Dott. Alessandro Puzzanghera
Dottorando di ricerca all’Università degli studi per stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria
Il T.A.R. Calabria ha dichiarato illegittima l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria, del 29 aprile 2020, n. 37, nella parte in cui disponeva che, a partire dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione Calabria, era consentito riprendere le attività di ristorazione con servizio al tavolo all’aperto.
L’ordinanza presentava un netto contrasto con quanto previsto dal d.P.C.M. 26 aprile 2020 e pertanto un difetto di coordinamento tra Stato e Regione, con una violazione del principio di leale collaborazione. Questo scritto propone un dibattito sui punti trattati dalla sentenza del T.A.R., con particolare attenzione a quelli che sono i concetti e i principi richiamati dal Tribunale Amministrativo.
SOMMARIO: 1. Premessa; 2. Le ragioni sottese alla decisione del Tribunale Amministrativo; 3. I soggetti terzi intervenuti in giudizio; 4. I principi a fondamento della decisione del Tribunale Amministrativo calabrese; 5. Conclusioni
1. Premessa
La presente trattazione intende analizzare il tema relativo all’illegittimità dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria, del 29 aprile 2020, n. 37, precisamente del punto 6, in cui si disponeva la ripresa dell’attività di ristorazione sul territorio regionale, non solo con la consegna a domicilio e l’asporto, attività già concesse dal d.P.C.M. del 26 aprile 2020, ma anche attraverso il servizio al tavolo.
In particolare, il provvedimento in questione aveva destato interesse vista la situazione d’emergenza dovuta alla diffusione del virus COVID-19, in quanto consentiva la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie ed Agriturismo, con somministrazione esclusiva attraverso il servizio ai tavoli, purché all’aperto e nel rispetto di determinate precauzioni di tipo igienico-sanitario.
Per tale motivo, il T.A.R. Calabria, con sentenza n. 841 del 9 maggio 2020, ha accolto il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, annullando l’ordinanza emanata dal Presidente della Regione Calabria, adottata ai sensi dell’art. 32, comma 3 della L. 23 dicembre 1978, n. 833 ai fini di adottare misure per la prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Il provvedimento della Regione Calabria in questione, secondo il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, si poneva in contrasto con l’art. 2, comma 1, e dall’art. 3, comma 1, del d.l. 25 marzo 2020, n. 19, ed inoltre si poneva nei termini di una carenza di potere per incompetenza assoluta.
Difatti, l’art. 2, al comma 1, del sopracitato atto normativo attribuisce la competenza ad adottare le misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 e le ulteriori misure di gestione dell’emergenza al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale provvede con propri decreti previo adempimento degli oneri di consultazione ivi specificati.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri a suo tempo, infatti, aveva provveduto attraverso il d.P.C.M. 26 aprile 2020, con efficacia dal 4 maggio 2020 al 17 maggio 2020, alla sospensione delle attività dei servizi di ristorazione e, in via di eccezione, aveva consentito la ristorazione attraverso consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, sia per quanto riguardava all’attività di confezionamento sia a quella di trasporto, nonché la ristorazione con asporto, fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro oltre al divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi.
L’ente calabrese, in contrasto con quanto disposto dal d.P.C.M. menzionato, aveva autorizzato la ristorazione con servizio al tavolo, asserendo di aver legittimamente esercitato i poteri di ordinanza contingibile e urgente in materia di sanità pubblica, concessi alle Regioni dall’art. 32, co. 3, L. 23 dicembre 1978, n. 833.
A parere della Regione Calabria l’ordinanza non avrebbe fatto altro che adottare delle disposizioni di dettaglio rispetto ai d.P.C.M. adottati per il contrasto all’emergenza, in funzione della specificità della situazione epidemiologica propria del territorio regionale e in quel momento particolarmente lieve.
Sono intervenuti in giudizio, ad adiuvandum, il Comune di Reggio Calabria, che aveva aderito in toto al ricorso, mentre ad opponendum i Comuni di Amendolara e Tropea, nonché il Codacons ed alcuni operatori della ristorazione, i quali interessati al mantenimento delle misure adottate dall’ordinanza, ritenute fondamentali per una rapida ripresa del turismo, avevano sottoposto all’attenzione del T.A.R. adito, l’incostituzionalità del d.l. 19/2020 per contrasto con le disposizioni costituzionali in materia di decretazione di urgenza e di poteri sostitutivi dello Stato.
Infine, a fronte della richiesta di rinvio dell’udienza camerale da parte della Regione Calabria e degli operatori della ristorazione, il TAR aveva invece trattenuto la causa in decisione, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito in legge n. 27 del 2020.
2. Le ragioni sottese alla decisione del Tribunale Amministrativo
In via preliminare la pronuncia in commento analizza il tema relativo al difetto di giurisdizione, sollevato dalla difesa regionale in favore di una competenza della Corte Costituzionale nelle forme dei conflitti di attribuzione.
Nel caso de quo, il T.A.R. ha strutturato la propria decisione su tre argomentazioni, la cui analisi appare utile per proseguire la presente riflessione.
Il primo punto trattato dal Tribunale Amministrativo riguarda l’ordinanza regionale che, essendo contingibile e urgente, è stata considerata esercizio di una funzione amministrativa; il secondo punto, la mancanza di un “tono costituzionale” della disputa; il terzo e ultimo punto, la sussistenza di una sostanziale concorrenza tra il giudizio amministrativo e il conflitto tra enti.
In merito al primo punto, l’ordinanza impugnata riveste i caratteri dell’atto amministrativo generale, che recente dottrina ha definito come ordinanze “libere” in quanto dotate di natura normativa.
Nella sentenza in esame, vi sono pochi dubbi sulla valenza dell’ordinanza quale atto amministrativo generale poiché l’atto in questione, sebbene avesse destinatari indeterminabili a priori, aveva certamente destinatari determinabili a posteriori, e quindi, regolava una vicenda determinata, il cui esaurimento avrebbe inevitabilmente fatto venire meno i suoi effetti.
Tuttavia, tale dato non risolve lo stato di incertezza creatosi in ordine alla sussistenza della giurisdizione del T.A.R..
Sebbene, l’atto impugnato dal Governo fosse una chiara espressione dell’esercizio di un potere amministrativo, tuttavia, non era da escludere la possibilità di impugnare tale atto dinnanzi alla Corte Costituzionale.
In merito, si può fare riferimento proprio ad una sentenza della medesima Corte, la quale ha ravvisato gli estremi di un conflitto di attribuzione anche in presenza di una circolare, ritenendo che, qualsiasi comportamento effettivamente significante dello Stato o di una Regione, che possa configurare un atto invasivo dell’altrui sfera di competenza o tale da menomare le possibilità di esercizio dell’altrui potestà, può considerarsi oggetto di giurisdizione della Corte.
La Corte giungeva a dichiarare che un conflitto tra enti può scaturire in presenza di “una chiara manifestazione di volontà in ordine all’affermazione di una propria competenza”.
In aggiunta di ciò, sempre la Corte, richiamando una sua precedente decisione, ha ritenuto che la legittimazione al ricorso di una Regione possa realizzarsi solo di fronte “ad una sia pure non formale ma chiara, univoca determinazione di volontà dell’Amministrazione”; precisando nelle conclusioni, che l’istituto del conflitto di attribuzione deve essere mantenuto entro i confini segnati dalla Costituzione affinché la stessa Corte Costituzionale non si trasformi in un organo meramente consultivo, giacché, altrimenti, la stessa dovrebbe poi decidere in base a ipotesi di astratta formulazione che potrebbero non trovare concreto riscontro nella realtà.
Con riferimento al secondo punto, il T.A.R., ha escluso la presenza del sopracitato “tono costituzionale”, ovvero di quel requisito ritenuto necessario, affinché si possa ricorrere alla competenza della Corte Costituzionale, e, pertanto, la mancanza di tale requisito nella controversia affrontata esclude nel merito la competenza della Corte Costituzionale in sede di conflitto tra enti.
La stessa Corte Costituzionale, di recente, ha avuto modo di chiarire che non basta attribuire un “tono costituzionale” ad una controversia nel momento in cui vengono messi in gioco competenze e attribuzioni previste dalla Costituzione.
Pertanto, la Consulta non esclude la sindacabilità nelle ordinarie sedi di giurisdizione di atti di natura costituzionale, quando questi trovino un limite nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, sia a livello costituzionale che a livello legislativo.
Un orientamento di questo genere lascia intendere che verrebbe meno il “tono costituzionale” in tutte quelle situazioni in cui a decidere potrebbe tranquillamente essere il giudice comune.
Dunque, per conferire un tono costituzionale ad una controversia è necessario prospettare l’esercizio effettivo di un potere, oppure, come riportato dallo stesso T.A.R., è necessario che il ricorrente abbia subito non una lesione di qualsiasi tipo, ma una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali.
Nel caso in esame, si nota chiaramente l’interferenza dell’ordinanza regionale su quelle che sono le attribuzioni costituzionali dello Stato, in tema di esercizio delle funzioni amministrative per far fronte all’emergenza sanitaria.
A poco rileva, infatti, che ad essere violati siano stati l’art. 3, al primo comma, del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, il quale ha individuato i limiti entro cui i Presidenti delle Regioni possono ricorrere al potere di emanare ordinanze sanitarie in casi di emergenza COVID-19, ed il d.P.C.M 26 aprile 2020, che prevedeva ulteriori misure di contenimento del virus.
Pertanto, lo stesso T.A.R., nel dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dalla Regione, riconosce il potere attribuito dalla legge al Presidente del Consiglio dei ministri nell’individuare le misure necessarie a far fronte all’emergenza sanitaria.
In ragione di ciò, si sarebbe potuto indirizzare il ricorso del Governo, teso a far valere l’illegittimità dell’ordinanza che prevedeva ulteriori misure di contenimento del virus rispetto a quanto previsto dal d.P.C.M., anche nei confronti della Corte Costituzionale, la quale, avrebbe accertato l’interferenza nei poteri dello Stato da parte della Regione Calabria, ai sensi di quanto previsto dall’art. 32 della legge 833 del 1978 e dall’art. 3, comma 1, del decreto legge n. 19 del 2020 sulla base del principio di sussidiarietà.
In conclusione, ulteriore oggetto di valutazione da parte della Corte avrebbe potuto essere l’eventuale violazione del principio di leale collaborazione, che dovrebbe sussistere tra i due Consessi nell’esercizio delle rispettive competenze, in particolare quando vengono trattate potestà concorrenti.
Sicché, la decisione nei conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni, ovvero, il rapporto che intercorre tra il giudizio amministrativo e la competenza della Corte Costituzionale a dirimere le questioni, come si può notare da quanto sopra osservato, rappresenta uno dei temi più approfonditi e dibattuti dalla dottrina, a fronte del quale il legislatore non ha ancora trovato una soluzione definitiva.
Il terzo ed ultimo punto rilevato dal T.A.R., riguarda la concorrenza tra i due rimedi che sottolineano una leggera confusione nella giurisprudenza amministrativa, in merito al rapporto che intercorre tra la giurisdizione di legittimità e la competenza della Corte Costituzionale a decidere sui conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni.
Rispetto alle precedenti osservazioni, il Tribunale si esprime così: “se pure si opinasse che nel caso di specie fosse attivabile, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il conflitto di attribuzione d’innanzi alla Corte Costituzionale, ciò non esclude che sia legittimamente esperibile anche la via del ricorso d’innanzi al giudice amministrativo”.
Infatti, è noto come tra il giudizio amministrativo e il conflitto tra Stato e Regioni vi possa essere “concorrenza” allorquando il provvedimento impugnato sia non solo illegittimo ma anche incostituzionale, poiché, è stato adottato in violazione della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni previsto dalla Costituzione.
Questo tipo di “concorrenza” è più facile che si realizzi nel momento in cui lo stesso atto può essere oggetto di giurisdizione da parte di entrambi i giudici, per il medesimo vizio di incompetenza.
Ciò che rileva, da questa disamina del terzo punto, è la considerazione fatta da parte del T.A.R. per l’ente ricorrente, il quale, sarà favorito grazie al ricorso al giudizio amministrativo da un atto che allo stesso tempo è illegittimo e lesivo.
Secondo il T.A.R., che nella sua decisione fa riferimento ad un orientamento del Consiglio di Stato, l’ente ricorrente potrà scegliere se avvalersi della Corte Costituzionale oppure del giudice amministrativo, che gli eviterà di proporre due giudizi.
Sebbene, vi sia la possibilità di ricorrere parallelamente sia dinnanzi al giudice amministrativo che al giudice costituzionale, tuttavia, il ricorrente, che si troverà di fronte ad un atto illegittimo e incostituzionale, come nel caso oggetto d’esame, potrà avvalersi del ricorso dinnanzi ad un giudice amministrativo.
Pertanto, come nel casus belli, il ricorrente potrà avvalersi del Tribunale Amministrativo, qualora volesse impugnare un atto che ritiene sia affetto da incompetenza costituzionale.
Tuttavia, questo comporta un venir meno delle competenze della Corte Costituzionale a risolvere i conflitti di attribuzione tra lo Stato e le Regioni, come previsto dall’art. 134 della Costituzione, tanto che lo stesso T.A.R. ha ritenuto opportuno precisare, nel caso in questione, che è stato chiamato ad operare un provvedimento contingibile e urgente adottato da un organo dotato di legittimazione democratica diretta.
Dunque, il giudice amministrativo in questo specifico caso si è trasformato da giudice naturale della funzione pubblica a giudice innaturale dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni.
È necessario precisare, a tal punto, il perché si sia giunti a tale trasformazione e quali siano le ragioni che hanno spinto il Tribunale Amministrativo, che ha operato in maniera corretta visto quanto detto sopra, a occuparsi della risoluzione dei conflitti tra Stato e Regioni.
Nel caso in questione, le ragioni sono principalmente due: una si muove parallelamente con quanto è stato detto dalla giurisprudenza maggioritaria, l’altra, riguarda più il caso di contingenza del momento.
Dunque, la prima è dovuta alla totale inerzia da parte del legislatore, il quale, nonostante l’emanazione del codice del processo amministrativo, non ha previsto disposizioni per regolare i rapporti tra processo amministrativo e conflitto Stato/Regioni. La seconda ragione, invece, è riconducibile alla gestione dell’emergenza sanitaria, visto che il Governo, aveva preferito impugnare sempre davanti al T.A.R. l’ordinanza del Presidente della Regione Marche, che anticipava l’adozione delle misure di contenimento all’interno del proprio territorio regionale, misure che da lì a poco sarebbero state adottate dal Governo per tutto il territorio nazionale.
Di conseguenza, anche questa ordinanza poteva costituire oggetto di giurisdizione da parte della Corte Costituzionale, consentendo pertanto il coinvolgimento del giudice costituzionale al fine di ottenere una pronuncia “definitiva” sul sistema di regolazione dell’emergenza sanitaria delineata dai vari d.P.C.M..
In conclusione, il Tribunale Amministrativo Regionale, alla luce delle tre ragioni che sono state evidenziate e che lo hanno portato a dirimere tale controversia, ha rigettato quanto chiesto dalla difesa, ritenendo che la giurisdizione appartenesse al giudice amministrativo.
3. I soggetti terzi intervenuti in giudizio
Chiarita la giurisdizione del T.A.R. e l’assoluta legittimazione a ricorrere del Presidente del Consiglio dei Ministri, appare adesso necessario esaminare le posizioni delle altre parti intervenute nella controversia.
Premettendo che, l’ordinanza in questione riveste i caratteri dell’atto generale, il quale è sempre rivolto a più destinatari indeterminati ed è destinato a consumarsi al momento della sua emanazione.
Appunto per questo, il T.A.R., ha dedotto facilmente l’insussistenza dei controinteressati, ritenendo che la figura del controinteressato possa ricorrere soltanto nel caso in cui il provvedimento impugnato si rifaccia nei suoi confronti, i quali acquistano una posizione di vantaggio grazie al provvedimento stesso.
Dunque, accertato che il provvedimento impugnato ha natura generale e non sono individuabili controinteressati, nel caso di specie, il terzo destinatario della notifica è sostanzialmente estraneo alla controversia e, pertanto, la sua mancata costituzione non incide sul decorso del giudizio.
Quanto affermato sopra, ha consentito al Tribunale Amministrativo di escludere che, la mancata costituzione in giudizio degli operatori del settore di ristorazione potesse incidere sulla definizione del giudizio mediante sentenza in forma semplificata.
Dinnanzi ad un atto amministrativo generale, essi non rivestono un ruolo di controinteressati, dato che il loro intervento è da riqualificare ai sensi dell’art. 28, comma 2 c.p.a., e non comporta alcuna specifica necessità di difendersi, giacché, sono tenuti ad accettare lo stato e il grado in cui si trova il giudizio.
Quanto all’intervento ad adiuvandum, è ammesso dalla giurisprudenza più recente anche da parte del cointeressato, purché non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni e vi abbia interesse, senza però la possibilità di ampliare il thema decidendum.
Nel caso in questione, vi erano tutte le condizioni per l’intervento del Comune di Reggio Calabria che ha agito a tutela della salute dei cittadini reggini ed è intervenuto in giudizio quando ancora non erano scaduti i termini per impugnare.
Dunque, il Comune nel suo intervento si è limitato ad aderire al ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, accettando il processo nello stato e grado in cui si trovava.
Ritenuti ammissibili anche gli interventi ad opponendum dei Comuni di Tropea e Amendolara, intervenuti per scopi prettamente turistici, vista la riapertura delle attività imprenditoriali nel settore della ristorazione e, quindi, interessati alla conservazione del provvedimento impugnato.
Viceversa, è stato ritenuto inammissibile l’intervento del Codacons, associazione preposta a tutela dei consumatori, in quanto non sono state ravvisate le condizioni dell’azione tali da rinvenire la lesione di interessi legittimi dell’associazione medesima oppure di interessi diffusi dei soggetti dalla stessa protetti.
In conclusione, esaminate tutte le parti in causa, il T.A.R., ha rigettato la richiesta di rinvio della Regione e degli operatori del settore della ristorazione, qualificati come intervenienti ad opponendum ma non titolari di una posizione qualificata di controinteresse.
4. I principi a fondamento della decisione del Tribunale Amministrativo calabrese
Il T.A.R., anche sulla base di quanto deciso precedentemente in materia di rapporti tra le ordinanze regionali e i D.P.C.M., non ha avuto difficoltà nel ritenere in contrasto le misure richieste dall’ordinanza calabrese rispetto a quelle statali.
Quello che attraverso la presente riflessione s’intende evidenziare è come l’illegittimità dell’ordinanza regionale sia stata dimostrata dal T.A.R., non solo perché vi era un netto contrasto gerarchico con il d.P.C.M., ma per una evidente relazione di separazione delle competenze tra Stato e Regione in tema di misure emergenziali.
Il Tribunale Amministrativo calabrese ha pienamente accolto la restrizione del potere contingibile e urgente in materia sanitaria delle Regioni, così come previsto dal legislatore che ne vincola i tempi, l’oggetto e i modi di esercizio.
Seppur non richiamato in maniera espressa, dietro la decisione del T.A.R., vi è un forte rinvio al principio di sussidiarietà che ne fa da cornice.
Viceversa, il giudice amministrativo ha fatto espressa menzione del principio di precauzione, tramite il quale viene giustificata la scelta statale di escludere il servizio al tavolo per le attività di ristorazione e, per tale motivo, lo Stato si è opposto a quanto era previsto dall’ordinanza calabrese che consentiva la riapertura con servizio a tavolo.
Sempre il T.A.R., nella sua decisione fa uso di un ulteriore principio ovvero, quello di proporzionalità che, insieme a quello di ragionevolezza, viene utilizzato per far capire l’importanza del divieto del servizio al tavolo per le attività di ristorazione, affinché, si eviti la diffusione del virus.
Vietare il servizio al tavolo per le attività di ristorazione, secondo il Tribunale Amministrativo, è la soluzione ideale per evitare il propagarsi della pandemia, visto che in gioco vengono messi beni superiori, quale la salute pubblica.
Infine, il T.A.R. si sofferma sul principio di leale collaborazione, sottolineandone la palese violazione da parte della Regione Calabria che ha emanato l’ordinanza autonomamente, senza alcuna forma di collaborazione, intesa o consultazione con lo Stato.
Pertanto, si afferma che è dello Stato il potere di gestione dell’emergenza sanitaria tramite l’utilizzo di misure adottabili con d.P.C.M. ed è sempre dello Stato il compito di presidiare l’emanazione di eventuali ordinanze contingibili e urgenti.
Tuttavia, un compromesso, seppur minimo, è rappresentato dalla consultazione che il Governo fa con i Presidenti delle Regioni interessate o direttamente con il Presidente della Conferenza, un coinvolgimento debole ma giustificato visto che, in tempi di pandemia, serve essere tempestivi e celeri nell’individuazione delle misure.
Visto che molto spesso è stata chiamata a regolare relazioni intrigate e complesse tra lo Stato e le Regioni, la Corte Costituzionale ha chiarito la natura del principio di leale collaborazione; questo rapporto richiede continue applicazioni che possono essere di carattere legislativo, giurisdizionale o amministrativo.
La manifesta difformità dell’ordinanza calabrese, è segno di un evidente difetto di coordinamento tra Stato e Regione Calabria. Ciononostante, un tentativo di compromesso per la riapertura anticipata delle attività al tavolo dei ristoranti, avrebbe potuto evitare tale difformità.
Come sopra anticipato, è da evidenziare il ruolo che il T.A.R. riveste da anni, chiamato a dirimere i vari conflitti di competenze, come nel caso della sentenza in questione, dove il giudice amministrativo viene chiamato a giudicare il vizio di eccesso di potere.
Dunque, il T.A.R., anche per le ragioni precedentemente illustrate, nella sentenza annotata è stato chiamato ancora una volta ad assumere la veste della Corte Costituzionale per dirimere il conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, piuttosto che a giudicare la legittimità dell’azione amministrativa.
5. Conclusioni
Alla luce di quanto osservato nella presente riflessione è possibile rilevare che la Calabria ha fatto da apripista nell’adozione delle ordinanze contingibili e urgenti in materia di contrasto alla pandemia COVID-19, per poi essere seguita da altre Regioni (quali: Sicilia, Sardegna e Piemonte), assumendo una posizione avversa rispetto a quella del governo, il quale ha fatto ricorso al T.A.R., per ripristinare un’azione a carattere unitario, in ragione della tipologia di interessi tutelati in gioco.
I temi di scontro sono stati vari: dalla riapertura del settore della ristorazione, al cosiddetto “passaporto sanitario” fino alla misurazione della temperatura degli studenti da parte delle famiglie al rientro sui banchi di scuola.
Questi numerosi confronti hanno consentito alla conferenza Stato-Regioni di ricoprire un ruolo fondamentale per equilibrare i vari dissidi e le divergenze, sebbene non sempre in quella sede si sia riusciti a giungere ad un’intesa.
Nel casus belli, lo stato di incertezza creatosi, in ordine alla sussistenza della giurisdizione del T.A.R. insieme alla mancanza del sopracitato “tono costituzionale” all’interno della disputa, ha consentito al giudice amministrativo di dirimere la questione.
A fronte di quanto è stato analizzato, una delle principali causa di perplessità nei conflitti di attribuzione è dovuta al fatto che permane una situazione lacunosa a livello normativo.
A ciò si aggiunga, l’atteggiamento della Corte Costituzionale che, pur potendo intervenire per chiarire, una volta per tutte, i limiti circa il riparto tra ricorso giurisdizionale amministrativo e conflitto tra enti, non ha operato in tal senso.
Dunque, se in astratto la Corte potrebbe sancire una vera e propria riserva in favore del giudice costituzionale (erede di quanto già previsto dall’art. 134 della Costituzione), quando lo stesso si trova a decidere del riparto di competenze costituzionali tra lo Stato e le Regioni, anche congiuntamente alla legittimità dell’atto, creando così una specie di pregiudiziale costituzionale.
In siffatta ipotesi, si precluderebbe l’accesso al giudice da parte degli enti, specialmente se il giudice amministrativo aderisse con quanto deciso dalla Corte Costituzionale.
In mancanza di tale collaborazione da parte del giudice amministrativo, invece, si darebbe la possibilità all’amministrazione ricorrente di eccepire la titolarità della giurisdizione di quest’ultimo plesso. Un’ipotesi che conferirebbe alla Consulta il compito di dirimere il conflitto di attribuzione davanti a se stessa nei confronti della pronuncia del giudice comune.
Tuttavia, queste sono e restano solo ipotesi, visto che al momento, non si profilano orientamenti della Corte.
Pertanto, il meccanismo della concorrenza tra i due giudizi e la libertà di scelta dell’ente ricorrente continua a rimanere operativo, e gli eventi connessi con la seconda ondata del virus e con il prolungamento dello stato di emergenza rischiano di mettere in scena l’ennesimo round di un match, tra Stato e Regioni, che lungi dal pervenire ad una soluzione definitiva.