di Domenico Siclari
Professore Ordinario di Diritto Amministrativo
presso l’Università per stranieri “D. Alighieri” di Reggio Calabria
Sommario: 1. Premessa – 2. Quadro normativo di riferimento – 3. Nuovi scenari e nuove questioni – 4. Apporti da parte della legislazione regionale – 5. Conclusioni.
1. Premessa
La disciplina in materia di consumo di bevande alcoliche assume un rilievo nodale nella contemporaneità, oltre che per le indubbie implicazioni nel quadro della regolamentazione peculiare della vendita e somministrazione, altresì avuto riguardo alle ripercussioni – purtroppo sempre più quantitativamente rilevanti – scaturenti dall’utilizzo massiccio, anche in termini di dipendenza, da parte di soggetti rientranti nelle categorie deboli ed in particolare dai minori.
Il consumo di alcol, infatti, rappresenta un problema per la salute pubblica la cui entità è tale, già solo avuto riguardo al vecchio continente, da determinare conseguenze nefaste che portano a rilevare come conseguenza di tale consumo un dato pari al 4% tra le ipotesi che determinano la morte e di circa il 5% degli anni di vita persi per disabilità conseguenti a detta assunzione.
Quanto detto ingenera la necessità di ricorrere a valori di rango superprimario, tra i quali possono annoverarsi la solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., e la tutela del diritto alla salute, di cui all’art. 32, co. 1, Cost., il cui combinato richiama tra l’altro ad un impegno da parte dello Stato volto a predisporre misure di prevenzione nonché di contrasto per garantire il benessere di dette categorie, anche attraverso forme di recupero [1].
Tuttavia, ancor prima di seguitare nell’analisi degli assetti giuridici che si sono avviluppati, al fine di dare consistenza ad un baluardo a presidio della salute delle categorie vulnerabili, l’attenzione viene richiamata dalle indubbie ragioni maieutiche che richiamano l’attenzione da parte della collettività e delle istituzioni ad essa preposte. Senza poi dimenticare il preoccupante quadro offerto dalla lettura delle statistiche che caratterizzano tale settore.
Nella pertinente Relazione predisposta dal Ministero della Salute [2], viene riportato il quadro epidemiologico che caratterizza il consumo di bevande alcoliche nel nostro Paese. In particolare, da essa è possibile apprendere, anche attraverso al rinvio ai dati ISTAT per l’anno 2019, la tendenza in aumento al consumo occasionale e comunque fuori pasto di alcol, specie tra i giovani nella fascia di età ricompresa tra i 18 e i 24 anni, ovviamente in ragione della loro legittima possibilità di acquisire detti prodotti. In relazione agli effetti sui minori, ovviamente, non è dato rinvenire statistiche, posto che la legislazione vigente – della quale si tratterà nel proseguo – ne ha vietato la commercializzazione a siffatta categoria.
Si tratta di una impostazione in linea con le evidenze scientifiche sul punto che possono essere desunte dalle “Linee guida per una sana alimentazione”, revisionate nel 2018 e presentate dal Centro di Ricerca e Nutrizione, nelle quali è stato attentamente rimarcato come il binge drinking, il c.d. bere per ubriacarsi [3], appaia fortemente dannoso tanto in ragione delle conseguenze sul regolare sviluppo cerebrale e cognitivo del minore; quanto per gli effetti indiretti, causati dallo stato di alterazione cognitiva, e che possono essere fonte di comportamenti irresponsabili in termini di azioni violente e sconsiderate da parte dei consumatori.
Su questo scenario si tenterà di approcciarsi nel proseguo, specie dinanzi alle ipotesi in cui il minore possa venire a contatto con sostanze alcoliche in ragione di una assenza di strumenti di preventivo controllo dell’età in sede di cessione del prodotto.
2. Quadro normativo di riferimento
Rientrando sul precipuo versante dell’approccio giuridico al tema, è bene rilevare, sin d’ora, come, a fronte dello stato dell’arte testé descritto, possa rinvenirsi nel sistema multilivello un’attenzione molto forte alla tematica della tutela dei minori oltre che ovviamente per il tema sua salute, la cui contestuale coesistenza accentuano i profili di interesse rispetto al tema in commento.
In proposito, già la Convenzione ONU del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza [4] sancisce all’art. 2 il diritto di pari opportunità e all’art. 3 il principio del superiore interesse del minore, quali parametri per le scelte che riguardano siffatta categoria, senza poi dimenticare l’art. 24, laddove si richiama il diritto alla salute degli stessi. Ivi, in particolare, al co. 3, si rimarca l’impegno da parte degli Stati aderenti all’adozione di ogni misura efficace atta ad abolire le pratiche tradizionali, pregiudizievoli per la salute dei minori.
A questi interventi se ne sono affiancati altri, a carattere settoriale, le cui ricadute però possono apprezzarsi sotto il versante della tutela del minore rispetto all’utilizzo di alcol. Un esempio emblematico è rappresentato dalla direttiva 89/552/CEE del Consiglio che ha introdotto il divieto della pubblicità delle bevande alcoliche, al fine di evitare ripercussioni sulle giovani generazioni.
Un vero e proprio impegno che l’UE ha inteso ribadire anche in altri documenti, come nel caso della Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni relativa alla Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol del 2006. Ivi, specie all’Obiettivo 9, si ribadisce la necessità di sensibilizzare i cittadini dell’UE alle conseguenze di un consumo nocivo e pericoloso di alcol per la salute e, in particolare, agli effetti dell’alcol sui bevitori di età inferiore a 18 anni.
A fronte di ciò, il legislatore interno, anche in ossequio alla legislazione interna anche di rango costituzionale, ha risposto a detto problema sociale operando delle scelte tranchant e, in taluni casi, ante litteram rispetto agli altri Paesi europei. Il riferimento va, in particolare, al d.lg n. 13 settembre 2012, n. 158 alias il Decreto Balduzzi, convertito con modificazioni in l. 8 novembre 2012, n. 189, la cui portata innovativa emerge già dalla rubrica dello stesso, che non a caso recita “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”.
Tale disposizione ha avuto il merito indubbio di rafforzare il divieto di vendita e di somministrazione ai minori di bevande alcoliche, innalzando, all’art. 7, co. 3bis, l’età minima legale dai 16 ai 18 anni. Mentre, con il successivo co. 3ter, ha portato ad un restyling della normativa penalistica, introducendo un nuovo comma all’art. 689 c.p., che già disciplinava il divieto di somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 16 anni e agli infermi di mente.
La disposizione in esame ha, infatti, sancito il divieto di vendita di alcolici attraverso distributori automatici, sprovvisti di strumenti di rilevazione dei dati anagrafici dell’utilizzatore, mediante sistemi di lettura ottica dei documenti, ovvero non presenziati da personale preposto al controllo dei dati anagrafici.
Ma vi è di più, sempre attraverso l’avvento di siffatta normativa, si è giunti ad introdurre l’art. 14ter alla legge quadro in materia di alcol e di problemi correlati, vale a dire la l. n. 125 del 30 marzo 2001, recante “Introduzione del divieto di vendita di bevande alcoliche a minori”.
Con la risultante che, nel testo vigente, si sancisce che chiunque venda bevande alcoliche è tenuto a chiedere all’acquirente, all’atto dell’acquisto, l’esibizione di un documento di identità, salvo che tale stato dell’acquirente sia manifesto.
Nel caso di violazione di detto obbligo, a chiunque venda o somministri bevande alcoliche ai minori di anni diciotto e salvo che il fatto non costituisca reato, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria che va da un minimo di 250,00 fino a 1.000,00 euro. Una previsione oltremodo aggravata in caso di comportamento recidivo, con l’inasprimento della pena da 500,00 a 2.000,00 euro e con l’ulteriore previsione della sospensione dell’attività da quindici giorni a tre mesi.
Da ciò emerge un divieto generale di somministrazione di bevande alcoliche ai minori di anni 16, anche a mezzo di distributori automatici (art. 689, co. 1 e 2, c.p.), a cui si affianca il divieto di vendita di alcol ai minori di anni 18 in genere, nonché nei distributori automatici (art. 14ter l. n. 125/2001).
Sul punto, è bene segnalare come, a fronte dell’originaria previsione che sanciva la centralità delle amministrazioni comunali per la vendita di prodotti al dettaglio per mezzo di apparecchi automatici, in quanto destinatarie di apposita comunicazione rationae loci, si sia assistito ad una progressiva erosione di detta funzione – per lo meno a livello preventivo – in ragione della necessità di presidiare il processo di liberalizzazione, in ossequio al più generale principio di concorrenza, con conseguenze non sempre favorevoli sul versante del controllo degli operatori economici.
La vendita di prodotti a mezzo di distributori automatici è riconducibile all’alveo normativo dettato dal d.lgs 31 marzo 1998, n. 114 ed in particolare dall’art. 17. Sul punto il co. 1, stabiliva, nel testo originario, che «la vendita dei prodotti al dettaglio per mezzo di apparecchi automatici è soggetta ad apposita comunicazione al comune competente per territorio».
Il prefato articolato, parzialmente abrogato, resta ancora vigente nel suo ultimo comma laddove sancisce che «la vendita mediante apparecchi automatici effettuata in apposito locale ad essa adibito in modo esclusivo è soggetta alle medesime disposizioni concernenti l’apertura di un esercizio di vendita».
Al di fuori dal perimetro coperto dalla precedente ipotesi si pone la somministrazione di alimenti e bevande a mezzo di apparecchi automatici, fattispecie questa che rinviene copertura nella l. 25 agosto 1991, n. 287, che, all’art. 1, co. 1, definisce come somministrazione di alimenti e bevande la «vendita per il consumo sul posto che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico all’uopo attrezzati».
La c.d. somministrazione viene dunque assoggettata ad un regime caratterizzato da un quid pluris, rispetto al mero commercio al dettaglio di alimenti e bevande. Tale elemento, come ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, sarebbe rinvenibile nella necessità per l’operatore economico di dotarsi «di spazi e strutture che consentano all’acquirente di consumare “in loco” i prodotti stessi» [5].
L’art. 1, co. 2 della l. n. 287/1991 ha oltremodo ampliato l’ambito di operatività della norma prevedendone l’applicazione anche ai casi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande effettuata con distributori automatici «in locali esclusivamente adibiti a tale attività».
A fronte dello scenario normativo richiamato e della conseguente complessità, la Cassazione è giunta a ritenere la necessità di distinguere la disciplina sulla vendita di prodotti alimentari attraverso apparecchiature automatiche da quella della somministrazione a mezzo dei medesimi apparecchi, nei termini che seguono.
La vendita, infatti, che può essere effettuata sia in locali specifici adibiti al commercio di prodotti vari, che aspecifici, necessitava della previa comunicazione al Comune dell’inizio dell’attività. Nell’attuale temperie normativa, specie a seguito delle novelle introdotte dal d.lgs 26 marzo 2010, n. 59, l’ipotesi in esame resta assoggettata esclusivamente all’obbligo di segnalazione certificata di inizio attività, recante la dichiarazione, non solo della sussistenza del possesso dei requisiti di cui all’art. 5 del medesimo decreto, ma anche del settore merceologico e dell’ubicazione dell’apparecchio automatico e, ove installato su aree pubbliche, altresì delle dichiarazioni relative al rispetto delle norme sull’occupazione del suolo pubblico. In siffatta evenienza la vendita con apparecchiature automatiche si traduce in una modalità di consegna del prodotto al consumatore alternativa alla consegna al banco.
Viceversa, in caso di somministrazione di alimenti e bevande, da effettuarsi in strutture che consentano il consumo in loco delle bevande, non si riteneva sussistere in capo al titolare alcun obbligo di comunicazione al Comune, non essendo tale ipotesi contemplata dalla l. n. 287/1991.
Il combinato del d.lgs n. 114/1998, ultimo comma dell’art. 17, portava dunque a rilevare come, in caso di esclusiva somministrazione attraverso apparecchiature automatiche in un locale dedicato, si sarebbe applicata la l. n. 287/1991. Pertanto, l’esercente avrebbe dovuto munirsi dell’autorizzazione di cui alla l. n. 114 del 1998, art. 3, in quanto in presenza di una vera e propria attività di somministrazione di alimenti e bevande non rientrante nell’autorizzazione già rilasciata.
Tale assetto, oggetto di attenzione da parte dei giudici degli ermellini, è mutato profondamento, in ragione del maquillage a cui è stata sottoposta la disciplina commerciale. All’epoca in cui la Cassazione aveva espresso la propria interpretazione, infatti, il commercio al minuto era normato dalla l. n. 426 del 1971, il cui art. 35 disciplinava la vendita tramite apparecchi automatici prescrivendo l’obbligo di autorizzazione comunale solo quando la vendita in questione non veniva effettuata negli esercizi di vendita o nelle loro immediate adiacenze. La vendita di prodotti tramite apparecchiature automatiche collocate nell’adiacenza dell’esercizio non necessitava di autorizzazione o comunicazione essendo inclusa nell’autorizzazione già ottenuta per l’esercizio commerciale.
Ciò impone di procedere ad una anamnesi delle novelle intervenute, al fine di vagliare il valore di questa endiadi nella contemporaneità.
3. Nuovi scenari e nuove questioni
Le disposizioni richiamate sono state, in buona parte, abrogate dall’art. 67, d.lgs 26 marzo 2010, n. 59 adottato in attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno. (cd. direttiva Bolkeinstein) [6].
A fronte di ciò ed in linea con l’idea dello Stato sussidiario, è stato scardinato il meccanismo dell’autorizzazione, strumento tipico dell’intervento pubblico nell’economia per la previa verifica della rispondenza dell’attività economica alle finalità di interesse pubblico, non solo in ragione di una istanza di semplificazione amministrativa bensì nel quadro di una vera e propria scelta di policy che ha condotto alla liberalizzazione del settore dei servizi, in risposta al principio della libera concorrenza. Una impostazione non estesa, però, alla somministrazione di alimenti e bevande su aree pubbliche, per le quali resta valido un principio di programmazione settoriale rimessa alle singole Regioni e ai Comuni.
In una prospettiva di sistema, a fronte del predetto intervento normativo, il distinguo tra vendita e somministrazione di bevande alcoliche, non più rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina dell’autorizzazione o della previa comunicazione all’amministrazione comunale competente, salvo ovviamente l’ipotesi di attività in luogo pubblico, resta invece valido ai fini dell’applicazione della normativa di settore nei termini descritti in apertura avuto riguardo agli apporti del Decreto Balduzzi.
Così la somministrazione a minori di anni 16 costituirebbe fattispecie penalmente rilevante, ai sensi dell’art. 689 c.p., e illecito amministrativo se relativa a minori di anni 18, ai sensi dell’art. 14ter l. n. 125/2001. Accanto a ciò, si affianca l’opzione, rimessa all’Autorità di Pubblica Sicurezza, dall’art. 10 della l. n. 287/1991, di irrogare ai sensi del co. 3 la sanzione amministrativa accessoria contenuta agli artt. 17ter e quater del T.U.L.P.S., vale a dire la sospensione dell’attività per un periodo non superiore a tre mesi [7].
Posto che, come s’è già rilevato, la disposizione citata sancisce il divieto in relazione alla sola “vendita” e non anche alla “somministrazione”.
Sul punto è bene richiamare il Parere del Ministero dell’Interno del 25 gennaio 2013, relativo al divieto di vendita di bevande alcoliche per i minori di anni 18, introdotto dall’art. 7 co. 3bis, del d.lg n. 158/2021. Ivi, rievocando i principi che hanno portato all’adozione della normativa in commento, vale a dire la promozione dei livelli di tutela della salute dei minori anche attraverso il contrasto specifici fattori di rischio quali l’assunzione di alcool, il Ministero rileva come la vendita per consumo sul posto (alias, la somministrazione) di alcol è sanzionata dall’art. 689 c.p., se eseguita nei confronti di minori di 16 anni, e ai sensi dell’art. 14ter della legge 30 marzo 2001, n. 125, se eseguita a vantaggio di soggetti di età compresa tra i 16 ed i 18 anni. Tale disposizione troverebbe applicazione anche alla vendita per asporto ai minori di qualunque età.
4. Apporti da parte della legislazione regionale
Seguitando nell’analisi, non possono non considerarsi gli apporti che sono emersi grazie all’opera delle Regioni che, specie anteriforma del Titolo V, sono intervenute introducendo misure a salvaguardia della tutela della salute dei minori. Sul punto è bene rimarcare sin d’ora come l’avvento del Decreto Balduzzi abbia, però, superato l’esigenza di leggi regionali volte a disciplinare il divieto di somministrazione di bevande alcoliche anche attraverso apparecchi di somministrazione, come era avvenuto in Veneto con la l. r. n. 29/2007 e in Emilia-Romagna con la l. r. n. 14/2003.
Il nuovo assetto delle relazioni Stato/Regioni in merito alla potestà normativa, secondo l’impostazione contenuta al novellato art. 117 Cost., si basa sulla distinzione tra la materia concorrenza, rimessa in via esclusiva allo Stato, art. 117, co. 2, lett. e) Cost., e il commercio, invece, di spettanza prettamente regionale. Una situazione questa che se, per un verso, identifica un limite oggettivo alla disciplina che le Regioni possono adottare, al contempo però determina l’alveo di operatività delle stesse in settori come quello in oggetto, schiudendo nuovi segmenti in termini di intervento locale [8], nel rispetto di una leale collaborazione e evitando di intaccare ambiti che, in quanto considerati espressione di norme di principio, mal si attagliano ad una differenziazione a base territoriale.
Sul punto, appare utile richiamare le considerazioni espresse dalla Corte costituzionale nella sentenza del 10 dicembre 2003, n. 361, adottata avuto riguardo ad ambiti affini rispetto alla trattazione in oggetto. La fattispecie scrutinata, infatti, riguardava la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni statali contenti fattispecie di illecito amministrativo a fini di tutela della salute, in particolare il divieto di fumo nei luoghi pubblici.
Esse sono state considerate dalla Consulta come norme di principio ed in quanto tali connotate per l’esigenza di uniformità territoriale, «stante la loro finalità di protezione di un bene, quale la salute della persona, ugualmente pregiudicato su tutto il territorio della Repubblica: bene che per sua natura non si presterebbe a essere protetto diversamente alla stregua di valutazioni differenziate, rimesse alla discrezionalità dei legislatori regionali». Al pari, dunque, di quanto avvenuto nel caso della limitazione della vendita e somministrazione delle bevande alcoliche ai minori con il Decreto Balduzzi, con l’aggiunta nel caso in esame dell’ulteriore tensione alla tutela di soggetti vulnerabili, quali sono i minori, e della loro salute.
In altro passaggio della sentenza, la Consulta ribadisce poi come «la natura di principi fondamentali (…) si comprende non appena si consideri l’impossibilità di concepire ragioni per le quali, una volta assunta la nocività per la salute dell’esposizione al fumo passivo, la rilevanza come illecito dell’attività del fumatore attivo possa variare da un luogo a un altro del territorio nazionale», ivi compreso il versante delle sanzioni applicabili.
Sicché, dinanzi alla oramai ben nota natura polimorfa del diritto alla salute, concepito come diritto soggettivo e al contempo come interesse della collettività, inevitabilmente centro di una tutela uniforme a livello nazionale, appare poco coerente la previsione di una disciplina regionale differenziata [9].
Ed è proprio in questo solco che possono leggersi gli apporti di talune Regioni, come nel caso della Regione Abruzzo con la l. r. 7 dicembre 2020, n. 37, “Interventi per la prevenzione e il trattamento delle dipendenze patologiche ed altre disposizioni” [10]. Si tratta di un corpus normativo, da ultimo novellato nel 2021, che nel testo vigente al Titolo III, nel recare disciplina in materia di “Alcolismo e dipendenza da sostanze stupefacenti e psicotrope”, ha introdotto limitazioni ulteriori rispetto a quelle di matrice statale alla vendita e alla somministrazione di bevande alcoliche.
In particolare, all’art. 18, ha sancito che, fatto salvo quanto previsto dall’art. 14ter della l. n. 125/2001 e dagli artt. 689 e 691 c.p., in tutti gli esercizi autorizzati, anche temporaneamente, a qualsiasi titolo, alla vendita o alla somministrazione di bevande alcoliche, tali attività sono vietate se rivolte a soggetti minori di anni diciotto. A ciò si aggiunge, al comma 2, come tale divieto debba essere reso pubblico con appositi cartelli esposti, in modo ben visibile, dagli esercenti all’esterno o all’interno degli esercizi interessati. Da ultimo, il comma 3, rinvia alle competenze di cui all’articolo 50, co. 5, del d.lgs 18 agosto 2000, n. 267, in forza del quale i Comuni possono vietare o limitare la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche in relazione a comprovate esigenze di prevalente interesse pubblico.
Già qui emerge un primo elemento di rottura rispetto alla normativa statale, vale a dire la previsione di un limite indistinto di età sia per la vendita che per la somministrazione, non coerente con la ratio sottesa alla legislazione nazionale di settore.
Ma vi è di più, la legge regionale in commento, infatti, prevede un apparato sanzionatorio “rinforzato”, ai sensi del co. 2, dell’art. 20, rispetto al quale è bene operare talune considerazioni. In particolare, in essa si prevede:
a) agli esercizi di somministrazione che vendono, anche per asporto, bevande alcoliche, a prezzo ridotto rispetto al prezzo di listino o a titolo gratuito, a minori di anni diciotto, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500,00 a euro 2.000,00;
b) agli esercizi commerciali che non espongono gli appositi cartelli indicanti il divieto di vendita o somministrazione, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500,00 a euro 2.000,00;
c) ai maggiorenni che mettono a disposizione dei minori di anni diciotto bevande alcoliche tramite distributori automatici, esercizi di somministrazione o commerciali, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500,00 a euro 2.000,00.
Da ultimo, al co. 3, si prevede che, accanto alla sanzione accessoria della sospensione dell’attività commerciale di cui all’14ter della l. n. 125/2001, una sanzione amministrativa raddoppiata, se il fatto è commesso più di una volta.
Si tratta, come può ben comprendersi, di una estensione delle restrizioni alla vendita delle bevande alcoliche, come dimostra la equiparazione delle fattispecie di vendita e somministrazione, non coerente con la logica prospettata dal legislatore nazionale. Questi ha, invece, distinto il divieto di somministrazione per i minori di anni 16, anche a mezzo di distributori automatici, dal divieto di vendita ai minori di anni 18, operando una scelta chiara e uniforme.
Al contempo, una ulteriore censura emerge in relazione al trattamento in peius che la normativa regionale sancisce sul versante sanzionatorio che, come si è avuto modo di rilevare dalla lettura dell’art. 20, prospetta una irragionevole diversificazione di trattamento non compatibile con le previsioni statali di settore, in una materia che ineluttabilmente si proietta alla tutela della salute dei minori e che rientra tra le norme di principio nazionali, considerate invece dal legislatore regionale solo in quanto “fatte salve”.
Dunque, nonostante siffatte ipotesi di esercizio di potestà normative a livello regionale che dovrebbero essere rilette in una prospettiva di maggiore coerenza con la legislazione nazionale, sotto il versante oggetto di analisi, quanto alla disciplina del commercio, non può trascurarsi come il D.P.C.M. 12 gennaio 2017, recante definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), di cui all’articolo 1, comma 7, del d.lgs 30 dicembre 1992, n. 502, abbia contemplato il versante della prevenzione collettiva e della sanità pubblica. La lett. f), art. 2, infatti, richiama la sorveglianza e la prevenzione delle malattie croniche, inclusi la promozione di stili di vita sani ed i programmi organizzati di screening, sorveglianza e prevenzione nutrizionale.
All’Allegato 1, poi, si individua il programma specifico di prevenzione e contrasto del tabagismo, del consumo a rischio di alcol e tra le componenti del programma si prevede lo sviluppo per “setting” (nel quale si richiama espressamente anche all’ambiente scolastico e di comunità) di programmi, di prevenzione dell’iniziazione e promozione della disassuefazione, condivisi tra servizi sanitari e sociosanitari e istituzioni educative.
Dunque, un’attenzione particolare e molto forte al tema da parte dello Stato che, tuttavia, non pare intaccare la possibilità di interventi a livello locale, anzi ne richiama una operatività nel rispetto dei livelli essenziali, anche al fine di consentire una maggiore pervasività della norma nazionale.
5. Conclusioni
Facendo leva sulle considerazioni esposte nel presente scritto emerge una forte tensione dello Stato nella prospettiva sussidiaria, che interviene al fine di regolare i conflitti sociali e solo ove ve ne sia la necessità, laddove cioè la società civile si dimostri incapace di autogestirsi [11].
Ed è proprio quella della vendita e somministrazione di bevande alcoliche a soggetti minori una fattispecie emblematica di siffatta tensione in cui lo Stato è intervenuto a regolare una fattispecie reale diffusa, come l’uso da parte dei minori di alcol, con ricadute negative in termini di dipendenze, cui dovrebbero fare seguito interventi operativi sotto il versante della prevenzione dell’intervento concreto per la lotta al fenomeno, sia da parte delle Regioni che delle amministrazioni comunali.
Tuttavia, ciò non pregiudica ma anzi amplifica il ruolo della società civile che, come rilevato nei LEA, è chiamata ad interagire con i servizi sanitari, sociosanitari e le istituzioni educative per la diffusione e la concretizzazione dei programmi di prevenzione dell’iniziazione e promozione della disassuefazione all’alcolismo per produrre una culturale del contrasto di questa tipologia di dipendenza.
Dette considerazioni debbono fare i conti con la realtà fattuale. In una società spesso cieca o scarsamente aperta a recepire i problemi dei singoli ed in cui, come osservava Guardini, «l’uomo d’oggi assomiglia tanto spesso a un cieco che brancola nel buio; giacché la forza fondamentale su cui egli ha poggiato la sua vita, vale a dire il volere, è cieca (…) Di qui procede anche tutta quella irrequietudine che non trova riposo in nessun luogo» [12].
Il rischio per le nuove generazioni di essere travolte da questo processo è molto forte.
A fronte di ciò, sul versante delle istituzioni è semplice cadere nella tentazione del mero ricorso all’autorità, in ossequio al brocardo auctoritas non veritas facit legem, con l’introduzione di norme che, come nel caso di specie, vietano un comportamento, col tentativo di distogliere i minori da fenomeni che possono cagionare dipendenze. Tuttavia, ciò non appare di per sé bastevole. L’introduzione delle restrizioni contenute nel Decreto Balduzzi, infatti, nonostante la pervasività non hanno risolto il problema alla radice.
A tal proposito, in linea con gli sviluppi scientifici che si sono occupati del neurone specchio, è bene rilevare come detto neurone porti non «solo a comprendere cosa fa il soggetto o l’immagine che si vede, ma anche in un certo senso ad “emularla”» [13]. Si tratta del dato neurobiologico che sta alla base della solidarietà tra gli esseri umani e in forza del quale è possibile fare leva sul meccanismo richiamato anche dalla disciplina dei LEA, che mira a diffondere una cultura della promozione della disassuefazione, condivisa tra servizi sanitari e istituzioni educative, attraverso la diffusione di buone pratiche il cui effettivo riflesso muove da una condivisione e da una consapevole comprensione da parte della società tutta, ivi comprese le nuove generazioni.
Ed ancora è bene richiamare le considerazioni espresse da autorevole voce di settore, il Prof. Scafato, che ha posto in evidenza come, in materia di alcoldipendenza, «Prevenire per evitare di curare, identificare precocemente il consumatore problematico e intervenire con una serie di consigli è la strategia al più basso costo e quella dotata della massima efficacia» [14]. In ragione di ciò, lo stesso Autore rileva come nella pertinente Relazione al Parlamento del Ministro della Salute, si rilancia «la necessità di adozione di reali e convinte misure che possano garantire quanto sancito dalla legge 125/2001 che ribadisce all’art. 2 la tutela del diritto delle persone ed in particolare dei bambini e degli adolescenti, ad una vita familiare, sociale e lavorativa protetta dalle conseguenze legate all’abuso di bevande alcoliche e superalcoliche».
Una linea interpretativa che, in conclusione, richiama quanto rimarcato da Jonas, a parere del quale «la moralità deve penetrare nella sfera produttiva (…) e dovrà farlo sotto forma di politica pubblica» [15], originando una forma di etica della responsabilità.
[1] D. Vincenzi Amato, sub. art. 32 Cost., in Comm. cost. Branca. Rapporti etico-sociali, Bologna – Roma 1976, pp. 197 e ss.
[2] I dati ufficiali di cui si dispone sono quelli aggiornati ed esposti in un importante strumento rappresentato dalla Relazione annuale sugli interventi realizzati ai sensi dell’art. 9 comma 2 della legge 30 marzo 2001 n. 125, del Ministro della Salute e trasmessa annualmente al Parlamento, in applicazione dell’art. 8 della medesima legge.
[3] Ministero della salute, Relazione annuale sugli interventi realizzati ai sensi dell’art. 9 comma 2 della legge 30 marzo 2001 n. 125, 2020, p. 7.
[4] Convenzione ratificata in Italia con legge n. 176 del 1991.
[5] Cass. Civ. Sez. I, sentenza 19 maggio 2006, n. 11845.
[6] Cfr. ex multis, F. Liguori, L’accesso al mercato: dal controllo ex ante al controllo ex post, in Liberalizzazioni. Istituzioni, dinamiche economiche e lavoro nel diritto nazionale ed europeo, (a cura di, F. Liguori, C. Acocella), Napoli 2015, pp. 27-28; G. Vesperini, La riforma della pubblica amministrazione. Le norme generali sulla semplificazione, in Gior. dir amm., 2015, pp. 629 e ss.; Aa.Vv., Liberalizzare o regolamentare, Atti del XVII Convegno di Copanello 29-30 giugno 2012, (a cura di, F. Manganaro, A. Romano Tassone, F. Saitta), Milano 2013.
[7] Tar Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 17 settembre 2020, n.578.
[8] Tar Sardegna, Cagliari, sez. II, 13 novembre 2018, n. 971.
[9] C. Tubertini, La giurisprudenza costituzionale in materia di tutela della salute di fronte alla nuova delimitazione delle competenze statali e regionali, in www.astrid-online.it.; R. Ferrara, L’ordinamento della sanità, Torino 2007.
[10] Legge approvata dal Consiglio regionale con verbale n. 38/6 del 17 novembre 2020, pubblicata nel BURA 9 dicembre 2020, n. 204 Speciale ed entrata in vigore il 10 dicembre 2020.
[11] E. Ferrari, Lo Stato sussidiario: il caso dei servizi sociali, in Dir. Pubbl., 1/2002, pp. 99 e ss.; E. Picozza, Introduzione al Diritto Amministrativo, Padova 2018.
[12] R. Guardini, Lo spirito della liturgia, Brescia 2005, pp. 105-106.
[13] E. Picozza, Neuroscienze, scienze della natura e scienze sociali, in Neurodiritto. Una introduzione, (a cura di, E. Picozza), Torino 2011, p. 39.
[14] E. Scafato, Direttore Osservatorio Nazionale Alcol CNESPS, Relazione su “Valutazione e analisi dell’impatto dell’alcol in una prospettiva di salute pubblica”.
[15] H. Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, (trad. it.), Torino 2002, p. 4