Angela Marcianò
SOMMARIO: 1.Le garanzie dei diritti dei lavoratori e la tutela dei crediti di lavoro .2.Il sistema dei privilegi e le garanzie nelle ipotesi di procedure concorsuali dopo l’attuazione del Codice della crisi d’impresa del 15 luglio 2022. 3.Le preclusioni per l’intervento dei creditori ex art.499 c.p.c. 4. L’espropriazione forzata per i crediti di lavoro nei confronti della P.A. 5. L’impignorabilità dei trattamenti pensionistici e il recente giudizio di incostituzionalità.
1.Le garanzie dei diritti dei lavoratori e la tutela dei crediti di lavoro
L’ordinamento circonda i diritti del lavoratore di una serie di garanzie, alcune di natura sostanziale ed altre di natura strumentale e processuale, nelle quali sono da ravvisare delle vere e proprie posizioni soggettive riconosciute al lavoratore in funzione del rafforzamento della tutela dei suoi diritti sia sostanziale ( e quindi degli interessi tutelati: per esempio, il diritto alla retribuzione) sia giurisdizionale (ad esempio, la provvisoria esecuzione delle sentenze di condanna in favore del prestatore di lavoro) della tutela dei diritti dello stesso lavoratore.
Nel diritto del lavoro il fenomeno della garanzia delle posizioni soggettive di vantaggio presenta caratteristiche peculiari in relazione alla natura dei diritti soggettivi garantiti e degli interessi tutelati[1].
Tra le diverse specie di garanzie dei diritti del lavoratore, un ruolo di primo piano hanno le garanzie attribuite al prestatore di lavoro nella sua qualità di titolare di diritti di credito.
Si tratta dunque di garanzie strutturalmente e funzionalmente non diverse da quelle rivolte al rafforzamento della comune responsabilità patrimoniale prevista (art.2740) a garanzia della generalità dei creditori, rispetto alla cui condizione viene attribuita al lavoratore una posizione di preferenza ( causa legittima di prelazione- cfr art.2741 c.c.) nel soddisfacimento sui beni del datore di lavoro.
La legge attribuisce poi al lavoratore una speciale tutela, nella forma del privilegio (art.2745 c.c.), in considerazione della causa del credito.
Storicamente questa è stata la forma più antica di garanzia specifica del diritto alla retribuzione, del quale mira a realizzare la funzione di sostentamento, anche sul piano quasi alimentare, dell’attuazione della corrispondente obbligazione.
Valenza generale hanno anche le cause legittime di prelazione previste a favore del lavoratore per la garanzia dei crediti sui beni del debitore datore di lavoro.
In ragione della peculiarità degli interessi tutelati, la legge riconosce determinati diritti di prelazione sui crediti derivanti dal rapporto di lavoro dipendente e dal rapporto previdenziale a favore di determinate categorie di lavoratori.
In particolare, come si dirà più compiutamente in seguito, l’art. 2751 bis c.c. riconosce un privilegio generale sui mobili per i crediti riguardanti le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché per il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali e assicurativi obbligatori e il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile.
Su un piano diverso si pone la c.d. azione diretta di rivalsa prevista dall’art.1676 c.c., secondo cui nel contratto di appalto il prestatore di lavoro dipendente dall’appaltatore può rivalersi, per i propri crediti, nei confronti del committente e fino alla concorrenza del debito di costui verso l’appaltatore. Questa tutela va coordinata con quanto disposto dall’art.29,co.2, d.lgs.n.276/2003[2],che disciplina una particolare ipotesi di responsabilità solidale fra committente e appaltatore ( ed eventuali subappaltatori), da far valere entro due anni dalla cessazione dell’appalto, per i trattamenti retributivi, comprese le quote di tfr, nonché i contributi previdenziali ed i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto[3].
Considerato che entrambe le previsioni hanno un campo di applicazione in larga parte sovrapposto e ugualmente finalizzato a rafforzare la tutela del credito dei lavoratori, si può ritenere che il rimedio dell’art.1676 c.c. operi limitatamente al caso in cui sia decorso il biennio previsto dall’art.29, co.2, d.lgs.n.276/2003. La normativa ha subito una modifica ad opera del Decreto Legge n. 25 del 17 marzo 2017, conv. L.20 aprile 2017,n.49[4]. La novella ha eliminato dal corpo dell’art.29,co.2, il beneficio di escussione opponibile dal committente rispetto al patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori.
Il nuovo regime rende evidentemente più semplice per il lavoratore ottenere il pagamento delle retribuzioni non corrisposte, evitando di dover attendere tempi più lunghi e sostenere maggiori oneri per il recupero dei propri crediti[5].
Tre sono le specifiche garanzie che accompagnano la tutela dei diritti e, in particolare, del credito di retribuzione. L’art.432 c.p.c., con riferimento alla valutazione equitativa dell’ammontare delle somme dovute al lavoratore, prevede che il giudice debba disporre la liquidazione quando sia certo il diritto che ne costituisce il titolo, a non la somma dovuta.
L’art.431,co.1, dispone che la sentenza di condanna per i crediti di lavoro sia indefettibilmente munita di clausola di provvisoria esecuzione[6]. Sulla stessa linea si colloca l’analogo disposto dell’art.423 c.p.c per l’ordinanza di immediato pagamento delle somme non contestate e per l’ordinanza relativa alla c.d. provvisionale in favore del lavoratore[7].
L’art 429 c.p.c. al co. 3 prevede, oltre al normale credito per gli interessi legali di mora in conseguenza del ritardato pagamento, il diritto al risarcimento del maggiore danno derivante dalla svalutazione monetaria dei crediti di lavoro, da liquidarsi anche d’ufficio.
Per effetto di tale cumulo, il rafforzamento della tutela del credito di retribuzione comporta la surrogazione del salario reale al salario nominale, ed in definitiva, una sanzione pecuniaria- assimilabile ad una penale, in questo caso stabilita ex lege-gravante sul datore di lavoro per il ritardato pagamento[8].
Analoghe considerazioni valgono anche per la tutela dei crediti previdenziali, nonché di quelli retributivi dei pubblici dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici, anche se, per effetto del divieto di cumulo e del riconoscimento del solo diritto alla maggior somma tra interessi e rivalutazione, in questi casi la disciplina speciale si presenta meno favorevole.
Le garanzie sostanziali dei diritti del lavoratore vengono inoltre presidiate dalla previsione di speciali forme processuali attraverso le quali tali diritti, in ipotesi di violazione, possono ottenere una più immediata ed efficace tutela.
La tutela giurisdizionale esecutiva, in particolare, consente di misurare la portata del principio della par condicio creditorum e l’intensità del suo livello di attuazione in rapporto alle differenti posizioni sostanziali collegate alla natura dei crediti di lavoro.
Tuttavia l’apparato di tutela del credito di lavoro difetta di un adeguato coordinamento tra le disposizioni sostanziali e costituzionali, da un lato, e quelle processuali del lavoro e dell’esecuzione dall’altro. I limiti del sistema impediscono alla tutela esecutiva del credito di lavoro di raggiungere gli aspirati risultati in termini di effettività, finendo per relegarla su un piano prevalentemente teorico, a dispetto della sua connaturata funzione di giustizia improntata a valori costituzionalmente protetti.
2.Il sistema dei privilegi e le garanzie nelle ipotesi procedure concorsuali dopo l’attuazione del Codice della crisi d’impresa del 15 luglio 2022
Per i rapporti di lavoro, accanto ad un peculiare sistema protettivo che tende a neutralizzare la condizione di inferiorità socioeconomica del lavoratore e la sua tendenziale attitudine a tradursi in negozi o comportamenti abdicativi, vige un’articolata serie di garanzie finalizzate alla effettiva soddisfazione dei crediti, soprattutto retributivi del lavoratore[9].
Le cause di prelazione costituiscono ius singulare e trovano la loro fonte nel diritto sostanziale e non nel processo esecutivo che, dal canto suo, non può istituirne di nuove e deve attenersi alla condizione dei crediti (e dei creditori) nel contesto del diritto sostanziale.
Tra le cause legittime di prelazione accordate dalla legge rileva in materia di crediti di lavoro il privilegio. Il titolare di questo diritto potrà essere soddisfatto con precedenza rispetto ad altri creditori c.d. chirografari. Si tratta di un titolo di prelazione accordato dalla legge in considerazione della causa del credito (sed ex causa), essendo una qualificazione di quest’ultimo e non motivo di origine di un diritto autonomo[10].
Il privilegio è generalmente occulto perché non risulta da mezzi di pubblicità, ad eccezione di casi tassativi sorretti da finalità di conoscenza della ragione di preferenza per i terzi e non possiede il diritto di sequela a differenza del pegno e dell’ipoteca che sono diritti reali di garanzia.
Tra i crediti la legge prevede apposite graduatorie di priorità così il diritto del lavoro registra privilegi speciali, (che si esercitano su alcuni beni determinati in ragione della connessione esistente tra il credito e tali beni): ad es., hanno privilegio speciale sulla nave o sull’aereo crediti dei componenti dell’equipaggio (artt. 552,n.2, e 1023,n.2,cod.nav.); i crediti per lavoratori agricoli di coltivazione e raccolta hanno privilegio sui frutti, finché questi ultimi si trovano nel fondo o nelle sue dipendenze (art.2757 cod.civ.).
Più rilevanti ed incisive sono le ipotesi di privilegi generali, che si esercitano su tutti i beni mobili del debitore, nel senso di una soddisfazione prioritaria sul ricavato della vendita di tali beni in sede di esecuzione forzata. Tali norme trovano applicazione in particolare nelle ipotesi di insolvenza dell’imprenditore ed altre procedure concorsuali.
Nel caso dell’art. 2751 bis c.c[11]i privilegi sono il prodotto di un riconoscimento effettuato dal legislatore alla causa del credito, in virtù della centralità assunta dall’attività lavorativa dei soggetti creditori, indipendentemente da ogni rapporto con i beni mobili soggetti ad esecuzione.
In particolare, si tratta di : 1)crediti riguardanti le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi titolo, ai prestatori di lavoro subordinato, le relative indennità sociali, il risarcimento del danno subito dal lavoratore dipendente per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile; 2) crediti riguardanti le retribuzioni dovute ai prestatori di lavoro autonomo, per gli ultimi due anni di prestazione[12]; 3)crediti relativi alle provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per l’ultimo anno di prestazione, 4) crediti maturati dal coltivatore diretto come corrispettivo della vendita dei propri prodotti;5) crediti aventi ad oggetto il corrispettivo dei servizi prestati o dei manufatti venduti da imprese artigiane o società ed enti cooperativi di produzione e lavoro; 6) crediti delle società cooperative agricole e dei loro consorzi per i corrispettivi della vendita dei prodotti. In particolare la Suprema Corte . con sentenza n.7085 del 3 marzo 2022[13] ha precisato che anche la natura cooperativa e mutualistica dell’impresa non è per sé idonea a giustificare l’applicazione del privilegio, essendo comunque necessari specifici requisiti quali, da un lato, l’effettiva pertinenza e correlazione del credito di lavoro dei soci, dall’altro la prevalenza dell’apporto lavorativo di questi ultimi rispetto a quello dei dipendenti non soci, che non solo impongono di enucleare nell’ambito del fenomeno cooperativistico una più ristretta area di imprese ammesse a beneficiare del privilegio, ma escludono anche la possibilità di fare ricorso, a tal fine, a parametri diversi da quelli indicati. E’ evidente che l’art. 2751 bis c.c, pur introdotto dalla legge 29 luglio 1975, n.426, trova ancor oggi fondamento nella crescente importanza che ha assunto il lavoro nel nostro ordinamento ed affonda le sue radici nella Carta Costituzionale, rappresentando un ulteriore tassello di un mosaico di evoluzione legislativa, che aveva già registrato al suo interno, andando a ritroso, la riforma del rito del lavoro del 1973, l’entrata in vigore dello Statuto del lavoratori nel 1970 e ancor prima la legge sui licenziamenti individuali nel 1966. La norma si inserisce, pertanto, in un contesto storico contrassegnato da una spinta riformista protrattasi per più di un decennio e finalizzata a garantire al rapporto di lavoro e, in particolare, al credito di lavoro un’elevata protezione , attesa la sua funzione economica sociale.
La Corte Costituzionale, negli anni successivi, ha aggiunto il privilegio del credito per i danni da demansionamento[14] e quello per danni conseguenti ad infortunio sul lavoro e malattia professionale dei quali sia responsabile il datore[15]. Nell’ordine di concorso dei numerosi crediti privilegiati a vario titolo, questi crediti del lavoratore sono prioritari, in quanto collocati immediatamente dopo le spese di giustizia e sono preferiti ad ogni altro credito privilegiato contemplato da leggi speciali (art.2777-2778 cod.civ.).
L’art.2776 cod.civ. stabilisce inoltre che, in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, i crediti del lavoratore dipendente sono collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai crediti chirografari. Con riferimento a tale collocazione sussidiaria la L.n.297/1982 ha modificato la graduatoria dei privilegi, anteponendo i crediti relativi al trattamento di fine rapporto e all’indennità sostitutiva del preavviso rispetto a tutti gli altri crediti privilegiati e posponendoli soltanto rispetto ai crediti ipotecari.
La più intensa tutela del trattamento di fine rapporto rispetto a quella accordata agli altri crediti del lavoratore e segnatamente alla retribuzione pare comprensibile in ragione della entità quantitativa, solitamente rilevante, del credito a titolo di TFR, che rende opportuno reperire con precedenza la somma corrispondente nel patrimonio immobiliare dell’imprenditore[16].
Le norme sui privilegi trovano applicazione anche all’ipotesi di assoggettamento del datore di lavoro ad un delle procedure concorsuali, da ultimo oggetto di una revisione organica ad opera del d.lgs 10 gennaio 2019,n.14 , c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, entrato in vigore il 15 luglio 2022[17]. Con questo conclusivo intervento normativo il legislatore, tra le altre novità, prevede il definitivo accantonamento del sistema di allerta, così come originariamente previsto, e rende ancor più centrali le nuove misure idonee e gli assetti che consentano di rilevare tempestivamente, praticamente in modo automatico, la presenza di uno stato di crisi ed intervenire (anche) ricorrendo al nuovo istituto della composizione negoziata della crisi introdotta con il D.L. n. 118/2021, convertito nella legge n. 147/2021.
Questo strumento, applicabile dal 15 novembre 2021 è attivabile su richiesta dell’imprenditore, sia commerciale che agricolo, senza limitazioni di tipo dimensionale in relazione alla sua utilizzabilità.
L’imprenditore che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario, rivolgendosi alla CCIAA di riferimento del proprio territorio (capoluoghi di regione o province autonome), può richiedere la nomina di un esperto indipendente quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa. Il soggetto incaricato, in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 c.c., ed in assenza di legami di natura personale e professionale con l’impresa e con altre parti interessate all’operazione di risanamento, dovrà agevolare le trattative dell’imprenditore, avendo come obiettivo il superamento dello squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rende probabile la crisi o l’insolvenza.
La tutela dei crediti di lavoro andrà dunque coordinata con tale nuovo assetto normativo, ancorché non vi siano modifiche riguardanti la disciplina dei privilegi contenuta nel codice civile.
L’intento di definire, nel quadro normativo delle procedure concorsuali, delle regole anche ai fini lavoristici è certamente apprezzabile e sotto alcuni profili pare condivisibile anche negli esiti: si pensi al riguardo alla definizione di periodi di sospensione dei rapporti di lavoro ben definiti entro i quali il curatore deve optare per il subentro od il recesso oppure alla opportuna semplificazione della procedura di licenziamento collettivo in caso di liquidazione giudiziale.
Ciò non toglie che in altri casi dalla lettura ed interpretazione delle norme possa nascere qualche motivo di riflessione, il primo dei quali riguarda il raggiungimento o meno di un punto di equilibrio tra le esigenze, da un lato, di celerità e certezza delle procedure, di soddisfazione degli interessi dei creditori e di ricerca della continuità aziendale e, dall’altro lato, di salvaguardia dell’occupazione e più in generale di tutela dei diritti dei lavoratori.
3.Le preclusioni per l’intervento dei creditori ex art.499 c.p.c.
Nell’espropriazione forzata si rinvengono i fattori di maggiore criticità per la tutela del credito di lavoro, specie in riferimento alla disciplina dell’intervento dei creditori di cui all’art.499 c.p.c.
Pur trattandosi di un fenomeno accidentale, l’intervento rappresenta un potenziale snodo fondamentale di ogni procedura esecutiva, in quanto preordinato a dar voce alle istanze di tutti i creditori. In questo contesto il credito di lavoro soffre di una compressione della sua tutela esecutiva per un duplice ordine di ragioni: la prima attiene all’assenza di un ruolo rilevante per il privilegio ex art.2751 bis c.c; la seconda riguarda la discriminazione tra i creditori legittimati all’intervento attuata dalla legge 14 maggio 2005, n.80 e dall’art 1 della l.28 dicembre 2005,n.263[18].
Entrambe le considerazioni si ricavano dalla lettura della norma processuale, in particolare del comma 1 dell’art.499 c.p.c.
Secondo una concezione tradizionale della dottrina, dal principio della responsabilità patrimoniale del debitore ne consegue, come logica conseguenza, il diritto di tutti i creditori a partecipare alla distribuzione del ricavato dell’espropriazione individuale.
Tutti i creditori, appurata la sussistenza di tale diritto, devono poter concorrere al riparto dei beni del debitore anche se privi di un titolo esecutivo.
Quest’ultimo è sempre stato soltanto condizione necessaria per il compimento degli atti dell’esecuzione e non fonte di discriminazione tra i creditori nella fase del riparto.
Il codice del 1942, a differenza di quello del 1865 in cui l’espropriazione era consentita ad un solo creditore in possesso di titolo esecutivo, avrebbe ammesso semplicemente l’intervento nell’espropriazione di tutti i creditori aventi diritto al concorso, come una soluzione tecnica e non come meccanismo di affermazione della par condicio creditorum.
Il diritto a partecipare alla distribuzione spettava soltanto a quei creditori in possesso di un titolo per un diritto di credito certo, liquido e esigibile.
Le leggi di riforma del 2005 hanno radicalmente cambiato scenario limitando espressamente, ai sensi dell’art.499,c.1,c.p.c, l’intervento alle seguenti figure di creditori: creditori muniti di titolo esecutivo; creditore sequestrante al momento del pignoramento; creditore il cui credito sia già garantito da pegno o ipoteca risultante da pubblici registri (c.d. creditori iscritti) al tempo del pignoramento; creditore il cui credito, al momento del pignoramento, risulti dalle scritture contabili ex art.2214 c.c.
In esito al criterio selettivo adottato dal legislatore si evidenziano mutamenti in negativo sulla posizione dei creditori per ragioni di lavoro. Dalla nuova disciplina infatti emerge un’esclusione di tutti i creditori che, seppure titolari di un credito assistito da un diritto di prelazione, non rientrino tra quelli il cui diritto è garantito da pegno, ipoteca o prelazione risultante da pubblici registri.
Si tratta della categoria dei c.d. creditori iscritti, destinatari dell’atto di avviso di cui all’art.498 c.p.c.
Il privilegio che assiste i crediti di lavoro ai sensi dell’art.2751 bis, non consiste in un diritto di prelazione a cui la legge riconosce la meritevolezza all’iscrizione in un pubblico registro, nonostante ai privilegi che assistono tali crediti sia stata attribuita la prevalenza su ogni altro privilegio, fatta eccezione unicamente per le spese di giustizia.
Da tale dato di diritto sostanziale si può desumere che il legislatore processuale, in un’ottica di snellimento del processo esecutivo, ne abbia tratto elemento utile per estromettere i creditori privilegiati ex art.2751 bis c.p.c. dalla categoria dei legittimati all’intervento, a meno che non abbiano un titolo esecutivo.
Ritenuto l’intervento nell’espropriazione come una vicenda eventuale, lo sbarramento compiuto dal legislatore processuale appare in netta contraddizione rispetto alla posizione assunta dal credito di lavoro nell’ambito dell’esecuzione concorsuale.
E’ il medesimo credito privilegiato che viene in rilievo, ma al quale l’ordinamento riserva un trattamento differente a seconda della natura dell’esecuzione nonostante vi sia un’unica norma sostanziale giustificatrice della causa legittima di prelazione.
Il vulnus della tutela del credito di lavoro (avuto riguardo all’art.2751 bis c.c.) assume ancora maggiore pregnanza se si considera che le scritture dell’imprenditore ex art.2214 c.c., legittimanti l’intervento, sono divenute fonte di un trattamento “privilegiato” rispetto ai creditori non titolati esclusi che possono essere, tuttavia, muniti di causa di prelazione.
Le esigenze di celerità del processo esecutivo sottese alla riforma del 2005 non sembrano poter superare la critica volta a sottolineare la funzione di sostentamento, ex art. 36 Cost., assunta dalla retribuzione al fine di garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Si tratta di un vero e proprio scollamento tra la disciplina dettata dalla legge sostanziale, la normativa processuale ed i principi costituzionali.
Un secondo fattore di criticità della disciplina dell’intervento è costituito dalla compressione della par condicio creditorum attuata dalla riforma del 2005, in virtù del restringimento della platea dei creditori legittimati ad intervenire ai soli muniti di titolo esecutivo, ad eccezione, delle altre figure ammesse ai sensi del comma 1 dell’art.499 c.p.c[19].
Anche in questa ipotesi l’esigenza di velocizzare il processo è stata ritenuta prevalente rispetto alla par condicio creditorum[20]. L’innovazione legislativa nel subordinare l’intervento dei creditori alla disponibilità di un titolo esecutivo, prescindendo dalla natura del credito, tradisce il principio della parità di trattamento[21], che costituisce il presupposto normativo del sistema della responsabilità-garanzia patrimoniale impressa nel codice civile.
Il titolo esecutivo non è e non può divenire una causa di prelazione riconosciuta dall’art.2741 c.c. perché questo svuoterebbe il processo esecutivo della sua funzione strumentale per trasformarlo in uno strumento capace di attribuire cause di prelazione di natura processuale.
Le modifiche legislative sollevano ulteriori perplessità anche sotto il profilo della compatibilità con il dettato costituzionale[22].
In particolare, in riferimento all’art.24 Cost., che riconosce il diritto a una tutela adeguata tanto nella fase di accertamento che in quella d’esecuzione, è stato obiettato che il legislatore abbia vulnerato un canone fondamentale dei rapporti tra diritto sostanziale e processo, poiché quest’ultimo deve assumere il ruolo di attuazione e non di distorsione del diritto sostanziale.
E’ stato inoltre osservato che il nuovo testo dell’art.499 c.p.c. comporti una violazione del principio di uguaglianza tra i creditori ai sensi dell’art.3 Cost., in attuazione del quale quest’ultimi dovrebbero poter realizzare tutti i loro diritti al momento in cui i beni del debitore siano sottoposti ad espropriazione, fatte salve le cause legittime di prelazione[23].
La parità di trattamento e il concorso tra i creditori rappresentano un paradigma di esigenza in quanto preordinati a garantire sia una dinamica di uguaglianza tra i creditori sia la strumentalità del processo rispetto alle posizioni sostanziali.
Il processo di esecuzione non deve pertanto attribuire cause di prelazione di natura processuale che possano generare una disarmonia nel sistema, ma il suo scopo, intimamente ancorato al principio di parità di trattamento ex art. 3 Cost. ed a quello di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art.24 Cost., è quello di assicurare la soddisfazione dei diritti preesistenti e il principio di eguaglianza tra i creditori nella fase distributiva[24].
Contrariamente un’altra parte della dottrina[25] ha ritenuto la scelta del legislatore di limitare l’intervento a soli creditori muniti di titolo esecutivo non incompatibile, di per sé, con i principi costituzionali, dal momento che ciascun creditore ha la possibilità di procurarsi un titolo esecutivo necessario per intervenire nell’espropriazione da altri iniziata e ottenere, in tal modo, la tutela del proprio credito in via esecutiva.
Quest’ultimo orientamento trarrebbe fondamento dalla tesi [26] secondo cui i principi costituzionali non impedirebbero, ai creditori privi di titolo, una tutela in sede esecutiva attraverso l’intervento dell’espropriazione da altri iniziata.
Il creditore privo di titolo esecutivo se lo potrebbe procurare in sede cognitiva (anche stragiudiziale) ovvero chiedere misure cautelari a tutela della futura capienza del suo credito.
Tuttavia il distacco tra diritto sostanziale e costituzionale e diritto dell’esecuzione è palese in quanto le limitazioni a carico del creditore per ragioni di lavoro a partecipare alla procedura esecutiva da altri intrapresa contro il medesimo debitore si traducono in una abrogazione implicita del privilegio di cui all’art.2751 bis c.p.c. e in una discriminazione dei creditori per mancanza di un titolo esecutivo o di un credito risultante da scritture contabili ex art.2214 c.c.
La lesione della posizione sostanziale del creditore difficilmente può essere colmata mediante il ricorso alla tutela monitoria o d’urgenza, in quanto quest’ultime sono spesso condizionate da numerose variabili caratterizzanti la natura del credito nel caso concreto e la sua ragione d’origine e possono consentire al lavoratore creditore di ottenere un titolo esecutivo nelle more di una procedura esecutiva già pendente al fine di riequilibrare le posizioni sostanziali di tutti i creditori soltanto in ipotesi peculiari. Tra l’altro il ricorso a queste forme di tutela, per la formazione di un titolo nelle more di una procedura esecutiva già pendente, mal si concilia con una logica di razionalizzazione, cui tende il legislatore processuale da molti anni, comportando per il creditore una duplicazione dei posti e un crescente rischio di infruttuosità dell’espropriazione per assottigliamento della garanzia patrimoniale del suo debitore. E’ possibile di conseguenza affermare che il credito di lavoro non beneficia di una piena tutela all’interno della disciplina dell’intervento dei creditori nell’espropriazione, la quale presenta profili d’incostituzionalità come evidenziato da una parte della dottrina[27].
Nell’ottica di garantire il principio di uguaglianza tra creditori, non può inoltre essere trascurata la difficoltà di esecuzione del titolo esecutivo per i crediti di lavoro il cui diritto difetti dei requisiti della liquidità e/o della certezza. Può accedere, infatti, che il credito sia contenuto in un titolo esecutivo giudiziale, ma che quest’ultimo in mancanza dei suddetti requisiti del diritto, non sia reputato idoneo all’azione esecutiva con conseguente necessità di procedere alla sua eterointegrazione ad opera del giudice dell’esecuzione.
Ragionando in termini analoghi, la problematica potrebbe condizionare anche l’intervento dei creditori muniti di un titolo esecutivo per un diritto di credito non liquido e non certo.
In virtù della scelta del legislatore del 2005, pertanto, la sussistenza del titolo esecutivo in sé può essere in astratto una potenziale fonte di disparità anche tra gli stessi creditori titolati sulla base delle caratteristiche del diritto consacrato nel documento.
E’ evidente dunque che il credito di lavoro si trovi un una condizione “non privilegiata” nell’espropriazione forzata, in quanto stravolto il tradizionale principio, secondo il quale le discriminazioni tra i creditori possono essere giustificate soltanto in presenza di cause di prelazione, il legislatore ha vietato l’intervento ai creditori privi di titolo esecutivo e abrogato implicitamente il privilegio di cui all’art.2751 bis c.c. La scelta del legislatore del 2005 va in direzione diametralmente opposta alla ratio della legge 533 del 1973 che rappresentava il punto di arrivo di un decennio di contrasti sociali in difesa dei diritti della parte lavorativa debole e il potenziale punto di partenza di un percorso di affermazione di uguaglianza. In altre ipotesi (basti pensare alle riforme sulle semplificazioni dei riti o sulle impugnazioni dal 2006 al 2016) il legislatore ha sacrificato diritti costituzionalmente garantiti sull’altare dell’efficienza del processo. Ben diversa sarebbe stata una soluzione legislativa adottata nella prospettiva neutra di non attribuire prevalenza al credito di lavoro rispetto ad un interesse allo stesso opposto. Si pensi al mancato coordinamento tra l’art.18 Stat.lav. introdotto dalla legge 300 del 1970 e l’art.612 c.p.c. Secondo l’interpretazione maggioritaria della dottrina e della giurisprudenza, infatti, il legislatore, del 1970 nell’affermare il diritto del lavoratore legittimamente licenziato alla reintegra sul luogo di lavoro non lo ha reputato prevalente rispetto al contrapposto e inderogabile interesse privato (costituzionalmente rilevante) del datore di lavoro all’inviolabilità della sfera di autonomia del suo potere organizzativo. Differentemente nella fattispecie giuridica dell’art.499 c.p.c. l’interesse alla celerità del processo esecutivo, da perseguirsi attraverso il filtro del possesso del titolo esecutivo, appare antitetico e preminente rispetto al valore di tutela del credito, in particolare quello di lavoro il cui fondamento è riconducibile al dettato costituzionale. In sostanza , all’interno della categoria dei creditori è stata attuata una selezione ad opera del legislatore , con conseguente realizzazione di una disparità tra di essi, sulla base di un presupposto formale-documentale scisso dall’effettiva consistenza della posizione sostanziale. La questione riveste una posizione nevralgica non soltanto in termini generali nella prospettiva del trattamento paritario di tutti i creditori ex art. 2741 c.c., ma anche sul piano della tutela e dell’esercizio del diritto di credito di lavoro, in quanto negare l’accesso all’esecuzione ad un creditore equivale a privarlo del diritto di attuare il suo stesso credito a rilevanza costituzionale, anche tenuto conto della possibile futura incapienza del patrimonio del debitore.
4. L’espropriazione forzata per i crediti di lavoro nei confronti della P.A.
Nell’ambito della tutela esecutiva del credito di lavoro un’ipotesi peculiare riguarda l’espropriazione forzata promossa ai danni della Pubblica amministrazione nella qualità di debitore per somme derivanti da rapporto di lavoro.
In questo caso si contrappongono, da una parte, l’esigenza di tutela del credito di lavoro e dall’altra gli interessi pubblici che giustificano l’esistenza stessa delle P.a.
La natura pubblica della figura datoriale non è di per sé motivo di garanzia patrimoniale, ed infatti, l’alea dello stato di salute dell’Ente e l’incertezza sull’esistenza di più o meno vincoli di somme a bilancio, conducono spesso il creditore a desistere dai propri propositi di tutela.
Il diritto di credito e la conseguente azione esecutiva devono misurarsi con gli interessi pubblici di cui la pubblica amministrazione, quale datore di lavoro, si fa portatrice[28].
Il tradizionale principio della garanzia patrimoniale deve essere allora adeguato in riferimento alla posizione soggettiva Stato debitore.
Il quadro normativo non contiene delle disposizioni ad hoc a tutela del credito del pubblico dipendente o di colui che presta la propria attività professionale in favore della P.A.
Per esigenze di coordinamento con il diritto processuale amministrativo, trovandoci in un territorio confinante con quest’ultimo, occorre evidenziare come, in alternativa alla tutela esecutiva, il creditore, che disponga di un titolo esecutivo non più impugnabile nei modi ordinari, può esperire un giudizio di ottemperanza nei confronti della P.a. debitrice inadempiente al fine di realizzare coattivamente il suo credito[29].
La giurisprudenza amministrativa ha inoltre ammesso il cumulo delle tutele, ritenendo ammissibile la proposizione di un giudizio di ottemperanza per l’esecuzione di un’ordinanza di assegnazione del credito resa ai sensi dell’art. 553 c.p.c. nell’ambito di un processo di espropriazione presso terzi, emessa nei confronti di una pubblica amministrazione o soggetto ad essa equiparato ai sensi del c.p.a., avendo portata decisoria ( dell’esistenza e ammontare del credito e della sua spettanza al creditore esecutante) e attitudine al giudicato, una volta divenuta definitiva, per decorso dei termini di impugnazione, è suscettibile di esecuzione mediante giudizio di ottemperanza (art.112,comma 3,lett.c.), art. 7 comma 2, c.p.a.
Per comprendere il regime di pignoramento nei confronti della P.A. per crediti di lavoro occorre rammentare che ai sensi dell’art. 409 c.p.c. la fonte del credito deve essere un rapporto di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica o rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico ( anche per la collaborazione di un professionista con la P.A), sempreché non siano devoluti dalla legge ad altro giudice. I crediti di lavoro oggetto di titoli esecutivi di formazione giudiziale nell’ambito della giurisdizione ordinaria, a differenza del lavoro subordinato privato, non discendono esclusivamente da situazioni patologiche del rapporto lavorativo, quali il mancato versamento della retribuzione o del TFR ( vicende di massima improbabili nel pubblico impiego attesa la solvibilità della P.a nei confronti dei suoi dipendenti), bensì trovano in molti casi la loro cristallizzazione al termine di controversie, instaurate prevalentemente a rapporto intercorso, al fine di ottenere una pronuncia di accertamento, e di conseguente condanna, della sussistenza di un credito derivante dallo svolgimento di mansioni o di funzioni all’interno dell’Amministrazione. Una volta ottenuto il titolo esecutivo, il creditore non si trova nella posizione potenzialmente esposta all’insolvenza del debitore pubblico, ma dinnanzi al pericolo di un’irrecuperabilità del credito a causa dei tempi di pagamento della p.a. o della difficoltà di espropriare i crediti di quest’ultima.
5. Vincoli di destinazione del credito e impignorabilità dei trattamenti pensionistici
Accanto alle cause di prelazione, volte a garantire il soddisfacimento dei crediti del lavoratore, vanno ricordati i vincoli alla destinazione dei medesimi crediti, destinati a garantirne al titolare la fruizione, nei confronti non più del debitore, ma dei propri creditori. La legge[30] stabilisce l’assoluta impignorabilità, oggettiva e soggettiva, degli assegni familiari (che, però hanno natura di prestazione previdenziale e non di credito per retribuzione).
Al contrario i crediti per stipendio o salario e per indennità di anzianità sono dichiarati pignorabili, anche se nella misura di un quinto, per crediti di qualsiasi natura nonché per tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni (art.545,co.4,c.p.c.).
Nella stessa misura essi sono sequestrabili (art 671 c.p.c.) e soggetti a compensazione (cfr. art1246,n.3,c.c.).
Il limite del quinto dello stipendio o salario si applica anche alla cessione del credito (cfr.art.1260 c.c.) che il lavoratore voglia effettuare a favore dei propri creditori, o anche a favore del datore di lavoro per debiti derivanti dal rapporto[31].
Le somme dovute al lavoratore a titolo di retribuzione o altre indennità derivanti dal rapporto di lavoro, anche a causa di licenziamento, possono essere, inoltre, pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal giudice competente per materia (art.545,co.3,c.p.c.).
Sono altresì vincolati nella loro destinazione ( art.2117 c.c.) i fondi speciali di previdenza, costituiti a livello aziendale dall’imprenditore a favore dei lavoratori, anche senza contribuzione da parte loro. La garanzia del credito sta nella separazione del fondo del patrimonio dell’imprenditore che lo rende intangibile dai creditori di lui, nonché nel vincolo obbligatorio a carico dell’imprenditore. Questi funge da depositario (aart.1782 c.c.) dei contributi versati e degli interessi maturati a beneficio dei dipendenti, onde è vietata la disposizione dei fondi in funzione della loro distrazione da un fine diverso da quello istituzionale del soddisfacimento del credito previdenziale.
Per oltre sessant’anni dall’entrata in vigore del codice di rito, nell’ambito del regime di tassatività dei casi d’impignorabilità dei crediti, si è registrata una lacuna normativa in ordine al destino delle prestazioni pensionistiche assoggettate ad un pignoramento presso terzi[32].
I crediti previdenziali sono stati così regolati da normative di settore e successivamente sono divenuti oggetto di frequente esame da parte della Consulta, che ha inizialmente dedicato la sua attenzione sulla diversità di trattamento riservata dalla legislazione speciale alle pensioni erogate dall’INPS rispetto a quelle dei dipendenti pubblici.
In particolare l’art.128 del r.d. ottobre 1935, n.1827 e l’art.69 della l.30 aprile 1969, n.153 fissavano l’incedibilità, l’insequestrabilità e l’impignorabilità delle pensioni, degli assegni e delle indennità erogati dall’INPS in favore dei privati, con il solo limite di <<un quinto del loro ammontare, per debiti verso l’Istituto derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dallo stesso, ovvero da omissioni contributive, escluse, in questo caso le somme dovute per interessi e sanzioni amministrative>>.
Il discrimine con le pensioni erogate in favore dei dipendenti pubblici era invece costituito dalla sequestrabilità e pignorabilità, contemplata dall’art.2, 1°comma, d.p.r. 5 gennaio 1950, n.180, a favore di crediti alimentari e tributari.
I plurimi interventi della Consulta hanno dato luogo ad una progressiva erosione dell’impignorabilità delle pensioni dei dipendenti privati al fine di raggiungere una pressoché totale equiparazione tra i due regimi previdenziali.
Con sentenza del 30 novembre 1988, n.1041 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.128 del r.d. 4 ottobre 1935, n.1827 e dell’art.69 della l.30 aprile 1969,n.153, nella parte in cui non consentivano la pignorabilità delle pensioni dei dipendenti privati per crediti alimentari, a differenza di quanto previsto dall’art.2 del d.p.r. 5 gennaio 1950,n.180 per i trattamenti pensionistici corrisposti dallo Stato e dagli enti pubblici.
La Consulta con la pronuncia del 22 dicembre 1989,n.572[33] ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.110 del d.p.r. 30 giugno 1965,n.1124 nella parte in cui non ammetteva la pignorabilità, entro i limiti dell’art.2 del d.p.r. 5 gennaio 1950,n. 180, delle rendite INAIL per crediti alimentari dovuti ex lege.
Un punto di svolta ancora più significativo si è avuto con la sentenza del 20 novembre 2002,n.468 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 53,1° comma, Cost., dell’art.128 del r.d. 4 ottobre 1935,n.1827 nella parte in cui non consentiva, nei limiti di cui all’art.2,1° comma, n.3 del d.p.r. 5 gennaio 1950,n.180, la pignorabilità per crediti tributari di pensioni, indennità che tengano luogo ed assegni corrisposti dall’INPS.
La Corte Costituzionale ha poi dichiarato con la sentenza del 4 dicembre 2002,n. 506 l’illegittimità costituzionale dell’art.128 del d.r. 4 ottobre 1935,n.1827 e degli artt. 1 e 2 del d.p.r. 5 gennaio 1950,n.180 nella parte in cui escludevano la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogate dall’Inps, anziché prevedere l’impignorabilità della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità della parte rimanente.
Con la suddetta pronuncia la Consulta ha definito all’interno del suo percorso additivo il nodo della impignorabilità delle pensioni restituendo canoni di eguaglianza e di simmetria tra dipendenti privati e pubblici e tra crediti retributivi e pensionistici.
La stessa Corte ha, tuttavia, aperto le porte di un altro ambito tematico, vale a dire quello della determinazione del minimum vitale, di non poca importanza pratica ed economico sociale.
Il significativo effetto della pronuncia della Corte Costituzionale del 4 dicembre 2002,n.506 è stato quello di abbattere il muro dell’impignorabilità assoluta dei trattamenti pensionistici dando al contempo ingresso ad evidenti problematiche applicative. Ed infatti, l’esatta determinazione del minimo vitale, quale quota della pensione con carattere d’intangibilità, è stata al centro dell’attenzione di giurisprudenza e dottrina per oltre un decennio sino all’intervento del legislatore con il d.l.27 giugno 2015,n.83[34].
Alcuni giudici di merito, in particolar modo, hanno continuato ad affermare l’impignorabilità delle pensioni in ragione dell’assenza di una norma ad hoc volta a determinare la porzione di pensione assoggettabile a pignoramento e quella invece protetta a tutela del minimo vitale.
Si è anche sostenuto che di fronte ad un’eccezione d’impignorabilità da parte del debitore, data l’impossibilità di definire il minimo vitale intangibile, sarebbe stato doveroso sospendere l’esecuzione al fine di effettuare gli accertamenti necessari [35].
L’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità ha ribadito che l’indagine sulla determinazione del minimo vitale doveva essere rimessa in via esclusiva alla valutazione in fatto del giudice dell’esecuzione ed assumeva la caratteristica dell’incensurabilità in cassazione, se logicamente e congruamente motivata[36].
L’esame degli elementi concreti del caso ai fini dell’individuazione dell’importo adeguato al soddisfacimento delle esigenze di vita del pensionato è stato, pertanto, ritenuto preminente all’interno della giurisprudenza della Cassazione[37]. Gli interrogativi ed i dubbi applicativi si sono protratti sino al 2015, quando la Corte Costituzionale, con la sentenza del 15 maggio n.85, ha espresso la necessità di dare una soluzione al vuoto normativo, invitando il legislatore a provvedere in maniera tempestiva per eliminare il vulnus.
La delicata questione ha ricevuto così un’apparente definizione con il d.l. 27 giugno 2015,n.83, convertito dalla l.6 agosto 2015,n.132.
L’intervento ha rafforzato i limiti della pignorabilità dei crediti del lavoratore derivanti da trattamenti pensionistici o retributivi (comunque denominati, ivi incluse le indennità dovute a causa di licenziamento).
Il legislatore ha dettato una nuova regola d’impignorabilità delle pensioni al comma 7 ed ha previsto un regime particolare di tutela per le pensioni corrisposte mediante accredito su un conto corrente bancario o postale (comma 8).
La pensione è assolutamente impignorabile, ai sensi dell’art.545,co.7, c.p.c. nell’ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà.
La porzione eccedente il suddetto importo è pignorabile nei limiti previsti dai commi terzo, quarto e quinto, nonché dalle disposizioni di legge speciali[38].
Qualora la pensione venga, invece, accreditata direttamente su un conto corrente bancario o postale intestato al debitore, il pignoramento può avvenire per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale come metro socioeconomico per stabilire la soglia d’impignorabilità della pensione, sia nel caso di accredito di questa sul conto corrente intestato al debitore, sia nell’ipotesi di pignoramento della stessa “alla fonte”[39].
La scelta legislativa poggia sul principio costituzionale, rinvenibile nell’alveo dell’art.38 Cost., intento ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita ed in quest’ottica le ragioni dei creditori sembrerebbero essere adeguatamente bilanciate.
E’ stata la previsione di cui all’art.23,co.6, d.l.27 giugno 2015,n.83, secondo la quale la nuova norma si applica esclusivamente ai procedimenti esecutivi iniziati successivamente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, ad alterare l’assetto dei principi di rango costituzionale a tutela delle posizioni giuridiche dei pensionati esecutati.
L’introduzione di una simile linea di demarcazione temporale ha, di fatto, generato una diseguaglianza tra i debitori sottoposti ad una procedura esecutiva del conto corrente , ove affluisce la pensione, pendente al momento dell’entrata in vigore del decreto e coloro i quali sono stati assoggettati alla medesima procedura espropriativa nella fase temporale successiva. Coerentemente con quanto già osservato con riferimento alla disciplina della pignorabilità delle pensioni antecedente al 27 giugno 2015, risulta di chiara evidenza come la mancata applicazione alle procedure esecutive pendenti al tempo dell’entrata in vigore della nuova normativa abbia comportato una compressione dei diritti dei pensionati, i quali, conseguentemente, non hanno potuto beneficiare dell’intangibilità di una porzione di pensione atta a garantire il c.d. minimo vitale, prevista dai commi 7 e 8 dell’art.545 c.p.c.
Essi, infatti, hanno finito per subire in tali giudizi l’assegnazione delle somme, percepite a titolo previdenziale o assistenziale, depositate sul conto corrente pignorato.
L’aspetto peculiare delle nuove disposizioni normative discende dal fatto che all’atto del pignoramento il credito non abbia più natura previdenziale o pensionistica e che il debitore debba individuarsi nell’istituto bancario o postale, in conseguenza del contratto di conto corrente acceso.
La Consulta nella pronuncia del 31 gennaio 2019,n.12 [40] ha riannodato i fili della disciplina della pignorabilità delle prestazioni assistenziali e pensionistiche valutandone la conformità della stessa rispetto ai principi costituzionali. La Corte, senza trascurare l’aspetto della complessità del quadro normativo giurisprudenziale del regime delle impignorabilità, avvalora il criterio, già espresso in alcuni precedenti sentenze, secondo cui è impignorabile quella parte di pensione necessaria ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del pensionato. La determinazione della porzione di pensione, o di altre prestazioni o emolumenti, necessaria per garantire al lavoratore i mezzi adeguati alle esigenze della vita è stata, come infatti sopra illustrato, al centro dell’attenzione della giurisprudenza costituzionale e di legittimità in virtù della sua importanza economico sociale. Come rilevato dal giudice rimettente e dalla stessa Consulta il diverso regime temporale previsto per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del d.l.27 giugno 2015,n.83 non ha superato il vaglio di legittimità costituzionale. Nonostante l’applicazione della già menzionata disciplina potesse essere ispirata da ragioni di certezza giuridica, a dire della Corte, nel bilanciamento tra i valori costituzionalmente protetti, deve prevalere la tutela del pensionato, la cui rilevanza costituzionale era già stata segnalata dallo stesso Giudice delle leggi nella pronuncia del 15 maggio 2015 n.85.
La questione di costituzionalità è stata pertanto ritenuta fondata ed accolta dalla Consulta in riferimento al principio di eguaglianza, strettamente collegato al principio di impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici, alla luce del quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.23, 6° comma, del d.l. 27 giugno 2015,n. 83, convertito dalla l.6 agosto 2015,n.132, nella parte in cui non prevede che l’ottavo comma dell’art.545 c.p.c, introdotto dall’art.13,co.1, lettera l), del medesimo d.l. si applichi anche alle procedure esecutive aventi ad oggetto prestazioni pensionistiche pendenti alla data di entrata in vigore del predetto decreto. L’ambito della pignorabilità del credito ha visto come protagonista indiscussa la Corte Costituzionale che, attraverso una fervida attività giurisprudenziale, ha cercato di recepire le istanze di tutela emerse dai consociati al fine di colmare le lacune e le aridità presenti nel testo normativo. Il legislatore ha cercato progressivamente di adottare soluzioni differenti, a seconda che il credito di lavoro sia l’oggetto dell’interesse dell’azione giudiziaria del lavoratore volta al suo recupero rispetto alle ipotesi in cui il medesimo credito sia il bene della vita dell’azione esecutiva.
Tuttavia, anche alla luce delle criticità emerse in tema di par condicio creditorum nell’espropriazione (nell’intervento dei creditori in particolare) e delle limitazioni poste dalla normativa speciale al recupero del credito di lavoro nei confronti della PA, pare opportuno riconsiderare l’intera materia della tutela esecutiva del credito di lavoro al fine di renderla effettiva e strumentale rispetto alla tutela delle posizioni giuridiche sostanziali.
[1] Così nel diritto civile le garanzie del credito, di tipo reale (privilegio:artt.2745 ss c.c.; pegno: artt.2784 ss c.c.;ipoteca:artt.2808 ss c.c.) oppure personale (fideiussione :artt.1936 ss. c.c.), sono rivolte essenzialmente al rafforzamento della pretesa del creditore sul versante della responsabilità patrimoniale del debitore (cfr.art.2740): pertanto esse mirano a realizzare il soddisfacimento dell’avente diritto a bene. Nel diritto del lavoro, accanto a queste garanzie patrimoniali specifiche di tipo satisfattivo (a sostegno anzitutto della funzione alimentare della retribuzione:cfr.art.36,co.1, Cost ), sono altresì presenti le garanzie rivolte al rafforzamento della tutela dei diritti dei lavoratore- in quanto soggetto contraente debole e, più ancora, cittadino socialmente sottoprotetto-sotto il profilo della titolarità e quindi dell’effettività del loro godimento : di qui le limitazioni attinenti alla disposizione dei diritti del prestatore (art.2113 c.c.;art.2948,n.4,c.c.) in funzione dell’effettiva realizzazione degli interessi tutelati dalla disciplina inderogabile del rapporto di lavoro. L’inderogabilità delle norme protettive comporta, in effetti, la limitazione dell’autonomia privata nella sua formazione regolamentare non solo del rapporto, ma altresì della composizione della lite e quindi dell’accertamento dei diritti controversi.
[2] Per quanto riguarda l’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 29 d. lgs. n. 276/2003, il regime della responsabilità solidale è escluso per i committenti non imprenditori; parimenti è da escludersi in caso in cui il committente sia una Pubblica Amministrazione. Al contrario si ritiene che la responsabilità solidale sia operante per le società partecipate da enti pubblici.
[3] Resta escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento, mentre il committente è solidalmente responsabile del pagamento della sola quota di tfr riferibile al periodo nel quale il lavoratore è stato impiegato nell’esecuzione dell’appalto e non al suo intero ammontare. Da ultimo Cass. 22 gennaio 2019,n. 1619 ha precisato che, poiché nl novero delle retribuzioni dovute dal coobbligato è compreso il trattamento di fine rapporto, il committente non può surrogarsi al lavoratore verso il Fondo di Garanzia istituito presso l’INPS.
[4] Con la modifica del 2017 è stata altresì abrogato l’art.4,co.31,l.n.92/2012, che consentiva di apportare ulteriori deroghe al regime di solidarietà, anche peggiorative, attraverso apposite previsioni dei contratti collettivi sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nel settore, ancorché finalizzate all’individuazione di metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva negli appalti.
[5] I lavoratori impiegati nell’appalto, ovvero gli enti previdenziali, potranno dunque agire per il recupero dei rispettivi crediti direttamente ed esclusivamente nei confronti del committente, senza chiamare in causa l’appaltatore, fermo restando il diritto del committente di agire in regresso per il rimborso dall’appaltatore di quanto pagato.
[6] Lo stesso articolo 431, co.2 e 3,c.p.c. prevede, che l’esecuzione forzata in favore del lavoratore possa essere iniziata in forza anche del solo dispositivo della sentenza e può, su istanza di parte soccombente al giudice d’appello, andare incontro ad una sospensione per la parte eccedente 258,23 Euro solo qualora da essa possa derivare un <<gravissimo danno>>. Sempre in tema di esecutorietà va peraltro segnalato che la l.26 novembre 1990,n.353, di modifica del codice di procedura civile ha stabilito che anche le sentenze di condanna rese in primo grado in favore del datore del lavoro sono provvisoriamente esecutive e rinviando, per la disciplina processuale dell’esecuzione e dell’eventuale sospensione, alle regole generali.
[7] Si tratta del pagamento anticipato delle somme per le quali si sia raggiunta la prova del diritto.
[8] In sostanza, anche se non trasforma la natura del diritto alla retribuzione da debito di valuta in debito di valore, limitandosi a garantire al lavoratore l’ammontare dell’originale credito di valuta rafforzato da un’ulteriore obbligazione di valuta indicizzata sul presumibile potere di acquisto del c.d. salrio reale, la norma dell’art.429 c.p.c. introduce pur sempre una deroga non solo al principio nominalistico ma, altresì, alla orma generale (art.1224,co. 2 c.c.) secondo cui il creditore insoddisfatto deve fornire la dimostrazione e quindi la prova del maggior danno eventaualmente subito in conseguenza della svalutazione monetaria.
[9] F.CARINCI-R.DE LUCA TAMAJO-P.TOSI-T.TREU, Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro subordinato, Utet, 2019,p. 638.
[10] G.P. GAETANO, I privilegi, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli,Torino,1949; S.CICCARELLO, Privilegio del credito ed uguaglianza dei creditori,1983; ID, Privilegi (dir.priv.), in Enc.dir., Milano, 1987,vol.XXXV, p.723 ss; V.ANDRIOLI, Dei privilegi, in Commentario del c.c., a cura di Scialoja e Branca, 1988,p.143;A.PATTI, I Privilegi, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo,Milano,2003.
[11] G.VILLANACCI, Dei privilegi sui mobili :artt.2751-2769;Giuffrè,Milano,2016;P. VIRGADAMO, Dei privilegi sopra gli immobili : artt.2770-2776,Giuffrè,Milano,2016. In prospettiva lavoristica in tema di insolvenza v. M.MARAZZA-D.GAROFALO, Insolvenza del datore di lavoro e tutele del lavoratore, Giappichelli, Torino, 2015.
[12] Ordinati subito dopo i privilegi a tutela dei lavoratori subordinati sussistono quelli a favore dei crediti dei professionisti, che la Consulta ha esteso a beneficio della generalità del lavoro autonomo ossia anche alle prestazioni d’opera non intellettuali. A seguito della modifica introdotta dall’art.1, comma 474,L.27 dicembre 2017,n.205, detta norma codicistica ora menziona espressamente il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto.
[13] Cass. Civ. n.7085 del 3 marzo 2022 in Giustizia civile Massimario 2022.
[14] Corte Cost.,6 aprile 2004,n.113.
[15] Corte Cost., 17 novembre 1983,n.326; Corte Cost., 22 maggio 2022,n.220.
[16] Il pagamento del TFR e delle retribuzioni inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto lavorativo è peraltro garantito dall’apposito Fondo gestito dall’INPS ai sensi della L.n.297/1982 e del D.Lgs.n 80/1992.
[17] Con il D.Lgs. n. 83/2022 è stata confermata la data del 15 luglio 2022 quale momento di definitiva entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019). Con il D.Lgs. n. 83/2022 il Governo italiano ha dato, inoltre, attuazione alla Direttiva UE 2019/1023 e attratto all’interno del CCII le disposizioni del D.L. 118/2021 in materia di composizione negoziata della crisi. Lo slittamento di quasi due anni dalla data originariamente prevista (15 agosto 2020) per la sua entrata in vigore, principalmente causato dalla crisi provocata dall’emergenza pandemica, ha consentito di allineare il CCII alle modifiche introdotte in sede di attuazione della sopraccitata Direttiva comunitaria del 2019.
[18] A.SALETTI, Le (ultime)novità in tema di esecuzione forzata, in Riv.dir.proc., 2006,p.193.
[19] A. TEDOLDI, L’oggetto della domanda di intervento e delle controversie sul riparto nella nuova disciplina dell’espropriazione, in Riv. dir. proc., 2006, p.1297.
[20] R.ORIANI, La determinazione dei crediti ai fini del concorso, in Riv.trim.dir.proc., 1993,p.163; R.VACCARELLA, Le linee essenziali del processo esecutivo della Commissione Tarzia, in Riv.dir.proc., 1998,369;B.CAPPONI-A.STORTO, Prime considerazioni sul d.d.l. Castelli concernente <<Modifiche urgenti al codice di procedura civile>> in relazione al processo di espropriazione forzata, in Riv.dir.proc.,2001,p.167.
[21] C.CONSOLO, Competizione sì, ma più che altro fra riti e fra legislatori processuali (sulla legge n.80/2005), in Corr.giur., 2005,p.893; R.CONTE, Osservazioni a prima lettura sull’art.499 c.p.c novellato e profili di costituzionalità dei limiti all’intervento del creditore sequestrante, in Giur.it,2005, p. 1783.
[22] G.TARZIA, Il giusto processo di esecuzione, in Riv.dir.proc.,2002,346; L.P.COMOGLIO, Principi costituzionali e processo di esecuzione, in Riv.dir.proc.,1994,450; G.COSTANTINO, Note sulle tecniche di attuazione dei diritti di credito nei processi di espropriazione forzata, in Riv.trim.dir.proc.,1988,p.133;M. TARUFFO, Il diritto alla condanna e all’esecuzione, in Riv.crit.dir.priv.,1986,p.644; V.DENTI, Valori costituzionali e cultura processuale, in Riv.dir.proc.,1984, p. 448.
[23] G.MONTELEONE, L’espropriazione forzata e le banche. Prospettive di riforma, in Studi in memoria di Angelo Bonsignori, Milano, 2004,p.457.
[24] S.ZIINO, Esecuzione forzata e intervento dei creditori, Palermo,2004, p.180
[25] CAPPONI,Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino,2020, p.324
[26] R. VACCARELLA, Le linee essenziali del processo esecutivo , op.cit.p.367.
[27] LUISO, Diritto processuale civile, III, Milano,2021, p. 130; M.PILLONI, Accertamento e attuazione del credito nell’esecuzione forzata, Torino, 2011, p.170.
[28] C.DELLE DONNE, L’espropriazione nei confronti delle p.a. e la rincorsa perenne del bilanciamento tra ragioni della finanza pubblica e tutela del credito, in Riv.esec.forz., 2015,p.559;M.C. VANZ, Espropriazione forzata contro la P.A., in Riv.dir.proc., 1991,p.1094; ROSSI, L’espropriazione presso terzi di cose e di crediti della Pubblica Amministrazione, in Le espropriazioni presso terzi, a cura di Auletta, Bologna, 2012,p.200.
[29] Cons.Stato 29 dicembre 2010,n.9541; Cons.Stato 10 dicembre 2007,n.6318.
[30] Legge 30 maggio del 1955 n.797, art.22.
[31] Art.13 bis, d.l.14 marzo 2005,n.35,conv.nella l.14 maggio 2005,n.80.
[32] V.ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1960,p.193.
[33] Corte Cost. 22 dicembre 1989,n.572, in Foro it., 1990,I,2137.
[34] P.CASTORO-N.CASTORO,Il processo di esecuzione nel suo assetto pratico, aggiornato a cura di Giordano,Milano,p.619; G.TOTA, Commento sub art.545 c.p.c., in Commentario al codice di procedura civile, a cura di COMOGLIO-CONSOLO-VACCARELLA-SASSANI, VI, Torino,2013,p.775; A.SALETTI, Commento sub. art.545 c.p.c., in SALETTI-VANZ-VINCRE, Le nuove riforme dell’esecuzione forzata,Torino,2016,p.166.
[35] Cass.22 marzo 2011,n.6548;Cass.7 agosto 2013,n.18755.
[36] Cass,26 agosto 2014,n.18225.
[37] Corte cost. 15 maggio 2015,n.85, in Guida dir., 2015,65, con nota di FINOCCHIARO, Necessario assicurare condizioni di vita minime a tutti, nel contesto della quale è stato affermato il seguente principio : <<il vulnus riscontrato e la necessità che l’ordinamento si doti di un rimedio effettivo per assicurare condizioni minime al pensionato, se non inficiano-per le ragione già esposte- la ritenuta inammissibilità delle questioni e se non pregiudicano la “ priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario” ( sentenza n.23 del 2013), impongono tuttavia di sottolineare la necessità che lo stesso legislatore dia tempestiva soluzione al problema individuato nella presente pronuncia>>.
[38]Con sentenza 3 dicembre 2015,n.248 e 5 aprile 2016,n.70,la Corte Costituzionale ha ribadito la legittimità dell’art.545 c.p.c., a fronte delle censure relative alla sua inidoneità a garantire al lavoratore i mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, precisando che scopo della norma è quello di contemperare la protezione del credito con l’esigenza del lavoratore di avere, attraverso una retribuzione congrua, un’esistenza libera e dignitosa, per cui la facoltà di escutere il debitore non può essere sacrificata totalmente, anche se la privazione di una parte di salario è un sacrificio che può essere molto gravoso per il lavoratore scarsamente retribuito. Il bilanciamento degli interessi contrapposti è dunque garantito attraverso il contenimento in limiti angusti della somma pignorabile e la graduazione del sacrificio in misura proporzionale all’entità della retribuzione. In dottrina so veda A.M.SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata ,Milano,2019, p.993;A.MAJORANO, Le ultime novità in tema di espropriazione presso terzi, in Foto it.,2015,V,p.453;G.VALLONE, L’impignorabilità di stipendi e pensioni versati su conto corrente : note a prima lettura del d.l.27 giugno 2015, in www.judicium.it.
[39] In sostanza, la novella, estende i limiti di pignorabilità dei crediti di lavoro anche nei casi in cui il terzo pignorato sia l’istituto di credito (e non già il datore di lavoro o l’ente previdenziale), richiedendo a quest’ultimo di distinguere la natura delle somme che si trovano nel conto corrente. Da qui l’introduzione di un ulteriore comma all’art.546 c.p.c., che modifica gli obblighi relativi alla dichiarazione di terzo.
[40] Corte costituzionale, 31 gennaio 2019 n. 12 in https://www.ratioiuris.it/. La sentenza è la n. 12 del 2019 depositata il 31 gennaio 2019 a seguito della questione sollevata dal Tribunale ordinario di Brescia, in funzione di giudice dell’esecuzione mobiliare, con ordinanza del 30 settembre 2015 (r.o. n. 72 del 2018), in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria) nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al precedente art. 13, comma 1, lettera l), laddove introducono l’ottavo comma dell’art. 545 del codice di procedura civile, si applichino esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del predetto d.l. (27 giugno 2015), anziché a tutte le procedure pendenti alla medesima data.Il giudice dava conto dell’opposizione di un debitore, sul cui conto corrente oggetto di pignoramento veniva accreditato esclusivamente l’assegno sociale mensile. Secondo la Consulta la materia è di importanza sostanziale in quanto si tratta di salvaguardare la protezione dei pensionati ai quali vanno comunque garantite condizioni di vita sufficienti . Questo aspetto ha importanza prevalente rispetto alla certezza giuridica assicurata dalla norma in esame ai creditori che avevano avviato le procedure di pignoramento .Nella sentenza si afferma che «nel contesto in cui il legislatore – ottemperando al monito di questa Corte – ha effettivamente esercitato la sua discrezionalità al fine di garantire la necessaria tutela al pensionato che fruisce dell’accredito sul proprio conto corrente, risulta irragionevole che tale tutela non sia estesa alle situazioni pendenti al momento dell’entrata in vigore della novella legislativa».
In più, la Consulta osserva che anche se il tribunale di Brescia, che ha sottoposto al questione alla Corte, non ha direttamente evocato l’articolo 38, secondo comma, della Costituzione (quello che riconosce il diritto del lavoratore a potere contare su mezzi adeguati), «la questione posta in esplicito riferimento alla pronuncia di questa Corte con la sentenza n. 85 del 2015 deve essere accolta in riferimento al principio di eguaglianza, che è strettamente collegato – nella fattispecie in esame – al principio dell’impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici. Quest’ultima è posta a tutela dell’interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita».