fase di passaggio sono quelli di incertezza interpretativa e di possibile rallentamenti della spesa pubblica per investimenti (stante gli attesi provvedimenti attuativi, fra cui le linee guida generali dell’ANAC la quale avrà compiti di soft regulation(5)) e quelli inerenti la non compatibilità delle norme del d.p.r 207/2010 con il nuovo codice, che decadranno comunque entro la fine del 2016. Il codice si articola in sei “parti”, che a loro volta sono suddivise-più o meno analiticamente – in “titoli”, “capi” e “sezioni”. La “Parte I”, divisa in quattro “titoli”: -fissa i principi generali e le disposizioni comuni (Titolo I); individua i cc.dd. “contratti esclusi”, in tutto o in parte, dall’applicazione del codice (Titolo II); detta disposizioni generali in ordine alla “pianificazione, programmazione e progettazione” dei lavori pubblici e delle opere pubbliche, nonché degli acquisti di beni e servizi (Titolo III); delinea principi comuni concernenti le modalità di affidamento (Titolo IV). La “Parte II” è dedicata ai “contratti di appalto” e si divide in ben sei titoli, dedicati rispettivamente: il primo alla individuazione delle soglie di rilevanza comunitaria; il secondo al sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti; il terzo alle procedure di affidamento; il quarto ai

Note:
4)
 Le nuove direttive sembrano evidenziare delle indicazioni problematiche relative ai singoli istituti in esse trattati, una prima possibile ricaduta delle nuove direttive verte sul piano delle fonti idonee a garantirne l’effettivo recepimento. Per un’analisi dei profili problematici in questione si veda F.Calderelli, cit., Libro dell’ Anno 2015, Treccani
5) Sulla “ soft law”, M. Di Stefano, Origini e funzioni del soft law in diritto internazionale, in Lav. dir.2003; Michelle Cini, “From soft law to Hard law?: Discretion and Rule-making in the Commission’s State Aid Regime”,EUI Working papers, RSC N°2000/35, pag. 4; R.J. Dupuy sviluppò le sue analisi sul soft law per la prima volta nel 1973, nella sua raccolta del dibattito della HagueAcademy sul The Protection of the Environment and International Law, Sijthoff,
Leiden, 1975, pagg. 623-627; e R.J.Dupuy, Droit déclaratorie et droit programmatoire : de la coutume sauvage à la soft law , in L’élaboriation du droitinternational public, Colloque de Toulouse, Société Française de Droit International, Pedone, Paris, 1975, pagg. 132-148. Sul punto si segnala la posizione manifestata da Arangio-Ruiz in occasione del dibattito del 1973 della Hag. A tal riguardo ancora si rinvi a quanto emerge da Wellens K. C., e Borchardt G. M., “Soft law in European Community law”, European Law Review, 1989, Vol. 14, pagg. 267-321; Thurer D. , in Soft law, in Encyclopedia of Public International Law, vol.4, 2000.

criteri di aggiudicazione; il quinto alla esecuzione del contratto d’appalto; il quinto alla esecuzione del contratto d’appalto; il sesto ai regimi di appalto nei settori speciali. La “Parte III” è dedicata ai “contratti di concessione” e si divide in tre titoli: il primo avente ad oggetto i principi generali in tema di concessione e l’ambito di applicazione dell’istituto concessorio; il secondo, le garanzie procedimentali (concernenti la verifica dei requisiti di idoneità, i criteri di aggiudicazione, i criteri di selezione e valutazione dei candidati). La “Parte IV” si articola in tre titoli, dei quali: il primo dedicato alla disciplina del predetto sistema di affidamento di lavori e di taluni strumenti operativi e di finanziamento in esso intergrabili, quali “ la finanza di progetto” e le “società di progetto”; il secondo dedicato all’ affidamento “in house”; il terzo dedicato all’ affidamento mediante “contraente generale”. La “Parte V” detta norme speciali per la realizzazione di infrastrutture e di insediamenti prioritari. La “Parte VI”, intitolata “Disposizioni finali e transitorie”, si divide in tre titoli, di cui: il primo è dedicato al contenzioso ai rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale; il secondo alla “governance”; il terzo alla fissazione del regime transitorio. In questa sede rileva evidenziare la centralità del parere del Consiglio di Stato(6) vertente sulla nuova normativa ; si riporteranno dunque i punti essenziali del parere de quo, riproponendo il medesimo schema logico adottato nella stesura dello stesso dagli scriventi . Seppur sembra che la funzione consultiva abbia perduto l’ antica estensione ( Pajno ricorda che il sindacato sull’attività amministrativa è prevalentemente, se non esclusivamente, giurisdizionale, avendo la Costituzione configurato la giurisdizione come il luogo privilegiato della tutela e della realizzazione della giustizia), il Consiglio continua ad occupare un ruolo centrale in sede di politiche di regolazione. Si ritiene di non poter prescindere dall’ aver contezza di tale parere ai fini di un’adeguata conoscenza in subiecta materia. Il Parere n.855 del 1° Aprile 2016 è il frutto di un lavoro posto in essere da una Commissione speciale (all’uopo istituita con decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 40 del 12 marzo 2016) e in ottemperanza a quanto contenuto nella relazione prot. n. 9299 del 7 marzo 2016, con la quale il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti richiedeva parere sulla detta normativa al Consiglio di Stato. Si segnala la tempestività dell’ operato del Consiglio di Stato che ha posto in essere in un parere di più di 200 pagine in tempi brevissimi seppur lavorando a ranghi ridotti ( in

Note:
6)
 Si veda M.Torsello, Le funzioni consultive del Consiglio di Stato in giustizia-amministrativa.it : “Nel nostro sistema, negli ultimi decenni, il ruolo del Consiglio di Stato si è andato rafforzando tanto che il Consiglio ha assunto, nel settore della produzione normativa, una posizione sempre più rilevante (Mignone). Non a caso, secondo alcuni autori, il Consiglio avrebbe modificato il proprio ruolo consultivo e ormai si porrebbe nell’ordinamento come “coautore di norme e di regole generali” (Pajno, Barbati), piuttosto che come semplice difensore del principio di legalità. Ruolo centrale, in questo quadro – com’è noto – svolge l’art. 17 della legge n. 400/1988, secondo cui sono sottoposti al parere obbligatorio del Consiglio tutti gli atti di normazione secondaria del Governo e dei singoli Ministri. Tale legge, quindi, ha chiarito l’obbligo del parere anche con riguardo ai regolamenti ministeriali che prima, a differenza di quelli governativi, sovente venivano emanati anche senza il parere.” Sul tema si veda G.Fontana << Considerazioni critiche sul ruolo del Consiglio di Stato nella più recente attività di semplificazione normativa >> in << federalismi>>, n. 3 – 19/10/2015

attesa dell’ individuazione dei giudici di nomina governativa e dell’ apertura delle procedure concorsuali per integrare gli organici della giustizia amministrativa). L’apporto consultivo del Consiglio di Stato si è mosso lungo tre direzioni: esame di questioni di carattere generale; esame dei singoli articoli con formulazione di osservazioni puntuali e di agevole recepimento; esame dei singoli articoli con formulazione di osservazioni che richiedono maggior tempo e dovranno essere affidate ai decreti correttivi. Il Consiglio di Stato potrà dare il proprio apporto consultivo per l’elaborazione dei decreti correttivi e degli atti attuativi, o rispondendo a specifici quesiti sulla nuova disciplina. A detta di chi scrive appare ictu oculi evidente la sussistenza di non pochi contrasti tra le posizioni esposte da Palazzo Spada ed il contenuto delle nuove disposizioni. Il rapporto vigente tra parere e codice sembra essere paragonabile a quello che intercorre tra Dio ed Adamo nella celeberrima opera di Michelangelo: Dio accompagnato dal soffio della ruah-adonai (lo Spirito divino) è tutto teso nell’atto Creatore e il suo braccio allungato attrae a sé, alla sua vita e somiglianza, il giovane Adamo che è adagiato sulla terra; Adamo nel contempo si solleva verso il suo Creatore, eppure mentre cerca di toccare il dito di Dio, già se ne separa e stacca. Nei mesi a venire scopriremo se e quanto la nuova disciplina si discosterà effettivamente dal Parere del primo Aprile 2016.

2. Contesto normativo di riferimento

Il contesto ordinamentale nel quale il codice è nato è il primo step dell’analisi di Palazzo Spada. L’ ambito di azione è quello contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; questi sono una voce particolarmente significativa della spesa pubblica e costituiscono una leva importante della politica economica e sociale di un paese, inoltre sono particolarmente sensibili a pratiche corruttive e fenomeni di inquinamento del mercato da parte della criminalità organizzata(7). Nell’ approccio comunitario, i contratti pubblici sono regolati nell’ ottica di un’adeguata tutela della concorrenza e del mercato, al fine di abbattere le barriere nazionali, e nella prospettiva dell’uso dei contratti pubblici al fine di una corretta allocazione delle risorse comunitarie e di una crescita sostenibile, mediante semplificazione e flessibilità. Nella prospettiva nazionale, avuto a riguardo alle specificità

Note:
7) Sui contratti pubblici è ampia la letteratura:A. Police, Tutela della concorrenza e pubblici poteri. Profili di diritto amministrativo nella disciplina antitrust, Torino, 2007; F. Saitta (a cura di), Il nuovo codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Commentario sistematico, Padova, 2008; M. Clarich, Commentario al Codice dei contratti pubblici, Torino, 2010; C. Franchini, I contratti di appalto pubblico, Torino, 2010; F. Fracchia, Ordinamento comunitario, mercato e contratti della pubblica amministrazione. Profili sostanziali e processuali, Napoli, 2010; A. Bartolini, S. Fantini, F. Figorilli, Il decreto legislativo di recepimento della direttiva ricorsi, in Urb. e app., 2010, 652; G. Iudica, A. Carullo, Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, Padova, 2011; R. Caranta, I contratti pubblici, Torino, 2012; R. Villata, M. Bertolissi, V. Domenichelli, G. Sala (a cura di), I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Padova, 2014; F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta, Diritto amministrativo e criminalità. Atti del XVIII Convegno di Copanello (28-29 giugno 2013), Milano, 2014.

del contesto italiano, tali obiettivi vengono coniugati con quelli delle pratiche corruttive e delle infiltrazioni nella criminalità organizzata. La materia dei contratti pubblici presenta carattere di trasversalità e di incursione da un lato in altri ambiti codificati del diritto amministrativo, dall’ altro in ambiti regolatori diversi dal diritto amministrativo in senso stretto, inserendosi e coordinandosi con ambiti del diritto civile, del diritto penale, del diritto del lavoro. In Italia i contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture sono stati finora regolati dal d.lgs.n. 163/2006 ( codice dei contratti pubblici) e dal d.P.R. n. 207/2010(8) ( regolamento di esecuzione e attuazione del codice ), oltre che da una serie di atti normativi, primari o secondari, per specifici settori ( appalti della difesa, nei settori della sicurezza, relativi a beni culturali; codice del processo amministrativo quanto alla tutela giurisdizionale). A sua volta il codice del 2006 ha rappresentato al tempo stesso un’operazione di recepimento di due direttive comunitarie del 2004 (nn.17 e 18), relative, rispettivamente, ai settori ordinari ( comprendenti anche limitate regole per le concessioni di opere pubbliche e per le concessioni di servizi) e ai settori speciali, nonché di riordino delle previgenti disposizioni sparse in una serie numerosa di atti normativi; è stata la legge delega n.62 del 2005 l’ atto normativo sulla cui scorta è stato emanato detto codice(9). Lo stesso si è sostituito, come è noto, alla c.d. legge Merloni del 1994 plurimodificata nel corso degli anni, nata in un contesto politico connotato dalla nota vicenda “Tangentopoli(10)”, che aveva fatto ritenere necessario intervenire sugli appalti pubblici con norme rigorose, volte a limitare ogni spazio di discrezionalità delle stazioni appaltanti. Il codice del 2006 ha subito numerose modifiche nell’ arco di dieci anni, per opera di 52 atti normativi, nonché da sei regolamenti comunitari che hanno modificato le soglie economiche con effetto direttamente modificativo del codice. In questo frammentato contesto normativo si sono inserite negli anni, da un lato le attività della giurisprudenza amministrativa e dell’Autorità di Vigilanza chiamate a derimere incertezze e contrasti applicativi e dall’ altro il ruolo dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato nell’ esercizio della sua funzione monofilattica.

Note:
8) Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»;
9) Si veda, A.Clarzia, Un confronto sulle “filosofie” di recepimento delle direttive “appalti” nei paesi dell’Unione europea, in << giustamm.it >>,n. 5 – 2007, e F. Astone, L’influenza del diritto comunitario, (Relazione alla Giornata di studio su: «Il nuovo Codice dei contratti pubblici: prime riflessioni» Lamezia Terme, 18 maggio 2006), in << giiustamm.it >>, n. 5 – 2005
10) Sul tema, A.Pizzorno, La corruzione nel sistema politico in D.della Porta, Lo scambio occulto, Bologna, il Mulino, 1992; M.Magati , Corruzione politica e società italiana. Il rapporto degradato tra partiti politici e interessi economici come sintomo di crisi della democrazia: una analisi approfondita, Il Mulino, Bologna, 1996; S.Moccia, Il ritorno alla legalità come condizione per uscire a testa alta da Tangentopoli, in <<Rivista diritto processuale penale>>,02, 1996, p.463; Mattarella Bernard Giorgio – Pelissero Marco (a cura di), La legge anticorruzione, prevenzione e repressione della corruzione, G. Giappichelli Editore, Torino, 2013;

Provvidenziali per un tentativo di riordine normativo, sembrano essere state le già sopracitate direttive comunitarie ( 23, 24, 25 del 2014(11), poste in essere nell’ ambito della c.d. strategia Europa 2020(12) e recepite dalla legge delega n. 11 del 2016, che persegue sul piano dello strumento, la codificazione delle disposizioni di recepimento delle direttive in questione e il riordino complessivo della materia, e sul piano degli obiettivi, quello della semplificazione e accelerazione delle procedure salvaguardando al contempo valori fondamentali quali la trasparenza(13), la prevenzione della corruzione e della infiltrazione della criminalità organizzata, la tutela ambientale e sociale. La delega introduce, rispetto alle direttive, ulteriori strumenti e istituti inediti, che, se ben declinati, potranno portare effettiva trasparenza e efficienza in un mercato non immune da vischiosità burocratica e illegalità. Sul piano formale, la legge delega richiede l’adozione di “un unico testo normativo”, da denominarsi “codice” (art. 1, comma 1), e impone che si tratti di un codice snello. Sul piano sostanziale, la legge delega demanda al Governo di recepire le direttive nel rispetto del divieto del gold plating, vale a dire il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiore a quelli minimi richiesti dalle direttive” (art. 1, comma 1, lett. a), legge delega. La delega introduce alcuni principi, tra cui: trasparenza, digitalizzazione e accessibilità

Note:
11) Per un maggiore approfondimento, sul punto, sia consentito il rinvio a F.Cardarelli , cit., in Libro dell’ anno 2015, Treccani
12) Europa 2020 è la strategia decennale per la crescita e l’occupazione che l’Unione europea ha varato nel 2010. Non mira soltanto a superare la crisi dalla quale le economie di molti paesi stanno ora gradualmente uscendo, ma vuole anche colmare le lacune del nostro modello di crescita e creare le condizioni per una crescita più intelligente, sostenibile e solidale.L’UE si è data cinque obiettivi quantitativi da realizzare entro la fine del 2020. Riguardano l’occupazione, la ricerca e sviluppo, il clima e l’energia, l’istruzione, l’integrazione sociale e la riduzione della povertà.
13) Sulla tarsparenza, R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in La disciplina generale del procedimento amministrativo. Atti del XXXII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna-Villa Monastero, 18-20 settembre 1986, Milano, 1989, 15; G. Arena, Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., XXXI agg., Roma 1995; Id., Trasparenza amministrativa, in S. Cassese, Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, 5945 ss.; A. Sandulli, Il procedimento amministrativo e la trasparenza, in L’amministrazione pubblica italiana (a cura di S. Cassese e C. Franchini), Bologna, 1994, 101ss.; F. Trimarchi Banfi, In tema di trasparenza amministrativa e di diritto alla riservatezza, in Aa.Vv., Studi in onore di E. Casetta, I, Napoli, 2001, 343 ss.; M.P. Chiti – G. Palma (a cura di), I principi generali dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, con scritti di M.R. Spasiano, Trasparenza e qualità dell’azione amministrativa, D.U. Galetta, Trasparenza e governance amministrativa nel diritto europeo, F. Pinto, Trasparenza e responsabilità politica, V. Veneziano, La trasparenza dell’azione amministrativa tra tutela del diritto di accesso e tutela del diritto alla riservatezza: alla ricerca di un equilibrio; F. Merloni – G. Arena – G. Corso – G. Gardini – C. Marzuoli (a cura di), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008; M. R. Spasiano, I principi di pubblicità, trasparenza e imparzialità, in M. A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, 83 ss.; F. Manganaro, L’evoluzione del principio di trasparenza, in L’evoluzione del principio di trasparenza, in Scritti in memoria di Roberto Marrama, I, Napoli, 2012, 639 ss.; M. Occhiena, I principi di pubblicità e trasparenza, in M. Renna – F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 141 ss.; F. Merloni, L’applicazione della legislazione anticorruzione nelle Regioni e negli enti locali tra discipline unitarie e autonomia organizzativa, in Ist. del fed., 2013, 349 ss.; M. Bombardelli, Fra sospetto e partecipazione: la duplice declinazione del principio di trasparenza, in Ist. del fed., 2013, 657 ss.; Cfr. R. Rolli, Il Comune degli altri, Aracne editrice S.r.l., I edizione: settembre 2013; Cfr. N.Posteraro, Le novità in tema di misure amministrative: prevenzione, trasparenza, risoluzione del contratto d’appalto e modifiche alla L. 241/1990, in Sconfiggere la corruzione: legge 190/2012, misure amministrative e d.d.l. Grasso, a cura di R.Rolli – N. Posteraro, www.ildirittoamministrativo.it

piena agli atti; centralizzazione obbligatoria della committenza che muove dalla specificità del contesto italiano, connotato dall’esistenza di oltre 32.000 stazioni appaltanti; qualificazione obbligatoria per le amministrazioni che vogliono svolgere le funzioni di stazione appaltante; istituzione di un albo dei commissari di gara presso l’ANAC; separazione tendenziale tra progettazione ed esecuzione; regole specifiche per alcune tipologie di appalti; rating di legalità, criteri reputazionali, sistema di penalità e premialità per gli operatori economici; conti dedicati imposti agli operatori economici; soccorso istruttorio; limitazioni ai poteri del contraente generale e rafforzamento dei controlli pubblici; introduzione di principi concorrenziali; introduzione del dibattito pubblico; governance efficiente ed efficace attraverso la cabina di regia presso la P.C.M. e il rafforzato ruolo dell’ANAC. Suscita perplessità l’iter di approvazione della legge di delega che è apparso lungo perché il Governo potesse elaborare in modo adeguatamente ponderato le numerosissime grande scelte di politica normativa ed economica che il recepimento delle Direttive UE 2014 imponeva. Si pensi che le direttive in questione sono state pubblicate nella Gazzetta UE il 28 marzo 2014 ed entrate in vigore il successivo 28 aprile. Da allora i Parlamenti nazionali avevano a disposizione ventiquattro mesi per esercitare la delega nell’ambito degli ordinamenti interni. Si segnala, che a fronte di ventiquattro mesi complessivamente disponibili per recepire le nuove direttive, ne siano stati impiegati circa ventuno per completare il solo conferimento della delega (atto di grande importanza, ma pur sempre preliminare e meramente preparatorio) e se ne siano fatti residuare appena tre per l’esercizio concreto della delega (il quale, come è evidente, implica una serie sterminata di scelte normative talvolta estremamente complesse). Inevitabilmente lo scarso tempo a disposizione per la redazione del Codice ha inciso sulla qualità e sulla comprensibilità di uno strumento complesso. Notato ciò si rileva che la legge delega coglie il recepimento delle tre direttive come occasione e sfida per un ripensamento complessivo del sistema degli appalti pubblici in Italia, in una nuova filosofia che coniuga flessibilità e rigore, semplificazione ed efficienza con la salvaguardia di insopprimibili valori sociali e ambientali. Tuttavia sembrerebbero non interamente recepiti alcuni principi direttivi della legge delega. Non sembrano, ad esempio, recepiti alcuni punti di delega in materia di concessioni, comuni o specifici a concessioni in determinati ambiti.

3. Il divieto di gold plating

La legge delega da un lato impone al Governo il divieto di gold plating(14) e il recepimento degli strumenti di flessibilità previsti dalle direttive, dall’altro contiene essa stessa criteri di maggior rigore rispetto alle direttive. Si tratta di una opzione politica che non dà adito a dubbi di legittimità costituzionale . Invero, l’obiettivo generale, posto dalla delega, di un recepimento delle direttive sfruttandone tutti gli elementi di flessibilità, ben può trovare, nella stessa delega, un temperamento a tutela di interessi e obiettivi ritenuti dal Parlamento più meritevoli, quali sono la prevenzione della corruzione(15) e la lotta alla mafia, la trasparenza, una tutela rafforzata della concorrenza, la salvaguardia di valori ambientali e sociali. D’altro canto il Consiglio di Stato ci dice che il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” va rettamente interpretato in una prospettiva di riduzione degli “oneri non necessari”, e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive. Così, in termini generali, il maggior rigore nel recepimento delle direttive deve, da un lato, ritenersi consentito nella misura in cui non si traduce in un ostacolo ingiustificato alla concorrenza; dall’altro lato ritenersi giustificato (quando non imposto) dalla salvaguardia di interessi e valori costituzionali, ovvero enunciati nell’art. 36 del TFUE (“Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”). In termini differenti va considerato il tema dell’ambito e portata del divieto di gold plating imposto dalla legge delega al Governo. Il Consiglio di Stato, ha rilevato che l’art. 1, lett. a), della legge delega, nel porre il divieto di gold plating, ha richiamato i c. 24-ter e quater dell’art. 14, l. n. 25672005, e che il richiamo del c. 24-quater dell’art. 14, l. n. 246/2005, lascia spazio, in sede di recepimento delle direttive, alla possibilità di una limitata deroga al divieto di

Note:
14) In sede di recepimento delle Direttive Comunitarie, si fa riferimento al gold plating come a «quella tecnica che va al di là di quanto richiesto dalla normativa europea pur mantenendosi entro la legalità. Gli Stati membri hanno ampia discrezionalità in sede di attuazione delle direttive comunitarie. Essi possono aumentare gli obblighi di comunicazione, aggiungere i requisiti procedurali, o applicare regimi sanzionatori più rigorosi. Se non è illegale, il gold plating è di solito presentata come una cattiva pratica, perché impone costi che avrebbero potuto essere evitati».
Una pratica che in Italia è abbastanza diffusa, nonostante che in molti criteri di delega si faccia espresso richiamo di non introdurre e a non mantenere livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee.
Sul tema, G. Bruzzone , M.Casella , R. Marzulli ., Portata del divieto di gold plating, in Pajno A., Torchia L. (a cura di), La nuova disciplina dei contratti pubblici: le regole, i controlli, il processo, pp. 19 ss..
15) R. Mangani, Corruzione negli appalti, revoca dei contratti, commissariamento: brevi note anche a seguito dell’entrata in vigore del Decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 in giustamm.it, n.7 – 2014.

introdurre una regolamentazione più severa, purché nell’AIR si motivino le circostanze eccezionali della deroga. Tanto giustifica il maggior rigore per cui ha optato il delegato, ad es., in tema di subappalto e di avvalimento negli appalti relativi ai beni culturali. Lo stesso parere del Consiglio di Stato ha consigliato un maggior rigore negli appalti sotto soglia (art. 36) e quanto ai requisiti morali (art. 80), cui ha aderito il testo definitivo del codice. Il parere del Consiglio di Stato ha poi ricordato che il divieto di gold plating posto dalla legge delega costituirà principio vincolante anche in sede di adozione degli atti attuativi del codice(16).

4. Il riparto di competenza tra Stato e Regioni

In Consiglio di Stato si è soffermato con evidente attenzione sul tema delicatissimo del riparto di competenze Regionali e Statali(17). Il nuovo codice opta per una formulazione generica in ordine al riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni, a differenza del precedente, che conteneva una puntuale ricognizione degli aspetti disciplinatori riconducibili alla competenza statale o regionale. Il codice, riprendendo l’impostazione delle direttive, detta una disciplina generale distinta in due fasi dei contratti pubblici: la prima fase ha natura amministrativa ed è rappresentata dalle procedure di scelta del contraente che devono svolgersi nel rispetto di regole puntualmente definite; la seconda

Note:
16) Sul divieto di gold plating e in generale sulla materia di cui trattasi si rinvia a R. De Nictolis, Il nuovo codice dei contratti pubblici, Urbanistica e appalti n.5/2016, in << giustizia-amministrativa.it>>
17) Sul tema delle competenze tra Stato e Regioni e sugli eventuali conflitti connessi a tale riparto la letteratura è molto ampia. Cfr., ex multis, A. Pensovecchio Li Bassi, Conflitti costituzionali, (ad vocem), Enc. dir., 196l; ID., Conflitti tra Stato e Regioni, ad vocem, ivi,1962; G. Grottanelli De’Santi, I conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni,Milano 1961; S. Grassi, Conflitti costituzionali, ad vocem, in Dig. Discipl. pubbl., Torino 1989; ID., Il giudizio costituzionale, cit.; ID., In tema di rapporti tra giudizio costituzionale sui conflitti intersoggettivi e giudizi comuni, in AA.VV.,Studi in onore di Vezio Crisafulli, I, Padova 1985, 445 ss.; A. Pizzorusso, Art. 134, in G. Branca(a cura di), Commentario alla Costituzione, Garanzie costituzionali, Artt. 134-139, Bologna-Roma 1981; G. Volpe, Art. 137, ivi, 370; G. Zagrebelsky, Processo costituzionale, ad vocem, in Enc. dir., cit.,1987; Id., Conflitti di attribuzione,II) Conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni, e tra Regioni, ad vocem, in Enc. giur., Roma 1988. Più recent., P. Costanzo, Conflitti costituzionali, ad vocem, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di Diritto pubblico, Milano 2006. Vedi anche i classici studi di F. Sorrentino, I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 1967, 670 ss.; ID.,I rapporti tra lo Stato e le Regioni nella giurisprudenza della Corte costituzionale sui conflitti di attribuzione, in AA.VV., Corte costituzionale e Regioni, Napoli1988, 127 ss.;ID., La giurisprudenza della Corte nei conflitti tra lo Stato e le Regioni, inAA.VV., Strumenti e tecniche di giudizio della Corte costituzionale, Milano 1988, 205 ss.; M. Mazziotti I conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, I-II, Milano 1972; L. Paladin, Corte costituzionale ed autonomie locali: gli orientamenti giurisprudenziali dell’ultimo quinquennio, in P. Barile –E. Cheli –S. Grassi (a cura di), Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Bologna 1982, 329 ss.; S. Staiano ,Le aree del conflitto,in S. Bartole –M. Scudiero –A. Loiodice (a cura di), Regioni e Corte costituzionale. L’esperienza degli ultimi 15 anni, Milano 1988, 206 ss.; M. Villone, Analisi quantitativa e notazioni ricostruttive, ivi, 157 ss.; A. Pisanechi, I conflitti di attribuzione, cit.; P. Veronesi, I poteri, cit.; E. Bindi –M. Perini, (a cura di), Recenti tendenze in materia di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, Atti del Seminario tenutosi a Siena il 24 maggio 2002, Milano 2003. Sempre punti di riferimento, in materia, C.Mezzanotte, Le nozioni di potere e di conflitto nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1979, 110 ss. In tema, cfr. G. Zagrebelsky–V. Marcenò, Giustizia costituzionale, Bologna 2012, 421 ss. ; A. Ruggeri–A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino 2014, 273 ss; G.Laneve <<Ulteriori precisazioni, a futura (si spera) memoria, della Corte costituzionale in tema di conflitti traStato e Regioni, dalla “manifestazione estrinseca della volontà di attribuirsi la titolarità del potere” al “tono costituzionale”: nota a margine delle sentenze n. 86 e 87 del 2015, in fedaralismi.it n.17, 2015

fase ha natura negoziale ed è costituita dal momento di conclusione del contratto e attuazione del rapporto contrattuale. La prima fase di scelta del contraente rientra nella materia trasversale della tutela della concorrenza (art. 117, comma 2, lett. e), Cost.). La seconda modalità di esercizio della funzione legislativa regionale può avere valenza più specifica, involgendo, con riferimento alle specifiche “parti” della procedura, la competenza residuale in materia di “organizzazione amministrativa”. Nella prospettiva della riforma costituzionale in itinere, assume rilevo l’eliminazione delle materie di competenza concorrente, con inserimento di talune di esse, quale ad esempio, la materia delle “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza”, nell’elenco delle materie di competenza legislativa statale esclusiva. Non sarebbe, pertanto, più necessario giustificare l’intervento statale, evocando, in presenza della fattispecie sopra indicata, il principio di sussidiarietà legislativa. La riforma in itinere prevede, inoltre, quale autonoma materia, quella relativa a “norme generali sul procedimento amministrativo”, attribuendo la relativa competenza al legislatore statale. Il mutamento del quadro costituzionale rafforzerà, ulteriormente, la competenza statale esercitata nell’adozione del presente codice. Sempre in tema di riparto di competenze si segnala che all’ interno del codice le competenze delle Regioni sono disciplinate dall’ art. 2 . Per le Regioni a statuto ordinamentale, il Legislatore dichiara preliminarmente che esse esercitano le funzioni di propria competenza, nel settore degli appalti, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’Ordinamento europeo e del codice. Ciò vuol dire che “ per gli appalti sopra soglia” le direttive europee sono immediatamente applicabili e che le Regioni devono impegnarsi a rispettarle, unitamente al codice che ne costituisce l’attuazione(18). Quanto al regime degli appalti sotto soglia, nella sistematica del codice la disciplina generale è dettata dall’art.36, primo comma, che impone alle Regioni di conformarsi, comunque, ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità. Per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e Bolzano, il Legislatore si è limitato a ricordare che esse sono tenute- in conformità alle disposizioni dei loro Statuti Speciali e delle relative norme di attuazione- ad adeguare la propria legislazione alla disciplina del codice. L’ art. 2 ha però affermato anche che le disposizioni introdotte dal codice –tutte, nessuna esclusa- costituiscono “norme di grande riforma economico-sociale”. E ciò all’evidente scopo di renderle immediatamente applicabili.

5. Entrata in vigore, fase transitoria e abrogazioni

Nel parere è inclusa un’ analisi delle dinamiche “fisiologiche” della normativa de qua. Il codice entra in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione in G.U., vale a dire il 19 aprile

Note:
18) Sul punto nuovamente, F. Caldarelli, cit., Libro dell’ anno 2015 , Treccani

2016. La legge delega impone, tra i suoi criteri, anche che siano garantiti “in ogni caso l’effettivo coordinamento e l’ordinata transizione tra la previgente e la nuova disciplina” (art. 1, c. 1, lett. b), legge delega). I regimi transitori sono fissati prevalentemente nell’art. 216, in parte in altri articoli del codice. La regola generale è che le nuove disposizioni si applicano alle procedure e ai contratti i cui bandi o avvisi di indizione gara, ovvero, nelle procedure senza bando, i cui inviti, siano successivi alla data di entrata in vigore del codice, ossia datino dal 20 aprile 2016 in poi (art. 216 c. 1). Vengono poi delineati ulteriori 26 regimi transitori specifici, in altrettanti commi dell’art. 216. Si tratta di regimi transitori ancorati all’adozione degli atti attuativi previsti dagli articoli del codice, e nelle more dei quali continua ad applicarsi, nei limiti di compatibilità, la previgente disciplina, puntualmente individuata da ciascun comma, con rinvio al d.P.R. n. 207/2010 o altri regolamenti di settore previgenti. Conseguentemente, l’art. 217 procede alle abrogazioni del caso, disponendo in parte l’immediata abrogazione di alcune parti del d.P.R. n. 207/2010, e differendo in parte la sua abrogazione agli atti attuativi, che dovranno operare una ricognizione delle disposizioni del precedente regolamento che vanno a sostituire. Da tale quadro si evince che la precedente disciplina, sia contenuta nel d.lgs. n. 163/2006 che nel regolamento n. 207/2010, che contenuta in altre fonti, resta integralmente applicabile non solo a procedure e contratti per i quali i bandi o inviti siano già stati pubblicati, ma anche ai nuovi affidamenti, per quegli ambiti per i quali gli atti attuativi nuovi non siano ancora varati, e finché non vengano varati. E’ stato affidato ai futuri atti attuativi il compito di una ricognizione delle disposizioni del regolamento n. 207/2010 che essi sostituiranno: sicché l’effetto abrogativo, discendente direttamente dal nuovo codice, è differito nel tempo agli atti attuativi (una sorta di condizione sospensiva dell’effetto abrogativo). Si è così – peraltro solo in parte – seguito il suggerimento del parere del Consiglio di Stato, di utilizzare la tecnica normativa già sperimentata e tipica del meccanismo di delegificazione di cui all’art. 17, c. 2, l. n. 400/1988. Secondo tale modello di “cedevolezza” delle disposizioni abrogate, resta in capo al codice l’effetto abrogante del d.P.R. n. 207/2010, ma il concreto venir meno delle singole normative previgenti è differito temporalmente al momento dell’entrata in vigore dei singoli atti sostitutivi di attuazione del nuovo codice, quale che sia la loro natura giuridica (linee guida ministeriali, atti ANAC, etc.). A questi ultimi viene altresì assegnato dal codice anche il compito di recare una esplicita ricognizione delle disposizioni che vengono sostituite e che pertanto cessano di avere efficacia. Tale meccanismo ha come controindicazione il dilatarsi dei tempi di effettiva scomparsa della precedente normativa, ma questa circostanza appare comunque preferibile ai dubbi e alle incertezze del vuoto normativo. Peraltro, il rischio può essere considerevolmente ridotto da una efficace e sistematica attività di monitoraggio da parte della cabina di regia. Non è stato accolto il suggerimento del Consiglio di Stato di inserire anche una disposizione abrogativa di chiusura, secondo la tecnica del guillottine system, che preveda comunque la definitiva scomparsa del regolamento dopo un congruo termine. Pertanto il rischio è di una sopravvivenza anche a lungo del regolamento n. 207/2010, se gli atti attuativi non saranno tempestivi, o se non opereranno una ricognizione completa(19).

6. I decreti correttivi

Non sfugge al Consiglio di Stato il riferimento ai decreti correttivi. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del codice, infatti, il Governo potrà adottare disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi e della procedura dettati dalla delega per il codice (art. 1, c. 8, legge delega)(20). La ristrettezza dei tempi di esercizio della delega (meno di tre mesi dalla data di entrata in vigore di quest’ultimo), imporrà un supplemento di riflessione su alcuni istituti innovativi. Sicché, se ordinariamente i decreti correttivi intervengono dopo un congruo periodo di applicazione pratica di codici e testi unici, al fine di emendare difetti emersi, nel caso specifico è prevedibile che già all’indomani della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del codice, si dovrà essere pronti a lavorare a un affinamento delle sue disposizioni al fine, ove necessario, di rapide correzioni. Del resto la legge delega non pone limiti al numero di decreti correttivi, nell’ambito del periodo temporale massimo consentito. Il citato parere del Consiglio di Stato ha rilevato che i correttivi conseguono un effetto utile se intervengono dopo un ragionevole periodo di applicazione pratica, necessario per una compiuta verifica di impatto della regolamentazione. Nel caso di codificazioni settoriali, specie se, come in questo caso, vi sono numerosi regimi transitori, un periodo ragionevole di osservazione è almeno biennale. Sicché, l’obiettivo del correttivo rischia di essere vanificato se viene previsto un periodo troppo breve. Sotto tale profilo, è stato espresso l’auspicio di un allungamento da uno a due anni del termine per i correttivi.

7. Istituti che suscitano maggiore attenzione

Il Consiglio di Stato, prima di addentrarsi in un’analisi dei singoli articoli, si sofferma sui temi che suscitano maggiore riflessione delineandone gli aspetti salienti.
-Ambito di applicazione (art.1codice)- L’ art. 1 ultimo comma, sembra ridurre la portata unificante del codice, facendo salve tutte le speciali disposizioni vigenti per non meglio definite “ amministrazioni, organismi e organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e contabile”.

Note:
19) 
Per un approfondimento sul tema si rinvia a M.Longoni (a cura di), Il nuovo codice degli appalti, <<Italia Oggi>>, n.7, 2016
20) Per chiarezza sull’ istituto , L.Iannuccili e A.De Vita, Deleghe e decretazione correttiva e integrativa nella giurisprudenza cosituzionale, cortecostutuzionale.it. ; A.Del Dotto, Brevi appunti sul nuovo decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici, Altalex, 2007

Questa disposizione non sembra in vero trovare nessun riscontro nelle direttive né nella delega, né nella relazione illustrativa e nell’ AIR.
-Contratti esclusi e affidamenti sotto soglia- (artt. 4 e 36 codice) Il Consiglio di Stato auspica prudenza nel tasso di semplificazione delle procedure degli affidamenti sotto soglia(21). Questa infatti potrebbe rischiare di tradursi in una perdita di concorrenza e partecipazione, stante anche il “ combinato disposto” della divisione in lotti, l’elevato valore complessivo delle commesse sotto soglia rispetto al totale degli appalti aggiudicati in Italia(22).
-Centralizzazione della committenza e qualificazione delle stazioni appaltanti (artt. 37 ss. Codice)– Il Codice sembra riesca a portare a ulteriore sviluppo le potenzialità offerte dalle direttive in tema di centralizzazione degli affidamenti, dall’altro fisa regole puntuali che obbligano le amministrazioni ad avvalersi di centrali di committenza. L’ ANAC fisserà i criteri per individuare le stazioni appaltanti; è cosi ridimensionato l’ ambito entro cui ciascuna amministrazione può svolgere funzioni di stazione appaltante e circoscritto sul piano soggettivo. Il Consiglio di Stato segnala a tal riguardo che se da un lato è positivo ridurre le stazioni appaltanti per specializzarle, dall’ altro è necessario un auspicabile riorganizzazione interna delle amministrazioni stesse affinché le funzioni si stazione appaltante siano concentrate in un unico ufficio/direzione; appare anche necessario un rigoroso sistema di controlli e vigilanza sulle grandi stazioni appaltanti e grandi centrali di committenza, e dall’altro, occorre evitare che un oligopolio sul versante della domanda possa penalizzare, su quello dell’offerta, le PMI.
– Requisiti morali, reputazionali, rating di impresa, premialità e penalità, qualificazione degli operatori economici, soccorso istruttorio, coordinamento con la disciplina antimafia (artt. 80 e ss. Codice)- Il nuovo codice avvia un’evoluzione da un sistema “statico” dei requisiti formali a un sistema “dinamico” di requisiti sostanziali, di tipo reputazionale, e ponendo le premesse per una revisione del sistema di qualificazione incentrato sulle SOA(23). Tuttavia il Consiglio di Stato ritiene che le cause di esclusione per difetto di requisiti morali necessitano verosimilmente di una formulazione più chiara e fruibile da parte delle stazioni appaltanti, nonché di un migliore

Note:
21) L’ affidamento e l’esecuzione dei lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie per le quali si rimanda all’ art. 35 del codice, avvengono nel rispetto dei principi di cui all’ articolo 30, comma 1, nonché nel rispetto del principio di rotazione e in modo di assicurare l’effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese
22) Sul tema , C. Modica de Mohac , in M.Longoni ( a cura di), Il nuovo codice degli appalti cit., n.7, 2016
23) Modello SOA: http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/Servizi/ServiziOnline/SocietaOrganismoAttestSOA; inoltre si segnala : Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 22 aprile 2014 n. 2029 , sulla natura giuridica delle Società Organismi di Attestazione

coordinamento con il codice penale e la legislazione antimafia1. Viene sottolineata la necessità di evitare che la giusta esigenza di requisiti reputazionali possa andare a scapito dell’insopprimibile diritto costituzionale di azione in giudizio (art.24 Cost.), ponendosi e dovendosi piuttosto stigmatizzare gli abusi del processo perpetrati con limiti emulative e condotte processuali dilatorie. Ulteriore attenzione secondo il Consiglio dovrà essere rivolta verso: il sistema di qualificazione degli operatori economici nel senso del rispetto dei tempi ipotizzati per una revisione straordinaria e una successiva riflessione sul mantenimento o modifica del modello SOA2; il sistema del soccorso istruttorio in quanto non adeguatamente disciplinato a livello codicistico; la più volte richiamata all’ interno del codice disciplina antimafia.
-Offerta economicamente più vantaggiosa(26) (art.95)- Il Consiglio di Stato auspica un preciso monitoraggio dell’applicazione del criterio in questione ( art. 83, vecchio codice dei contratti pubblici). Questo criterio di valutazione è nel codice preferito rispetto al controverso metodo del prezzo più basso; le direttive e la legge delega che vogliono renderlo effettivo.
-Qualità della progettazione e separazione tra progettazione ed esecuzione ( artt.23, 24, 95, 180- Viene richiesta puntuale e celere adozione delle discipline attuative di tali principi, in particolare in tema di livelli di progettazione e requisiti dei progettisti. Importante segnalare come la delega vieta l’utilizzo del criterio del prezzo più basso nell’affidamento dei servizi afferenti all’ingegneria e all’architettura e dei servizi di natura tecnica. Si auspica un monitoraggio volto a verificare che negli affidamenti di servizi e concorsi di progettazione, e concorsi di idee, non vi siano interpretazioni esclusive dell’ art.95 e fughe nel criterio del prezzo più basso, che non garantirebbe la qualità progettuale.
-Dibattito pubblico e partecipazione dei portatori di interessi (art.22)- Tale istituto suscita attenzione in quanto strumento innovativo volto ad assicurare la partecipazione democratica; è uno strumento essenziale di coinvolgimento delle collettività locali nelle scelte di localizzazione e

Note:
24) Un’ulteriore novità è costituita dall’istituzione del sistema del raiting di impresa- e delle relative penalità e premialità- che dovrà essere applicato ai soli fini della qualificazione delle imprese: anche tale sistema è istituito presso l’ANAC, che ne dovrà curare la gestione e che ne rilascerà l’apposita certificazione agli operatori economici (art. 83, comma 10). Il sistema è connesso ai requisiti reputazionali i quali dovranno essere individuati dall’ ANAC, la stessa individuerà anche i criteri di valutazione e le modalità di rilascio della certificazione.
26)  Sul criterio in questione si segnala un recente parere dell’ANAC “ i criteri di valutazione delle offerte economicamente piu’ vantaggiose dovrebbero permettere una valutazione comparativa del livello di prestazione che ciascuna offerta presenta rispetto all’oggetto dell’appalto quale definito nelle specifiche tecniche. Il Ministero dovrebbe prevedere modalita’ di effettuazione del test tali da garantire a tutti gli operatori economici lo stesso bacino di informazioni cui attingere per la simulazione e potere quindi valutare comparativamente in modo significativo i risultati del test.” Si veda sul tema Tar Puglia, Bari, sezione 1, n.1053/2014 e Cons.Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n.30/2012.

realizzazione di grandi opere aventi rilevante impatto ambientale, economico e sociale sul territorio coinvolto.
-Appalti della protezione civile (art.163 ) e Appalti nei settori speciali( artt. 112,122,123)-Si chiede particolare riflessione nel recepimento dei criteri di delega relativi agli appalti della protezione civile1 e si impone una osservazione di carattere generale inerente gli appalti nei settori speciali
-Concessioni e partenariati, contraente generale, infrastrutture strategiche (artt.163,168,177,178,180.194,200)- Tali istituti rappresentano gli istituti di maggiore rilevanza economica e su cui si è maggiormente concentrata l’attenzione mediatica degli ultimi mesi. Necessaria è la corretta definizione del rischio trasferito al partner privato, quale elemento che differenzia una concessione da un appalto.

Note:
27) Il Consiglio di Stato fa una particolare riflessione nel recepimento dei criteri di delega relativi agli appalti della protezione civile di cui all’art. 163. La legge delega, lett. l), così si esprime: “previsione di disposizioni concernenti le procedure di acquisizione di servizi, forniture e lavori da applicare in occasione di emergenze di protezione civile, che coniughino la necessaria tempestività d’azione con adeguati meccanismi di controllo e pubblicità successiva, con conseguente espresso divieto di affidamento di contratti attraverso procedure derogatorie rispetto a quelle ordinarie, ad eccezione di singole fattispecie connesse a particolari esigenze collegate alle situazioni emergenziali”. Il criterio di delega ha trovato attuazione all’art. 63, comma 2, lett. c) e all’art. 163 che accomuna le procedure di somma urgenza e quelle in occasione di eventi di protezione civile, quale ipotesi specifica e speciale della somma urgenza. È chiaro l’obiettivo del legislatore delegato che, per effetto del combinato disposto degli articoli 67 e 163, sembra andare nella direzione voluta dal legislatore delegante. Con ciò si vuole intendere che: a) le acquisizioni di servizi, forniture e lavori da applicare in occasione di emergenza devono coniugare tempestività con controlli e pubblicità; b) è vietato l’affidamento di contratti attraverso procedure derogatorie a quelle ordinarie, ad eccezione di singole fattispecie connesse a particolari situazioni emergenziali. La procedura negoziata senza bando prevista dal diritto comunitario per i casi di estrema urgenza e nella misura strettamente necessaria (recepita nell’art. 63 codice), è già di per sé idonea a soddisfare le esigenze degli appalti della protezione civile, sicché non occorre, in quella sede, una specifica previsione di tali appalti; previsione che sarebbe meramente esemplificativa e non potrebbe aggiungere prescrizioni derogatorie dei limiti comunitari (si rinvia alle osservazioni sub. art. 63). Rispetto all’art. 63, gli affidamenti di cui all’art. 163 devono essere considerati ulteriormente eccezionali (secondo una “progressione di eccezionalità”, se così si può dire) e quindi, tale ultima disposizione deve essere interpretata ed applicata in senso assolutamente rigoroso e restrittivo. E, invero, la previsione del legislatore delegante (“ad eccezione di singole fattispecie connesse a particolari esigenze dovute a situazioni emergenziali”) non sembra ancorare l’eccezionalità alla semplice situazione emergenziale, ma piuttosto alle (ulteriori e peculiari) esigenze collegate alle situazioni emergenziali. Con tale approccio, questo Consiglio suggerisce alcune modifiche del testo. Nell’art. 163, inoltre, sono accomunate le ipotesi di affidamenti diretti di (soli) lavori di somma urgenza fino a 200.000 euro e le ipotesi di affidamenti diretti in caso di eventi di protezione civile, non solo per lavori, ma anche per servizi e forniture, anche oltre la soglia dei 200.000 euro, e senza ulteriori limiti di soglia massima. Pertanto, per gli affidamenti diretti, in caso di eventi di protezione civile, si delinea una disciplina diversa e aggiuntiva rispetto a quella di derivazione comunitaria contenuta nel citato art. 63.

-Affidamenti in house (28), procedure di scelta del socio, società pubbliche (artt.1,5,30,192)- Si richiama l’attenzione sul tema degli affidamenti in house; il codice stabilisce a quali condizioni è legittimo un affidamento diretto a soggetto in house, senza ricorso al mercato. Il Consiglio di Stato rileva incoerenze tra l’art. 5 della nuova disciplina e quanto disposto dalle direttive europee. Inerentemente alla costituzione di società miste, ove essa sia consentita dalla citata nuova disciplina delle società pubbliche, andrà esplicitato che trova applicazione il presente codice quanto alle procedure di evidenza pubblica di scelta del socio privato, in ossequio a consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale. Per ciò che attiene gli affidamenti di lavori, servizi e forniture da parte di società miste occorrerà riflettere se non integri il gold plating, l’imposizione del rispetto integrale delle regole del presente codice, senza alcuna eccezione.
-Precontenzioso e contenzioso (artt.204,211) – Gli strumenti precontenziosi degni di nota sono: il parere vincolante dell’ ANAC sull’ accordo delle delle parti e laraccomandazione dell’ ANAC alle stazioni appaltanti a rimuovere atti in autotutela. Se non ben definiti nei presupposti, nel procedimento e negli effetti, potrebbero sortire l’effetto di generare ulteriore con una eterogenesi dei fini che l’intervento legislativo si prefigge. Il compito del codice appare quello di apprestare un corpo normativo di riferimento cui è sottesa l’esigenza della riduzione dei contenziosi e della definizione veloce delle liti; obiettivo affidato in primis alle buone regole e alla buona amministrazione. In materia processuale si recepisce quanto prescritto dal sistema comunitario: apprestare una tutela cautelare ex lege ai concorrenti : il c.d. standstill. Le nuove disposizioni processuali impongono l’immediata impugnazione di ammissioni ed esclusioni, al condivisibile fine di deflazionare il successivo contenzioso sull’aggiudicazione.

8. L’ esame dei singoli articoli all’ interno del Parere

Il parere del Consiglio di Stato ha seguito pedissequamente le maglie del decreto legislativo in esame, spingendosi in un’analisi puntuale, articolo per articolo del nuovo codice(29). Relativamente

Note:
28) Sull’ in house, A. Clarizia, La Corte suona il de profundis per l’in house, in giustamm.it, n. 10 –2005; A. Colavecchio, n. 3 – 2005; Fortuna G., L’in house providing tra diritto interno e dirittodell’Unione europea (nota a margine alla sentenza della Corte costituzionale n. 325/2010),in giustamm.it, pubblicato il 21/12/2010; M. Pani, S. Ballero, I contenuti ed i termini attuativi del D.P.R. 168/2010 e il nuovo regime degli affidamenti in house, in Lexitalia.it, dicembre
2010; A. Nicodemo , Il controllo analogo congiunto nell’in house providing, in Rivistaamministrativa della Repubblica italiana, 2010, fasc. 5-6, pagg. 307-318; G. Marena,Problematicità dell’in house frazionato e vexata quaestio circa i rapporti tra società miste e società in house, alla luce del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (n.d.r. commento a
Consiglio di Stato, sez. V, 9 marzo 2009, n. 1365), in Il corriere giuridico, 2010, fasc. 3, pagg. 399-407; R. Caranta , La Corte di giustizia chiarisce i contorni dell’in house pubblico (n.d.r. commento a Corte di giustizia delle Comunità europee, sez. III, 13 novembre 2008, C- 324/07), in Giurisprudenza italiana, 2009, fasc. 5, pagg. 1251-1258.
29) Sulla nuova normativa si veda D. Del Gaizo, Il nuovo codice dei contratti pubblici all’esame del Consiglio di Stato all’approvazione governativa: profili di produzione normativa e di efficienza amministrativa, in federalismi.it, 8, 2016. Sul tema anche C. Contessa, Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità in giustamm.it n. 4 – 2016 e, C. Contessa, D. Crocco, Il nuovo codice degli appalticommentato, Roma, DEI, 2016, di imminente pubblicazione.

all’ambito di applicazione del nuovo Codice all’ art. 1, il Consiglio ha rilevato alcuni elementi di criticità. Innanzitutto, la previsione del comma 2 lettera d) ricomprende, nell’ambito soggettivo di applicabilità delle norme sugli appalti, le “società con capitale pubblico, anche non maggioritario, che non sono organismi di diritto pubblico che hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, ivi comprese le società di cui agli articoli 113, 113-bis, 115 e 116 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, fatto salvo quanto previsto all’articolo 192”. La presenza di società di tale tipologia, non includibili né tra gli organismi di diritto pubblico né tra i soggetti in house, non è imposta dal diritto europeo, ma ricalca la normativa previgente (art. 32, comma 1, lett. c, dell’abrogando d.lgs. n. 163/2016). Si invita a riflettere circa l’opportunità di elidere tale disposizione, considerando che essa potrebbe comportare problemi di compatibilità con il riordino delle società pubbliche in corso di definizione, in attuazione della legge n. 124 del 2015, nel cui ambito tale tipologia societaria non sembra collocarsi in modo sistematicamente coerente. Si segnala, inoltre, che la norma in esame rinvia a disposizioni contenute nel d.lgs. n. 267 del 2000, che saranno “superate” dal nuovo testo unico sui servizi pubblici locali. Le considerazioni sul comma 7 si inseriscono nel più ampio tema del ruolo dell’ANAC, che verrà affrontato ampiamente nel corso dell’analisi di diversi articoli. Il comma prevede che le direttive generali per disciplinare le procedure di scelta del contraente e l’esecuzione del contratto da svolgersi all’estero siano adottate dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale “d’intesa con l’ANAC”. Si chiede di circostanziare l’ultima locuzione, chiarendo se si tratti di un mero parere oppure di un “accordo” vero e proprio tra ANAC e Ministro. Particolarmente controverso è risultato anche il comma 9 dell’art. 1, che fa salve tutte le speciali disposizioni vigenti in materia di contratti pubblici per “le amministrazioni, gli organismi e gli organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e contabile”. La stranezza di tale limitazione è data dal fatto che essa non è prevista né dal codice previgente né dalle direttive, ma pare aver ricalcato, non fedelmente, la legge delega, che all’art. 1 comma 7 prevede (con previsione che non ha contenuto di principio di delega, ma è immediatamente precettiva) che “gli organi costituzionali stabiliscono nei propri ordinamenti modalità attuative dei principi e criteri direttivi previsti dalla presente legge nell’ambito delle prerogative costituzionalmente riconosciute”. Si propongono alcune considerazioni. Innanzitutto, quello di “organi costituzionali” è un ambito ben più ristretto degli “organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e contabile”. Inoltre, gli organi

Note:
Sul tema anche C. Contessa, Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità in giustamm.it n. 4 – 2016 e, C. Contessa, D. Crocco, Il nuovo codice degli appalticommentato, Roma, DEI, 2016, di imminente pubblicazione.

costituzionali devono comunque adeguarsi ai principi e criteri direttivi della legge delega, secondo il citato comma 7, e non rientrano tra le esclusioni prescritte dalle direttive comunitarie. Pertanto, si suggerisce di sostituire tale comma con una disposizione che riproponga il contenuto dell’art. 1 comma 7 della legge n. 11/2016. Sull’art. 2, che riguarda il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, il Consiglio fa salve le considerazioni già ampiamente esposte nella parte introduttiva e consiglia di non riprodurre la disposizione nel testo definitivo, o in alternativa di riformularla tenendo conto delle criticità rilevate. Tali criticità sono rinvenibili nel fatto che l‘attuale formulazione (“Le Regioni esercitano le funzioni di propria competenza nelle materie di cui al presente codice nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo e delle disposizioni di legge statale”) sembra riconoscere uno spazio generale di intervento alle Regioni che la giurisprudenza costituzionale riconosce soltanto entro determinati limiti. In secondo luogo, la norma pone quale vincolo all’esercizio delle funzioni legislative regionali il rispetto di “disposizioni di legge statale”. La dizione è eccessivamente generica, in quanto non si comprende quali siano le “disposizioni” che possano venire in rilievo. Il riferimento dovrebbe essere alle sole “disposizioni”, relative al settore dei contratti pubblici, che sono adottate dal legislatore statale nell’esercizio di una funzione legislativa in una materia di propria competenza costituzionale, non senza rilevare che, nelle materie di competenza concorrente, il vincolo per le Regioni deriva dai soli “principi” e non da tutte le “disposizioni” della legge statale. Diverse considerazioni coinvolgono anche il titolo II (parte I) della bozza di decreto che riguarda i “Contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione”. L’art. 4 stabilisce che l’affidamento di tutti i contratti esclusi dall’ambito di applicazione oggettiva del codice debbano comunque seguire i medesimi principi di “economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità”. Rispetto all’art. 27 del previgente codice, la previsione in esame presenta maggiore ampiezza, in quanto non impone l’onere di consultare almeno cinque operatori economici prima dell’affidamento. Sarebbe, tuttavia, preferibile ripristinare tale disposizione, in funzione di prevenzione di possibili comportamenti illeciti e anti-competitivi e in coerenza con il criterio di delega di cui alla lettera i), in materia di contratti sotto-soglia. A quest’ultimo riguardo, segnaliamo che il parere tocca a più riprese il tema dei contratti sotto-soglia, mettendo in guardia dall’eccessiva semplificazione delle procedure di affidamento. Essa potrebbe comportare una perdita di concorrenza e partecipazione, atteso anche l’elevato valore complessivo delle commesse sotto-soglia rispetto al totale degli appalti aggiudicati in Italia. All’articolo 36 si indicano quali principi generali siano applicabili in via diretta agli appalti sotto-soglia, affidando alle linee guida dell’ANAC la determinazione delle “modalità di dettaglio”. Si critica la scelta legislativa che determina, di fatto, un moltiplicarsi delle fonti normative, non attenendosi al criterio contenuto nella lett. e) dell’art. 1 della legge delega che impone una “semplificazione e riordino del quadro normativo vigente”. L’art. 36 così formulato configurerebbe un assetto normativo in cui gli appalti sotto-soglia sarebbero disciplinati, non solo da norme di rango primario, quanto dalle linee guida, che potrebbero spingere verso scelte eterogenee, anche limitative della concorrenza. La soluzione suggerita è quella di conferire all’ANAC il potere di adottare linee guida vincolanti, previa, però, fissazione di chiari criteri direttivi che assicurino la coerenza del sistema(30).
Continuando a ripercorrere i rilievi effettuati dal Consiglio sul titolo II della parte I, Contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del codice, giungiamo all’art. 5 del codice in esame, che, enunciando i principi comuni in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito del settore pubblico, contiene parte della disciplina sugli affidamenti in house. Al comma 1, lett. c) si rileva, a proposito delle forme di partecipazione del capitale privato alla società in house, una incoerenza rispetto alle direttive comunitarie di cui l’art. 5 è attuazione (in particolare ci riferiamo all’art. 17 della direttiva 2014/23/UE sulle concessioni, art. 12 della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari e art. 28 della direttiva 2014/25/UE sugli appalti pubblici nei settori speciali) e rispetto all’art. 16, comma 1, dell’approvando decreto legislativo sulle società pubbliche. Infatti, tanto le direttive comunitarie, quanto l’art. 16 dell’approvando d. lgs. sulle società pubbliche pongono un generale divieto di partecipazione di capitali privati alle società in house affidatarie di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Invece, l’art. 5, comma 1, lett. c), si limita a consentire, in via di eccezione, “forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto e che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”. Opportuno sarebbe riproporre il limite posto dalla legge nazionale e comunitaria. L’art. 8 prevede come condizione generale, perché gli enti aggiudicatori nei settori speciali non siano più obbligati a seguire le procedure di evidenza pubblica, che il settore venga aperto alla libera concorrenza. Tale apertura viene accertata a seguito di un procedimento di competenza della Commissione europea. Il Consiglio rileva la dissonanza tra la disposizione in esame e l’art. 35 comma 2 della direttiva n. 25 del 2014. Quest’ultimo infatti, differentemente da quanto previsto dall’art. 8, dispone che, quando la domanda alla Commissione è proposta direttamente dall’ente aggiudicatore, la Commissione non deve effettuare alcuna comunicazione allo Stato membro, ai fini del suo coinvolgimento, se tale domanda è “accompagnata da una posizione motivata e giustifica adottata da un’amministrazione nazionale indipendente”. Si invita a valutare se l’omissione sia voluta o sia frutto di errore nel recepimento. Equivoca risulta, altresì, la disposizione di cui all’art. 13 che prevede che “le

Note:
30)  Sul come veicolare le direttive de qua nell’ordinamento italiano, si rinvia a R. Mangani, Edilizia e Territorio, Il Sole 24 ore, Febbraio 2016.

disposizioni del presente codice relative ai settori speciali non si applicano agli appalti aggiudicati a scopo di rivendita o locazione a terzi”. Così formulata, la previsione suggerisce che agli appalti non si applicherebbero solo le disposizioni speciali presenti nel codice, mentre resterebbero applicabili le altre disposizioni. Al contrario, l’analisi dell’art. 7 della direttiva 24 (secondo cui un appalto che ricade nei settori speciali è escluso tanto dall’applicazione della direttiva 24 che dalla direttiva 25) fa pensare ad un errore di formulazione. L’invito è naturalmente alla correzione. Si propone di inserire un riferimento all’art. 80 del codice sui requisiti di ordine morale (che a sua volta prevede anche il rispetto della normativa antimafia) tanto all’art. 19 che all’art. 20. Infatti, nei casi di contratti di sponsorizzazione (art. 19) e nei casi di opera pubblica o lotto o parte di essa realizzata a cure e spese di un privato (art. 20), il riferimento permetterebbe una verifica dell’affidabilità e dei livelli di moralità del contraente privato. Particolarmente rilevante, nel quadro normativo complessivo, risulta il titolo III della parte I, intitolato “Pianificazione programmazione e progettazione”. Nella relazione in oggetto ci si chiede quanto sia opportuna la previsione ex art. 21 che obbliga tutti gli enti aggiudicatori (e non solo le amministrazioni aggiudicatrici come nella legislazione previgente) a dotarsi degli strumenti programmatori. La conseguenza è che saranno soggetti a tale obbligo anche i soggetti privati che operano in regime di concorrenza. Il Consiglio paventa il rischio che tale obbligo vada a scontrarsi con l’attività di imprese che operano in un mercato competitivo e che hanno esigenze di modificare rapidamente le strategie di investimento, secondo le mutevoli circostanze concrete. Il Consiglio riconosce che il disposto dell’art. 22 sia uno dei punti più qualificanti del nuovo codice e non a caso gli dedica un’accurata analisi. Esso prevede l’obbligo di pubblicazione dei progetti (comma 1), demandando ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti l’individuazione delle tipologie e delle soglie dimensionali di opere per le quali è obbligatorio il dibattito pubblico (comma 2) al quale possono partecipare enti e amministrazioni interessati e altri portatori di interessi, compresi comitati cittadini. Il Consiglio invita a chiarire i punti della disciplina lacunosi e non chiari. Innanzitutto risulta contraria alla ratio della delega la distinzione avanzata tra ipotesi di dibattito pubblico obbligatorio e facoltativo. La distinzione, inoltre, appare ridondante, in quanto è già principio generale del procedimento amministrativo quello secondo cui gli enti pubblici possono sottoporre a dibattito pubblico delle comunità locali (facoltativamente) altre tipologie di opere. Si consiglia ancora, al fine di evitare la polverizzazione del dibattito e l‘apertura di ulteriori possibilità di contenzioso, di regolare con maggiore precisione i tempi e le modalità con cui i portatori di interessi e i comitati cittadini possono esprimere l’interesse a partecipare al dibattito. Circa la mancata riproposizione della preferenza per i progettisti interni (art. 24), si auspica l’adozione di un’attenta valutazione e una rigorosa verifica ex post circa possibili fenomeni di infedeltà da parte dei pubblici funzionari o per i relativi effetti finanziari. Altra rilevante novità è rappresentata dall’obbligo per l’ente gestore di servizi pubblici a rete per i quali possono riscontrarsi interferenze con il progetto, non solo di collaborare alla conferenza, ma anche di collaborare allo sviluppo delle necessarie modifiche progettuali (art. 27, comma 4). L’obbligo è rafforzato dalla previsione di un regime di “responsabilità patrimoniale” nei confronti della stazione appaltante. L’aggettivo è tuttavia ultroneo ed andrebbe sostituito con l’espressione “per i danni subiti”, così da essere chiaramente qualificabile come un’ipotesi di responsabilità civile. Non è, inoltre, chiaro se la responsabilità in questione sia da inadempimento (da obbligo ex lege) o sia riconducibile al paradigma generale dell’art. 2043 c.c con rilevanza della colpa e onere probatorio a carico della stazione appaltante. Considerazioni di ordine strettamente tecnico vengono rivolte al titolo IV: Modalità di affidamento e principi comuni. Nell’analisi dell’art. 29 (principi in materia di trasparenza) si suggerisce di migliorare la (già buona) previsione secondo cui, sul profilo del committente, debba comparire la lista dei soggetti ammessi ed esclusi. Questo permette un essenziale raccordo con il nuovo rito processuale in materia di impugnazione immediata di esclusioni e ammissioni. Tuttavia, ai fini della tutela in giudizio, è essenziale che i concorrenti conoscano non solo la lista di ammessi ed esclusi, ma anche le relative motivazioni. Si suggerisce un’aggiunta all’art. 30: la scelta con gara anche del socio privato di società miste, costituite per la realizzazione o gestione di un’opera pubblica o servizio. Per quanto riguarda le fasi delle procedure di affidamento ex art. 32 (corrisponde, previe alcune modifiche sostanziali, all’art. 11 dell’abrogando d.lgs. n. 163/2006), si evince che viene ampliato l’ambito entro cui è consentita l’esecuzione di urgenza, prima della stipula del contratto. Infatti scompare il divieto espresso di esecuzione d’urgenza durante il periodo di c.d. stand-still(31) (termine dilatorio per la stipula del contratto) e durante il periodo di sospensione ex lege della possibilità di stipulare il contratto a seguito di proposizione di ricorso giurisdizionale contro l’aggiudicazione e nelle more della pronuncia cautelare del giudice. Né tale soppressione è compensata dalla previsione del comma 9, a tenore della quale il contratto non può “comunque” essere stipulato durante il termine di stand-still, trattandosi di un divieto di ambito diverso (divieto di stipulazione) rispetto al divieto di cui al comma 8 (divieto di esecuzione d’urgenza in pendenza del termine per la stipulazione). Si suggerisce di valutare con attenzione tale soppressione che potrebbe comportare l’effetto collaterale di aggirare l’applicazione del diritto comunitario. Altro consiglio è di superare l’istituto dell’aggiudicazione provvisoria (atto infraprocedimentale, forzosamente equiparato a un provvedimento), che in sede di contenzioso ha comportato diverse problematiche interpretative (impugnabilità immediata, risarcibilità del danno da revoca, tutela

Note:
31) Sul punto, S.Napolitano, L’effetto sospensivo della stipula del contratto pubblico (la c.d. clausola di “stand still”) in Gazzetta Amministrativa, numero 1 – 2011. Inoltre a tal riguardo si seganala la pronuncia del T.A.R. Brescia (Lombardia) sez. II 25/06/2013 n. 610

dell’affidamento). Nell’analizzare il titolo II della parte II, Qualificazione delle stazioni appaltanti, si prende atto del meritevole sforzo di centralizzare gli affidamenti, al fine di ridurre il numero delle stazioni appaltanti. La misura si inserisce nella tendenza già in corso di ridurre le stazioni appaltanti, censite in Italia in più di 32mila. Sia la legislazione di urgenza del 2014 (l’art. 9 D.L. n. 66/2014 ha istituito presso l’ANAC l’elenco di soggetti aggregatori, in numero non superiore a 35. L’elenco è stato in prosieguo istituito con delibera ANAC del 23 luglio 2015 e aggiornato con delibera ANAC 10 febbraio 2016, n. 125 e contempla allo stato 33 soggetti aggregatori, ivi comprese le centrali di committenza per ciascuna Regione, o Provincia autonoma) sia le nuove direttive comunitarie spingono verso modelli di centralizzazione. Si riconosce al nuovo codice il merito di aver sfruttato tutte le potenzialità offerte dalle direttive in tema di centralizzazione degli affidamenti, fissando regole puntuali che obbligano le amministrazioni ad avvalersi di centrali di committenza. L’ambito entro cui ciascuna amministrazione può svolgere funzioni di stazione appaltante viene circoscritto sul piano soggettivo, imponendosi alle amministrazioni un onere di conseguire la qualificazione e circoscrivendosi a importi limitati gli appalti che possono essere affidati da amministrazioni non qualificate. All’art. 37, che indica in che limiti le stazioni appaltanti italiane possono ricorrere a centrali di committenza ubicate in altri Paesi UE, si rileva che la disciplina italiana si discosta parzialmente dalla direttiva 24. Infatti, la disciplina codicistica pone certamente un limite oggettivo per il ricorso all’istituto (possibile “solo per le attività di centralizzazione delle committenze svolte nella forma di acquisizione centralizzata di forniture e/o servizi a stazioni appaltanti”, art. 37 comma 13), ma anche un limite soggettivo (il ricorso è possibile solo se vi siano due o più stazioni appaltanti italiane). Al contrario, le direttive comunitarie disciplinano solo un limite oggettivo. Il principio generale, fissato dall’art. 39 par. 2, direttiva 24 è che “uno stato membro non vieta alle sue amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere ad attività di centralizzazione della committenza offerta da centrali di committenza di altro Stato membro”. L’unica deroga prevista dalla direttiva è quella che consente agli Stati membri di scegliere di specificare che le proprie amministrazioni aggiudicatrici possono ricorrere unicamente alle attività di centralizzazione della committenza di cui all’art. 2, par. 1, punto 14, lett. a) o b). Le nuove procedure e i nuovi criteri di affidamento richiedono, secondo il Consiglio di Stato, stazioni appaltanti competenti e specializzate, che raggiungano adeguate dimensioni, con un corpo di dipendenti competente e aggiornato. Innalzare i livelli di efficienza costituisce una sfida non da poco. In questa ottica va letta la critica rivolta al disposto di cui all’art. 41 che demanda semplicisticamente alla CONSIP, alle centrali di committenza ed ai soggetti aggregatori il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla legge delega, ossia “revisione ed efficientamento delle procedure di appalto degli accordi quadro, delle convenzioni e in genere delle procedure utilizzabili dalla società CONSIP Spa, dai soggetti aggregatori e dalle centrali di committenza, finalizzati a migliorare la qualità degli approvvigionamenti e a ridurre i costi e i tempi di espletamento delle gare, promuovendo anche un sistema di reti di committenza volto a determinare un più ampio ricorso alle gare e agli affidamenti di tipo telematico, al fine di garantire l’effettiva partecipazione delle micro, piccole e medie imprese”. In tal modo, non si consente al Parlamento, in sede di parere sul decreto legislativo, di verificare adeguatamente se sia rispettato il principio di delega. Si auspica l’introduzione di un controllo politico sulle attività svolte dai soggetti summenzionati, che garantisca l’effettivo raggiungimento degli obiettivi previsti e che consenta di tutelare le piccole e medie imprese. Occorre infatti evitare che un oligopolio sul versante della domanda possa penalizzare le PMI sul lato dell’offerta. Particolarmente interessante risulta l’art. 42, che estende l’applicabilità delle norme sul conflitto di interessi al personale della stazione appaltante, oltreché ai membri della commissione aggiudicatrice (già individuati dal codice previgente all’art. 84). Si consiglia però di specificare la nozione di conflitto di interessi, per come voluto dalla legge delega e dal n. 16 della dir. 2014/24/CEE. Nel titolo III della parte II del codice, Procedure di affidamento, si rinvengono procedure e criteri di affidamento particolarmente innovativi. L’art. 50 disciplina le “clausole sociali del bando di gara e degli avvisi”. Al comma 1, si prevede che i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti “possano prevedere” le clausole sociali. Al riguardo, per prevenire un possibile contenzioso, si rileva l’opportunità che siano precisati i casi in cui vi sia tale possibilità, oppure, in alternativa, che si preveda la necessaria presenza delle clausole sociali nel bando. Per quanto riguarda le Procedure di scelta per il contraente per i settori ordinari, si segnala come la classificazione avanzata dall’art. 59 sia non chiara in merito alle scelte delle procedure. Infatti, l’articolo indica le tipologie delle procedure utilizzabili per la scelta del contraente e distingue quelle che le stazioni appaltanti possono scegliere discrezionalmente in quanto non postulano la sussistenza di condizioni legittimanti (ossia procedure aperte, quelle ristrette e i partenariati per l’innovazione previa pubblicazione), da quelle che, al contrario, esigono la sussistenza dei loro presupposti (cioè procedura competitiva con negoziazione, il dialogo competitivo e la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara). Occorre armonizzare la disciplina con la direttiva 2014/24, chiarendo i presupposti legittimanti e il carattere facoltativo delle procedure “speciali”. Sull’uso della procedura negoziata senza previa pubblicazione previsto dall’art. 63, il Consiglio suggerisce di specificare il contenuto necessario della motivazione che l’amministrazione aggiudicatrice è obbligata ad addurre. Si rileva inoltre un contrasto tra l’art. 26, comma 6, della direttiva 2014/24 (che vieta agli Stati membri di permettere la procedura in questione in casi diversi da quelli di cui all’art. 32), e il criterio della lett. q), n. 1), della legge delega (il quale ha configurato come eccezionale la procedura negoziata senza precedente pubblicazione di un bando di gara) con le aggiunte introdotte nel comma 2 lett. c), in cui si permette la procedura negoziata senza pubblicazione anche per le situazioni relative alle emergenze di protezione civile e ai casi di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati. Si riconoscono esplicitamente come innovative le disposizioni sul dialogo competitivo (art. 64) e il partenariato per l’innovazione (art. 65). Si osserva, per quanto riguarda il dialogo competitivo, che non risulta recepita la previsione, formulata in termini vincolanti, dell’obbligatorietà dell’aggiudicazione dell’appalto sulla base del criterio del miglior rapporto qualità/prezzo, indicato come l’unico utilizzabile dall’art. 30, par.1, ultimo periodo, della direttiva 2014/24. Ancora, risulta necessario specificare all’art. 67 (Partecipazione precedente di candidati od offerenti) quali siano le “misure adeguate” per garantire che la concorrenza non sia falsata. E’ necessario che tali misure, anche per prevenire l’altrimenti inevitabile contenzioso, siano espressamente determinate dalla normativa primaria, ovvero con un successivo regolamento. L’art. 77 individua le modalità di composizione della commissione di aggiudicazione per le ipotesi in cui gli appalti debbano essere aggiudicati in base al criterio del miglior rapporto qualità/prezzo. Esso recepisce la lett. h) della legge delega, e costituisce uno dei punti innovativi della riforma degli appalti pubblici, sottraendosi la scelta dei commissari di gara alle stazioni appaltanti, in funzione delle esigenze di trasparenza, imparzialità, competenza professionale dei commissari di gara. È uno degli strumenti che l’ordinamento appronta per la prevenzione e la lotta alla corruzione(32) e alla infiltrazione criminale nella gestione delle gare pubbliche. Rispondendo la norma a finalità di trasparenza e prevenzione di illeciti penali, la stessa può essere ricondotta sia all’ordine pubblico che alla tutela della concorrenza e non può dirsi afferente a profili strettamente organizzativi, che come tali, a

Note:
32) Sulla corruzione , F. Martines, La Legge 190/2012 sulla prevenzione e repressione dei comportamenti corruttivi nella Pubblica Amministrazione, in www.federalismi.it, n. 5, 11 marzo 2015, F. Merloni – L. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa: cause, prevenzioni e rimedi, Firenze, Passigli, 2010, pp. 423-479; A. Conz, L. Levita, La legge anticorruzione, Dike Giuridica Editrice, 2012; G.P. Voena Profili processuali della legge
anticorruzione, in Giur. It., 2012; P. Canpanaro, I nuovi protagonisti della lotta alla corruzione nelle pubbliche amministrazioni, in federalismi.it, 2013., C. Marcillò, I nuovi profili penali nei rapporti con la pubblica amministrazione alla luce della legge anticorruzione 6/11/2012 n.190, Padova, 2012. Sul portato della legge si rimanda, sin da subito, D. Pulitanò, Legge anticorruzione, in Cass. pen., 2012, suppl. al vol. 11,7.; G.Piperata, Contrattazione pubblica e lotta alla corruzione. Uno sguardo alle recenti riforme amministrative italiane, in www.federalismi.it; S.Cassese, «Maladministration» e rimedi, in Foro it., 1992, V, 243 ss., in cui si esaminano cause, effetti e rimedi di quel complesso fenomeno di disfunzioni che va dalle resistenze al cambiamento al formalismo, all’indifferenza all’efficienza, all’ostilità verso la tecnologia, all’‘‘overstaᾔng’’, al nepotismo, alla corruzione. Si veda R.Rolli, I principi dell’azione amministrativa, in Azione amministrativa e disciplina di diritto pubblico, R. Rolli – F. Luciani (a cura di), Napoli, 2008; R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in Dir. Proc. Amm., 1987, pag. 529: D. della Porta – A, Vannucci, Corruzione politica e amministrazione pubblica: risorse, meccanismi, attori, Bologna, 1994; S. Scamuzzi (a cura di), Italia illegale, Torino, 1996; B. G. Mattarella, Le regole dell’onestà, Bologna, 2007; F. Merloni, L. Vandelli (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Astrid, Firenze, 2010; F.Palazzo (a cura di), Corruzione pubblica. Repressione penale e prevenzione amministrativa. Atti del Seminario (Firenze, 6 maggio 2011), Firenze University Press, 2012; R. Rolli, G. Arabia, Come le termiti: corruzione e rimedi, in giustamm.it, N. 4 – 2015.

legislazione costituzionale oggi vigente, rientrerebbero nella competenza legislativa regionale. Sono salutate con favore anche le norme che riguardano i requisiti morali e di capacità tecnica ed economica, materia su cui in passato si è formata una importante percentuale del contenzioso sugli appalti pubblici. Si ritiene che il nuovo codice segni un cambio di passo, evolvendo da un sistema “statico” di requisiti formali, verso un sistema “dinamico” di requisiti sostanziali di tipo reputazionale. Tuttavia, si auspica una formulazione più chiara e fruibile dei motivi di esclusione dei partecipanti alle gare pubbliche per requisiti morali (art. 80). In relazione al comma 1 dell’art. 80, si osserva che esso si limita ad elencare alcuni titoli specifici di reato, a differenza del codice previgente che individuava le condanne penali rilevanti con una clausola generale (tutti i reati incidenti sulla moralità professionale). E’ opportuno integrare l’elenco con una clausola di chiusura che sancisca l’esclusione dalla gara in caso di condanne per reati gravi, comunque idonei ad incidere sulla moralità professionale del concorrente. In subordine, dovrebbe quanto meno essere prevista l’esclusione nel caso di ogni altra condanna penale da cui derivi quale pena accessoria l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Si rileva, per di più, che le cause di esclusione per difetto di requisiti morali necessitino di un migliore coordinamento con il codice penale e la legislazione antimafia. La disciplina antimafia, infatti, è richiamata in più articoli del codice (art. 47, commi 17 e 18; art. 80, comma 2, art. 89, comma 5; art. 108, comma 2, lett. b); art. 110; art. 194, commi 8 e 10), ma manca una clausola generale di salvezza di quanto disposto nella vigente normativa antimafia, contenuta, invece, nell’abrogando codice appalti del 2006 (art. 247). Una siffatta clausola potrebbe essere utile nelle more di una più approfondito coordinamento del nuovo codice con il d.lgs. n. 159/2011 (c.d. “codice antimafia”) a sua volta oggetto di continui aggiornamenti normativi. Si deve comunque tenere presente, come già sottolineato in precedenza che la giusta pretesa di requisiti reputazionali non potrà andare a scapito dell’insopprimibile diritto costituzionale di azione in giudizio ex art. 24 Cost. Si avanzano dubbi circa quanto disposto dal comma 2 dell’art. 83, che affida all’ANAC la disciplina di rilevanti aspetti sostanziali in tema di selezione dei candidati, caratteri del sistema di qualificazione, casi e modalità di avvalimento e requisiti e capacità che devono essere posseduti dal concorrente, integrando una parte rilevante della materia disciplinata e il dettato delle disposizioni di rango primario e che andrebbe più propriamente affidata alla sede incidendo altresì su specifici status soggettivi. Alla luce di quanto osservato nella parte generale, si demanda al Governo di valutare se riconfermare il riparto di attribuzioni del presente articolo, ovvero modificarlo, affidando una parte di tale materia ai decreti ministeriali adottati su proposta dell’ANAC. Dubbi analoghi sono avanzati nell’analisi dell’art 84, il quale, nell’ambito del sistema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, demanda la definizione di tipologie e importo dei lavori alle linee guida dell’ANAC. Anche qui si chiede al governo di valutare se riconfermare il riparto di attribuzioni oppure modificarlo. Si fa notare la non precisa corrispondenza tra le disposizioni di cui all’art. 85 e le direttive comunitarie. L’art. 85 (che recepisce l’art. 59 della direttiva 2014/24/UE) si occupa dei contenuti del documento di gara unico europeo, il quale costituisce una prova documentale preliminare in ordine al possesso dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara. Non risulta recepito l’art. 59, paragrafo 4, secondo comma, ultimo periodo, dir. 2014/24/UE, secondo cui “l’amministrazione aggiudicatrice può invitare gli operatori economici a integrare o chiarire i certificati ricevuti ai sensi degli articoli 60 e 62”. Tale disposizione dovrebbe essere recepita, in quanto essa rappresenta un utile corollario del principio del soccorso istruttorio in corso di gara e della leale collaborazione fra amministrazione e concorrenti. Peraltro, sembra necessario un più preciso coordinamento tra il presente articolo e il sistema dei controlli, in maggiore aderenza con i puntuali criteri di semplificazione previsti dalla legge delega, alle lett. z) ed a). Interessanti sono le considerazioni avanzate sulla disciplina dell’avvalimento (art. 89, che recepisce l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE nonché il criterio z) della legge di delega). L’avvalimento consiste nella possibilità per un concorrente di soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di ordine oggettivo, facendo affidamento sulle capacità di altri soggetti. Sotto il profilo lessicale, si suggerisce di non modificare l’espressione tradizionalmente utilizzata dal legislatore nazionale, incentrato sul vocabolo “avvalersi”, in quanto le parole “fare affidamento” (benché utilizzate nelle direttive in recepimento, per effetto di una opinabile traduzione delle formule “to rely” e “fair recours”) assumerebbero, nel linguaggio giuridico del nostro ordinamento, un significato ambiguo, ricollegabile all’idea della aspettativa e non a quella dell’obbligo giuridico. Al comma 1 dovrebbe essere chiarito se il possesso da parte dell’ausiliaria dei requisiti di ordine generale di cui all’art. 80 debba essere dichiarato dal concorrente ausiliato (come sembrerebbe di comprendere dal comma 1, ultimo periodo) ovvero dall’impresa ausiliaria/avvalsa (come già previsto dal d.lgs. 163 del 2006, art. 49, comma 2, lett. c)), con quel che ne consegue in ordine alla escludibilità o meno dalla gara del concorrente ausiliato, in caso di erronea o non veritiera dichiarazione da parte di questi sui requisiti dell’ausiliario. Il Governo inoltre valuterà se sia opportuno introdurre anche l’obbligo di imporre all’ausiliaria stessa la prestazione di apposita garanzia, al pari del concorrente ausiliato; valuterà se sia opportuno introdurre un divieto per i Consorzi di operare come imprese ausiliarie, in considerazione del sistema di qualificazione particolarmente favorevole che ad essi è stato sinora destinato e del rischio che i Consorzi stessi possano operare come ‘prestatori seriali’ dei requisiti di qualificazione, con potenziali effetti distorsivi della concorrenza. Per quanto riguarda il disposto dell’art. 90, che indica le modalità con cui le stazioni appaltanti possono procedere alle acquisizioni di proprio interesse, utilizzando elenchi ufficiali di operatori economici riconosciuti o il contenuto di particolari certificazioni, si conducono tali considerazioni:
– il comma 4 sembra redatto sul presupposto che l’iscrizione di un operatore economico in un elenco ufficiale debba essere certificata dall’ANAC. Tuttavia, la disposizione non chiarisce i presupposti, le condizioni e le modalità di tale certificazione;
– Per quanto riguarda l’iscrizione di operatori economici di altri Stati membri negli elenchi ufficiali tenuti da amministrazioni nazionali, risulta necessario un migliore coordinamento fra il comma 7, secondo periodo (che sembra ammettere/imporre tale iscrizione anche per gli operatori stabiliti in altri Stati membri) e il comma 8 che sembra escludere un obbligo in tal senso.

L’art. 93 individua le garanzie che il concorrente deve prestare in relazione al rischio della mancata stipula del contratto e in seguito, della sua non corretta esecuzione. Il Consiglio ritiene che la pura e semplice riproposizione del modello “rigido” del codice previgente, il quale fissava nella misura del 2% l’ammontare della cauzione provvisoria, non risulti coerente con gli obiettivi sottesi alla delega. In particolare, si richiede che, l’importo della garanzia, sia adeguato e proporzionato alla natura delle prestazioni oggetto del contratto e al grado di rischio ad esso connesso; a tal fine, a parere del Consiglio, sarebbe opportuno concedere alla stazione appaltante la possibilità di ridurre l’importo della cauzione sino all’ 1% o incrementarlo sino al 4%, motivando tale scelta, e in tal senso sostituire il c. 1 dell’art. 93. Con riguardo all’art. 94 comma 2 si specifica che la stazione appaltante debba stabilire preventivamente, nei documenti di gara, i requisiti ambientali che l’offerente deve rispettare ai fini dell’aggiudicazione. L’art. 95 fissa i criteri di aggiudicazione dell’appalto, la disposizione ha un rilievo centrale nella individuazione delle nuove regole applicabili in materia, per cui si richiede maggiore chiarezza nella formulazione degli enunciati normativi. In attuazione delle direttive europee, nella fase di valutazione delle offerte, si attribuisce preferenza al criterio “dell’offerta economicamente più vantaggiosa”(33), formulazione intesa in

Note:
33) Specificatemente, F.Cardarelli, Aggiudicazione, cit., in Libro dell’Anno 2015, Treccani ; <<per offerta economicamente più vantaggiosa si deve oggi intendere alla luce di quanto disciplinato delle direttive europee : a) un criterio che si basa sul prezzo (che è il vecchio criterio del prezzo più basso: gli stati membri possono prevedere di limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto: in ogni caso esso non può essere utilizzato come unico criterio di aggiudicazione);b) un criterio che si basa solo sul costo, seguendo un approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita conformemente all’art. 68 (che è un criterio del tutto nuovo);c) un criterio che si basa su un prezzo o un costo fisso sulla base del quale gli operatori economici competeranno solo in base a criteri qualitativi (anche esso è criterio del tutto nuovo);d) un criterio che può includere il miglior rapporto qualità/prezzo (che è la “vecchia” offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi delle direttive del 2004) valutato sulla base di parametri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto. Tra i parametri possono rientrare la qualità (pregio tecnico, caratteristiche estetiche e funzionali, accessibilità, progettazione, caratteristiche sociali, ambientali e innovative, commercializzazione); l’organizzazione, le qualifiche e l’esperienza del personale incaricato dell’esecuzione, quando detti parametri possano avere un’influenza significativa sul livello dell’esecuzione dell’appalto; o servizi post-vendita e assistenza tecnica, condizioni di consegna e termine di esecuzione >>

senso più ampio rispetto alla precedente, ricomprendendo non solo i criteri basati sul rapporto qualità/prezzo ma anche quelli basati sul prezzo più basso. Il legislatore sancisce l’eccezionalità del criterio del minor prezzo rispetto alla regola generale secondo cui “gli appalti sono aggiudicati esclusivamente sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo”. In quest’ottica andrebbe riformulato il comma 4, inserendo l’obbligo della motivazione specifica nei soli casi in cui la stazione appaltante, in presenza dei necessari presupposti, opti per il criterio del minor prezzo. La direttiva impone una regolazione espressa dei criteri, delle caratteristiche tecniche e prestazionali e delle soglie di importo entro le quali le stazioni appaltanti ricorrono al solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso. La disciplina è volta a garantire maggiore qualità progettuale. In quest’ottica, la delega vieta l’utilizzo del criterio del prezzo più basso nell’affidamento di servizi afferenti all’ingegneria, all’architettura e ai servizi di natura tecnica. Con tale previsione appare in linea l’art. 95 comma 3 secondo cui, i contratti relativi ai servizi di ingegneria e architettura, di importo superiore a 40.000 euro, devono essere aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell’OEPV individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo. L’art 97 (in sostituzione degli artt. 86, 87 e 88 del previgente codice nonché dell’art. 121 del regolamento di esecuzione) prevede l’esclusione non automatica delle offerte anormalmente basse. In attuazione del criterio direttivo di cui all’art. 1 comma1 lett. f) L. n.11/2016, l’individuazione delle offerte anormalmente basse deve essere effettuata in modo da non rendere predeterminabili i parametri di riferimento per il calcolo dell’offerta anomala. A tal fine, si prevede che la stazione appaltante, in sede di gara, proceda al sorteggio del metodo di determinazione dell’anomalia tra diverse ipotesi elencate dalla disposizione, tra le quali ad esempio: l’economia del processo di fabbricazione dei prodotti, dei servizi prestati o del metodo di costruzione; le soluzioni tecniche prescelte o le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l’offerente per fornire i prodotti, per prestare i servizi o per eseguire i lavori; l’originalità dei lavori, delle forniture o dei servizi proposti dall’offerente; il rispetto degli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro. Tuttavia, qualora l’offerta sia valutata tramite il criterio dell’OEPV, la legge delega prevede una sola metodologia di valutazione dell’offerta per cui il Governo dovrà valutare se ciò sia in linea con il criterio di cui all’art. 1 comma 1 lettera f).

9. Esecuzione

Le nuove direttive, innovando il precedente sistema, contengono, per la prima volta, disposizioni di disciplina della fase di esecuzione del contratto(34), al fine di assicurare il rispetto del principio della

Note:
34) Sulle disposizioni delle direttive inerenti l’esecuzione del contratto, si consenta un nuovo rinvio a F.Cardarelli , Esecuzione, cit., Libro dell’anno 2015, Treccani

concorrenza anche in questa fase(35). Attraverso la disciplina della rinegoziazione delle condizioni contrattuali di cui all’art. 106, il legislatore, ha posto dei chiari limiti all’autonomia del legislatore statale e delle parti del contratto, al fine di evitare che un’eccessiva libertà nella modificazione degli accordi contrattuali “a valle” possa finire per eludere il rispetto delle regole di garanzia “a monte” che presiedono allo svolgimento della procedura amministrativa di scelta del contraente. In base al diritto europeo, il rinnovo del contratto è consentito solo se rimane immodificato il suo contenuto (e ciò perché sin ab origine, cioè sin dalla indizione della gara originaria, gli operatori economici devono essere in grado di valutare la convenienza della partecipazione e delle previsioni contrattuali).
In altri termini, se vi è la modifica del contenuto del contratto vi è un nuovo contratto e ciò comporta la necessità di una specifica gara. Si introduce così il concetto di modifica sostanziale. In materia di sub-appalto l’art. 105 innova la disciplina di cui all’art. 118 del previgente codice, sotto due aspetti:

-Non si pongono dei limiti alla possibilità di subappalto, salvo che per le opere super-specialistiche, per le quali la quota parte subappaltabile non può essere superiore al 30 %;

-Si impone di indicare, sin dalla fase di gara, una terna di nominativi di futuri subappaltatori, qualora gli appalti siano di importo superiore alle soglie di cui all’art. 35 e per i quali non sia necessaria una particolare specializzazione.

Occorre osservare come il limite di quota imposto per le opere super-specialistiche non rispecchi appieno il principio del gold plating. Occorre poi soffermarsi sull’ art. 108 che in tema di risoluzione, da un lato, sostituisce gli artt. 135,136 e 138 del previgente codice appalti, trascrivendone l’intero contenuto con limitate modificazioni e individuando le ipotesi, al ricorrere delle quali, la stazione appaltante può disporre la risoluzione di un contratto in corso di efficacia; dall’altro lato, recepisce le ipotesi di risoluzione previste dalle direttive comunitarie (artt. 44 della direttiva n. 23 del 2014, 73 della direttiva n. 24 del 2014 e 90 della direttiva n. 25 del 2014). Tale tecnica di accorpamento non comporta una semplificazione normativa ma una maggiore difficoltà di lettura della disciplina. Inoltre, il comma 2 lett. b) dà luogo a rilievi, pur ricalcando senza modifiche e adattamenti l’art. 135 d.lgs. n. 163/2006. Si osserva, infatti, che nel previgente codice appalti, la formulazione era coerente con l’art. 38 del codice che indicava i reati causa di esclusione

Note:
35) Sull’ esecuzione del contratto in generale, si segnala : Sciumè, Direzione dell’esecuzione del contratto, in AA.VV., Codice dei contratti pubblici, Milano 2007, 1161 ss.; AA.VV. Commento al codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Torino 2007; Greco , Massari, Il nuovo codice dei contratti pubblici, Rimini 2007; AA.VV., Codice dei contratti pubblici, Milano, 2007, 1161 ss; Saitta (a cura di); Il nuovo codice dei contratti pubblici di lavori servizi e forniture, Padova, 2008; Bottiglieri, La direzione dell’esecuzione del contratto, in Trattato sui contratti pubblici, V, I settori speciali. L’ esecuzione, diretto da Sandulli, De Nictolis, Garofali, Milano, 2008

dalla gara in modo generico, facendo riferimento a tutti i reati incidenti sulla moralità professionale. Sicché, l’art. 38 disegnava un cerchio concentrico più grande, dentro cui l’art. 135 individuava un nocciolo duro di reati più gravi, che determinavano la risoluzione del contratto qualora sopravvenuti in corso di rapporto. Ora, l’art. 80 elenca i titoli di reato che ostano alla partecipazione alle gare (e non più un genus complessivo avuto riguardo all’incidenza sulla moralità professionale), l’effetto che si determina è che non vi è più alcuna coincidenza, né inclusione, tra art. 80 e art. 108. Dunque non vi è coincidenza tra le condanne menzionate nel comma 1 dell’art. 80 che determinano l’esclusione dalla gara, e le condanne penali sopravvenute in corso di esecuzione dell’appalto che determinano risoluzione obbligatoria ai sensi dell’art. 108, comma 2, lett. b

10. Regimi di appalto
Il titolo VI si occupa dei contratti speciali. La legge delega pone per i settori speciali i principi della “puntuale indicazione… delle disposizioni ad essi applicabili”, “anche al fine di favorire la trasparenza nel settore e la piena apertura e contendibilità dei relativi mercati”; in particolare l’art 114 elenca le disposizioni dettate per i settori ordinari, applicabili nei settori speciali, tuttavia tale individuazione avviene tramite una serie di rinvii per altro tra loro non sempre coordinati. Tale tecnica comporta l’effetto pratico che in molti casi si rendono applicabili ai settori speciali le più severe disposizioni previste dal diritto comunitario per i settori ordinari (ad. es. in tema di presupposti per dialogo competitivo e partenariato per l’innovazione), ovvero disposizioni di maggior rigore dettate dal legislatore nazionale per i settori ordinari e finora non applicabili nei settori speciali (nell’impianto del d.lgs. n. 163/2006). Si segnala, altresì, la mancata individuazione delle disposizioni applicabili ai settori speciali nella fase dell’esecuzione; tuttavia, occorre tenere presente che un ipotetico rinvio a tutto campo potrebbe indurre qualche perplessità. La direttiva 25/2014, quanto all’esecuzione dei relativi contratti, disciplina espressamente solo le condizioni di esecuzione dell’appalto (art. 87), il subappalto (art. 88), la modifica dei contratti durante il periodo di validità (art. 89) e risoluzione dei contratti (art. 90). Potrebbe, pertanto, sostenersi che la maggiore e sovrabbondante disciplina applicabile col richiamo a quella dei settori ordinari, integri gli estremi di gold plating, salve le deroghe giustificate da quei principi di trasparenza e apertura del mercato che la delega impone anche nei settori speciali. Per espressa previsione legislativa, non si applicano le disposizioni relative ai settori ordinari, agli appalti pubblici e ai concorsi di progettazione nei settori speciali che sono aggiudicati o organizzati dalle amministrazioni aggiudicatrici che si occupano delle seguenti attività: gas ed energia (art. 115), elettricità (art. 116), acqua (art. 117), servizi di trasporto (art. 118), porti e aeroporti (art. 119), servizi postali (art.120), estrazione di gas e prospezione di carbone ed altri combustibili (art. 121). In tale settori, la direttiva 25 (artt. 44 48 e 49) non sembra porre limiti all’utilizzo degli istituti del dialogo competitivo e del partenariato (a differenza di quanto avviene per gli appalti ordinari). In particolare i commi 2, 3 e 4 dell’art. 123 fissano i presupposti del dialogo competitivo riproducendo in sostanza il contenuto dell’art. 59. Tale disciplina, a parere del Consiglio, non risulta in linea con la direttiva 25/2014 che non pone per i settori speciali le stesse limitazioni previste per il settore ordinario. Inoltre, non sembra esserci nella legge una norma di delega che preveda l’estensione delle limitazioni (previste per il settore ordinario) agli appalti dei settori speciali. Risulta, quindi, evidente la presenza di un gold plating, fermo restando che se è intenzione del Governo confermare tale scelta, dovrà evidenziarlo nell’AIR.

11. Contratti di concessione
Le Parti III, IV e V contengono gli istituti di maggiore rilevanza economica e su cui si è maggiormente concentrata l’attenzione mediatica degli ultimi mesi (concessioni, partenariato, contraente generale, finanza di progetto, infrastrutture strategiche). Nell’ambito del sistema introdotto dalle tre direttive sui contratti pubblici, quella sulle concessioni1 (2014/23) costituisce di certo la novità più rilevante. La direttiva si muove col dichiarato intento di creare un quadro giuridico idoneo a facilitare la più ampia diffusione dell’istituto. I contratti di concessione rappresentano importanti strumenti, nello sviluppo strutturale a lungo termine, di infrastrutture e servizi strategici, in quanto concorrono al miglioramento dei livelli di concorrenza nel mercato interno, consentendo di beneficiare delle competenze del settore privato e contribuendo a conseguire innovazione ed efficienza, anche nell’uso dei fondi pubblici. È stata introdotta una disciplina organica sia delle concessioni di lavori che di quelle dei servizi, con l’obiettivo di estendere l’ambito di applicazione dell’istituto, finora limitato a poche discipline di settore (d.lgs. n. 163/2006 dove, all’art. 30). E’ importante notare come la disciplina delle concessioni si innesti in un contesto giuridico europeo di libertà di scelta delle modalità di gestione per l’esecuzione di lavori e la fornitura di servizi, al fine di garantire un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici. La direttiva pone, anzitutto, attenzione all’aspetto definitorio delle concessioni; si tratta di un contratto che segue gli schemi degli appalti di lavori e di servizi, con la caratteristica, però, che il corrispettivo consiste unicamente nel diritto di gestire i lavori (o i servizi), con l’ulteriore precisazione che l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo (art. 5, punto 1, commi 1 e 2, direttiva 23). La caratteristica

Note:
36)
Sul punto, M.G. Greco, Chiarimenti sull’istituto giuridico di concessione nella Direttiva 2014/23/UE. Il rischio “operativo” nel rapporto concessorio, in lineevcp.it, Giugno 2014

precipua delle concessioni è data proprio dall’assunzione di un rischio, che va ben al di là, ed è qualitativamente differente, da quello sopportato da un normale appaltatore; dunque, in mancanza del trasferimento del rischio “operativo”, come ricorda la Corte di giustizia UE, il contratto deve essere definito di appalto, almeno per quel che concerne la fase di aggiudicazione. Sotto il profilo quantitativo, deve trattarsi di un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o di entrambi, derivante da fattori al di fuori del controllo delle parti (si pensi all’andamento dei costi che dipendono puramente dalle oscillazioni del mercato). L’ambito naturale di questo istituto è costituito dalle c.d. opere calde, ovvero da quelle opere dotate di intrinseca capacità di generare reddito attraverso ricavi di utenza (modello autostrade o gas); tuttavia, non vi sono elementi per affermare che in base alla direttiva, il modello della concessione non sia applicabile anche alle opere fredde, nelle quali è il privato che realizza, gestisce e fornisce direttamente servizi all’amministrazione, traendo la propria remunerazione da pagamenti effettuati dalla stessa: per es. nei casi di carceri o ospedali. Dal punto di vista quantitativo, quindi dell’entità del rischio operativo, la direttiva 23 lascia margini ai legislatori nazionali e pone dei limiti, essenzialmente in termini negativi, ammettendo che una parte del rischio possa rimanere a carico dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore, risultando esclusi espressamente solo i casi in cui il rischio sia eliminato del tutto. In definitiva la “componente rischio” deve essere effettivamente sussistente, ancorché proporzionalmente ridotta, come emerge dal recepimento nazionale recato dall’art. 165, comma 2, secondo cui “l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al cinquanta per cento del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari”. L’art. 164, in linea con i principi della direttiva sanciti nell’art. 1, nell’individuare oggetto ed ambito di applicazione della parte riferita alle concessioni, dispone che alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi, si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni, contenute nella parte I e nella parte II del codice, relativamente ai principi generali, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte e, infine, alle modalità di esecuzione. E’ utile chiarire che le amministrazioni aggiudicatrici soggiacciono alla direttiva quando aggiudicano concessioni in qualunque settore, mentre gli enti aggiudicatori solo se operanti nei settori speciali, ove le concessioni si riferiscano ad una delle attività dei settori speciali stessi. Quanto alla “libertà” di istituire servizi di interesse economico generale, vale la pena di considerare che non si tratta di una libertà assoluta, atteso che l’istituzione di detti servizi comporta, comunque, una riduzione dell’ambito del mercato, in virtù anche dei diritti esclusivi e speciali, che essa di solito comporta. Permane, pertanto, il controllo della Commissione sull’istituzione del servizio e, in sede nazionale, la necessità di osservare il principio di sussidiarietà orizzontale. Pur se non compete al codice sciogliere l’opzione tra il mercato e il non mercato, trovano applicazione le regole, finalmente organiche, della concessione di servizi pubblici. Resta sullo sfondo la libertà per lo Stato membro, sancita dall’art. 4, comma 1, della direttiva, di definire, seppur in conformità con il diritto europeo, quali possano ritenersi i “servizi di interesse economico generale”. Nell’art. 168, dandosi seguito all’art. 18 della direttiva, viene introdotto il principio secondo cui la durata delle concessioni è limitata, dovendo essere stimata dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore in funzione dei lavori o servizi richiesti al concessionario. La durata deve essere fissata nel bando e costituisce elemento precostituito. Il legislatore dovrà, poi, chiarire se ritiene applicabili alle concessioni i criteri di aggiudicazione previsti per i settori ordinari all’art. 95. L’art. 175 affronta la delicata tematica delle varianti, in attuazione dell’art. 43 della direttiva 23. Nella lettera a) del comma 1, si prevede in termini generali il divieto di prevedere la proroga delle concessioni. Si tratta di divieto di portata generale, non previsto, peraltro, dall’art. 43 della direttiva 23, ed espressamente introdotto dalla legge delega con specifico riguardo alle sole concessioni autostradali (lett. l), anche se, invero, facendo riferimento, in quest’ultimo caso, “alla nuova disciplina generale dei contratti di concessione”. Sempre al comma 2, si afferma che, in caso di modifiche consentite alla concessione in corso di rapporto, “l’eventuale aumento di valore, anche in presenza di modifiche successive, non può eccedere complessivamente il 50 per cento del valore della concessione iniziale”. La previsione appare difforme e probabilmente più severa di quella introdotta dall’articolo 43, par. 1 della direttiva 23, secondo cui, in caso di più modifiche successive, ciascuna non può singolarmente eccedere il 50% del valore iniziale. La previsione è, altresì, più severa di quella prevista all’articolo 106 comma 1 lettera c) dove si prevede che “l’eventuale aumento di prezzo non è superiore al 50% del valore iniziale. In caso di modifiche successive tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica” (l’articolo 106 mutua fedelmente l’art. 72 della direttiva 24). Si osserva, al riguardo, che la legge delega vieta di introdurre una regolazione più severa di quella dettata dalle direttive e impone di recepire gli strumenti di flessibilità previsti dalle tre direttive (lettera f). Si rimette, pertanto, la questione, anche in questo caso, alle opportune valutazioni del Governo, che, dovrà inserire specifica motivazione nell’AIR. L’art. 176 recepisce l’art. 44 della direttiva 23. Nel testo dell’art. 44 della direttiva si parla di “porre termine alla concessione in vigenza della stessa”, per presupposti che sono legati a vizi originari o sopravvenuti dell’atto concessorio. Si tratta di fattispecie che nell’ordinamento nazionale giustificano l’autotutela c.d. pubblicistica nella forma dell’annullamento d’ufficio (in tal senso, come si vedrà, va integrata la rubrica). Nell’ordinamento nazionale, peraltro, l’annullamento d’ufficio opera ex tunc. Nel caso specifico, considerato che l’annullamento d’ufficio può intervenire a distanza di molti anni, per stabilire il termine, occorre stabilire se l’annullamento operi ex nunc o ex tunc, e come si regolano i rapporti tra le parti. Solo per il caso di annullamento per vizio non imputabile al concessionario, il presente articolo equipara l’annullamento d’ufficio a risoluzione per inadempimento della stazione appaltante e regola quanto dovuto al concessionario. Resta la questione delle restituzioni e spettanze a seguito dell’annullamento d’ufficio quando il vizio sia imputabile al concessionario. Non è chiarito se il concessionario debba restituire alla P.A le opere realizzate senza nulla percepire, o se debba applicarsi, quanto meno, il rimborso delle spese sostenute, nei limiti dell’arricchimento dell’amministrazione. Il tema merita riflessione, al fine di evitare contenzioso tra le parti del rapporto concessorio. Nell’art. 176 non risulta recepita una terza ipotesi di “risoluzione” prevista dall’art. 44 della direttiva, per il caso in cui la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione ai sensi dell’art. 43 della direttiva stessa (art. 175, comma 9). Occorre, invero distinguere due ipotesi:
– quella in cui, verificandosi una modifica sostanziale, ai sensi dell’art. 175, comma 9, la stazione appaltante dichiari risolta la concessione;
– quella in cui, verificandosi una modifica sostanziale, la stazione appaltante, in violazione dell’art. 175, comma 9, non procede alla risoluzione della concessione. In tale caso occorre un intervento di autotutela pubblicistica, perché vi è stata la violazione delle regole sulla necessità di affidare una nuova concessione. Tale ipotesi va, pertanto, specificamente prevista nell’articolo in commento. L’art. 177 costituisce coerente, ma parziale, recepimento della lettera i) della legge delega. Tale punto della delega, infatti, impone di esternalizzare, mediante procedure di evidenza pubblica, l’80% dei lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni, non solo per le concessioni già in essere, ma anche per le nuove concessioni, in entrambi i casi escludendo da tale obbligo le concessioni affidate con la finanza di progetto o con gara ad evidenza pubblica. Occorre segnalare che il presente articolo si limita, in ogni caso, a imporre tale obbligo solo per le concessioni già in essere, e non anche per le nuove concessioni. Vero è che, almeno in linea teorica, tutte le nuove concessioni, affidate dopo l’entrata in vigore del codice, dovrebbero essere affidate con la formula della finanza di progetto ovvero con procedura di gara ad evidenza pubblica; quindi, il problema, a regime, potrebbe non porsi. Articolo 178 (Norme in materia di concessioni autostradali e particolare regime transitorio). L’articolo 178 attua i punti delle lettere l) e m) della delega, la quale dispone di introdurre sia un regime transitorio per l’affidamento delle concessioni autostradali scadute o vicine alla scadenza, sia un regime ordinario di avvio alle procedure ad evidenza pubblica per le nuove concessioni autostradali. La lettera m) risulta sufficientemente attuata; non si può dire lo stesso della lettera l). In quest’ultima, si prevede, da un lato, una disciplina che disponga l’avvio delle procedure di affidamento non meno di 24 mesi prima della scadenza delle concessioni e dall’altro un divieto di clausole e disposizioni di proroga nelle nuove concessioni autostradali. Tali profili non risultano chiari; lo sarebbero, se si rinvenisse nel 178 una previsione espressa del punto di delega l). In relazione al comma 1 (procedure ad evidenza pubblica tout court) e al comma 3 (procedure a evidenza pubblica ai sensi “del presente codice”) si osserva che la lettera m) della delega prevede, per il regime transitorio, in alternativa alle procedure di evidenza pubblica, l’affidamento in house, nel rispetto dell’art. 17 direttiva 2004/23 (trasfuso nell’art. 5 del codice). Pertanto, ai commi 1 e 3 dell’articolo 178 occorre far salva l’applicazione dell’articolo 5 del codice. Importante risulta il comma 7 del presente articolo, in cui si fa riferimento alla possibilità dell’amministrazione di chiedere un parere preventivo all’ ANAC; si tratta di un parere facoltativo in merito alle convenzioni da sottoscrivere. Articolo 179 (Disciplina comune applicabile). L’articolo 179 apre la parte del codice dedicata al partenariato pubblico e privato e al contraente generale. Il comma 1 stabilisce che, alle procedure di cui al presente capo, si applicano le disposizioni di cui alle parti I, IV, V e VI, in quanto compatibili. Il comma 2 prevede che si applicano, per questioni di compatibilità con le previsioni del presente capo, le disposizioni della parte II, titolo I, a seconda che l’importo dei lavori sia pari, superiore o inferiore alla soglia di cui all’art. 35. Entrambi i commi presentano le seguenti incoerenze che si suggerisce di correggere:
1-Al comma 1 non viene richiamata la parte III, la quale reca la disciplina in materia dei contratti di concessione (modello per antonomasia del partenariato pubblico privato);
2-Per un evidente refuso, viene precisato che le disposizioni contenute nella parte IV sono applicabili alle diverse tipologie di partenariato e al contraente generale, che sono disciplinati dalla stessa parte IV;
3-Nel comma 2, il richiamo alla parte II, titolo I, esclude i titoli II, III e IV che contengono importanti disposizioni applicabili al partenariato e al contraente generale;
4-Non si fa richiamo alla qualificazione delle stazioni appaltanti, di cui all’art. 38, che appare invece necessario.
Gli articoli 180, 181 e 182 recano la disciplina del partenariato pubblico privato. Si introduce, in merito a questo argomento, una disciplina quadro valida sia per le figure tipiche che per le figure atipiche (qualunque altra procedura di realizzazione di partenariato in materia di opere o servizi che presentino le caratteristiche descritte nell’art. 180). Anche in questo caso è possibile rintracciare delle incoerenze. In merito all’articolo 180 si segnalano le seguenti criticità:
1-Il comma 1 reca una definizione di partenariato diversa da quella contenuta nell’art. 3, comma 1, lettera e): le due definizioni vanno armonizzate, con la scelta, da parte del Governo, di una delle due, o di una sintesi delle due. Il Consiglio di Stato ritiene più chiara la definizione contenuta nell’art. 180, in quanto comprensiva anche del partenariato avente ad oggetto opere calde, oltre che opere fredde.
2-Al comma 1, ultimo periodo, si consente che il contratto abbia ad oggetto sia il progetto di fattibilità sia il progetto definitivo, prevedendo la possibilità di rimettere al partner privato tutti i livelli di progettazione. Ciò non è in linea con la legge delega che considera un’eccezione la progettazione affidata all’esecutore delle opere, vieta l’appalto concorso e limita il ricorso all’appalto integrato.
La previsione della delega sembra mutuare il modello già vigente nella finanza di progetto, in virtù del quale la gara si svolge sulla base di un progetto, con l’effetto che quest’ultimo è un prius e non un posterius rispetto alla gara. Coerentemente con quanto appena asserito, questo codice all’articolo 183 (finanza di progetto) lascia il primo livello di progettazione alla stazione appaltante, salvo che nella figura del c.d. proponente. Viene infatti stabilito, modificando la disciplina dell’articolo 153 d.lgs n.163 del 2006, che il progetto di fattibilità (ex preliminare) è a cura della stazione appaltante e non del privato. In precedenza, lo studio di fattibilità era a carico della PA e tutta la progettazione a carico del privato. Nel contratto di disponibilità di cui all’articolo 188 è espressamente previsto che tutti i livelli di progettazione siano a carico del partner privato. Un’ulteriore criticità emerge dalla lettura dei commi 4 e 5 dell’articolo 183. Il comma 4, riferendosi ai lavori di pubblica utilità da realizzarsi attraverso la finanza di progetto, fa obbligo alle amministrazioni aggiudicatrici di valutare le offerte presentate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 95. Si tratta di criterio generale per l’aggiudicazione degli appalti pubblici e dei contratti di concessione. L’applicazione del criterio generale, prescritto dall’art. 95 e richiamato dal comma 4, sembrerebbe attenuata dall’incipit del successivo comma 5, che recita testualmente: “Oltre a quanto previsto dall’art. 95 per il caso delle concessioni, l’esame delle proposte è esteso agli aspetti relativi alla qualità del progetto definitivo presentato, al valore economico e finanziario del piano e al contenuto della bozza di convenzione”. Pertanto, sarebbe opportuno precisare nella relazione illustrativa le ragioni circa la proposizione di cui al comma 5; diversamente, dovrebbe essere eliminata. L’articolo 181 (procedure di affidamento) al comma 1 prevede che la scelta dell’operatore economico avviene con procedure ad evidenza pubblica anche mediante dialogo competitivo. Il comma 3 prevede che la scelta è preceduta da adeguata istruttoria, facendo opportuno riferimento alla natura e all’intensità dei diversi rischi presenti nell’operazione di partenariato, mediante il ricorso allo strumento del public sector comparator. Il PSC è un condivisibile strumento di novità nella disciplina dei contratti pubblici volto a testare se una proposta di investimento, attraverso forme di partenariato pubblico privato, sia più conveniente rispetto alla realizzazione diretta tramite normali procedure di appalto. L’articolo 182 (finanziamento del progetto) al comma 1 prevede che il finanziamento dei contratti possa avvenire mediante il ricorso alla finanza di progetto e stabilisce che il contratto deve definire i rischi trasferiti, le modalità di monitoraggio e le conseguenze che potrebbero derivare dall’anticipata estinzione del negozio. Il comma 3 prevede che, nel caso in cui si verifichino fatti non riconducibili all’operatore economico e che incidono sull’equilibrio economico-finanziario, si dovrà procedere alla necessaria revisione dello stesso. Al fine di prevenire possibili contenziosi, si segnala al Governo di valutare l’opportunità di far espungere dal testo l’aggettivo “necessaria”, che precede la parola “revisione”, considerato che l’esito del procedimento di revisione è subordinato alla previa valutazione da parte del Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS). Valutazione obbligatoria nel caso di opere di interesse statale o finanziate con contributi a carico dello Stato e facoltativa negli altri casi. L’ articolo 186 (privilegio sui crediti) al comma 3, menziona la pubblicità nel foglio annunzi legali (FAL), abrogato dall’art. 31 della legge n. 340/2000 con effetto dal 9 marzo 2011. In particolare, l’art. 31 comma 4, di detta legge dispone che, ove negli atti normativi si faccia riferimento al FAL, la pubblicazione avviene in GURI. Pertanto, le parole “nel foglio annunzi legali” vanno sostituite con le parole “nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”. Il Governo deve valutare se la pubblicazione in GURI dell’atto di costituzione del privilegio sia ancora una pubblicità adeguata e moderna oppure vada sostituita e/o integrata con una pubblicità su sito informatico. Articolo 190 (baratto amministrativo e interventi di sussidiarietà orizzontale). Il comma 2 prevede che le aree riservate al verde pubblico urbano e gli immobili di origine rurale, riservati alle attività collettive, sociali e culturali di quartiere, ceduti al comune nell’ambito delle convenzioni, possono essere affidati in gestione per manutenzione, con diritto di prelazione ai cittadini residenti nei comprensori oggetto delle suddette convenzioni, nel rispetto dei principi di non discriminazione, trasparenza e parità di trattamento. La disposizione riproduce l’art. 4, comma 4, della legge n. 10/2013 che viene perciò abrogato. Restano nell’art. 4 i commi 5 e 6 che da soli sono privi di senso, in quanto rinviano al comma 4 abrogato; pertanto, o vanno abrogati o vanno riprodotti nel comma 2 del presente articolo. Questa scelta spetta al Governo. L’ Articolo 191 (Cessione di immobili in cambio di opere) riproduce, con alcune modifiche, i commi 6 e 7 dell’art. 53 dell’abrogando codice appalti, in materia di trasferimento ai privati di beni immobili appartenenti all’amministrazione aggiudicatrice in cambio di opere. L’ art. 53 prevede la possibilità di anticipata immissione in possesso, ma non anche di anticipato trasferimento della proprietà, che può aver luogo soltanto dopo il collaudo, per evitare di ridurre le garanzie della P.A. Il comma 3 dell’art 191 stabilisce la possibilità di prevedere nel bando di gara che il trasferimento della proprietà dell’immobile e la conseguente immissione in possesso dello stesso avvengano in un momento anteriore rispetto all’ultimazione dei lavori, previa presentazione di idonea polizza fideiussoria per un valore pari al valore dell’immobile. Nella nuova disciplina è prevista una clausola di prudenza. Articolo 192 (regime speciale degli affidamenti in house). La disciplina degli affidamenti in house è contenuta negli articoli 5 e 192. Il primo enuncia i principi in materia di esclusione per concessioni, appalti pubblici e accordi tra enti e amministrazioni aggiudicatrici, nell’ambito del settore pubblico, ed attua le generali previsioni dell’articolo 17 della direttiva 2014/23/UE sulle concessioni, dell’articolo 12 della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari e dell’articolo 28 della direttiva 2014/25/UE sugli appalti pubblici nei settori speciali. L’art. 192, invece, costituisce specifica attuazione di ulteriori criteri contenuti nella legge delega che, oltre a prevedere un ulteriore limite all’operatività dell’in house in materia di concessioni (l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori di affidare una quota pari all’80 % dei contratti di lavori, servizi e forniture, relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, mediante procedura ad evidenza pubblica), impone:
– l’istituzione, presso l’ANAC, di un elenco di enti aggiudicatori di affidamenti in house così da consentire affidamenti diretti (l’iscrizione all’elenco non ha efficacia costitutiva, ma meramente dichiarativa);
– la previsione di adeguati livelli di pubblicità e trasparenza;
– la previsione che anche negli affidamenti diretti in house sia compiuta la valutazione sulla congruità economica delle offerte.
Rimane estranea alle previsioni del codice in materia di in house la disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, e delle condizioni e limiti entro cui queste ultime possono costituire o partecipare a società. Le previsioni dell’art. 192 hanno una portata generale, non circoscritta alla sola società pubblica di progetto prevista nel successivo art. 193 (mutua la disciplina dall’articolo 172 dell’abrogando codice appalti, sostituendo l’espressione “progetto preliminare”, con l’espressione “progetto di fattibilità”). Inoltre, la figura dell’in house, ha uno schema organizzativo aperto e multiforme, che consiglia di sostituire alla parola “proprie società”, usata nell’art. 192, l’espressione “propri soggetti in house di cui all’articolo 5”. Questa espressione appare preferibile, perché non ingenera dubbi sul fatto che i soggetti dell’articolo 192 siano i medesimi dell’art. 5 e non altri, restituendo maggior coerenza e chiarezza al dettato normativo. Il comma 2 dell’articolo 192 impone alle stazioni appaltanti, per l’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, l’obbligo di dare conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento, delle ragioni del mancato ricorso al mercato nonché dei benefici per la collettività e della forma di gestione prescelta. Si tratta di un onere motivazionale rafforzato, che consente un penetrante controllo della scelta effettuata dall’Amministrazione, sul piano dell’efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche. L’ Articolo 194 (affidamento a contraente generale) mutua la disciplina dall’art. 176 dell’abrogando d.lgs. 163/2006, con alcune significative modifiche rispetto al modello della precedente normativa. La figura del contraente generale non ha una connotazione autonoma nelle direttive comunitarie. La legge delega, invece, contiene delle specificità in merito all’affidamento dell’appalto al contraente generale. Dispone infatti la lettera l) che è vietata, negli appalti pubblici aggiudicati con la formula del contraente generale, l’attribuzione dei compiti di responsabile o direttore dei lavori allo stesso contraente generale. Detto divieto si applica anche alle procedure di appalto già bandite alla data di entrata in vigore della legge, incluse quelle già espletate, per le quali la stazione appaltante non abbia ancora proceduto alla stipulazione del contratto con il soggetto aggiudicatario. Le direttive comunitarie non pongono limiti all’affidamento contestuale di progettazione e di esecuzione a uno stesso soggetto e, in particolare, al contraente generale. La legge delega, sebbene ponga quale criterio, nel recepimento delle direttive, il divieto di gold plating (introdurre livelli di regolazione più severi) segue l’opzione del divieto di affidamento del progetto definitivo al contraente generale. Rispetto, dunque, alla disciplina recata dall’art. 176 del d.lgs. n. 163/2006 la delega ha imposto requisiti più stringenti:
a) il contraente generale non ha più la direzione dei lavori né i compiti del RUP;
b) il contraente generale non espleta la progettazione definitiva, ma solo quella esecutiva.
La corrispondente previsione dell’art. 176 e dell’art. 177 comma 2, del d.lgs. n. 163/2006, gli demandava anche il progetto definitivo, ove lo stesso non fosse già stato messo a base di gara. Questa disciplina è confermata dall’articolo 195 (Procedure di aggiudicazione del contraente generale), comma 2, secondo cui a base di gara si pone il progetto definitivo e non il preliminare. Lo stesso articolo elimina quale criterio di aggiudicazione, quello del prezzo più basso, preferendo quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. A tal proposito, l’articolo 195 riproduce i parametri di valutazione già recati dal corrispondente comma 4 dell’art. 177 del d.lgs. n. 163/2006. Le nuove direttive comunitarie fissano in modo più analitico i parametri di valutazione del rapporto qualità/prezzo, indicando i criteri ambientali e sociali, qui del tutto mancanti. Spetta alla scelta di merito amministrativo/politico del Governo valutare se lasciare invariati i generici criteri enunciati dal comma 4 dell’art. 195 o se, invece, modificare la disposizione. Il comma 3, lettera a) dell’art. 194 (mutua la disciplina dall’ art. 176 del d.lgs. n. 163) prevede che il soggetto aggiudicatore provvede alle attività necessarie all’approvazione del progetto definitivo, ove questo non sia posto a base di gara. Posto che nella nuova disciplina, come si desume dal comma 2, lettera a) al contraente generale compete la sola progettazione esecutiva, la disposizione del comma 3, lettera a), è priva di apprezzabile significato e deve essere espunta. Lo stesso vale per il comma 20 dello stesso articolo. In merito alle varianti del progetto affidato al contraente generale, la previsione contenuta nell’art. 176 del d.lgs. n. 163/2006 dichiara inapplicabili gli artt. 56, 57, 132, ossia le disposizioni sulla procedura negoziata con e senza bando e sulle varianti. Ora, invece, nel comma 5 dell’articolo 194 si dichiarano inapplicabili, oltre alla disposizione sulle varianti, le disposizioni sulla procedura negoziata senza bando e sul dialogo competitivo (articoli 63, 64 e 108). È demandata al Governo l’opportunità di verificare se sia questa una scelta consapevole, soprattutto in riferimento al dialogo competitivo, poiché esso consente al soggetto aggiudicatore di avviare un dialogo con i candidati al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla base delle quali i candidati saranno invitati a presentare le offerte. Nel comma 7 si fa riferimento a requisiti di qualificazione “prescritti dal regolamento”, essendo stato mutuato tale e quale dal corrispondente articolo del d.lgs. n. 163/2006. Non essendo più previsto un regolamento, nel nuovo assetto della materia, devono essere espunte le parole “prescritti dal regolamento”. I commi 11 e 13 rinviano al comma 14 dell’articolo 106 per la cessione dei crediti del contraente generale e stabiliscono che il soggetto aggiudicatore non può opporsi alla cessione dei crediti che presenti i requisiti formali del comma 14 (atto scritto e notificato). La previgente corrispondente disposizione poneva, invece, quale ulteriore condizione per l’opponibilità della cessione del credito al soggetto aggiudicatore, che si trattasse di cessione ai sensi dell’art. 117 del d.lgs. n. 163/2006, ossia di una cessione fatta a soggetti che professionalmente svolgessero l’attività di acquisto di crediti. Ora l’art. 117 viene riprodotto con modifiche nell’art. 106, comma 14 del nuovo codice (dove si esige la comunicazione delle cessioni di credito all’ANAC e l’accettazione espressa da parte delle stazioni appaltanti), ma l’art. 106, comma 14, non è richiamato nella sede del contraente generale, con la conseguenza che qualunque cessione di credito effettuata dal contraente generale, anche a soggetti non professionalmente svolgenti attività di acquisto di crediti, diventa opponibile al soggetto aggiudicatore, senza che questo possa opporsi e senza necessità di comunicazione all’ANAC. Compete al Governo valutare se sia questo il risultato che si è voluto perseguire. L’articolo 196 reca la disciplina del Collaudo. Prevede la creazione, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un albo nazionale obbligatorio dei soggetti che possano ricoprire, rispettivamente, i ruoli di responsabile dei lavori, di direttore dei lavori e di collaudatore negli appalti pubblici di lavori (aggiudicati con la formula del contraente generale), prevedendo specifici requisiti di moralità, di competenza e di professionalità nonché lo strumento del pubblico sorteggio da una lista di candidati per la loro nomina. La legge prevede che fino all’istituzione dell’albo, possono svolgere il ruolo di direttore dei lavori e di collaudatore i soggetti in possesso dei requisiti di cui alla vigente normativa, ferma restando l’incompatibilità con la funzione di responsabile unico del procedimento. Gli articoli 197 e 199 disciplinano il sistema di qualificazione del contraente generale. Il comma 4 dell’art. 197 prevede che oltre ai generali requisiti di qualificazione, per il contraente generale occorrono ulteriori requisiti specifici che possono essere determinati con linee guida, a carattere vincolante, adottate dall’ANAC. Trattandosi di linee guida vincolanti, le parole “possono essere” vanno sostituite con la parola “sono”. L’articolo 197 va letto in combinato discosto con l’articolo 199, da cui si desume che si è voluto sostituire l’attuale sistema di qualificazione del contraente generale, gestito dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il sistema generale di qualificazione tramite SOA, sotto la vigilanza dell’ANAC. La disciplina rinvia all’articolo 84 comma 3 che affida all’ANAC una revisione straordinaria delle attuali SOA, da compiersi entro tre mesi, e all’esito produrre una relazione, allo scopo di fornire elementi di valutazione circa la rispondenza del sistema attuale di qualificazione a requisiti di concorrenza e trasparenza. Il comma 12 dell’articolo 84 dispone che entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente codice, vengono individuate modalità di qualificazione, anche alternative o sperimentali da parte di stazioni appaltanti ritenute particolarmente qualificate, per migliorare l’effettività delle verifiche e conseguentemente la qualità e la moralità delle prestazioni. Si rimette al Governo la valutazione circa l’opportunità di queste scelte

In tema infrastrutture e insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, l’articolo 200 reca la disposizione generale, prevedendo quanto segue:
1-superamento del sistema introdotto dalla c.d. legge obiettivo;
2-ricognizione delle opere in programma;
3-nuova programmazione e riallocazione delle risorse, fondata sul Piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL) e sul Documento Pluriennale di Pianificazione (DPP), con vincolo a comprendere nella nuova programmazione solo gli interventi per i quali vi siano obbligazioni giuridicamente vincolanti.
L’articolo 203 ne disciplina, invece, il monitoraggio. Il comma 1 prevede che, con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, siano individuate le procedure per il monitoraggio delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per la prevenzione e repressione di tentativi di infiltrazione mafiosa. Continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto del Ministro dell’interno n.54 e successive modifiche (espressione che deve essere aggiunta nel primo comma dell’articolo 203) del 14 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 2004, il quale prevede l’istituzione del Comitato di coordinamento per l’Alta sorveglianza delle grandi opere.
4. Ricorsi giurisdizionali in tema di appalti
L’articolo 204 disciplina i ricorsi giurisdizionali in tema di appalti. Il comma 1 mutua dall’articolo 120 comma 1 c.p.a, salva una mera variante lessicale relativa agli atti dell’ANAC (non più “connessi” ma “ad essi riferiti”, e cioè agli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici). Il comma 2 introduce il rito speciale in Camera di Consiglio per gli atti di esclusione, di ammissione e di nomina della commissione. Il nuovo rito prevede i seguenti rilievi:
1) Coerenza con la legge delega (art. 1, comma 1, lettera b)
La norma prevede l’immediata impugnazione solo per i provvedimenti di esclusione dalla gara o di ammissione alla gara, per carenza dei requisiti di partecipazione; invece, nella legge delega si impone di impugnare immediatamente anche il provvedimento di nomina della commissione di gara. Vista la natura eccezionale del rito, si impone un’attuazione non estensiva della delega. Si propone quindi di eliminare il riferimento alla “composizione della commissione” nell’enumerazione delle materie interessate dal processo speciale in esame. L’espunzione è coerente con la ratio del nuovo rito, volto a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione. Altro aspetto fondamentale riguarda il fatto che il Governo deve valutare se mantenere l’attuale formulazione dell’art. 204, che comporta l’eliminazione del vigente comma 2 dell’art. 120, oppure lasciare in vita il citato comma 2 dell’art. 120 del c.p.a, inserendo in un comma 2-bis le nuove previsioni in ordine all’onere di immediata impugnazione di ammissioni ed esclusioni.
-Conformità con i principi costituzionali ed europei nell’ambito del giusto processo e dell’effettività della tutela giurisdizionale.
Per garantire il rispetto dei principi comunitari ed europei in tema di efficacia dei ricorsi, la giurisprudenza amministrativa nazionale correla la conoscenza dalla quale sorge l’onere di impugnativa ex articolo 120 comma 5 c.p.a, ad un’adeguata conoscenza delle ragioni dei provvedimenti lesivi, eventualmente attraverso l’accesso agli atti di gara. Occorre, quindi, rendere nota ai candidati e concorrenti la motivazione in ordine all’ammissione e all’esclusione. Si suggerisce, pertanto, di intervenire con opportune modifiche all’art. 76 dello schema di decreto, affinché le stazioni appaltanti esternino in un provvedimento motivato le ammissioni e le esclusioni, in modo che i candidati siano resi edotti di tale provvedimento e possano accedere tempestivamente agli atti del subprocedimento di ammissione, al fine della tutela giurisdizionale.
-Congruenza con gli obiettivi di deflazione del contenzioso e di celerità delle procedure di gara
Si segnala in questo ambito che per l’appello i termini sono rimasti invariati.
-Criticità rispetto al diritto di difesa e la razionalità complessiva del procedimento
La limitazione del ricorso cumulativo (comma 11-bis introdotto nell’art. 120), in caso di gare a più lotti, rischia di tradursi in un sacrificio al diritto di difesa, aggravato dal rilevante peso del contributo unificato, tale da ingenerare sospetti di incostituzionalità per contrasto con gli articoli 3, 24 e 113 Costituzione.
-Giudizio cautelare
L’art. 204 introduce, in ossequio alla legge delega, un comma 8-ter nell’articolo 120 c.p.a. Si tratta di una disposizione che richiede al giudice, in relazione al bilanciamento degli interessi in sede cautelare, di tener conto delle disposizioni degli articoli 121, comma 1, e 122 c.p.a. Per quanto concerne il rito previsto per le ammissioni e le esclusioni, la tutela cautelare diventa superflua, attesi i tempi strettissimi in cui si perviene alla decisione di merito, di cui può anche essere anticipata la pubblicazione del dispositivo. In tale prospettiva si comprende perché l’art. 204, nel novellare il comma 8 dell’art. 120 c.p.a, fa salvo quanto previsto al comma 6-bis. Tuttavia tale inciso dà luogo a dubbi sul piano della conformità con i principi comunitari e costituzionali in tema di indefettibilità della tutela cautelare. Difatti, la tutela cautelare non può essere preclusa ex ante, anche laddove ex post non sia necessaria. Sicché, potrebbe essere opportuno sopprimere la lett. f) del comma 2 dell’art. 204.
-Motivazione per relationem della sentenza di appello
Il comma 2, lettera i) apporta delle modifiche al comma 10 dell’articolo 120, stabilendo che, nel giudizio di appello, la sentenza di rigetto può essere motivata richiamando le argomentazioni della sentenza del Tar. La norma non appare del tutto rispettosa della portata costituzionale del doppio grado di giudizio. Inoltre, una decisione di appello motivata per relationem può non soddisfare le parti, che cercherebbero altri rimedi (revocazione, opposizione di terzo, ricorso per Cassazione), con effetto opposto a quello perseguito (chiudere la lite in tempi brevi).
5.Rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale
Articoli 205 e 206 disciplinano l’accordo bonario per lavori, servizi e forniture. L’ articolo 207 introduce l’istituto del Collegio Consultivo Tecnico che deve prevenire le controversie che potrebbero sorgere in sede di esecuzione del contratto. La norma, però, non chiarisce se il ricorso al collegio consultivo costituisca un sistema alternativo all’accordo bonario e come i due istituti si rapportino tra loro. L’articolo 208 conferma l’istituto della transazione per le controversie relative a diritti soggettivi, al di fuori dei casi definibili con accordo bonario ed attraverso il collegio consultivo tecnico. Il parere dell’Avvocatura deve essere reso nei soli confronti delle amministrazioni centrali, mentre per le altre si prevede il ricorso ai legali interni. Non è più prevista la forma scritta a pena di nullità (comma 4 del citato art. 239), che invece sarebbe opportuno mantenere, soprattutto, per le amministrazioni aggiudicatrici, per l’esigenza di rispetto dei principi generali di diritto amministrativo. Gli articoli 209 e 210 disciplinano l’arbitrato in materia di contratti pubblici che viene ricondotto all’ANAC. L’ambito di applicazione dell’arbitrato viene ampliato ai contratti di concessione ed appalto di cui sia parte una società a partecipazione pubblica o da essa controllata o collegata alla medesima, nonché ogniqualvolta il contratto sia finanziato con risorse pubbliche. Questa parte della norma è mutuata dell’art. 1, comma 20, della legge “anticorruzione” (n. 190 del 2012). Rispetto alla disciplina in via di abrogazione, si introduce l’obbligo sanzionato a pena di nullità di ottenere l’autorizzazione per l’inserimento nel bando di gara, nell’avviso o nell’invito, della clausola compromissoria e per il deferimento della controversia ad arbitri. Molto importante è la disciplina dell’articolo 211, in cui la rilevante novità è rappresentata dalla riconduzione del parere di precontenzioso dell’ANAC nell’ambito dei rimedi alternativi alla giurisdizione. Si attribuisce al parere carattere vincolante per le parti che abbiano prestato il consenso, purché sia adeguatamente motivato. Tuttavia, per assicurare la compatibilità con la Costituzione e con la delega è necessario evitare la trasformazione di questa procedura in un rimedio alternativo alla giurisdizione amministrativa. È, quindi, opportuna la precisazione dell’impugnabilità del parere vincolante innanzi agli organi della giustizia amministrativa. Il secondo comma della disposizione in esame attribuisce all’ANAC un potere di invito, nei confronti delle stazioni appaltanti, ad agire in autotutela, in caso di atti di gara illegittimi. Questa disposizione risulta compatibile con la legge delega, la quale prevede alla lettera t) che la vigilanza è esercitata attraverso “poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio”. Tuttavia la formulazione attuale presenta significative criticità sia sul piano della compatibilità con il sistema delle autonomie (introduce un potere di sospensione immediata e uno di annullamento mascherato che vanno oltre i meccanismi collaborativi ammessi dalla Consulta) sia sul fronte della ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi. È da preferire allora una riformulazione in chiave di controllo collaborativo, ispirata alla disciplina dettata dall’art. 21-bis della legge n. 287/1990, compatibile con i principi costituzionali e con i limiti della legge delega.
6.Il ruolo dell’ ANAC e l’ applicazione del nuovo codice
L’art. 213 definisce le funzioni ed i poteri dell’ANAC(37). L’ Autorità indipendente(38) viene richiamata 86 volte all’ interno dello schema del D.lgs. in questione e proprio in questo articolo (Parte VI) viene cristallizzato uno dei suoi ruoli nella materia dei contratti pubblici; sono attribuiti all’Autorità i compiti di vigilanza, controllo e di regolazione. Per la realizzazione di efficienza e qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, è attribuito all’ANAC il potere di emanare linee guida (atti di regolazione) nonché quello di irrogare sanzioni nei confronti dei soggetti che rifiutano, senza giustificato motivo, di collaborare nell’attività di acquisizione di informazioni e che non ottemperano alle richieste delle stazioni appaltanti di comprova dei requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento, o forniscono dati ed informazioni false(39). In conclusione, si rileva che l’articolo 216, al comma 2, fissa un regime transitorio generale, in virtù del quale le disposizioni del nuovo codice saranno applicabili alle procedure ed ai contratti i cui bandi ed avvisi siano pubblicati successivamente all’entrata in vigore del codice (ed a quelli per i quali non siano stati ancora inviati gli inviti in caso di mancata pubblicazione). In deroga al criterio generale, il comma 2 prevede specifici regimi transitori, nelle more dell’emanazione di una serie di decreti ministeriali o linee

Note:
37) Sull’ ANAC si rinvia a R.Cantone, Il Male Italiano- Liberarsi dalla corruzione per cambiare il Paese, Studio Dispari, Milano,2015; R.Cantone, F.Merloni, La Nuova Autorità Nazionale Anticorruzione¸ Giappichelli Editore, Torino, 2015;  I nuovi poteri dell’Autorità nazionale anticorruzione: “post fata resurgam”, in Giornale dir. amm., n. 6/2015, p. 757 ss. ; F. Di Lascio- B. Neri, I poteri di vigilanza dell’Autorità Nazione Anticorruzione, in Giornale dir. amm., n.4/2015, p. 454 ss. Sul ruolo dell’ANAC ex d.lgs.n.50/2016 si rinvia a R,Rolli, D.Sammarro, Il nuovo codice dei contratti pubblici: l’ANAC e l’ Uomo di Vitruvio, in giustamm.it , n.4- 2016
38) Sulle autorità Indipendenti si veda, R. Rolli, A. Taglialatela, La ‘legittimazione’costituzionale delle Autorità amministrative indipendenti, in giustamm.it, n. 2 – 2010 e R.Titomanlio, La potestà sanzionatoria delle Autorità Amministrative Indipendenti nel quadro dei pubblici poteri, in giustamm.it, n. 9 – 2006; F. Blando, Questioni in tema di sindacabilità degli atti di nomina delle autorità indipendenti in federalismi.it,<federalismi> n.14 – 2009. Per una
visione generale, si veda M. Manetti., Poteri neutrali e Costituzione, Giuffrè, Milano, 1994; ID., Le autorità indipendenti, Laterza, Roma-Bari, 2007; S. Cassese e C. Franchini (a cura di), I garanti delle regole – Le autorità indipendenti, Il Mulino, Bologna, 1996; A.A.V.V., Regolazione e garanzia del pluralismo. Le autorità amministrative indipendenti, Giuffrè, Milano, 1997; A.Predieri, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Passigli, Firenze, 1997; S. Labriola. (a cura di), Le autorità indipendenti. Da fattori evolutivi ad elementi della transizione
del diritto pubblico italiano, Giuffré, Milano, 1999; F. Merusi, Democrazia e autorità indipendenti. Un romanzo quasi giallo, Il Mulino, Bologna, 2000; M. Clarich., Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Il Mulino, Bologna, 2005; M. De Benedetto, Autorità indipendenti, in S.Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, I,
Giuffrè, Milano, 2006, pp. 588-597; G. Grasso , Le autorità amministrative indipendenti della Repubblica – Tra legittimità costituzionale e legittimazione democratica, Giuffrè, Milano, 2006;M. Cuniberti, Autorità indipendenti e libertà costituzionali, Giuffrè, Milano, 2007; M.Poto., Autorità amministrative indipendenti, in Digesto disc. pubb., IV ed., Aggiornamento, t. I ,Utet, Torino, 2008, pp. 54-62.</federalismi>
39) Ad oggi si segnalano le seguenti linee guida poste in essere dall’ANAC: 1) Sottosoglia; 2) Nomina, ruolo e compiti del responsabile unico del procedimento per l’affidamento di appalto e concessioni; 3) Affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria; 4) Linee guida in materia di offerta economicamente più vantaggiosa 5); Il Direttore dei Lavori: modalità di svolgimento delle funzioni di direzione e controllo tecnico, contabile e amministrativo dell’esecuzione del contratto; 6) Il Direttore dell’esecuzione: modalità di svolgimento delle funzioni di coordinamento, direzione e controllo tecnico-contabile dell’esecuzione del contratto;  7) Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici

guida dell’ANAC previsti dal codice. L’articolo 217 reca l’abrogazione espressa del codice n. 163/2006, del suo regolamento di attuazione (D.P.R. n. 207/2010) e di numerose disposizioni di leggi speciali che hanno inciso sulla materia dei contratti pubblici. In relazione all’abrogazione del D.P.R n. 207/2010, si rileva che dall’articolo 216, comma 2, si desume che esso continuerà ad applicarsi non solo ai contratti i cui bandi siano stati pubblicati prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, ma anche a quelli i cui bandi siano pubblicati dopo, nelle more dell’adozione degli atti attuativi del nuovo codice. Sotto tale profilo, l’abrogazione integrale e con effetto immediato, sembra contraddire tale regime transitorio. Occorre pertanto prevedere che l’abrogazione del D.P.R n. 207/2010 sia differita alla data di entrata in vigore degli atti attuativi, a cui sia demandata l’elencazione ricognitiva delle disposizioni che si intendono abrogate. Apparendo prematura una valutazione eccessivamente critica sulla normativa in questione, in questa sede si intende rinviare ad altri tempi per ulteriori spunti di riflessione; se è vero come è vero che la biografia di ognuno non si può scrivere anticipatamente, ciò ancor di più vale per un codice di recentissima stesura.