Di Francesco Serra

  1. Premessa: una riforma attesa.

Con l’approvazione della Legge del 31 Agosto 2022 n. 130 che riforma la giustizia ed il processo tributari, si è intervenuti sull’assetto ordinamentale, e per altro verso su taluni istituti di spiccata rilevanza del processo tributario.  

Fra chi si è messo all’opera nell’analizzare e costruttivamente commentare la norma, la maggioranza ne ha sottoscritto il carattere rivoluzionario ed evolutivo, altri hanno mantenuto un profilo basso ridimensionando la portata teorica ed applicativa, ma tutti, in egual misura hanno comunque convenuto nel riconoscere il valore della “tabella di marcia” verso un processo più equo e soprattutto la necessarietà dell’intervento riformatore.

Ultronei interventi di modifica riguardanti le norme di rito hanno interessato la disciplina dei poteri istruttori[1] del Giudice tributario (id est oggi denominata Corte di Giustizia Tributaria), in particolare, il tema della prova.

Ovvio è che la sua ispirazione risiede nella tutela costituzionalmente orientata in primis dei principi sul giusto processo e sul buon andamento della pubblica amministrazione ex artt. 111 e 97 Cost, provando a ristabilire lo status quo relativamente alle regole distributive dell’onere della prova, ponendo un argine alle numerose derive amministrative e processuali degli ultimi anni, presentando taluni profili di innovazione, che sono però ancora incerti nella loro portata teorica e pratica.

L’obiettivo di questo scritto ovviamente, posto che la riforma ha interessato sia il tema del ruolo dei giudici tributari e della sorte del medesimo, con riferimento a coloro i quali sono già magistrati ordinari concessa l’opzione per il transito nella nuova magistratura tributaria «previa individuazione e pubblicazione dell’elenco delle sedi giudiziarie con posti vacanti, prioritariamente presso le commissioni tributarie regionali e di secondo grado», è di fare il punto sulla situazione attuale in ordine al riparto probatorio in sede processual-tributaria[2].

  • Aspetti prodromici civilistici dell’onere probatorio tributario.

La trattazione dell’onere probatorio tributario che è il fulcro centrale di questo lavoro, deve, imprescindibilmente, fare il paio con quella che è la disciplina civilistica ex art. 2697 c.c.[3], alla luce del dibattito, mai sopito, in seno tanto alla Dottrina[4], quanto alla Giurisprudenza.

Ebbene, da quella che è la regola generale, è noto come sia la Giurisprudenza che il Legislatore si siano voluti discostare, invero volutamente, sul presupposto che “la prova dei fatti negativi può essere data mediante la prova dei fatti positivi contrari[5]”.

Sino alla Pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione del 2001, l’onere della prova viveva del classicismo ancorché del classismo civilistico di indubbia rilevanza dottrinale, basandosi sul principio di persistenza del diritto piuttosto che su quello della vicinanza della prova “ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione[6], in forza del quale l’onere della prova è stato spesso ripartito tenendo conto della maggior facilità per l’una o per l’altra parte di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione.

Per quanto si debba coerentemente ragionare in linea generale sulle questioni dispositive di matrice civilistica, non può che essere adeguatamente rilevata l’assenza di una norma dedicata alla distribuzione dell’onere della prova nel settore tributario.

Appare del tutto evidente concepire quale vexata quaestio quella inerente alla distribuzione dell’onere della prova in materia fiscale tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, corrispondendo in egual misura “azione e reazione” probatoria, posto che prima dell’intervenuta novella del 2022, l’inversione dell’onere della prova si poneva alla base di qualsiasi risoluzione giurisdizionale.

Rispetto alla materia tributaria, la Dottrina per lungo tempo si è posta il problema se andasse applicata o meno la regola di cui all’art. 2697 c.c.[7] e in ultima istanza, se potesse sussistere una regola generale ed in caso positivo, a chi dovesse essere addossato l’onere della prova.

Orbene, nell’intenzione di superamento della teoria della presunzione di legittimità degli atti fiscali e della conseguente assunzione da parte del contribuente dell’onere di dimostrare in giudizio l’infondatezza degli stessi, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno posto a carico dell’Amministrazione finanziaria, in quanto “attore sostanziale”, l’onere di provare i fatti costitutivi a fondamento della pretesa tributaria, ponendo invece sul contribuente l’onere di provare i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi della pretesa. Di contro, il rischio del “non dimostrato” è ricaduto sul contribuente nelle liti di rimborso, in quanto parte che vanta un diritto di credito verso il Fisco.

Si vedrà come, in ragione di un giustificato e legittimo rafforzamento dell’onere probatorio che debba provenire dall’amministrazione finanziaria il principio generale di “Alloriana memoria[8]” lascia spazio al superiore principio della vicinanza della prova, laddove alla sussistenza delle presunzioni legali di cui dispone l’amministrazione Finanziaria fa da contraltare la distribuzione dell’onere della prova in forza del riflesso sostanziale posto in essere nel caso pratico.

Nel prendere consapevolezza della maturata sensibilità da parte dei più rispetto al tema dell’onere probatorio, è bene rammentare che anche nel solco della novellata riforma, il criterio della vicinanza della prova, così come della difesa ed effettività della tutela in ossequio al giusto processo condividono il motivato riscontro sia sulle vicende afferenti l’istruttoria procedimentale sia l’attribuzione dell’onere della prova, identificando nel giudice l’unico a rintracciare la parte su cui incombe il prefato onere.

  • L’introduzione del presunto “onere probatorio rafforzato”.

Conclamato quale dato esiziale il tema dell’onere probatorio, nell‘individuazione circostanziata di fatti violativi di norme, investe ben due serie procedimentali a differenza del diritto civile e penale: la prima va ad individuare l’accertamento quale atto di impulso del procedimento amministrativo diversamente dalla seconda riferendosi al giudizio di controllo posto in essere sugli esiti del procedimento amministrativo.

Ovvio quindi che il tema tanto dell’onere quanto della prova si collochino verosimilmente, mai come di questi tempi, tra l’incudine ed il martello.

Nel compimento della riforma della giustizia tributaria, gestita in un momento iniziale dalla Ministra Cartabia ed ora finalmente conclusa con la legge 31 agosto 2022, n. 130, pubblicata in Gazzetta il 1 ̊ settembre, con entrata in vigore al 16 settembre 2022, si conclude a parere di autorevole Dottrina “una tormentata stagione di riforma della giustizia tributaria[9]”.

De facto, fra le principali novità introdotte dalla riforma del processo tributario ex Legge 31 agosto 2022, n. 130 denominata “Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari”, riguarderebbe anzitutto i meccanismi probatori o meglio l’articolazione della prova davanti al giudice tributario, in particolare dall’art. 6 che ha aggiunto il nuovo comma 5-bis nell’art. 7, D. Lgs. n. 546/1992 sui “Poteri delle commissioni tributarie” d’ora in avanti “Corti di Giustizia tributaria”.

In ragione del neonato comma 5-bis, all’articolo 7 del Dlgs. n. 546/1992, parrebbero essersi palesate più di una svista tra quello che è l’assolvimento dell’obbligo motivazionale in sede di emanazione dell’atto impugnato e quello posto in sede di giudizio dell’onere probatorio da parte dell’amministrazione finanziaria.

La prefata norma statuisce che “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive sui cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

A rigor di logica, da una prima lettura della disposizione in rassegna si può constatare come l’attività istruttoria[10] esperibile da entrambe le parti in giudizio figura quale momento cruciale, attimo esatto nel quale si riproduce la fondatezza delle ragioni sottese ai propri convincimenti difensivi dinanzi alla Corte di Giustizia tributaria.

Le novità, introdotte in chiave istruttoria dalla novella tributaria, sarebbero essenzialmente:

  • la necessità per l’ufficio impositore di dimostrare sub judice le ragioni che configurano la violazione tributaria contestata al contribuente con l’avviso di accertamento; diciamo un onere probatorio rafforzato a carico dell’ufficio impositore;
  • l’utilizzo da parte del giudice tributario, sia pure condizionato, della prova testimoniale che finalmente vanifica il divieto di cui all’art.7, comma 4 del D.lgs.n°546/1992 tanto discusso, parificando per certi versi la giurisdizione tributaria alle altre giurisdizioni che già da tempo prevedono l’utilizzo della prova testimoniale in fase istruttoria (giurisdizione penale, giurisdizione civile).

Quale che sia l’approdo giurisprudenziale dei prossimi tempi, l’impressione che si ha, stante l’iter legislativo affrontato[11], è stata quella di porre un freno alla deriva presuntiva dell’amministrazione finanziaria nei tempi e modi più “efficaci”, dando un taglio drastico a interpretazioni e discrezionalità diffuse[12].

Ed è ancor più certo che, da una prima lettura della disposizione in commento, salti all’occhio la natura complessa, o forse manifestamente complicata, della norma neonata col fine ultimo tanto di valorizzare quell’assunto proveniente dalla dottrina che intravede nell’art. 7 della L. n. 212/2000 l’elemento di congiunzione tra istruttoria e decisione finale, quanto l’intenzione del Legislatore affinchè si riporti, in via rigoristica, il regime della prova sul tavolo delle questioni invero da trattare dall’amministrazione finanziaria e dal Giudice tributario in fase decisionale, “in tal modo sancendosi senz’ombra di dubbio una regola d’incombenza sull’Amministrazione, quale parte, pressoché necessitata, di ogni processo tributario, dell’onere di provare in tale giudizio “le violazioni contestate con l’atto impugnato”, in termini generali e senza più tener conto della tutt’altro che facile distinzione tra fatti “costitutivi” ovvero fatti “modificativi”, “impeditivi” od “estintivi” contenuta, divaricatamente, nei due commi dell’art. 2697 c.c., essenzialmente di origine pandettistica, che se mai poteva aver senso per il processo civile, avente ad oggetto l’accertamento di diritti soggettivi, tuttavia mal si adattava ad un processo tributario volto all’impugnazione e all’annullamento o meno di provvedimenti, cioè atti direttamente produttivi dei propri effetti, emessi dall’Amministrazione finanziaria[13]”.

La seconda parte del successivo periodo individua ed esamina i poteri della Corte di giustizia tributaria riferendo che essa “annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni[14]”.

In tal modo emerge con grande insistenza la prova della fondatezza dell’atto impositivo quale vizio dell’atto impugnato, la cui mancanza, contraddittorietà o insufficienza comporta per la Corte di giustizia tributaria l’annullamento dell’atto impugnato.

Parrebbe essere andati ben più in là di una mera conferma delle previgenti regole distributive, richiedendo, per acclarare maggiormente la valutazione delle circostanze oggettive, una rafforzata capacità dimostrativa della prova e addirittura limitando i poteri discrezionali del giudice nella sua valutazione.

Ciò potrebbe trovare conferma nell’obbligo, per l’Amministrazione finanziaria, di indicare nella motivazione del provvedimento impositivo e/o sanzionatorio le risultanze dell’istruttoria amministrativa su cui è fondata la pretesa ivi formulata[15].

Allorchè la norma intenda, con carattere tendenzialmente prolisso, esaminare i connotati deficitari sul piano probatorio che da lì condurrebbero all’annullamento dell’atto, così come lo specificare la “mancanza”, la “contraddittorietà” o l’“insufficienza” le quali debbono essere correlate alla dimostrazione, in modo circostanziato e puntuale, delle ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni, la prefata contestualmente ripone estrema fiducia nell’impegno profuso dall’organo giudicante in ordine alla valutazione del risultato istruttoriamente acquisito della prova incombente sull’Amministrazione, “comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale[16]”.

E tuttavia nel voler assegnare, in tal fatta, alla “normativa sostanziale tributaria “un ruolo di contorno particolarmente significativo, non si comprende a questo punto il valore assunto dalle presunzioni legali a favore dell’amministrazione, ancor di più e raramente in favore del contribuente[17].

Quanto all’ultimo periodo in tema di rimborso, la norma statuisce che “spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso”, in tal guisa confermando un principio largamente consolidato in giurisprudenza, precisando però “quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”, e così avallando l’operatività dei principi precedentemente enunciati dalla norma, ove comunque “ci sia di mezzo”, se così si può dire, un accertamento impositivo. Nulla di particolarmente innovativo, che meriti una trattazione autonoma, esprimendo a ben vedere un principio già invalso in giurisprudenza, senza deroghe particolari[18].

Per come dispone il nuovo comma 5-bis, l’effetto più rilevante e forse più dirompente nel futuro prossimo potrebbe essere quello deflattivo del contenzioso in sede di legittimità sul presupposto di un’accurata e motivata analisi da parte dei giudici tributari del materiale probatorio versato in sede processuale[19].

  • Novità in tema di ammissione della prova testimoniale.

Invero, più della vicenda afferente all’onere probatorio in sede giudiziaria, l’ammissione della prova testimoniale nei giudizi incardinati con ricorsi notificati a decorrere dal 16 settembre 2022 può rappresentarsi come la novità più rilevante apportata dalla riforma in commento.

In ordine alla necessità di perseguire come obiettivo quello di creare un sano rapporto tra il Fisco e il contribuente, anche e soprattutto nella fase contenziosa, da tempo oramai si aveva piane consapevolezza del fatto che la preclusione della prova testimoniale nel processo tributario mettesse in crisi il principio di parità delle parti processuali.

Ragion per cui tutti gli operatori del settore hanno convenuto positivamente il venir meno di tale divieto e che lo stesso costituisse un risultato di portata storica.

In specie, questo secondo intervento di modifica in tema di prova è rappresentato dall’eliminazione del divieto di prova testimoniale, con contestuale introduzione della prova testimoniale scritta, quale “nuovo” mezzo istruttorio ammissibile.

Orbene, il vecchio comma 4 dell’art. 7, d. lgs. n. 546 del 1992, il cui contenuto si riferiva al divieto di giuramento e di prova testimoniale, è stato integralmente sostituito dalla disciplina di cui al nuovo 4 comma ad opera dell’art. 4, comma 1, lett. c) della L. n. 130 del 2022.

Nel ribadire quindi con il primo periodo che non è possibile ammettere l’istituto del giuramento, nei due successivi periodi si ammette la prova testimoniale scritta, da assumere con le forme di cui all’art. 257-bis, c.p.c., dettando specifiche regole che ne disciplinano le condizioni di ammissibilità.

Novità processuale questa che, a prescindere dall’approdo giuridico, va incontro a quella parte della Dottrina che chiedeva a gran voce l’eliminazione del divieto di prova testimoniale[20].

Per converso, altra Dottrina riteneva il divieto imprescindibile in termini applicativi giacché il predetto avesse lo scopo di negare, in via applicativa, la prova testimoniale tipica di cui al codice civile e di procedura civile nel processo tributario[21].

Ad onor del vero, in linea con quest’ultima impostazione interpretativa ed in ossequio ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità[22], nel processo tributario non sono vietate le dichiarazioni/informazioni scritte di terzi, né quelle raccolte dall’Amministrazione finanziaria (risultanti dalla motivazione del provvedimento impugnato), men che meno quelle rese in giudizio dal contribuente. Cui prodest? Ovviamente dovrebbe giovarsene il Giudice tributario, trattandosi di elementi di prova liberamente valutabili che corroborano le altre eventuali risultanze probatorie ai fini del Decisum, cosi come una buona parte della dottrina che ha accolto positivamente l’ingresso in giudizio della nuova prova testimoniale scritta se intesa come volontà legislativa di “formalizzare” l’acquisizione processuale dell’“informazione del terzo”, trasformandola, quindi, da pro- va atipica (sino ad ora ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza di legittimità nella forma atipica delle “dichiarazioni scritte di terzi”) a prova tipica del processo tributario[23].

In conclusione, alla luce dell’iter normativo e delle modifiche testuali – dalla commissione Cananea[24] all’approvata novella n. 130 – l’ammissibilità in concreto del “nuovo” mezzo di prova è subordinata a due condizioni, rappresentabili, in primis, dal positivo superamento del giudizio di “necessità[25]” del mezzo istruttorio, nel senso che il Giudice tributario può, “deve” ammetterlo non se lo ritenga “assolutamente necessario”, bensì se lo ritenga “necessario ai fini della decisione”. La seconda condizione non può che riguardare l’oggetto della prova testimoniale scritta, dal momento che può, “deve”, essere ammessa “soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale” quando “la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fini a querela di falso”[26], venendo meno quel carattere di straordinarietà attribuito al mezzo istruttorio ed assumendo però maggior forza processuale con le forme di cui all’art. 257-bis c.p.c[27].

  • Conclusioni.

Alla luce delle considerazioni sino a qui svolte, la legge n. 130 ha avuto l’onere e si spera l’onore di rivoluzionare normativamente l’istruttoria nel processo tributario, offrendo maggiore affidabilità e capacità operativa.

Appaiono senz’altro positivi quindi gli interventi sull’onore probatorio e sull’introduzione della prova testimoniale scritta, tracciando un solco per quelle che possono essere le migliorie da apportare in sede di istruttoria processuale, circa i poteri cognitivi del giudice ad essa connessi, in ragione degli interessi in gioco e della particolare complessità degli istituti trattati.

Tuttavia, è auspicabile un intervento esplicativo della Suprema Corte in relazione a questo delicato tema, finalizzato ad evitare potenziali derive giurisprudenziali[28] che non diano dignità ad un processo che possa essere riconosciuto come giusto.


[1] Per più generali approfondimenti e ricerche sulla disciplina dei poteri istruttori del Giudice tributario, con riferimento alla vecchia disciplina processuale ex d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636, cfr., tra gli altri, TESAURO F., Sui principi generali dell’istruzione probatoria nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1978, II, pp. 203 ss.; Id., Ancora sui poteri istruttori delle commissioni Tributarie, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1988, II, 14 ss.; con riferimento alla disciplina processuale ex d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, cfr., in particolare, GLENDI C., L’istruttoria nel nuovo processo tributario, retro, 1996, I, 1126 ss. Cfr. di recente, tra gli altri, RUSSO P. – COLI F. – MERCURI G., Diritto processuale tributario, Milano, 2022, pp. 159 e ss.; TESAURO F., Manuale del processo tributario, Torino, 2020, pp. 160 e ss.; PISTOLESI F., Il processo tributario, Torino, 2021, 119 ss.;

[2] MELIS G., La legge 130 del 2022: lineamenti generali, in Giustizia insieme https://www.giustiziainsieme.it/it/news/74-main/126-diritto-tributario/2584-la-legge-130-del-2022-lineamenti-generali, il quale nel trattare della consistenza della prova in sede tributaria ha affermato che : “l’onere di dimostrare i fatti costitutivi della pretesa – nella nuova disposizione indicata con l’espressione «violazioni contestate con l’atto impugnato» – spetta sempre al Fisco, perché è esso che fa valere una pretesa in giudizio. Questo principio viene adesso incorporato in una regola di giudizio specificamente “tributaria” riguardante, appunto, il “come” il giudice tributario debba risolvere la controversia nel caso in cui la parte onerata non abbia raggiunto la prova dei fatti”.

[3] Testualmente, la formulazione codicistica in disamina, nel prevedere che: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”, riporta tradizionalmente ed automaticamente al brocardo latino “onus probandi incumbit ei qui dicit”; Tuttavia l’assoluzione dei fatti modificativi od estintivi su cui l’eccezione si fonderebbe, non è risultata, ante riforma, avvenire proprio con “puntuale e circostanziata dimostrazione oggettiva della pretesa” come previsto dall’onere probatorio rafforzato in sede tributaria cui alla Novella n. 130/2022 e della quale si tratterà in seguito. Sul punto si veda MULEO S., Riflessioni sull’onere della prova nel processo tributario, in Riv. Trim. Dir. Trib., 3/2021, Giappichelli, pp. 604 e ss., il quale ha posto l’attenzione sul fatto che “l’onere della prova grava su colui il quale ne trae effetti favorevoli, sopravanzando l’opposta teoria della vicinanza della prova”; in aggiunta LARENZ K., Leherbuch des Schuldrechts, Monaco, 1953; CAUMONT CAIMI C – PARDINI N., Nuova disciplina dell’onere della prova: la riscoperta del passato per un futuro più giusto, in Corr. Trib., 1, 2023, Wolters Kluwer, pp. 66 e ss., i quali hanno posto l’accento sulla questione ritenendo: “Quale fondamento normativo della regola della ripartizione dell’onere della prova come sopra definita, dottrina e giurisprudenza hanno tradizionalmente individuato l’art. 2697 c.c. Della “piena applicabilità nel processo tributario dell’art. 2697 c.c.” si veda anche Corte cost., Sentenza 29 marzo 2007, n. 109. In particolare nella nota di BATISTONI FERRARA F., La prova nel processo tributario: riflessioni alla luce delle più recenti manifestazioni giurisprudenziali, in GT-Riv. Giur. Trib, 2007, p. 745 si osserva come: “l’onere della prova grava sull’Amministrazione Finanziaria, in qualità di attrice in senso sostanziale, e si trasferisce a carico del contribuente soltanto quando l’Ufficio abbia fornito indizi sufficienti per affermare la sussistenza dell’obbligazione tributaria”.

[4] Della Dottrina tributaria maggioritaria favorevole all’applicabilità dell’art. 2607 c.c. si veda CIPOLLA G. M., La prova tra procedimento e processo tributario, CEDAM, 2005, pp. 546 ss.; si veda in prospettiva contraria nonché ultronei approfondimenti in relazione all’onere probatorio tributario anche OLIVA CORRADO C., L’onere della prova nel processo tributario, CEDAM, 2012, pp. 134 e ss.

[5] In particolare MULEO S., op. cit., pp. 605 e ss., richiama l’evoluzione, ad opera della giurisprudenza, della regola civilistica di cui all’art. 2697 all’indomani dell’intervenuta “rivoluzionaria” Sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13533 del 2001: “che ha superato il dato positivo dell’art. 2697 c.c. per leggerlo, quando serve, al contrario, valorizzando la vicinanza della prova. La Corte, movendo dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, indica che l’onere della prova deve essere “ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione”.

[6] MULEO S., op. cit., pp. 605 e ss., il quale nel richiamare il Supremo Collegio, pone l’accento sul dato per cui: “si rivela quindi conforme all’esigenza di non rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto del creditore a reagire all’inadempimento, senza peraltro penalizzare il diritto di difesa del debitore adempiente, fare applicazione del principio di riferibilità o di vicinanza della prova, ponendo in ogni caso l’onere della prova a carico del soggetto nella cui sfera si è prodotto l’inadempimento, e che è quindi in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore, sia questa diretta all’adempimento, alla risoluzione o al risarcimento del danno, fornendo la prova del fatto estintivo del diritto azionato, costituito dall’adempimento”.

[7] MULEO S., op. cit., pp. 605 e ss., riprendendo in specie CIPOLLA G. M., La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, p. 579, ebbe ad affermare che “la regola per cui l’incombenza dell’onere della prova sul soggetto che vanta una pretesa si basa, prima ancora che in una norma di legge, in una regola di buon senso e di ragionevolezza, e quindi che l’operatività di tale regola non passa necessariamente per l’operatività dell’art. 2697 c.c.”.

[8] ALLORIO F., Diritto processuale tributario, Torino, 1969, p. 363, il quale asseriva che in ordine alla regola generale di attribuzione dell’onere della prova, esso andasse, in ogni caso, addossato all’Amministrazione Finanziaria dal momento che essa si poteva avvalere, nell’accertamento dei fatti, di un ampio catalogo di presunzioni poste in proprio favore e giacché nel processo tributario essa riveste il ruolo di attore in senso sostanziale, benché non lo sia sotto un punto di vista formale; nel medesimo solco MELIS G., La legge 130 del 2022: lineamenti generali, in Giustizia insieme https://www.giustiziainsieme.it/it/news/74-main/126-diritto-tributario/2584-la-legge-130-del-2022-lineamenti-generali,

affermando che: “il riferimento all’art. 2697 c.c. – assunto da parte della giurisprudenza (diversamente dalla dottrina ma con conclusioni finali sostanzialmente analoghe) a fondamento della ripartizione dell’onere probatorio sin dalla storica sentenza 23 maggio 1979, n. 2990, con cui la Suprema Corte escluse definitivamente la c.d. “presunzione di legittimità degli atti” e ritenne, appunto, che ai sensi dell’art. 2697, co. 1, c.c. sia l’amministrazione a dover provare in giudizio i fatti costitutivi del proprio diritto e il contribuente i relativi fatti estintivi, impeditivi o modificativi ai sensi del successivo comma 2 – possa e debba essere definitivamente abbandonato, perché di esso non v’è ormai più necessità per supplire ad una assenza di una disposizione ad hoc ormai invece presente. Del resto, non solo l’applicabilità dell’art. 2697 c.c. al processo tributario costituisce da sempre tema controverso, ma la stessa scomposizione dei fatti giuridici tra fatti costitutivi, impeditivi, modificativi ed estintivi, come è stato osservato, è tutt’altro che agevole ed appagante. Cfr. CIPOLLA G. M., op. cit., p. 546 ss.; Cfr. TESAURO, L’onere della prova nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1986, I, p. 85; MULEO S., op. cit., pp. 605 e ss. il quale richiama MICHELI G.A., l’onere della prova, Padova, p. 42;

[9] GLENDI C., L’istruttoria del processo tributario riformato. Una rivoluzione Copernicana, in Dir. e prat. Trib., 6, 2022, pp. 2192 e ss. il quale ebbe a dichiarare in ordine alla novellata riforma tributaria che essa rappresenta: “nell’insieme, una vera e propria “rivoluzione copernicana”, si può ben dire, che trasforma profondamente la disciplina dell’istruttoria nel processo tributario, in termini di maggiore affidabilità e funzionalità operativa. Si veda anche MELIS G., op. cit., https://www.giustiziainsieme.it/it/news/74-main/126-diritto-tributario/2584-la-legge-130-del-2022-lineamenti-generali;

[10] Si veda CALIFANO C., Recentissime dalla Cassazione Tributaria: Un (tentativo di) dialogo fra dottrina e giurisprudenza Cass., ord. 27 ottobre 2022, n. 31878,in Riv. Tel. dir. trib., Pacini ed., pp. 1 e ss.

[11] Per accurata riflessione tecnico – pratica CAUMONT CAIMI C – PARDINI N., op. cit., p. 67, dalla quale discende la considerazione secondo la quale: “Consultando i resoconti della discussione parlamentare, e parafrasandone il contenuto, si comprende chiaramente che l’intento è stato quello di riportare sulla parte pubblica l’onere di provare la pretesa fiscale, disinnescando le inversioni probatorie (troppo spesso) applicate nel corso del tempo dall’Amministrazione, e convalidate dal giudice tributario”.

[12] In CALIFANO C., op. cit., p. 2, constata: “il tentativo in extremis da parte del Legislatore di codificare l’esigenza di limitare un sistema diffusamente improntato all’accertamento presuntivo ed una giurisprudenza di legittimità che prevalentemente interpreta il riparto dell’onere probatorio in senso statisticamente favorevole all’Erario. Continuando l’Autore nell’avvalorare il proprio convincimento aggiunge che: “Certamente l’intervento normativo è teso a rafforzare la regola di derivazione civilistica mutuando, in parte, il principio sancito dall’art. 2697 c.c. e codificando positivamente una regola per il bilanciamento dell’onere probatorio; se poi determini i suoi effetti soltanto nell’ambito del giudizio tributario, senza incidere sulla sugli elementi che determinano la fondatezza dell’atto impositivo è e sarà certamente oggetto di dibattito scientifico.

[13] In GLENDI C., op. cit., pp. 2192 e ss; lo stesso Autore continuando sostiene che “il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio”, il che, per la verità, non fa che ricalcare il principio, da tempo consolidato per ogni tipo di processo, del c.d. divieto della scienza privata del giudice, anche se l’averlo qui espressamente ribadito giova al connotato di complementarietà per quanto stabilito nel primo periodo e all’esaustività dell’intera disciplina dell’istruttoria nel processo tributario contenuta nel comma 5-bis e nell’intero art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992”. Ragion per cui andrebbe a rafforzarsi, peraltro con maggior vigore, un richiamo all’obbligo di valutazione degli elementi probatori con estrema ed assoluta prudenza.

[14] Cfr. MULEO S., Le “nuove regole” sulla prova nel processo tributario, in Giustizia insieme, https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-tributario/2451-le-nuove-regole-sulla-prova-nel-processo-tributario.

[15] ZAGÁ S., La “nuova” prova testimoniale scritta nel riformato processo tributario, in Dir. e prat. Trib., 6, 2022, pp. 2145 e ss.; altresì andrebbe a racchiudersi nel precedente convincimento la via per la quale: “in ottica processuale un simile obbligo motivazionale si traduce nell’indicazione dei mezzi di prova che l’Amministrazione finanziaria intende far valere per provare in giudizio la legittimità e la fondatezza della pretesa impositiva e/o sanzionatoria”. Cfr. anche RUSSO P., Manuale di diritto tributario (Il processo tributario), Milano, 2005, pp. 160 e ss.; CALIFANO C., Il difetto di motivazione degli atti impositivi, in Rass. Trib., 2010, p. 1214; GALLO F., Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione del pensiero della Corte, in Rass. Trib., 2001, pp. 1088 e ss.

[16] Vedi GLENDI C., op. cit., pp. 2192 e ss; su questo peculiare ed interessante tema ZAGÁ S., op. cit., 2143 e ss., intravede nella formulazione “della nuova disposizione di cui al comma 5-bis, dell’art. 7, d.lgs. n. 546 del 1992, (…) la funzione di far salve tutte quelle norme tributarie a carattere sostanziale che stabiliscono una diversa [rispetto a quella (sopravvenuta) ex art. 7, comma 5- bis, d.lgs. n. 546 del 1992] regola di ripartizione dell’onere della prova”, rifacendosi esemplificativamente alle presunzioni legali relative stabilite (in tema di cc.dd. indagini bancarie) dall’art. 32, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600; alle presunzioni di cessione e di acquisto ai fini Iva stabilite dall’art. 53, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633; ecc. Tuttavia, l’Autore rileva, non a torto, come non sia pacifico individuare in queste disposizioni alcuna natura sostanziale e di altre che, in modo più o meno analogo, stabiliscono presunzioni legali a favore dell’Amministrazione finanziaria, per converso sarebbe più corretto, in ossequio al parere di autorevole dottrina, riconoscerne la natura procedimentale, sul presupposto che: “a tutte quelle norme che, nell’ambito della disciplina delle attività accertative, subordinano l’emissione dell’atto impositivo all’esistenza di “fatti” dotati di un determinato livello di probabilismo cognitivo (ad esempio, l’esistenza di “elementi certi e precisi”, di presunzioni “gravi precise e concordanti”, ecc.), rappresentando questi “fatti” dei veri e propri presupposti procedimentali che legittimano l’emissione del provvedimento impositivo; Cfr. LA ROSA S., Istruttoria e poteri dell’ente impositore, in Riv. Dir. Trib., 2022, p. 292 e ss.

[17] In particolare si veda ARE C., L’onere della prova nel processo tributario: per la Cassazione nihil sub sole novi, Commento a Sentenza Cass., Sez. trib., Pres. Cirillo, Est. Giudicepietro – Ord. n. 31880 del 25 ottobre 2022, dep. il 27 ottobre 2022 in il fisco, 47-48, 2022, pp. 4575 e ss., con il quale articola il ragionamento agganciandolo a ciò che il Decisum ebbe a esprimere, in concomitanza con la nuova disposizione di cui al comma 5-bis dell’art. 7 “con riferimento alla quale si legge nell’ordinanza che “É appena il caso di sottolineare che il D. Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5-bis, introdotto con la Legge n. 130 del 2022, art. 6, ha ribadito, in maniera circo- stanziata, l’onere probatorio gravante in giudizio sull’Amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali, come nel caso di specie, non vi siano presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio. Pertanto, la nuova formula- zione legislativa, nel prevedere che ‘L’Amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni’ non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale”.

[18] Puntuale sulla quaestio la disamina di ARE C., op. cit., pp. 4576-4577, il quale ha evidenziato come: “Detta previsione, di cui non vi è traccia nella relazione parlamentare, ha originato due letture contrastanti. Da una parte vi sono coloro che attribuiscono alla novella un mero valore ricognitivo di una disciplina della ripartizione dell’onere della prova già oggi risultante dalla combinazione/integrazione dell’art. 2697 c.c. con il principio della c.d. vicinanza della prova; dall’altra coloro che, al contrario, ne valorizzano in parte qua l’efficacia di “monito” rivolto alla giurisprudenza. In sostanza, per i primi la norma non innoverebbe affatto, ma rappresenterebbe una mera conferma della giurisprudenza di legittimità secondo cui, muovendo appunto dall’art. 2697 c.c. (ritenuto applicabile al processo tributario), in materia tributaria, la prova, in caso di liti di impugnazione, incombe sull’Amministrazione in quanto attore in senso sostanziale, mentre incombe sul contribuente in quelle di rimborso. Questa regola va poi evidentemente collegata o integrata con il principio di vicinanza della pro- va e con le varie presunzioni legali (art. 2728 c.c.). Chi sostiene la tesi “monitoria” valorizza in tal senso i principi di effettività della tutela e del giusto processo con l’intento di avvicinare maggiormente la distribuzione dell’onere dimostrativo al criterio della vicinanza della prova, con la conseguenza che la nuova disposizione dovrebbe provocare una pressione sulla giurisprudenza per un revirement quanto ad alcuni orientamenti ritenuti penalizzanti per il contribuente. E tra questi soprattutto quello per cui nelle liti di impugnazione incombe sul contribuente l’onere di provare l’effettività e l’inerenza del costo (o, ai fini IVA, dell’impiego dell’acquisto in operazioni soggette al tributo), eventualmente anche nella prospettiva di una contesta- zione di antieconomicità. Tra queste due opposte posizioni si colloca, in posizione intermedia, altra dottrina, la quale ritiene che, se in effetti la novella non parrebbe modificare l’assetto della disciplina dell’onere della prova, comunque alla novella medesima un significato andrebbe assegnato e ciò nel senso che sia lecito attendersi che la nuova norma possa modificare le regole con cui l’onere della prova deve in concreto funzionare”. Per la tesi della Dottrina “ricognitiva” integrante il principio di “vicinanza della prova” si menziona DELLA VALLE E., La “nuova” disciplina del- l’onere della prova nel rito tributario, in il fisco, n. 40/2022, p. 3808 e ss.; DEOTTO D. – LOVECCHIO L., L’Amministrazione prova in giudizio i rilievi contenuti nell’atto impugnato, in il fisco, n. 39, 2022, pag. 3718; sulla natura “monitoria” verso la giurisprudenza MULEO S., op. cit., pp. 605 e ss., PISTOLESI F., Onere della prova al Fisco in nome di efficienza e trasparenza, in il Sole – 24ore del 12 agosto 2022, pag. 15; DE MITA E., È il momento della vera giurisdizionalizzazione del processo tributario, in Il Sole 24 Ore, 13 giugno 2022; in posizione mediana si veda CARINCI A., “Nuovo onere della prova con poche variazioni per la giurisprudenza”, in Eutekne del 4 novembre 2022, p. 2. Sulla Giurisprudenza in commento e rimanendo – Cass., Sez. trib., Pres. Cirillo, Est. Giudicepietro – Ord. n. 31880 del 25 ottobre 2022, dep. il 27 ottobre 2022 – estremamente specifica l’osservazione di MELIS G., op. cit., il quale asserisce che: “Da quanto sopra, ci sembra, dunque, la primissima affermazione fatta dalla Corte di cassazione sulla portata della nuova formulazione legislativa, secondo cui essa non «stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale», se per un verso attribuisce correttamente un ruolo centrale all’istruttoria dibattimentale nell’ambito dell’indicata dialettica del giudizio di fatto, per altro verso non dà conto né della notevole ampiezza della nuova “regola di giudizio” – tale da investire finanche la prova sulla (non) spettanza delle agevolazioni – né del sensibile innalzamento dell’asticella sulla valutazione della “consistenza” della prova offerta dall’Ufficio necessaria per vederne confermata la fondatezza della pretesa in giudizio”. Sul punto la giurisprudenza, con riferimento al tema della natura del nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del D. Lgs. n. 546/1992 parrebbe collocarsi sulla scia della prima tesi, sul presupposto che, come già detto, la distribuzione dell’onere della prova avviene combinando l’art. 2697 c.c. ed il criterio della vicinanza della prova tenendo conto della diversa tipologia delle liti (di impugnazione o di rimborso). In posizione opposta si pone una recente Giurisprudenza di merito, emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Siracusa – Sentenza n. 3856/2022 depositata il 23.11.2022 – che nell’articolare esegeticamente la norma introduttiva della mini-riforma tributaria, afferma sull’applicazione della disciplina che: “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato”, è stata introdotta nel processo tributario “…una nuova regola autonoma sorta per dirimere le questioni in ordine al riparto dell’onere della prova, superando così la portata dell’articolo 2697 del codice civile e con esso la trasposizione, talora impropria, nel processo tributario di dinamiche essenzialmente privatistiche. In base alla nuova regola, dunque, è inequivocabile che sia l’Amministrazione Finanziaria tenuta a provare le contestazioni afferenti a tutte le tipologie di violazioni, a prescindere che si controverta di maggiori ricavi o minori costi nel regime d’impresa”. (…) “la nuova disposizione sull’onere della prova introdotta dalla Legge n. 130/2022 consente senz’ombra di dubbio di superare questo equivoco, per cui anche per i componenti negativi di reddito l’onere probatorio non può che incombere sull’Amministrazione Finanziaria con l’unica eccezione riguardante le controversie da rimborso in relazione alle quali l’onere della prova rimane sempre a carico del contribuente”. Nello specifico vedi FABBRI A. – GRAZIADEI G., Una nuova regola per dirimere la questione del riparto dell’onere della prova, in Euroconference News, del 09.01.2023 https://www.ecnews.it/una-nuova-regola-per-dirimere-la-questione-del-riparto-dellonere-della-prova/.

[19] In particolare MELIS G., ibidem;

[20] Vedi in specie ZAGÁ S., op. cit., pp. 2146 e ss., evidenziando, rispetto al tema a nota, il superamento da parte della Corte cost. con la Sentenza n. 18 del 21 Gennaio 2000; sul punto in particolare MARELLO E., Il processo tributario: prevalenza (tradizionale) della scrittura e arbitrio (novella) del legislatore, in Giur cost., 2000, pp. 1090 e ss.

[21] Ancora si veda ZAGÁ S., op. cit., pp. 2146 e ss. il quale riprende GLENDI C., Prova testimoniale,principio dispositivo, onere della prova e oggetto del processo tributario, l’Editoriale di GTRiv. giur. trib., 9, 2007, p. 741, a mente del quale: “con una disciplina che risente dell’ancestrale inquadramento dell’informazione dei terzi nell’ambito della prova legale, che vincola il giudice e ne condiziona, più o meno, il libero convincimento, in netta contrapposizione con l’evoluzione dei tempi, che dovrebbe, conclusivamente, portare all’eliminazione della prova testimoniale tipica persino dall’ambito del processo civile”. Si veda MELIS G., op. cit., che in ordine all’operato del Legislatore sul punto, riferisce come: “sia pure con una formulazione che non brilla per chiarezza, esclude naturalmente la testimonianza nelle classiche ipotesi in cui lo strumento tipico per superare l’efficacia probatoria dei fatti attestati dal pubblico ufficiale è costituito dalla querela di falso.

[22] Cfr., Cass., ord. 27 ottobre 2021, n. 30209; Cass., 27 maggio 2020, n. 9903; Cass., 16 maggio 2019, n. 13174;

[23] Vedi in specie ZAGÁ S., op. cit., pp. 2147 e ss., aggiungendo altresì che la medesima debba essere catalogata non come prova legale bensì “come una prova (tipica) che il Giudice tributario deve valutare secondo il suo prudente apprezzamento (ex art. 116, c.p.c.)”.

[24] Sotto il profilo fattuale, sin dalla relazione finale dei lavori della Commissione, era stato proposto di sostituire il previgente 4 ̊ comma, dell’art. 7, d.lgs. n. 546 del 1992, con un nuovo 4 ̊ comma, così formulato: “non è ammesso il giuramento. Su istanza del ricorrente il giudice può autorizzare la prova testimoniale assunta in forma scritta ai sensi del codice di procedura civile su circostanze oggetto di dichiarazioni di terzi contenute in atti istruttori”.

[25] ZAGÁ S., op. cit., pp. 2147 e ss., il quale fa riferimento particolare a PISTOLESI F., Spazio alla testimonianza scritta ritenuta necessaria dal giudice, in il Sole 24 Ore, 11 agosto 2022, a tenore del quale il giudizio di necessità è: (preliminare) condizione di ammissibilità della “nuova” prova testimoniale scritta”. Di diverso avviso, nel senso di porre il giudice in un’ottica di rilevanza circa la valutazione della prova si veda MELIS G., Giustizia tributaria: obiettivi centrati, ma restano problemi ancora aperti”, in Guida al Diritto – Il Sole – 24 Ore n. 35 del 24 settembre 2022; sulla effettiva determinazione della prova necessaria ex ante si veda Cfr. FRANSONI G., “Considerazioni sul D.D.L. ‘Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari’ B) la prova testimoniale e i suoi limiti oggettivi”, in www.fransoni.it del 29 maggio 2022; si veda anche FORMICA P. – GUARNACCIA C., Riforma del processo tributario: intendimenti apprezzabili, ma istruttoria processuale da migliorare, in il fisco, pp. 3913 e ss.

[26] Sempre ZAGÁ S., op. cit., pp. 2147 e ss.

[27] ZAGÁ S., op. cit., pp. 2156, risulta particolarmente prudente rispetto al peso probatorio della predetta: “non al punto da attribuire alla prova testimoniale scritta valore di prova legale, in grado, cioè, di vincolare il convincimento del Giudice tributario

[28] Per una visione critica si veda MULEO S., Le “nuove regole” sulla prova nel processo tributario, in Giustizia insieme, https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-tributario/2451-le-nuove-regole-sulla-prova-nel-processo-tributario; si veda anche CALIFANO C., op. cit., p. 4, il quale ammonisce un’eventuale applicazione superficiale della normativa de qua ritenendo altresì che: “se la modifica normativa si riduce ad un mero enunciato di principio senza integrare un differente onere a carico degli Uffici, allora si avranno pronunce basate più sul principio giurisprudenziale di “vicinanza della prova” che su una valutazione delle prove basate su ragioni oggettive che siano propriamente e compiutamente «in coerenza con la normativa tributaria sostanziale”.