di Andrea Lestini

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La famiglia nel codice civile e nella Costituzione – 2.1. (segue). Famiglia e Sindacato – 3. Le stagioni delle riforme e l’evoluzione del diritto di famiglia – 4. Dalla famiglia matrimoniale al pluralismo degli schemi di relazione familiare. Pluralità di famiglie? – 5. Persona e Famiglia – 6. Dalla stabilità del matrimonio alla stabilità dei legami di filiazione: lo status unico di figlio e il superiore interesse del minore – 7. Famiglia, autonomia privata e contratto – 7.1. (segue). L’autonomia privata nella famiglia: alcune ipotesi – 8. Persona, famiglia e nuove tecnologie

1. Premessa

Il diritto di famiglia [1], così come originariamente concepito nel Codice Civile del 1942, ha conosciuto una radicale trasformazione, tale da consentire di discorrere di una vera “metamorfosi” [2]; si è invero passati dalla preminente rilevanza giuridica del matrimonio a quella attribuita ai legami di filiazione e, conseguentemente, l’indissolubilità, che è stata per secoli la caratteristica propria del matrimonio, si è trasferita dal legame orizzontale di coppia a quello verticale genitori-figli. 

Questi radicali mutamenti [3] – a cui, come si vedrà nel prosieguo, hanno contribuito tanto l’avvento della Costituzione quanto le fonti sovranazionali ed il formante giurisprudenziale – si colgono per un verso nel passaggio da un modello unico di famiglia, vale a dire la grande famiglia patriarcale, nobiliare e contadina, ad una pluralità di modelli; per altro verso nella concezione del diritto che all’inizio in preminente posizione “dominante” si pone successivamente in funzione sempre meno “potestativa” e progressivamente sempre più “recettiva” e servente.

Si è assistito e tuttora si assiste, pertanto, ad «un sistema mobile, aperto, in equilibrio instabile, mutevole e sempre spostabile, e anche in ragione di ciò sempre e continuamente rinnovantesi in un processo senza sosta né fine» [4], favorendo l’accettazione, in precedenza assolutamente osteggiata, di relazioni familiari anche al di fuori del vincolo matrimoniale [5].

Pare dunque opportuno ripercorrere, seppur brevemente, le principali fasi o stagioni [6] che hanno scandito “il tempo della famiglia nel diritto”, partendo dall’impostazione codicistica per giungere alla situazione attuale, caratterizzata da una molteplicità di modelli familiari, passando per la Costituzione, per le Carte e per le riforme legislative che quel progetto costituzionale ed europeista hanno attuato. 

Il quadro proposto consentirà, inoltre, una lettura sul “primato della persona”, realizzato e garantito al tempo stesso proprio dalle nuove formazioni sociali nonché, con riferimento alla prole, dalla unicità dello status di figlio e dal superiore interesse del minore. 

L’ultima parte dello scritto sarà, infine, dedicata ai modi di esplicazione dell’autonomia privata nell’ambito della famiglia, prendendo in considerazione, da ultimo, il tema – di indubbia centralità nel dibattito giuridico, nella riflessione della dottrina e soprattutto nell’esperienza giurisprudenziale – della maternità surrogata. E, ciò, per la portata del fenomeno in ordine alla rivisitazione che esso impone delle tradizionali categorie concettuali del diritto civile, della filiazione, della tutela della persona e finanche del contratto quale strumento utilizzato nella disciplina della nascita da una vicenda di maternità surrogata.

2. La famiglia nel codice civile e nella Costituzione

Come noto, il Codice Civile del 1942, al pari del Codice del 1865, accoglie una concezione di “famiglia-istituzione”, un modello a fondamento del quale venne posto «il matrimonio (eterosessuale), con carattere di indissolubilità» [7] secondo una impostazione «“paternalista” di uno Stato “interventista”, che dall’alto detta la regolazione giuridica» [8]. 

Tale concezione, che aveva comportato l’attribuzione del “primato” della famiglia sulla persona dei suoi componenti, unitamente ad una condizione, prevista nel codice, di diseguaglianza dei coniugi, non ammetteva quindi modelli alternativi rispetto alla famiglia legittima.

Il definitivo superamento della concezione patriarcale e istituzionalistica si ebbe, ad un lustro dall’entrata in vigore del Codice, con l’approvazione della Costituzione repubblicana – approvata, come noto [9], con votazione finale e complessiva, il 22 dicembre 1947, a larghissima maggioranza (con 453 voti favorevoli e 53 contrari), promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 successivo ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948 – la quale muovendo dal primato della persona delineò viceversa una concezione di famiglia nucleare e solidaristica [10]. 

Ebbene, l’articolo 29 della Costituzione nel riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, pur consentendo di riferirsi, ancora, in termini di «un organismo in qualche modo titolare di interessi distinti da quelli dei singoli membri che di essa fanno parte» [11], mette altresì e prioritariamente in evidenzia come «la famiglia è, anzitutto, naturalis societas» [12] ossia, appunto, «formazione sociale nel senso dell’art. 2 Cost.» [13]. 

Il matrimonio, evidentemente, resta istituto fondante della famiglia e indispensabile base giuridica per l’attribuzione dei diritti che l’ordinamento riconosce ad essa; e, tuttavia, il matrimonio rileva in tale contesto non solo quale “atto” – secondo l’impostazione codicistica – bensì anche e soprattutto come “rapporto”.

Inoltre, in tale visione, il secondo comma dell’art. 29 Cost. prevede sì che nell’ambito del rapporto matrimoniale, il legislatore possa introdurre limiti al principio dell’eguaglianza giuridica e morale tra i coniugi “a garanzia dell’unità familiare”, ma quest’ultima viene affidata non già ad una struttura di comando bensì ad un ordinamento delle relazioni familiari assolutamente egualitario e paritetico [14].

Ci si è pertanto domandati se nell’attuale sistema, così come delineato, l’unico modello di famiglia in senso tecnico giuridico debba essere considerata, ancora, la sola famiglia fondata sul matrimonio, ovvero non si possa riconoscere rilevanza non solo in termini sociali ma anche giuridici alla famiglia di fatto [15]. 

Al riguardo, come si vedrà più oltre è proprio il profilo del rapporto, valorizzato dalla Costituzione, che se da un lato «apre (…) il matrimonio alla interazione con la evoluzione dei costumi» [16] dall’altro consente, come efficacemente osservato, di sostenere che anche la famiglia in quanto tratta dalla realtà sociale [17] appare ormai nella Costituzione inevitabilmente declinata al plurale, varia e molteplice, e in quanto tale senz’altro irriducibile a un modello unico o ad un unico orizzonte di senso [18]. In tal senso, ben si comprende come si sia parlato di «tutela costituzionale delle famiglie» [19].

Appare dunque minoritaria, allo stato, la tesi già autorevolmente sostenuta da Francesco Santoro Passarelli della «esclusività della famiglia fondata sul matrimonio: non vi è altra famiglia che la famiglia fondata sul matrimonio. Di qui l’indissolubilità del matrimonio: non vi è altra famiglia che la famiglia stabile, cioè destinata a durare per tutta la vita dei coniugi» [20].

Resta da considerare, comunque, nella diversità di opinioni che si riscontra, sul punto, in dottrina, la pure indubbia posizione costituzionale di favor e vera e propria preferenzialità accordati alla famiglia legittima [21], senza che dalla stessa si possa tuttavia inferire la esclusività di un modello [22] piuttosto che l’indice di un disfavore verso altre realtà familiari. 

2.1. (segue). Famiglia e Sindacato 

Il richiamo, sopra operato, alle formazioni sociali consente di svolgere, prima di affrontare le questioni che maggiormente rilevano in questa sede, una brevissima digressione intorno a due istituti apparentemente distanti tra loro: la famiglia ed il sindacato.  

Famiglia e Sindacato sono entrambi – nelle pur profonde differenze che presentano con riferimento alla loro natura e organizzazione – gruppi intermedi tra individuo e società generale, riconosciuti dall’art. 2 Cost.[23].

La prima, la famiglia, è il gruppo primordiale, la parte costitutiva indefettibile della società generale; l’altra, la categoria professionale è il gruppo che si determina per effetto dell’esistenza di un interesse collettivo professionale, comune a più soggetti che esercitano professionalmente la medesima attività economica [24]. 

3. Le stagioni delle riforme e l’evoluzione del diritto di famiglia

Come la maggior parte dei procedimenti, lenti e graduali, anche l’entrata in vigore della Costituzione non ha prodotto, nel breve periodo, l’effetto auspicato poiché dottrina e giurisprudenza si sono mostrate inizialmente poco recettive dei nuovi valori introdotti. Così, solo successivamente, attraverso interventi legislativi settoriali [25] ed in virtù del ruolo assunto dalla Corte Costituzionale si è potuto registrare una vera istanza di rinnovamento tanto a livello scientifico che sociale [26]. 

Tuttavia, per poter (iniziare a) garantire la piena attuazione del dettato costituzionale [27] bisognerà attendere la organica riforma del diritto di famiglia del 19 maggio 1975 n. 151, mentre solamente con la riforma della filiazione di cui alla legge 10 dicembre 2012 n. 219 e d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, statuendosi il principio di unicità dello stato giuridico di figlio (art. 315 c.c.), si darà piena attuazione all’art. 30 comma 3 della Costituzione [28].

4. Dalla famiglia matrimoniale al pluralismo degli schemi di relazione familiare. Pluralità di famiglie?

A tal proposito, non pare inutile precisare come il cambiamento cui si è assistito, nel passaggio dall’unico modello familiare – quello codicistico fondato sul matrimonio, e di cui è certamente espressione anche l’art. 29 Cost., dal quale, si avverte, non vi sarebbe alcuna apertura verso sistemi familiari alternativi al matrimonio [29] – alla molteplicità degli stessi, è stato reso possibile dalla svolta giunta con l’avvento della Costituzione, vero e proprio “riferimento mitico fondativo” [30] e, in particolare, dalla previsione di formazioni sociali ai sensi dell’art. 2 Cost. 

Ebbene, pur non potendo discendere, direttamente dall’art. 29 Cost., la piena equiparazione al rapporto coniugale di modelli di convivenza che prescindono dal matrimonio, ciononostante tali stabili relazioni sono state ricondotte (anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale: si pensi alla sentenza 138/2010 e 170/2014) nella più generale protezione offerta dall’art. 2 Cost. 

Si tratta, evidentemente, di tematiche particolarmente delicate ed il dibattito è risultato estremamente complesso e ricco di prospettive, come dimostrano gli spunti di riflessione provenienti dalle fonti sovranazionali, tra cui, l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, soprattutto, l’art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il quale enuncia il diritto dell’uomo e della donna di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto, il che – come autorevolmente sostenuto [31] – testimonia come possa costituirsi una famiglia anche senza matrimonio, specie con riguardo ai rapporti di filiazione. 

La prospettiva europea, fortemente orientata alle tutele individuali, si impone con particolare forza anche attraverso la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, nel tempo, ha ricondotto nell’alveo della nozione di vita familiare le convivenze anche tra persone dello stesso sesso; ne deriva, conseguentemente, che l’ordinamento considera familiari anche relazioni che prescindono dal matrimonio e dalla diversità di sesso [32]. 

Punto cardine e ruolo fondamentale della evoluzione, non solo dei costumi sociali, come sembrerebbe suggerire la terminologia utilizzata (che altro non rappresenta se non una evoluzione di valori: concubinato, convivenza more uxorio e famiglia di fatto) [33] ha avuto, sul piano del diritto interno, la sentenza, prima ricordata, della Corte cost., 11 giugno 2014, n. 170, al cui monito ha fatto seguito la legge 20 maggio 2016, n. 76 [34], la quale ha introdotto l’unione civile tra persone dello stesso sesso e dettato regole in materia di convivenza di fatto [35].

Nel mutato quadro normativo, l’alternativa resta dunque, ancora una volta, tra il riconoscere o meno una famiglia di fatto (locuzione, questa, di cui, peraltro, non vi è traccia nella legge 76/2016) quale “immagine” della famiglia legittima, dalla quale si distinguerebbe solo per i modi di formazione, pur avendo caratteri, struttura e scopi analoghi, se non identici [36]. 

Persuade, al riguardo l’opinione di quella dottrina che ponendosi in una posizione mediana tra chi ritiene, ancora, che “non è famiglia se non quella fondata sul matrimonio” [37] e chi, viceversa, prende consapevolezza del fatto che “nell’ordinamento non si rinviene più la famiglia, ma le famiglie” [38], riconosce come accanto al tradizionale modello della famiglia nucleare fondata sul matrimonio si pongono i modelli (anch’essi rispondenti alla nozione di famiglia nucleare quale comunità di una coppia stabilmente unita e dei figli, pur se strutturalmente diversi) della famiglia fondata sull’unione civile e della famiglia fondata sulla convivenza di fatto [39]. 

5. Persona e Famiglia

Naturalis societas evidenzia la realtà di un fenomeno che si determina secondo matrici umane e sociali largamente estranee al diritto, riconoscendosi l’esistenza dell’istituto familiare a prescindere dalla previsione normativa.

Ma, la famiglia non può spiegarsi al di fuori del diritto, la regola giuridica rappresentando parte di quella realtà. Il diritto, in particolare, garantisce la realtà sociale e contemporaneamente incide sulla stessa, concorrendo a formare la realtà della famiglia. 

Naturalis societas significa, inoltre, riconoscimento dei diritti della famiglia come diritti fondamentali dell’uomo. Il valore centrale di riferimento è, dunque, sempre la persona [40].

6. Dalla stabilità del matrimonio alla stabilità dei legami di filiazione: lo status unico di figlio e il superiore interesse del minore

L’indagine svolta delinea quattro fenomeni e distinte situazioni percorribili dalle persone membri della coppia che vogliano vivere un rapporto affettivo riconosciuto come rilevante dall’ordinamento giuridico. 

Come si è avuto modo di vedere, infatti, tra il matrimonio e la convivenza del tutto libera si pongono oggi i “modelli” dell’unione civile tra persone dello stesso sesso nonché della convivenza tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso con i caratteri previsti dalla legge. 

Orbene, un dato che accomuna tali “relazioni familiari” è che ciascun individuo, qualunque sia la veste giuridica prescelta, può unilateralmente sciogliere il vincolo giuridico di coppia o cessare la convivenza [41]. 

A tale fenomeno, definito da taluni di “precarizzazione della relazione di coppia” [42] onde sottolinearne il venir meno, già con la legge 1° dicembre 1970 n. 898 [43], di una delle esigenze proprie del matrimonio quale l’indissolubilità, corrisponde una forte consolidazione dei legami genitoriali. 

È proprio nel momento in cui i legami verticali non sono più garantiti dalla indissolubilità che nasce, dunque, l’esigenza di porre in essere strumenti giuridici di stabilità del legame di filiazione, precedentemente indirizzato, viceversa, nei confronti dei soli figli legittimi [44]. 

L’importante riforma della filiazione del 2012, in tale visione, ha introdotto lo stato unico di figlio, cosicché se da un lato la condizione giuridica del medesimo è indipendente dalla sussistenza del vincolo matrimoniale tra i propri genitori, anche ai fini della responsabilità genitoriale (formula, questa, che attua un mutamento di prospettiva nella relativa disciplina giuridica, ponendo al centro i diritti e gli interessi della prole piuttosto che i poteri dei genitori che, in precedenza configuravano la potestà genitoriale) [45], dall’altro è venuta meno la secolare differenziazione tra figli legittimi e figli naturali o illegittimi. 

La stabilità e indissolubilità del vincolo di filiazione si manifesta, nella Novella pure sotto il profilo delle azioni di stato, già modificato peraltro dalla riforma del diritto di famiglia; invero, «l’elemento biologico ha perduto quella primaria rilevanza che gli era stata attribuita ed è stato sostituito dall’interesse del figlio (…) alla stabilità della relazione con chi risulti suo genitore» [46]. 

Di qui il superiore interesse del minore, tematica particolarmente attuale, tra l’altro, nella giurisprudenza in tema di maternità surrogata, su cui ci si soffermerà nella parte conclusiva del presente lavoro, dopo aver svolto alcune riflessioni in ordine ai modi di esplicazione dell’autonomia privata nella famiglia. 

7. Famiglia, autonomia privata e contratto. Delimitazione della problematica

L’autonomia privata – come la maggior parte degli istituti del moderno diritto privato generale, che trovano ragion d’essere originaria come forma giuridica di una materia economica – è stata forgiata soprattutto in riferimento agli atti di disposizione di diritti patrimoniali e quindi prevalentemente al contratto, la disciplina del quale può essere estesa, sempre che siano compatibili, soltanto “agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale” [47].

In particolare, il limite all’ambito di operatività del contratto è previsto dall’art. 1321 c.c. il quale, come noto, consente di spaziare esclusivamente nell’ambito dei rapporti giuridici patrimoniali [48].

Se ne deduce, conseguentemente, che il contratto non può operare in materia di rapporti di carattere non patrimoniale, nel cui ambito rientrano in primo luogo i diritti della personalità [49].

L’autonomia privata avrebbe, inoltre, e per la stesa ragione, un limitato campo d’azione – in ossequio ed in conformità di un’immagine tradizionale [50] – nell’ambito della famiglia.

Infine, si sostiene come un ulteriore settore tradizionalmente precluso al contratto sarebbe costituito dalle successioni per causa di morte, pur trattandosi di un fenomeno di circolazione della ricchezza. L’eredità, infatti, si devolve esclusivamente per legge o per testamento. Al testamento, inoltre, la disciplina sul contratto sarebbe inapplicabile (ex art. 1324) proprio in quanto trattasi di atto mortis causa, e non in ragione della mancanza del requisito della patrimonialità del rapporto. 

Tuttavia, in una diversa prospettiva [51], si evidenzia come la tenuta delle costruzioni dogmatiche, anche delle più tradizionali e consolidate, deve essere verificata costantemente alla luce dell’evoluzione giuridico-sociale [52].

Necessario punto di partenza riguarda, allora, il problema della concezione dei limiti attuali del potere di autonomia che l’ordinamento riconosce ai privati e che sembrerebbe si siano notevolmente ristretti (i limiti) dall’emanazione del codice civile ad oggi. Dunque, attenuazione delle limitazioni all’autonomia privata e conseguente aumento dell’ambito di applicazione e operatività della autonomia stessa [53].

7.1. (segue). L’autonomia privata nella famiglia: alcune ipotesi

In particolare, un discorso inerente autonomia privata e famiglia può prendere le mosse dall’art. 160 c.c., poiché dei diritti e dei doveri derivanti dal matrimonio è espressamente sancita l’inderogabilità [54]. 

I diritti della famiglia non possono essere costituiti, modificati o estinti dalla volontà negoziale dei privati, e ciò proprio in virtù della loro natura non patrimoniale la quale, a sua volta, si spiega nella preminenza ed essenzialità degli interessi familiari. 

Tali diritti, inoltre, sono strettamente personali – il che si traduce nella incedibilità, intrasmissibilità e indisponibilità dei diritti di famiglia – in quanto volti ad una diretta tutela della persona, nei suoi interessi morali e materiali. 

I diritti familiari possono, peraltro, anche avere contenuto economico, nel senso che possono avere ad oggetto beni o prestazioni economicamente valutabili, ma ciò non incide sulla loro natura non patrimoniale, trattandosi pur sempre di posizioni costituite in funzione di interessi preminenti della persona e quindi non commerciabili [55].

La dottrina ha però osservato come, sia pure entro ben determinati limiti, «può parlarsi di un’autonomia negoziale nei rapporti di famiglia e di negozi giuridici familiari» [56].

Un importante contributo è stato sicuramente dato dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, la quale sostituendo la precedente concezione gerarchica con una visione paritetica del rapporto tra coniugi, «ha sicuramente potenziato il ruolo dell’accordo anche all’interno della famiglia» [57]. 

Peraltro, già pochi anni dopo l’entrata in vigore del codice civile, Francesco Santoro Passarelli dopo aver rilevato come «la tutela dell’interesse superiore della famiglia pone la questione se l’ordinamento riconosca nell’ambito del diritto di famiglia l’autonomia privata; in altri termini se qui trovi applicazione la figura del negozio giuridico», affermava come «l’autonomia privata abbia una sfera d’applicazione nel diritto di famiglia, sebbene questa sfera sia per molti aspetti più ridotta che nel diritto patrimoniale» [58]. Il diverso “superiore interesse tutelato”, la capacità di realizzare “funzioni determinate” e la diversità di disciplina del negozio importano, dunque, «non già che debba negarsi l’autonomia privata e ripudiarsi la figura del negozio, sì invece che la dottrina generale del negozio giuridico trovi qui applicazione con quegli adattamenti, dipendenti dal modo particolare in cui l’autonomia privata deve esplicarsi nel diritto di famiglia» [59]. Veniva così elaborata la “figura generale del negozio familiare” [60].

Ebbene, allo stato, in virtù della riforma del diritto di famiglia, della riforma sulla filiazione, nonché degli altri interventi normativi, pronunce giurisprudenziali e contributi dottrinali, si manifesta con attuale fermezza l’impostazione segnalata dall’illustre Autore.

Orbene, in primo luogo, si afferma che un certo margine è lasciato all’autonomia negoziale per quanto attiene alla costituzione del vincolo di coniugio, che ha titolo nel matrimonio, quale atto di libera scelta delle parti [61]. 

Il matrimonio è un atto di autonomia privata [62], mediante il quale la persona costituisce la sua comunità familiare; la libertà assoluta – sia nell’an sia nel quando – di contrarre matrimonio assurge quindi a diritto della personalità poiché tutela un interesse fondamentale dell’uomo [63]. In particolare, si afferma che il matrimonio è atto di autonomia privata fondato sull’affectio coniugalis: la volontà dei nubendi gli darebbe vita, creando così il vincolo matrimoniale [64].

Ne deriva, dunque, che, sin dalla fase di formazione della volontà dei nubendi, si tutela e garantisce l’esercizio dell’autonomia privata, essendo l’intera disciplina ispirata all’esigenza di garantire la piena libertà matrimoniale [65], come dimostra del resto anche la regolamentazione della promessa di matrimonio di cui all’art. 79 c.c. Si discute, peraltro, circa la natura giuridica dell’atto di matrimonio, se esso cioè sia atto negoziale o non negoziale. Deve, invece, escludersi l’ulteriore qualifica del matrimonio quale contratto, perché il matrimonio non ha natura patrimoniale essendo volto a costituire un rapporto personale [66].

In secondo luogo, all’autonomia negoziale degli interessati è riservata la scelta del regime patrimoniale tra coniugi e, in parte, la derogabilità della disciplina del regime legale di comunione [67]. L’atto mediante il quale viene adottato o modificato un regime patrimoniale prende il nome di “convenzione matrimoniale” [68]. Il legislatore, mostra anche in tale ambito familiare, una notevole ritrosia ad utilizzare il termine “contratto”. 

In realtà, con specifico riferimento alle convenzioni matrimoniali la dottrina – sebbene abbia a lungo discusso circa la qualificazione giuridica delle stesse – si è espressa nel senso della contrattualità. Prevale, dunque, l’opinione secondo cui le convenzioni matrimoniali sono veri e propri contratti, soggetti come tali al regime contrattuale ordinario. La convenzione matrimoniale è di regola un “contratto” che intercorre tra gli sposi interessati, con la precisazione che nel caso della costituzione del fondo patrimoniale può consistere anche in un “negozio complesso” cui partecipa il terzo costituente [69].

È oggetto di dibattito anche l’ulteriore possibilità per i coniugi di creare mediante convenzioni altri regimi patrimoniali, diversi da quelli tipici; il limite sarebbe, poi costituito dalle norme di carattere imperativo ai sensi dell’art. 160 c.c. [70]. 

Tali considerazioni, unitamente alla possibilità, prevista dagli artt. 162 comma 3 c.c. e 163 c.c., di stipulare e modificare le convenzioni matrimoniali in ogni tempo – a differenza di quanto previsto sotto il vigore del codice del 1865, il quale all’art. 1382 disponeva che potevano essere stipulate solo prima delle nozze – aprono «nuove prospettive di sviluppo dell’autonomia privata nell’ambito dei rapporti di carattere patrimoniale tra coniugi» [71].

In terzo luogo, nei casi di crisi del matrimonio, i coniugi possono definire i loro rapporti di contenuto economico mediante patti che vanno intesi come negozi di accertamento [72].  In sede di separazione giudiziale e di divorzio i coniugi possono da un lato regolare i loro rapporti patrimoniali, anzitutto determinando la misura e le modalità di corresponsione dell’assegno; dall’altro lato, possono convenire altre forme di attribuzione economica in funzione satisfattiva dell’obbligo di assistenza coniugale [73]. 

In tale contesto, uno dei maggiori profili problematici riguarda gli accordi precedenti al divorzio – ovvero, anche, gli accordi diretti a regolare gli effetti patrimoniali della separazione posti in essere al tempo del matrimonio o comunque prima che si sia manifestata la causa della separazione – i quali ledono il diritto di difesa nel giudizio di divorzio e si espongono alla indeterminatezza del loro oggetto, in quanto gli effetti economici che gli accordi preventivi vorrebbero regolare non sono valutabili prima che vengano in essere i presupposti di esistenza del diritto e prima che siano realizzate le condizioni che per legge devono concorrere alla determinazione dell’assegno [74]. Non mancano tuttavia indicazioni dottrinarie nel senso di una possibile validità degli accordi preventivi.

Ulteriore momento in cui, nell’ambito della crisi coniugale, può esplicarsi l’autonomia privata riguarda la circostanza che, in alternativa alla via giudiziale, i coniugi possano separarsi o divorziare mediante convenzione negozialmente assistita ovvero mediante accordo ricevuto dal sindaco quale ufficiale dello stato civile [75]. In tal modo, i due nuovi istituti hanno dato ingresso alla separazione e allo scioglimento del matrimonio per atto di volontà dei coniugi [76]. 

Si rileva [77], infatti, che la convenzione non instaura un giudizio e gli interventi del giudice e del sindaco non integrano una sentenza giudiziale o un provvedimento amministrativo di separazione o divorzio, in quanto si tratterebbe piuttosto di forme di controllo che si esprimono in un atto di omologazione della convenzione o dell’accordo. È pertanto la convenzione o l’accordo dei coniugi ad essere oggetto di pubblicità nei registri dello stato civile. 

L’ampio dibattito che, come osservato, da tempo accompagna la delineazione della categoria dell’autonomia privata in ambito familiare, permette di affermare come sia possibile ravvisare una indubbia tendenza ad espandere il ruolo dell’accordo in ambito familiare [78].

Appare utile, precisare, però che «i negozi familiari non sono comunque inquadrabili nella categoria dei contratti in quanto hanno ad oggetto rapporti giuridici non patrimoniali. La disciplina dei contratti, pertanto, non è direttamente applicabile, dovendosi di volta in volta accertare quali principi siano congrui con l’atto di autonomia familiare posto in essere» [79]. 

In una parola, i negozi giuridici familiari sono negozi «che hanno causa in un interesse familiare» [80].

Resta, infine, da considerare come un ulteriore settore – ulteriore rispetto a quello della convenzione matrimoniale, ritenuta, come anticipato, «figura particolare, caratterizzata dalla rilevanza dell’interesse familiare e in ragione di ciò assoggettata a regole speciali, ma ascrivibile pur sempre alla categoria dei contratti» [81]  – in cui l’autonomia privata ha modo di esplicarsi, mediante contratto, in ambito latu sensu familiare [82] riguarda la possibilità (di cui si è dato conto nei paragrafi precedenti) per i conviventi di disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune, sottoscrivendo un contratto di convivenza [83]. 

8. Persona, famiglia e nuove tecnologie 

Gli sviluppi della tecnica nel campo della genetica ed i conseguenti “accordi” intervenuti tra la coppia dei coniugi (d’intenzione) e la donna (madre uterina) consenziente al trasferimento del figlio partorito pongono diversi problemi anche al diritto di famiglia [84].

Il rapporto tra valori, consenso sociale e norma giuridica, ricerca scientifica e nuove tecnologie, è infatti questione antica e non è solo in tempi recenti che il diritto cerca ed offre delle risposte [85]. 

Ciò posto, allo stato, deve anzitutto escludersi la validità di ogni accordo che preveda la gestazione dell’altrui concepimento e l’obbligo della madre di “restituire” il figlio partorito, poiché l’atto dispositivo avrebbe ad oggetto il futuro stato familiare del nascituro [86]. 

Del resto [87], se fino all’approvazione della legge sulla procreazione medicalmente assistita del 19 febbraio 2004, n. 40, non vi era alcuna disciplina in materia, tale legge ponendo fine al vuoto legislativo da più parti segnalato criticamente [88] ha introdotto, in materia, un espresso divieto della maternità surrogata [89]. 

L’analisi delle problematiche giuridiche che ruotano attorno al tema della maternità surrogata – che, come noto, comprende diverse ipotesi concrete, tutte accomunate dal fenomeno della sostituzione di alcune delle funzioni relative al concepimento, alla gestazione, al parto [90] – coinvolge, in particolare, la pratica di molte coppie che si recano in altri Stati i cui ordinamenti, invece, a differenza di quello italiano, ammettono (seppure a determinate condizioni) la legittimità della pratica stessa. 

La drammaticità, da più parti segnalata, del fenomeno e le sofferenze di chi si avvia in questo percorso sono evidenti e note. E tuttavia rimane centrale il problema giuridico: consentire o meno la trascrizione nei registri di stato civile dell’atto di nascita formato legittimamente all’estero e dunque riconoscere o meno, nel nostro ordinamento, lo status di figlio (e, correlativamente, di genitore) nato all’estero a seguito del ricorso alla pratica di maternità surrogata. 

In tale contesto, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza del 29 aprile 2020, n. 8325 – preso atto che, dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 12193 del 2019, la regola posta dall’“interpretazione attuale del diritto vivente”, non consente, essendo in contrasto con l’ordine pubblico, il riconoscimento dell’atto di nascita straniero da cui risulta la doppia paternità del bambino nato da gestazione per altri all’estero [91] – segna lo snodo fondamentale di un dibattito lungo, travagliato, della giurisprudenza nazionale che fotografa la complessità del mondo attuale e le problematiche connesse, rimettendo la questione alla Corte costituzionale. 

In particolare, tale ordinanza, ha ritenuto «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, L. n. 40/2004, degli artt. 18, d.P.R. n. 396/2000, 64, comma 1, lett. g), L. n. 218/1995, nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con la modalità della gestazione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore dell’intenzione non biologico, per contrasto con gli artt. 2, 3, 30, 31, 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 CEDU, 2, 3, 7, 9, 18 Convenzione ONU di New York, sui diritti dei fanciulli 20 novembre 1989, ratificata con L. n. 176/1991, art. 24, Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea».

Ebbene, sul punto, si segnala il Comunicato del 28 gennaio 2021 con cui l’Ufficio stampa della Corte Costituzionale fa sapere che la questione è stata dichiarata inammissibile. In assenza di una disciplina applicabile al caso concreto – si legge nel comunicato – la Corte ha ritenuto, allo stato, di non intervenire ed ha rivolto un forte monito al legislatore affinché individui urgentemente le forme più idonee di tutela dei minori, anche alla luce delle fonti internazionali ed europee. 

[1] Ricorda M. Bianca come negli scritti di Angelo Falzea (A. Falzea e il diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 4/2017, pag. 1062 ss.) viene spesso utilizzata l’espressione “regione” per indicare il diritto di famiglia quale parte del diritto civile. V. in particolare, A. Falzea, La separazione personale, Relazione pubblicata in La riforma del diritto di famiglia, Atti del Convegno di Venezia svoltosi presso la Fondazione Cini nei giorni 30 aprile – 1˚ maggio 1967, Padova 1967, pag. 63 ss., ora pubblicato in A. Falzea, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica. III. Scritti d’occasione, Milano 2010, 27 ss.

[2] M. Sesta, Ultima lezione del corso di diritto di famiglia, in Civilisti Italiani, pag. 1

[3] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, in Riv. dir. civ., 5/2013, pag. 1043. 

[4] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, cit., pag. 1044.

[5] M. Sesta, Ultima lezione del corso di diritto di famiglia, pag. 3.

[6] F. Caggia, Capire il diritto di famiglia attraverso le sue fasi, in Riv. dir. civ., 6/2017, pag. 1572 ss.

[7] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, cit., pag. 1046. 

[8] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, cit., pag. 1046. 

[9] Così, testualmente, V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Cedam, 1970, pag. 137.

[10] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, cit., pag. 1049.

[11] M. Sesta, Ultima lezione del corso di diritto di famiglia, pag. 2. 

[12] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, cit., pag. 1049. 

[13] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, cit., pag. 1049. 

[14] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, cit., pag. 1049. 

[15] G. Giacobbe, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale?, in Dir. fam. pers., 3/2006, pag. 1219 ss.; Id., Famiglia o famiglie: un problema ancora dibattuto, in Dir. fam. pers., 1/2009, pag. 305 ss.

[16] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, cit., pag. 1052. 

[17] Evidenzia la relatività e storicità del concetto di famiglia, P. Barcellona, Famiglia (dir. civ.), XVI, in Enc. Dir., Giuffré, 1967. 

[18] V. Scalisi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità d’Italia a oggi, cit., pag. 1052 

[19] B. Pezzini, Dentro il mestiere di vivere: uguali in natura o uguali in diritto?, in R. Bin-G. Brunelli-A. Guazzarotti-A. Pugiotto-P. Veronesi (a cura di), La “società naturale” e i suoi “nemici”. Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, Torino 2010, p. 13.

[20] F. Santoro Passarelli, Matrimonio e famiglia, in Id., Saggi di diritto civile, I, Jovene, Napoli, 1961, pag. 393, già in Quaderni di Iustitia, n. 8, 1956, pag. 3. 

[21] C. Esposito, Famiglia e figli nella Costituzione italiana, ora in Id., La Costituzione italiana, Saggi, Padova, 1954, pag. 142

[22] G. Giacobbe, La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano. Materiali per una ricerca, Torino, 2011, pp. 73, 87, 90, 97, 122 ss.; A. Ruggeri, Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione, in Quad. cost., 2007, pag. 753.

[23] F. Santoro Passarelli, Autonomia collettiva, in Enc. dir., Giuffrè, pag. 370.

[24] Così F. Santoro Passarelli, Autonomia collettiva, cit., pag. 370

[25] Si pensi, per esempio, alla legge 1064/1955 (che ha introdotto il divieto di indicazione nei documenti pubblici della paternità e maternità con conseguente abolizione della qualifica “figli di ignoti”) e alla legge 5 giugno 1967, n. 431 istitutiva della c.d. adozione speciale. 

[26] V. Carbone, Diritto privato: essere e avere, in Fam. dir., 6/2019, pag. 617 ss.

[27] P. Schlesinger, Quarant’anni di riforme del diritto di famiglia, in Fam. dir., 11/2015, pag. 969 ss. 

[28] C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 1/2013, pag. 1 ss. 

[29] E. Gabrielli, Diritto privato, Torino, 2020, pag. 157.

[30] F. D’Agostino, Per una storia del diritto di famiglia in Italia: modelli ideali e disciplina giuridica (di F. D’Agostino-G. Dalla Torre), in G. Campanini (a cura di), Le stagioni della famiglia. La vita quotidiana nella storia d’Italia dall’unità agli anni Settanta, San Paolo Edizioni, 1994, pag. 17.

[31] M. Sesta, Ultima lezione del corso di diritto di famiglia, pag. 3. 

[32] In tal modo si esprime M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Cedam, 2021, pag. 4.

[33] M. Dogliotti, Famiglia di fatto (I Agg.), in Dig. disc. priv., 2019. 

[34] M. Dogliotti, Dal concubinato alle unioni civili e alle convivenze (o famiglie?) di fatto, in Fam. dir., 10/2016, pag. 868. 

[35] M. Sesta, Ultima lezione del corso di diritto di famiglia, pag. 4. 

[36] Sul punto si vedano le pagine di M. Dogliotti, Dal concubinato alle unioni civili e alle convivenze (o famiglie?) di fatto, cit.

[37] F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, Esi, 2019, XIX ed., p. 373. 

[38] M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, cit., pag. 7.

[39] Per questa impostazione si veda C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, Milano, Giuffrè, 2017, VI ed., pag.3. 

[40] P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, pag. 925. 

[41] M. Sesta, Ultima lezione del corso di diritto di famiglia, pag. 5. 

[42] M. Sesta, Ultima lezione del corso di diritto di famiglia, pag. 7. 

[43] M. Sesta, Matrimonio e famiglia a cinquant’anni dalla legge sul divorzio, in Riv. dir. civ., 6/2020, pag. 1177 ss.; Id., Mezzo secolo di riforme (1970-2020), in Fam. dir., 1/2021, pag. 17 ss.

[44] M. Sesta, Famiglia e figli in Europa: i nuovi paradigmi, in Fam. dir., 11/2019, pag. 1049 ss. 

[45] M. Sesta, Famiglia e figli a quarant’anni dalla riforma, in Fam. dir., 11/2015, pag. 1013 ss. 

[46] M. Sesta, Ultima lezione del corso di diritto di famiglia, pag. 8. 

[47] Cfr. A. Nicolussi, Autonomia privata e diritti della persona, in Enciclopedia del diritto, Annali, IV, Milano, Giuffrè, 2011, p. 133 ss. 

[48] P. Gallo, Il contratto, in Id., Tratt. dir. civ., Giappichelli, 2017.

[49] V. Zeno Zencovich, Personalità (diritti della), in D. disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, Utet, 1995 p. 430 ss. Viceversa, per una ricostruzione patrimonialistica del fenomeno si veda V. Ricciuto, La patrimonializzazione dei dati personali. Contratto e mercato nella ricostruzione del fenomeno, in V. Cuffaro, R. D’Orazio, V. Ricciuto (a cura di), I dati personali nel diritto europeo, Torino, 2019, p. 23 ss.

[50] E. Lucchini Guastalla, Autonomia privata e diritto di famiglia, Annali, VI, Giuffrè, 2013.

[51] E. Lucchini Guastalla, Autonomia privata e diritto di famiglia, cit.

[52] R. Amagliani, Appunti su autonomia privata e diritto di famiglia: nuove frontiere della negozialità, in Contr., 6/2014, pag. 582. 

[53] E. Gabrielli, “Pinocchio”, il “Grillo Parlante” e il problema del pegno rotativo: spiegazioni…a richiesta (fra il serio e il faceto), in Riv. Not., 3/2002, pag. 555. 

[54] Parte della dottrina ritiene che la norma si riferisca, in particolare, ai diritti e doveri previsti dalla legge aventi contenuto patrimoniale, potendo la deroga ai diritti e doveri di carattere personale rilevare, se del caso, in sede di simulazione. Cfr. Così, F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., p. 373. 

[55] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit., p. 11.

[56] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 12, cita anche bibliografia

[57] P. Gallo, Il contratto, cit., pag. 75.

[58] F. Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Dir. e giur., 1945, p. 3 ss., raccolto poi in Id, Saggi di diritto civile, vol. I, Napoli, 1961, p. 381 ss.

[59] F. Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, cit. 

[60] L’espressione è di F. Santoro-Passarelli, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, cit. 

[61] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 12.

[62] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 21.

[63] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 22.

[64] Così G. Bonilini, Nozioni di diritto di famiglia, Torino, 2002, 25.

[65] E. Lucchini Guastalla, Autonomia privata e diritto di famiglia, cit. 

[66] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 20.

[67] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 12.

[68] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 63

[69] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 64; Moscarini, Convenzioni matrimoniali in genere, in C.M. Bianca, La comunione legale, Milano, 1989, pag. 1007. 

[70] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. pag. 62.

[71] P. Gallo, Il contratto, cit. pag. 77.

[72] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit., pag. 12.

[73] Tuttavia, circa la prestazione di una somma capitale in luogo dell’assegno periodico occorre distinguere secondo che si tratti di separazione o di divorzio: v. C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. pag. 216

[74] Così C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. pag. 217.

[75] I due istituti sono stati introdotti dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, conv. L. 10 novembre 2014, n. 162. 

[76] Altra parte della dottrina ritiene viceversa, che separazione e scioglimento del matrimonio non siano effetto di una manifestazione di volontà dei coniugi, in quanto il loro atto richiede comunque l’intervento del giudice o comunque, in assenza di figli, del Procuratore della Repubblica, ovvero del sindaco. 

[77] Così C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 315.

[78] P. Gallo, Il contratto, cit., pag. 75.

[79] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 12 ss.

[80] Così, ancora, C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 12; P. Gallo, Il contratto, cit., pag. 75. 

[81] Moscarini, Convenzioni matrimoniali, cit. 

[82] C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. p. 3.

[83] Cfr. F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, 2018. 

[84] S. Stefanelli, Procreazione medicalmente assistita e maternità surrogata. Limiti nazionali e diritti fondamentali, Milano, 2020; S. Serravalle, Maternità surrogata, assenza di derivazione biologica e interesse del minore, Napoli, 2018; I. Corti, La maternità per sostituzione, Milano, 2000; A.B Faraoni, La surrogazione di maternità, Milano, 2002.

[85] P. Zatti, Verso un diritto per la bioetica: risorse e limiti del discorso giuridico, in Riv. Dir. civ., 1995, I, pag. 43 ss. 

[86] Si veda, per tutti, C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, cit. pag. 445.

[87] A. Lorenzetti, Maternità surrogata, Dig. disc. priv., 2011. 

[88] R. Torino, Legittimità e tutela giuridica degli accordi di maternità surrogata nelle principali esperienze straniere e in Italia, in Familia, 1/2002, pag. 181 

[89] F. Santosuosso, La procreazione medicalmente assistita. Commento alla Legge 19 Febbraio 2004, n. 40, Milano, 2004; R. Villani, La procreazione assistita. La nuova legge 19.2.2004 n. 40, Torino, 2004.

[90] A. Lorenzetti, Maternità surrogata, cit. 

[91] Così G. Ferrando, I diritti del bambino con due papà. La questione va alla Corte costituzionale, in Fam dir., 2020, 685.