A cura di Antonio Vincenzo Castorina
Sommario: 1.Introduzione; 2. Lo stato attuale della responsabilità civile della pubblica amministrazione; 3. La responsabilità sanzionatoria in ambito contabile; 4. Danni punitivi e responsabilità civile; 5. Una possibile chiave di lettura: la responsabilità con funzione sanzionatoria.
1.Introduzione.
Lo studio proposto intende approfondire il tema della responsabilità amministrativa in rapporto con il concetto di buona amministrazione, con particolare riguardo alla recente tendenza sanzionatoria che appare emergere nel nostro ordinamento, tale da permettere di riconsiderare il ruolo che gli è tradizionalmente attribuito.
L’idea di affrontare la responsabilità amministrativa si colloca all’interno di una più ampia riflessione volta a fornire una risposta alternativa ai tradizionali rimedi per contrastare fenomeni di cattiva amministrazione. La periodicità con cui la più attenta dottrina[1] si incontra per affrontare il tema degli strumenti idonei a migliorare la qualità delle scelte amministrative e la costanza degli approfondimenti monografici sul tema[2] evidenzia come l’argomento sia di grande attualità e che le soluzioni prospettate non hanno raggiunto a pieno i risultati sperati.
Il concetto di buona amministrazione è notevolmente mutato rispetto al passato poichè se in origine era rivolto prevalentemente all’amministrazione, attualmente riveste un ruolo particolarmente incisivo per la tutela degli amministrati[3].
Il principio di buona amministrazione trova base normativa non solo a livello Costituzionale nell’art. 97, ma anche in ambito sovranazionale[4] nell’art. 41 della Carta di Nizza che specifica in modo analitico il concetto individuandone il contenuto[5] e nell’art. 6 paragrafo 1 CEDU[6].
Le soluzioni tradizionalmente avallate per dare effettiva attuazione al principio di buon andamento della p.a. possono essere ricondotte a due grandi tematiche, ossia i controlli[7] e la trasparenza[8].
Non è questa la sede per affrontare approfonditamente la tematica dei controlli rinviandosi ai contributi di autorevole dottrina[9], essendo sufficiente evidenziare che nonostante la riforma operata con d.lgs. 150/2009 ed improntata ad un concetto “aziendalistico” di pubblica amministrazione, il tema non può essere considerato esaurito; ciò è confermato delle recenti riforme[10] che introducono nuovi soggetti deputati al controllo, come l’A.N.A.C.[11], che evidenziano conseguentemente l’insoddisfazione per il modello ed i risultati ottenuti fino a questo momento[12].
Simili considerazioni possono essere svolte con riferimento al connesso tema della trasparenza[13].
All’interno di tale principio si collocano vari istituti volti a migliorare l’azione amministrativa (il diritto di accesso e la pubblicità degli atti amministrativi, la partecipazione procedimentale, la motivazione del provvedimento amministrativo) e vari processi di trasformazione dell’amministrazione come la digitalizzazione[14] o la semplificazione[15].
Anche in questo ambito, tuttavia, si assiste a numerosi interventi di riforma volti a rimediare agli errori commessi in passato ed adeguare frequentemente lo standard di tutela ai livelli previsti dal diritto dell’Unione Europa[16].
Approfondire i temi della trasparenza e dei controlli rappresenta, perciò, una strada necessaria per migliorare l’amministrazione[17]; tuttavia, nonostante le soluzioni fin oggi prospettate, le perduranti perplessità in ordine alla capacità da parte della p.a. di rispondere alle esigenze dei cittadini induce a verificare la percorribilità di strade alternative.
La ragione che ha indotto la ricerca è, perciò, quella di prospettare un percorso alternativo coerente con il concetto di buona amministrazione.
Un possibile strumento aggiuntivo a quelli indicati, di cui il presente contributo intende verificarne la praticabilità, è rappresentato dal sistema della responsabilità.
La scelta del tema della responsabilità come metodo di stimolo idoneo al buon andamento della pubblica amministrazione è dovuta alla crisi che vive il tradizionale modello fondato sull’illecito extracontrattuale che ha condotto all’emersione di nuovi metodi risarcitori, caratterizzati per l’irrilevanza dell’elemento soggettivo o per l’inedita funzione sanzionatoria.
Il principio di responsabilità della pubblica amministrazione è un dato ormai pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza, tanto comunitaria quanto sovranazionale; tuttavia non altrettanta chiarezza è possibile rinvenire sul ruolo della responsabilità amministrativa, in quanto molteplici e differenziati sono i modelli elaborati nello spazio giuridico europeo.
L’approdo di nuove forme di responsabilità comporta due principali conseguenze. Dal punto di vista degli effetti deriva che nel tracciare i confini della responsabilità della pubblica amministrazione non occorre svolgere necessariamente una simmetrica equiparazione con la responsabilità civilistica. Si può, quindi, affermare che da un lato la responsabilità amministrativa condivide gli elementi dell’illecito aquilano, ma dall’altro se ne differenzia e presenta profili di specificità e originalità in base al settore e alla funzione svolta.
Dal punto di vista della funzione scaturisce l’apertura verso nuovi ruoli e scopi della responsabilità, che inevitabilmente incidono sull’agire amministrativo.
La responsabilità, perciò, da mero criterio di allocazione dei costi del danno può assumere nuove caratteristiche di stimolo per l’agire amministrativo. Più nello specifico la nuova funzione che si affianca a quella tradizionale e di cui si intende trattare è quella sanzionatoria.
Oggetto della presente indagine è, perciò, innanzitutto comprendere se tale funzione sia presente nel diritto amministrativo, quali siano le sue caratteristiche e che impatto produce questo cambiamento sull’amministrazione moderna. Lo studio proposto non ha una finalità esclusivamente descrittiva, in quanto si prefigge di fornire un contributo innovativo al dibattito sull’agire amministrativo coerente con il buon andamento.
La connotazione sanzionatoria della responsabilità, già presente in modo esplicito in ordinamenti diversi dal nostro, come quelli di common law, sembra produrre effetti particolarmente incisivi nel rapporto tra autorità e privato, in quanto la mera prospettazione di un esborso economico superiore al danno causato dalla condotta negligente tende ad indurre una spontanea e diligente azione amministrativa.
La strada alternativa che si intende percorrere, finalizzata a verificare se la responsabilità possa essere intesa come strumento per la buona amministrazione, presuppone il riconoscimento della possibilità di attribuirle varie funzioni.
La responsabilità amministrativa è un tema caratterizzato da numerosi interventi normativi e arresti giurisprudenziali, tra cui la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 500 del 1999, che ne hanno fortemente caratterizzato sia la struttura che la funzione; ciononostante deve essere tenuto in considerazione, ai fini del presente studio, la ratio e gli effetti che i vari modelli alternatisi nel tempo producono nell’amministrazione.
Spesso il tema della responsabilità è affrontato per risolvere dubbi di carattere processuale come l’onere probatorio o il termine prescrizionale; tuttavia, nonostante tali aspetti risultano essere i naturali risvolti applicativi dei modelli conosciuti, lo scopo a cui mira la ricerca è comprendere se i confini della responsabilità possano estendersi fino a rappresentare un parametro di buona amministrazione.La chiave di lettura che caratterizzerà l’intera indagine è, perciò, la percorribilità della funzione sanzionatoria della responsabilità.
È possibile fin da subito sottolineare che, se ad una prima analisi, associare il concetto di sanzione a quello di responsabilità può essere una contraddizione, dato il ruolo prevalentemente compensativo che le viene tradizionalmente attribuito, a ben vedere si evidenzierà come spesso la logica sanzionatoria sia latente in vari istituti già presenti nell’ordinamento nazionale, specialmente nelle ipotesi in cui il legislatore ha compreso l’impossibilità di fronteggiare determinati fenomeni abusivi con i rimedi tradizionali.
Richiamato lo scopo dell’indagine è possibile individuare il confine della stessa.
Per poter verificare la bontà della lettura punitiva della responsabilità amministrativa che si intende sostenere sarà necessario indagare in quei settori dell’ordinamento in cui tale funzione dà l’impressione di essere presente e che effetti produca. Il limite di indagine è rappresentato, quindi, dall’analisi delle ipotesi punitive presenti nel nostro sistema giuridico, il che consentirà di approfondire anche il tema dei punitive damages, istituto formalmente non ammesso in Italia, ma i cui tratti fondamentali e le cui funzioni sembrano scorgersi in alcuni istituti domestici.
Si procederà, quindi, dall’analisi delle ipotesi in cui un ruolo sanzionatorio è di immediata percezione. I settori analizzati per confermare la presenza della funzione punitiva e gli effetti che produce nel nostro ordinamento sono, perciò, quello contabile e la responsabilità civile. L’analisi delle varie ipotesi punitive negli altri settori del nostro sistema giuridico consentirà di comprendere i tratti essenziali della funzione punitiva e di evidenziare che ciò che rappresenta una novità nel diritto amministrativo è, in realtà, un fenomeno conosciuto e già presente in Italia.
Il parametro utilizzato che consente di comprendere e chiarire vari istituti di elaborazione giurisprudenziale o gli innesti normativi che verranno presi in esame è, perciò, la buona amministrazione, principio che permette di guidare l’interprete e la p.a. nella valutazione di scelte opportune, ma che necessita di essere riempito di nuovi contenuti in chiave sanzionatoria.
- Lo stato attuale della responsabilità civile della pubblica amministrazione
L’interrogativo principale che si pone dall’analisi della responsabilità della pubblica amministrazione è se il modello italiano, prevalentemente ancorato alle disposizioni domestiche, sia attualmente idoneo a svolgere il ruolo che intende raggiungere, ovvero sia capace rispondere alle crescenti esigenze che il diritto moderno impone.
Non semplicemente modelli di responsabilità, ma più propriamente differenti ideologie riguardo i rapporti tra amministratore ed amministrato vengono in contatto, sicché occorre verificare che tipo di responsabilità amministrativa si stia tratteggiando nel contesto moderno.
Occorre anticipare che attualmente di vero e proprio risultato dell’integrazione non è possibile ancora parlare, essendo il processo di incorporazione in fieri.
A tale fine occorrerà brevemente richiamare i “punti fermi” delle impostazioni sovranazionali per poi verificarne l’impatto sul concetto di responsabilità nazionale.
Da un lato, infatti, si colloca il concetto di responsabilità di carattere sovranazionale in cui ciò che rileva è rispettivamente, per il diritto dell’unione europea[18], il riconoscimento della supremazia delle norme sovranazionali[19] rispetto a quelle nazionali, e per il diritto CEDU, la tutela delle situazioni giuridiche soggettive[20] prescindendo da rigide qualificazioni.
Risulta un dato pacifico come come il fondamento della responsabilità comunitaria sia rinvenibile nella supremazia dei principi comunitari rispetto a quelli nazionali, tanto da non richiedere una indagine sull’elemento soggettivo che piegherebbe la portata primaria dei principi scanditi a quel livello di governo. Ciò che rileva è, quindi, che la ratio della norma comunitaria non sia tradita da un sistema rimediale che non consenta l’esercizio (applicazione, operatività) dei principi comunitari; da ciò deriva che la violazione della legge comunitaria comporta l’obbligo di riparare le conseguenze dannose, ossia fa emergere il sistema di responsabilità.
Anche con riferimento alla CEDU si può affermare come l’obiettivo dell’enunciazione di taluni principi abbia una portata trasversale, tanto da indurre un adeguamento spontaneo per il rischio di incorrere in responsabilità.
Dall’altro lato si colloca il sistema nazionale in cui l’unica certezza è data dal superamento del dogma della irrisarcibilità degli interessi legittimi. Il nostro ordinamento mostra delle resistenze a recepire le indicazioni sovranazionali basando il proprio sistema prevalentemente su un approccio di tipo soggettivo, legato alla struttura e funzione(compensativa) dell’illecito aquilano.
Richiamati sinteticamente i tratti caratterizzanti i vari modelli di responsabilità occorre evidenziare che in realtà gli approcci al tema non consentono di giungere ad esiti univoci. Non mancano, infatti, recenti pronunce[21] di segno opposto all’impostazione tradizionale che confermano come il dibattito sorto fin dalla sentenza 500 del 1999 sia ancora vivo.
La ratio che si pone al fondamento della necessità di elaborare un nuovo modello di responsabilità è dato dalla insoddisfazione degli esiti raggiunti dal sistema attuale. In particolare la responsabilità fino ad oggi riconosciuta non ha garantito adeguata tutela ai singoli e non ha rappresentato uno strumento di deterrenza.
La giurisprudenza ha osservato che dalle peculiarità dell’attività amministrativa, caratterizzata dal rispetto di regole procedimentali, sostanziali e processuali, deriva anche un regime di responsabilità differente rispetto a quello civile[22].
In particolare è stato chiarito come la responsabilità della pubblica amministrazione in realtà si discosta dal paradigma civilistico che individua le categorie di responsabilità extracontrattuale e da inadempimento.
La responsabilità extracontrattuale presuppone, infatti, che l’agente non abbia normalmente alcun rapporto o contatto con la parte danneggiata. L’art. 2043 c.c. impone, con clausola generale dotata di autonomia precettiva, il rispetto del dovere generale del neminem laedere a tutela di qualunque posizione soggettiva meritevole di protezione giuridica.
Diversamente la responsabilità di inadempimento è la conseguenza della violazione di un dovere di prestazione o di protezione inserito nell’ambito di un rapporto giuridico che sorge da un rapporto tra le parti preesistente.
Come già sostenuto in passato dalla giurisprudenza[23], la responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo avrebbe, per le sue caratteristiche, una natura speciale non riconducibile agli indicati modelli normativi.
La responsabilità della p.a., infatti, differenziandosi da quella civile, presuppone che il comportamento illecito si inserisca nell’ambito di un procedimento amministrativo. L’amministrazione, in ossequio al principio di legalità, deve rispettare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le modalità di svolgimento della sua azione. L’esistenza di un contatto tra le parti, pubbliche e private, impedisce di ritenere che si sia in presenza della responsabilità di un soggetto non avente alcun rapporto con la parte danneggiata.
Sono, inoltre, diverse le posizioni soggettive che si confrontano, tant’è che da un lato si rinviene il dovere di prestazione o di protezione e diritto di credito, dall’altro, il potere pubblico e interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo; ciò consente di differenziare la responsabilità amministrativa da quella contrattuale.
Un ulteriore aspetto che differenzia la responsabilità in esame da quella civilistica è la stretta connessione esistente tra sindacato di validità sul potere discrezionale e sindacato di responsabilità sul comportamento che impone al giudice amministrativo, nel caso in cui sia proposta anche l’azione di annullamento o di nullità, di non sovrapporre, nell’accertare la sussistenza del fatto illecito, proprie valutazioni a quelle riservate alla pubblica amministrazione.
A ben vedere l’esigenza di allontanarsi dallo schema dell’illecito aquilano scandito dalla sentenza 500 del 1999 si è manifestata subito dopo la storica sentenza, dando vita a vari orientamenti in ordine alla natura contrattuale[24] o speciale[25] della responsabilità amministrativa.
Ad una più approfondita analisi, il problema principale che affligge l’impostazione nazionale non è quello di rinvenire una specifica norma che sia adatta a disciplinare le conseguenze derivanti dall’agire illegittimo della p.a., ma rimane il presupposto della responsabilità nazionale. L’adesione a nuove tesi ha spesso trovato il principale ostacolo nell’attuale assetto normativo che ad una prima analisi non consentirebbe di attribuire significati ulteriori rispetto a quelli già evidenziati[26].
La tematica della responsabilità amministrativa esige, oggi, di allontanarsi da rigidi formalismi, in favore di un approccio sostanziale. Per comprendere quale sia la funzione e le caratteristiche strutturali dell’illecito della pubblica amministrazione occorre risolvere l’interrogativo circa il fine della responsabilità. In altri termini se risulta ancora attuale e prevalente l’esigenza compensativa della responsabilità la norma a cui fare riferimento sarà l’art. 2043 c.c.; diversamente se si evidenzia come il modello aquiliano sia non più soddisfacente occorre riconsiderare l’obiettivo della responsabilità, rivolgendo l’attenzione ad un modello che tenda ad implementare l’attività amministrativa. L’osservazione dell’evoluzione subita da taluni istituti e le indicazioni europee e convenzionali inducono a ritenere che il criterio della nuova responsabilità sia quello di rappresentare un deterrente al fine di realizzare il buon andamento.
Varie sono le materie nazionali in cui si è assistito ad una contaminazione dell’impostazione sovranazionale, tuttavia il settore in cui si è registrato il primo e più significativo cambio di rotta in ordine alla responsabilità amministrativa, recependo le critiche sul modello aquiliano, è quello degli appalti pubblici.
In tale ambito anche grazie alle pronunce della Corte di Giustizia che ha spesso individuato gli elementi da accertare per ascrivere la responsabilità della p.a., la giurisprudenza nazionale si è gradatamente allineata al modello di responsabilità comunitario, giungendo dapprima con le presunzione e successivamente tramite la diretta applicazione dei principi espressi a livello sovranazionale ad escludere la possibilità che l’amministrazione dimostri che il danno non sia a lei imputabile.
Inizialmente l’illegittimità dell’atto amministrativo veniva intesa come indice presuntivo della colpa, determinandosi una responsabilità per colpa presunta e invertendo l’onere della prova previsto dal 2043 c.c., imponendosi l’onere probatorio non al danneggiato, ma all’amministrazione.
Tale ricostruzione si poneva, tuttavia, in contrasto con le indicazioni della Corte di Giustizia che qualificava una responsabilità di tipo oggettivo individuando tre presupposti ai fini della responsabilità: la presenza di una norma chiara, la violazione grave e manifesta e il nesso di causalità.
Si è, quindi, chiarito che una normativa nazionale che consenta all’amministrazione di liberarsi dimostrando l’assenza di colpa è incompatibile con il diritto comunitario, che richiede solo la verifica dell’illegittimità e la spettanza del bene.
Il settore degli appalti rappresenta, quindi, un’eccezione rispetto all’ordinario modello di responsabilità sia perché si discosta dal classico modello aquilano sia in quanto fa diretta applicazione di una diversa funzione e concezione di responsabilità, basata sulla legalità violata, ossia il codice dei contratti pubblici e i principi comunitari[27].
A conferma del differente ruolo che può ricoprire la responsabilità amministrativa è possibile fare riferimento ad un secondo ambito in cui si può registrare un regime differenziato di responsabilità rispetto a quello classico, ovvero quello del ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento.
Si può rilevare fin da subito che la logica che ispira l’istituto disciplinato dall’art. 2 bis della legge 241 del 1990 risulta essere particolarmente simile a quella prevista dall’ordinamento comunitario per l’inosservanza degli obblighi imposti dal Trattato. Ciò che rileva ai fini dell’attivazione del rimedio da inosservanza dei termini procedimentali è la mera violazione della disposizione di legge.
L’art. 2-bis[28] della legge sul procedimento amministrativo introduce un sistema automatico di responsabilità in caso di mero ritardo nella emanazione del provvedimento amministrativo[29].
La norma, innovando il previgente sistema di danno da ritardo, introduce il principio secondo cui il mancato rispetto dei termini procedimentali produce sempre un obbligo di fornire un rimedio[30], senza che occorra l’instaurazione di un processo volto ad accertare la fondatezza della pretesa del privato.
La novella, infatti, introduce un rimedio – qualificandolo in termini di indennizzo[31] – derivante dalla prova del solo ritardo, ossia dalla mera inosservanza delle disposizioni di legge sui tempi della conclusione del procedimento.
Accanto a tale sanzione irrogata all’amministrazione a beneficio del privato rimane ferma la possibilità di esperire l’azione risarcitoria ex 2043 c.c., subordinata ai presupposti di carattere oggettivo e soggettivo dell’illecito.
La direttiva del del Ministro della Pubblica Amministrazione e semplificazione[32] del 9 gennaio 2014 ha confermato che tale rimedio sia sganciato da ogni profilo di colpevolezza dell’amministrazione, potendo il privato accedere a tale strumento anche in assenza di colpa della pubblica amministrazione e finanche in presenza di una causa di forza maggiore.
Il ritardo rappresenta, perciò, una patologia dell’azione amministrativa da cui possono derivare conseguenze pregiudizievoli tanto per il privato che per l’amministrazione, sicché si è deciso di sanzionare tale condotta tramite una misura dissuasiva svincolata dall’accertamento della colpa.
La norma conferma l’idea secondo cui l’attività amministrativa non esaurisce il proprio compito con l’emanazione di un un provvedimento espresso, ma è necessario che tale provvedimento sia emanato in tempi certi[33]. La connessione tra provvedimento e tempo dell’azione amministrativa è una diretta conseguenza del principio di legalità che oltre ad essere vincolo esterno all’esercizio del potere, è collegato alla doverosità dell’azione amministrativa nel tempo[34].
Il sistema di responsabilità previsto dall’art. 2 bis della legge 241 del 1990 dovrebbe, quindi, stimolare il buon andamento dell’amministrazione consentendo al privato di essere destinatario di un provvedimento amministrativo che sia stato il risultato di un procedimento chiaro e circoscritto entro determinati vincoli temporali.
Il contenuto della norma sembra, inoltre, accogliere le indicazioni fornite dalla CEDU sull’importanza del tempo nella tutela dei privati[35], tanto da introdurre non solo limiti temporali per la conclusione del procedimento, ma anche una sanzione in caso di inosservanza di tale obbligo.
Dalle ipotesi richiamate emerge un quadro che in parte si discosta dalla tradizionale impostazione aquilana risultando maggiormente vicino alle indicazioni comunitarie sia sui requisiti che sulla funzione della responsabilità amministrativa.
Un sistema differenziato di responsabilità, basato per le situazione giuridiche di rilevanza solo nazionale sull’illecito extracontrattuale e su quelle di interesse sovranazionale rivolto a dare attuazione al buon andamento della pubblica amministrazione, mostra come l’influenza del diritto sovranazionale ha condotto all’abbandono di un sistema unitario di responsabilità, presentandosi oggi un panorama variegato.
Si è infatti passato da un sistema fortemente influenzato dalla concezione autoritaria dello Stato che non ammetteva forme di responsabilità per la pubblica amministrazione, al riconoscimento del dovere di neminem leadere anche per la p.a., per giungere fino ad oggi in cui il sistema aquiliano sembra inadeguato se applicato alla pubblica amministrazione moderna.
Tale circostanza comporta, tuttavia, una serie di interrogativi. Occorre domandarsi se il tradizionale sistema di responsabilità basato sulla funzione compensativa si stia gradatamente dirigendo verso il modello comunitario, rappresentando, quindi, gli appalti solo il primo di una lunga serie di settori destinati a mutare la loro struttura per allinearsi alle indicazioni comunitarie o se sia ammissibile e funzionale al nostro ordinamento un modello differenziato di responsabilità- in parte compensativo ed in parte sanzionatorio- in base ai settori di riferimento.
Recentemente il tema è stato affrontato dalla Corte di Cassazione[36] che ha circoscritto l’ambito della responsabilità aquiliana, avvicinandosi al modello di responsabilità sovranazionale.
Il punto di partenza dell’adesione ad un differente approccio è rappresentato dalla legge n. 241 del 1990 che ha mutato i rapporti tra cittadino ed amministrazione e conseguentemente il sistema di responsabilità; la lesione degli interessi procedimentali del privato genera la responsabilità della p.a. per violazione dei canoni di correttezza e di buona fede.
La relazione intersoggettiva di cui è parte necessaria la p.a. nella realizzazione dell’interesse pubblico da vita ad obblighi la cui violazione è assimilabile a quella arrecata agli obblighi scaturenti dal contratto.
Da tale cambiamento deriva un tipo di responsabilità con “una fisionomia sui generis, non riconducibile al mero modello aquiliano ex art. 2043 c.c., essendo connotata dal rilievo di alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni, con conseguente applicabilità delle norme in materia di responsabilità contrattuale, concernenti la prescrizione del diritto, l’onere della prova e l’area del danno risarcibile”[37]
Ciò che sembra desumersi dalla pronuncia è che il sistema di responsabilità non possa rappresentare una categoria rigida, dovendosi adeguare all’evoluzione dei rapporti intersoggettivi.
Per effetto della relazione che si crea tra le parti e del conseguente affidamento che ciascuna di esse ripone nella buona fede e correttezza, nascono obblighi di protezione che precedono e si aggiungono ad eventuali obblighi di prestazione.
L’amministrazione, perciò, sarà esente da responsabilità solo se dimostri non semplicemente di aver agito legittimamente, ma qualora abbia tenuto conto tramite il proprio comportamento dell’affidamento dei privati. Il sistema di responsabilità che emerge consente di condannare la p.a. che abbia agito legittimamente ma attraverso un comportamento scorretto.
Tale modello cambia il paradigma conosciuto fino ad oggi poiché impone un nuovo dovere alla p.a. che non si sostanzia solo nella corretta esecuzione del procedimento sotto il profilo della conformità alla legge, ma nel corretto comportamento. In altri termini il sistema di responsabilità costituisce il parametro dell’agire secondo i canoni del buon andamento, principio, quest’ultimo, che non può essere limitato alla legittimità dell’atto.
Attraverso uno sguardo di insieme al sistema di responsabilità si desume, perciò, una nuova funzione dell’istituto, che non si limita ad obbligare alla riparazione del danno, ma che intende essere un deterrente a comportamenti e scelte amministrative non orientante alla qualità amministrativa, ossia la buona amministrazione. Tali considerazioni derivano dalla presa d’atto che sia possibile l’emanazione di un provvedimento legittimo ma allo stesso tempo scorretto e dell’esigenza di prevenire tale fenomeno.
A bene vedere l’evoluzione fin oggi condotta della responsabilità amministrativa a livello nazionale e sovranazionale consente di evidenziare come nel nostro ordinamento si assista, nonostante la resistenza di parte della giurisprudenza, ad una parziale e graduale adesione ad una concezione di responsabilità intesa come strumento rivolto a migliorare l’apparato amministrativo.
Sembra, quindi, trovare sempre maggiore spazio la tesi comunitaria[38] che evidenzia la presenza di un insieme di doveri e conseguentemente un obbligo di responsabilità in ogni relazione giuridicamente rilevante tra due parti, rappresentata da ogni obbligo liberamente assunto da una parte nei confronti dell’altra, benchè in assenza di un formale atto negoziale.
Occorre, quindi, verificare se l’orientamento giurisprudenziale nazionale fermo nell’ancorare l’illecito amministrativo negli schemi rigidi del 2043 c.c. non si scontri con talune norme che, ad una attenta analisi, sembrano anticipare la strada che la responsabilità amministrativa potrà percorrere, ossia l’adesione ad una funzione dissuasiva-sanzionatoria che si affianca a quella fondata sulle situazioni giuridiche soggettive.
Ovviamente non è possibile ipotizzare che la direzione in cui si stia muovendo il nostro ordinamento possa essere o totalmente rivolta ad abbandonare l’impostazione domestica in favore di quella europea, come, altresì non è percorribile la strada opposta.
Come è stato precisato i due sistemi di responsabilità nascono e si sviluppano per finalità differenti, da un lato il rispetto della legalità comunitaria e dell’altro la tutela delle situazione giuridiche soggettive, sicché più che di scontro tra due ideologie di responsabilità è possibile parlare di incontro. Da tale contatto emerge un modello che conserva parte dell’impostazione tradizionale, muta in taluni aspetti dando vita a soluzione intermedie tra quelle nazionali e quelle sovranazionali, ed infine accetta l’ingresso di un differente modello di responsabilità con carattere sanzionatorio che si affianca a quello classico.
La presenza di una pluralità di modelli di responsabilità sembra essere la soluzione maggiormente rispondente a soddisfare gli interessi tanto dello Stato che necessita di strumenti che rendano il sistema amministrativo efficiente, quanto del singolo che potrà sia beneficiare degli effetti di un apparato amministrativo stimolato al buon andamento che tutelare la propria situazione giuridica soggettiva attraverso il sistema di responsabilità tradizionale.
Dall’analisi degli effetti che i vari modelli di responsabilità producono, l’inedito modello di responsabilità amministrativa in chiave sanzionatoria sembra trovare ingresso nel nostro ordinamento. È stato ribadito come il tema della responsabilità civile della pubblica amministrazione abbia conosciuto varie fasi (sintetizzabili nell’immunità dello Stato, nel riconoscimento ad opera della Cassazione con la sentenza 500/1999, l’adeguamento agli standard sovranazionali); oggi dall’esigenza di apprestare strumenti idonei a migliorare le scelte amministrative sembra emergere una nuova fase, ossia quella della responsabilità sanzionatoria.
Come avvenuto in ambito comunitario, dove dal semplice dovere di adeguamento è stato elaborato il modello di responsabilità da parte della Corte di Giustizia, allo stesso modo il precetto costituzionale contenuto nell’art. 97 Cost. impone di legare il concetto di buon andamento con quello di responsabilità, richiedendo una rilettura maggiormente conforme ai tempi moderni.
Il fondamento normativo della responsabilità sanzionatoria va, perciò, individuato nella stessa Costituzione che non impone un modello di responsabilità, ma lascia alla legge la possibilità di determinare contenuto, presupposti e limiti. L’unico vincolo sembra essere quello di realizzare scelte orientate alla qualità dell’amministrazione, esigenza a cui la responsabilità sanzionatoria risponde.
4.La responsabilità sanzionatoria in ambito contabile. Cenni.
La riforma del 1996 ha disciplinato una forma di responsabilità caratterizzata da elementi propri e peculiari rispetto alle altre tipologie. L’introduzione per via legislativa di un tipo di responsabilità ha, secondo parte della dottrina[39], posto fine al dibattito sulla sua natura giuridica e funzione.
Sia che si intenda accogliere la tesi della natura contrattuale, extracontrattuale o pubblicistica, infatti, il regime applicabile sarà quello tipizzato dal legislatore; in passato, in assenza di una espressa volontà legislativa, ricondurre la responsabilità contabile ad una o all’altra categoria avrebbe significato un differente regime sostanziale e processuale.
A ben vedere, tuttavia, l’evoluzione del concetto di amministrazione induce a riconsiderare la funzione della responsabilità, la quale si colloca in un contesto in cui l’agire amministrativo non è finalizzato esclusivamente a fornire servizi, ma altresì un risultato.
In altri termini comprendere la funzione della responsabilità consente di verificare se essa sia un mero strumento di allocazione delle conseguenze dannose derivanti da una condotta antigiuridica o sia uno strumento di stimolo per l’amministrazione.
Certamente la responsabilità in esame presenta caratteristiche peculiari[40], da cui si possono trarre indicazioni circa la sua funzione[41].
Un primo aspetto differenziale – a cui si rinvia al precedente paragrafo per una più puntuale ricostruzione – è l’esclusione della rilevanza della colpa lieve in favore della colpa grave.
A ciò si aggiunge il potere riduttivo[42] da parte del giudice contabile, il quale potrà determinare l’importo dovuto da parte del condannato discostandosi dell’effettivo danno cagionato[43]. L’individuazione della somma si compone di tre momenti: il primo in cui si verifica l’effettivo danno arrecato, il secondo attinente alla parte del danno imputabile, il terzo rappresentato dalla addebitabilità[44]. La giurisprudenza della Corte dei conti ha spesso fatto ricorso al potere riduttivo, riducendo fortemente la funzione riparatoria della responsabilità.
I principi di imparzialità e buon andamento impongono l’individuazione di criteri obiettivi a cui la Corte dei Conti deve fare riferimento, liberando il dipendente pubblico dalle circostanze che sono estranee al suo controllo. Allo stesso tempo, tuttavia, il potere riduttivo non è inteso come facoltà di quantificare il risarcimento secondo equità, ma come potere di determinare la sanzione in base alle circostanze del caso concreto e in relazione alla colpa. La logica sanzionatoria della responsabilità contabile mira, perciò, a sanzionare il comportamento più che a riparare le conseguenze del danno. Il ruolo del potere di riduzione è, quindi, anche preventivo poiché diretto ad assicurare il buon andamento[45].
La ratio alla base di tale potere è l’esigenza di una decisione “giusta”[46], ovvero parametrata alle circostanze del caso concreto e proporzionata. Il giudice contabile, benchè in assenza di una espressa previsione legislativa che indichi gli elementi da valutare, potrà tenere in considerazione sia le situazioni che riguardano i danneggianti che il contesto in cui si è realizzato il danno o l’eventuale concorso di terzi[47].
L’obbligazione che sorge in capo al danneggiante condannato al pagamento di una somma di denaro è, salvo eccezioni[48], intrasmissibile agli eredi[49].
L’intrasmissibilità[50] è un corollario del carattere personale che contraddistingue, oltre che la responsabilità penale, anche la responsabilità amministrativa dell’agente, avendo perciò applicazione indistinta e generalizzata, senza una espressa previsione[51].
Tale regime risulta, dunque, profondamente incompatibile con il carattere compensativo della responsabilità civile, che si basa sul principio opposto.
Il principio di personalità della responsabilità contabile è stato ribadito in occasione di forme di responsabilità imputabili ad organi collegiali, chiarendosi che solo coloro che hanno espresso voto favorevole ad una determinata deliberazione potranno essere chiamati a rispondere del loro operato.
Immediatamente percepibile è, perciò, la differenza con l’impostazione amministrativistica che considera le deliberazioni degli organi collegiali come atti imputabili all’organo e non alla sola maggioranza.
Ulteriore conseguenza della personalità della responsabilità è la parziarietà dell’imputazione del danno, che si contrappone alla solidarietà civilistica[52].
Dal richiamo ai tratti peculiari della responsabilità emerge come tale azione tenda principalmente a punire e non a riparare le conseguenze del danno, come evidenziato dalla Cassazione[53].
Accanto alla generale disciplina della responsabilità il legislatore ha introdotto delle ipotesi tipiche di responsabilità contabile che sembrano confermare l’impostazione sanzionatoria.
Tali ipotesi, spesso presenti nelle leggi finanziarie, nonostante un esplicito riferimento alla responsabilità erariale, non configurano una forma di responsabilità per danno di tipo risarcitorio, potendosi collocare in fattispecie di responsabilità sanzionatoria.
La ratio della tipizzazione di simili fattispecie di responsabilità muove dalla constatazione di specifici fenomeni di distorsione di regole volte a tutelare la finanzia pubblica e l’equilibrio del bilancio e dalla necessità di introdurre strumenti connotati da un particolare effetto di deterrenza. Si tipizza, perciò, l’inosservanza di una determinata condotta e la si qualifica come illecita perché contra legem; da tale illiceità si fa discendere la sussistenza di una responsabilità amministrativa e di un correlato danno erariale. Il legislatore, quindi, individua in astratto dei casi di cattiva amministrazione, designando delle ipotesi di pericolo di danno.
Le ipotesi tipiche di responsabilità non vanno confuse con le fattispecie “speciali” di responsabilità sanzionatoria, quest’ultime caratterizzate dall’aggiunta alla responsabilità di una vera e propria sanzione[54] pecuniaria o non[55].
Con riferimento alle ipotesi tipiche[56] è possibile ricordare l’art. 3 c. 28 della legge n. 537 del 1993 che implicitamente esclude il potere di compensare[57] in tutto o in parte le prestazioni rese dal personale assunto, in deroga alla disciplina generale della legge n.20 del 1994[58].
Esclude la possibilità di compensazione anche l’art. 1. c. 10 del d.l. n. 168 del 2004 in merito al superamento dei limiti di spesa annua delle pubbliche amministrazioni per spese di rappresentanza o l’art. 1 c.11 della legge n. 311 del 2004 per quanto riguarda il superamento dei limiti di spesa per il conferimento di incarichi di studio e consulenza a soggetti estranei all’amministrazione.
Nelle ipotesi ricordate, oltre alla limitazione del potere di compensazione, la giurisprudenza ritiene che si assista ad una presunzione della colpa grave o del danno, generandosi un’inversione dell’onere probatorio[59]. Il danno risarcibile in base all’impostazione civilistica attiene alle conseguenze pregiudizievoli derivanti sulla sfera del danneggiato (c.d. danno conseguenza); diversamene, in tali ipotesi, il danno rilevante sembra essere il danno evento per cui dal comportamento si desume il danno[60].
Si ricordi anche l’art. 19, comma 1, del d.p.r. n. 748 del 1972 che prevede per i dirigenti la responsabilità, nell’esercizio delle rispettive funzioni, da buon andamento, imparzialità e legittimità dell’azione degli uffici cui sono preposti[61].
Anche l’art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001, prevede che il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo di collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti[62].
Infine l’art. 46[63] del r.d. n. 1214/1934 prescindendo dalla sussistenza di un danno erariale, si ricollega esclusivamente alla condotta illegittima e cioè al mancato adempimento, da parte dell’agente contabile, dell’obbligo di rendere il conto nel termine fissato dalla Sezione giurisdizionale
Dall’enunciazione di tali ipotesi tipiche di responsabilità emerge la marginalità o l’assenza del profilo risarcitorio, se confrontato con la finalità sanzionatoria[64].
La giurisprudenza contabile indicata[65] affrontando il tema della compatibilità costituzionale delle fattispecie sanzionatorie ha osservato che tali ipotesi non trovano un ostacolo nelle norme costituzionali. L’art. 103, comma 2 della Costituzione, nel prevedere e disciplinare la giurisdizione della Corte dei Conti, chiarisce il suo ambito di applicazione individuando sia le materie di contabilità pubblica che le altre specificate dalla legge; si attribuisce, perciò, al giudice contabile non solo, in via generale, la responsabilità amministrativa per danno, ma anche le altre fattispecie di responsabilità di tipo sanzionatorio.
Tale impostazione[66] sembra, però, scindere due forme di responsabilità, quella risarcitoria e quella sanzionatoria. La lettura operata dalle Sezioni Riunite non sembra totalmente condivisibile in quanto, come accennato, le ipotesi di responsabilità sanzionatoria sono prevalenti ed in costante crescita, tanto da non poter più parlare di rapporto di regola ed eccezione tra responsabilità risarcitoria e sanzionatoria.
Alla luce dell’attuale assetto normativo, infatti, non sembra più necessario scindere due forme di responsabilità, risultando invero una figura unitaria che assume sfumature differenti in base allo scopo della norma.
Il richiamo costituzionale dell’art. 103 c.2, benché utile per trovare una base costituzionale ad una forma di responsabilità con caratteristiche peculiari, rischia di essere utilizzato al fine di ridurre il riconoscimento del carattere prevalentemente sanzionatorio di tale responsabilità.
Gli elementi che sembrano emergere dal panorama normativo inducono quindi ad accogliere la presenza della funzione sanzionatoria della responsabilità in un settore dove gli interessi in gioco sono di particolare rilevanza sociale.
Le forme di responsabilità in esame hanno come scopo tanto la prevenzione quanto un’indiretta funzione di “rieducazione”, intendendosi il fenomeno di stimolo ad un agire amministrativo conforme ai canoni del buon andamento.
È stato osservato[67] che le ipotesi di responsabilità tipizzate risultano non dissimili dalle pene pecuniarie[68], la cui funzione è tradizionalmente riconosciuta nella prevenzione generale, rieducazione e retribuzione. Similmente al potere di riduzione anche per le pene pecuniarie è presente una noma, l’art. 133 bis c.p.[69], che consente di bilanciare la sanzione in base alle condizioni economiche del reo, realizzando un reale effetto deterrente.
La responsabilità e le conseguenti pronunce di condanna non devono essere considerate “l’unico indicatore del grado di efficacia della lotta agli sprechi ed agli illeciti, dovendosi riconoscere alle pronunce della magistratura contabile anche un ruolo monitorio e dissuasivo, pur se di difficile misurazione.”[70].
Il mutato quadro normativo permette, perciò, di trarre delle indicazioni maggiormente solide in ordine alla natura della responsabilità in esame. Gli esiti a cui si intende giungere, ossia la natura prevalentemente sanzionatoria, derivano dall’osservazione delle disposizioni introdotte, non potendosi risolvere la questione sulla funzione della responsabilità esclusivamente in modo astratto. In altri termini dagli effetti che producono le nuove e numerose forme di responsabilità si desume il tratto sanzionatorio della responsabilità amministrativa.
Più che la teorizzazione di una nuova funzione della responsabilità, essa sembra emergere dal dato normativo. L’analisi delle singole ipotesi rischia, tuttavia, di indurre a configurare la responsabilità sanzionatoria come una eccezione rispetto alla regola della mera riparazione del danno.
La presenza della logica sanzionatoria nella responsabilità contabile impone, perciò, di individuare un criterio generale, rispetto al quale le singole ipotesi rappresentano i risvolti dal punto di vista applicativo.
Il principio che consente di ricondurre ad unità le ipotesi precedentemente indicate è il raggiungimento del risultato previsto dalla legge 241 del 1990, criterio che ha cambiato il concetto di responsabilità. In particolare l’individuazione di unità organizzative[71] e del responsabile del procedimento[72] consentono di allargare i destinatari degli obblighi di buon andamento oltre la figura dirigenziale.
Il mancato raggiungimento dei risultati rileva ai fini della responsabilità amministrativo-contabile[73].
Ciò risulta confermato dalla giurisprudenza che individua nei criteri di economicità ed efficacia parametri di legittimità e non di mera opportunità[74], tant’è che “la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può quindi prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obbiettivi conseguiti e i costi sostenuti.”[75] .
Il profilo sanzionatorio-preventivo diviene, quindi prevalente rispetto all’aspetto risarcitorio[76], tant’è che il processo contabile mira a garantire l’economicità, efficacia e l’efficienza attraverso una misura con scopo deterrente per i destinatari[77].
In particolare si attribuisce rilevanza all’aspetto della colpevolezza e al potere[78] in base al quale “la Corte può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato” evidenziandosi che tale prerogativa non consiste solo nella riduzione dell’addebito, ma nel graduare la responsabilità in relazione alla gravità della colpa.
Il potere del giudice contabile di rigettare l’istanza in caso di non meritevolezza della definizione in via abbreviata[79] costituisce un presidio adeguato alla tutela dei princìpi costituzionali di buon andamento della pubblica amministrazione, di ragionevolezza delle scelte del legislatore alla luce del principio di responsabilità dei pubblici dipendenti e di effettività della giurisdizione contabile.
L’illecito amministrativo contabile e le caratteristiche evidenziate lo rendono perciò atipico nella sua struttura, benché tipizzate sono numerose ipotesi di responsabilità, il che risulta coerente con il perseguimento del buon andamento e la finalità dissuasiva-preventiva. I tratti descritti spiegano, perciò, la ragione dell’azione pubblica d’ufficio e obbligatoria[80].
Volendo trarre delle indicazioni di carattere generale dalla disciplina in esame, emerge, in modo non dissimile da quanto analizzato con riferimento alla responsabilità civile della pubblica amministrazione in ambito comunitario e convenzionale, che in specifici settori dell’ordinamento, ovvero quelli che ricoprono una particolare valenza sociale, la responsabilità assume delle caratteristiche atipiche rispetto a quelle tradizionali.
Nel settore contabile la funzione sanzionatoria della responsabilità risulta maggiormente evidente vista la peculiarità della sua struttura e la tipizzazione di numerose ipotesi che prescindono dalla riparazione del danno. Il dato che è possibile evidenziare è che la stessa giurisprudenza abbia riconosciuto nel settore della finanza pubblica lo stretto legame tra la responsabilità e il buon andamento, abbandonando le precedenti ricostruzioni poiché non più idonee a soddisfare le esigenze moderne. Nel 1996 lo stesso legislatore, spinto dalle necessità di introdurre strumenti adeguati, ha rivoluzionato la struttura e ruolo di tale forma di responsabilità, confermando che il tema non potesse ridursi al dibattito circa l’onere probatorio o il regime di prescrizione.
La responsabilità amministrativa sanzionatoria in ambito contabile rappresenta, quindi, la risposta idonea a stimolare il buon andamento dell’amministrazione. Ciò risulta avvalorato, oltre che dalle singoli disposizioni con marcati tratti sanzionatori dalla presenza del principio generale del raggiungimento del risultato tramite tramite una scelta amministrativa efficace economica ed efficiente. Le ipotesi tipizzate di responsabilità sanzionatoria si intendono, perciò, rappresentare il risvolto di tali criteri sul piano della responsabilità.
Il processo evolutivo descritto in ambito contabile, caratterizzato dall’insoddisfazione per il modello civilistico e dall’adesione a una concezione di responsabilità con funzione deterrente, sembra presentare forti analogie con l’attuale regime della responsabilità civile della pubblica amministrazione – ambito quest’ultimo in cui l’evoluzione è ancora in atto -, dove a fronte di un quadro normativo vario sembra emergere un nuovo ruolo della responsabilità, quello sanzionatorio.
- Danni punitivi e responsabilità civile
Il tema dei danni punitivi nell’ordinamento italiano non riguarda l’importazione dell’istituto nel nostro sistema giuridico come delineato e conosciuto nell’esperienza statunitense, ma attiene alla più ampia tematica del riconoscimento della funzione sanzionatoria alla responsabilità civile.
Ovviamente la possibilità da parte del giudice nazionale di applicare i punitive damages necessiterebbe di uno specifico intervento legislativo volto ad individuare l’esatto perimetro dell’istituto. Ciò che, tuttavia, interessa in tale fase è comprendere se la tradizionale impostazione che individua il solo ruolo compensativo nella responsabilità possa essere, oggi, rivisitata in favore di nuove prospettive più adeguate a disciplinare le relazioni intersoggettive moderne, anche grazie ai danni punitivi[81]. In altri termini bisogna verificare se la logica dell’istituto in esame, rappresentando il principale e più estremo modello di deterrenza in ambito civile, si stia diffondendo anche nel nostro ordinamento, accentuandosi l’attenzione per la riparazione del danneggiato e la finalità repressiva[82] piuttosto che l’allocazione dei costi del danno.
I punitive damages non vanno valutati come singolo ad autonomo istituto, ma come strumento rimediale che intende arricchire le garanzie della persona e che, perciò, può trovare spazio all’interno delle tutele dell’individuo.
La circostanza che attraverso tale istituto il danneggiato riceva una somma ulteriore rispetto alla mera compensazione rappresenta un presidio di garanzia per le situazioni giuridiche soggettive, che si manifesta attraverso un potere di reazione a condotte contrarie alla legge e alla coscienza sociale.
Il potere di reazione dell’ordinamento è comune tanto ai danni appartenenti alla sfera apatrimoniale del soggetto che ai danni punitivi[83]. La ragione o la causa alla base dello spostamento patrimoniale è la reazione dell’ordinamento che impone il divieto di porre in essere condotte abusive e arbitrarie. Il rischio che il soggetto si trovi arricchito senza una giusta causa, contravvenendo ad uno dei principi che regolano l’ordinamento civile, trova conferma proprio nell’esigenza del sistema giuridico di fornire una risposta all’istanza di tutela altrimenti insoddisfatta.
L’illecito si compone di una condotta lesiva e del danno. Se il rimedio a quest’ultimo si può ritenere soddisfatto dal ripristino patrimoniale della situazione antecedente alla lesione, il rimedio alla condotta necessita di un quid pluris, rappresentato da strumenti di deterrenza. L’esigenza di tutela, intesa sia come riparazione che come stimolo, costituisce il parametro di compatibilità di un istituto con il nostro ordinamento.
La stessa Corte di Giustizia[84] ha chiarito che le sanzioni che possono prevedere il risarcimento del danno devono contenere tre caratteristiche: l’effettività, la proporzionalità e la dissuasività. In mancanza di parametri per la liquidazione della somma di danaro è compito dell’ordinamento interno stabilire i criteri purché siano rispettati l’equivalenza e l’effettività. L’attenzione posta all’effettività conferma che il tema della responsabilità assume come parametro di correttezza tale principio[85].
La tesi ostile all’ingresso dei danni punitivi evidenzia come la presenza di una giuria incaricata di determinare la somma punitiva non sia compatibile con le garanzie previste dal nostro ordinamento poiché imprevedibile l’esito della quantificazione ed essendo il giudizio basato su un verdetto non motivato. Si è, tuttavia, osservato che la condanna ai danni punitivi è stata, anche nell’ordinamento americano, ancorata a criteri di razionalità e ragionevolezza, da ciò deriva che l’automatica incompatibilità dei danni punitivi per difetto di proporzione si ritiene doversi escludere, salvo voler censurare il meccanismo risarcitorio americano. Le garanzie derivanti dalla decisione di una giuria sono accettate qualora si tratti di delibare sentenze straniere in materia penale e l’istituzione della stessa giuria ha storicamente rappresentato un presidio per la tutela del convenuto. La presenza della valutazione della giuria, cui si aggiunge l’evoluzione in termini di ragionevolezza della decisione dovrebbe, perciò, rappresentare un argomento in favore del riconoscimento delle sentenze straniere alla condanna di danni punitivi; conseguentemente più che ostacoli normativi al riconoscimento dei punitive damages sembra persistere solo una forte diffidenza ancorata ad una lettura diacronica della responsabilità civile.
Muovendo dal riconoscimento della funzione deterrente presente in istituti consolidati del nostro ordinamento è possibile affermare che nel settore della responsabilità civile, laddove la funzione riparatoria si mostri inadeguata, può essere ammesso un ruolo sanzionatorio.
Richiamati gli argomenti che consentirebbero l’apertura verso forme differenti di risarcimento, è utile passare in rassegna le norme già presenti nel nostro ordinamento che, al di là del nomen iuris attribuito, sembrano svolgere una finalità ulteriore rispetto alla sola riparazione; ciò risulta particolarmente utile al fine di rapportare le considerazioni svolte con riferimento ai danni punitivi con alcuni istituti che si collocano nell’attuale sistema di responsabilità, compresi i punti di contatto.
Come si vedrà, vari sono i settori in cui è presente tale ruolo deterrente; nonostante la diversità degli ambiti è possibile fin da subito evidenziare il filo conduttore che lega tali misure e che consente di affermare come non si possa parlare di mere eccezioni rispetto alla regola generale della integrale riparazione: l’attenzione alla condotta piuttosto che al danno e lo scopo prevalentemente dissuasivo in luogo di quello riparatorio.
Estraneo alla logica di integrale riparazione del danno è l’art. 96 c.p.c[86]. rivolto a sanzionare la condotta della parte che instaura una controversia manifestamente infondata. La norma non trova alcun collegamento con con il reale pregiudizio sofferto dalla vittima, mirando a reprimere il comportamento della parte non diligente[87].
Recentemente la Corte Costituzionale[88] si è pronunciata sulla legittimità dell’art. 96 c.p.c., accogliendo la tesi della “natura non risarcitoria (o, comunque, non esclusivamente tale) e, più propriamente, sanzionatoria, con finalità deflattive, della disposizione scrutinata.”, “La norma fa, infatti, riferimento alla condanna al «pagamento di una somma», segnando così una netta differenza terminologica rispetto al «risarcimento dei danni», oggetto della condanna di cui ai primi due commi dell’art. 96 cod. proc. civ. Ancorché inserita all’interno del predetto art. 96, la condanna di cui all’aggiunto suo terzo comma è testualmente (e sistematicamente), inoltre, collegata al contenuto della «pronuncia sulle spese di cui all’articolo 91»; e la sua adottabilità «anche d’ufficio» la sottrae all’impulso di parte e ne conferma, ulteriormente, la finalizzazione alla tutela di un interesse che trascende (o non è, comunque, esclusivamente) quello della parte stessa, e si colora di connotati innegabilmente pubblicistici.”
Analoga logica si rinviene nell’art. 26, comma 2[89], D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 in tema di processo amministrativo in cui si consente, qualora la parte soccombente abbia agito o resistito temerariamente in giudizio, la condanna ad una somma di danaro a titolo sanzionatorio[90].
Le disposizioni enunciate confermano come siano presenti norme estranee alla logica della riparazione integrale e che si rivolgono prevalentemente al danneggiante e non al danno.
L’ostilità giurisprudenziale verso i danni punitivi o, più correttamente, verso le possibili funzioni della responsabilità civile non trova riscontro nell’art. 125 del codice della proprietà industriale[91], che consente di aggredire il guadagno realizzato dal danneggiate al fine di reprimere forme di appropriazione strategiche[92]. In passato tale ambito è stato caratterizzato da strumenti prevalentemente di tipo inibitorio, che, benché utili per impedire future condotte lesive spesso intervenendo in una fase già avanzata del danno, non riuscivano a riallocare i costi dell’illecito[93].
La norma in esame, infatti, mirando all’aggressione degli utili ha un chiaro effetto deterrente[94]. Nonostante la dottrina si sia sforzata di collocare tale norma all’interno dei tradizionali rimedi, risulta evidente la peculiarità di trovare ristoro dal danno non solo tramite la compensazione, ma grazie all’individuazione del vantaggio economico prodottosi in capo al danneggiante. In particolare il dibattito si è confrontato sulla natura di tale norma, ossia se essa costituisca una tradizionale forma di arricchimento ingiustificato o se possa essere considerata una ipotesi sanzionatoria[95].
Un’ulteriore ipotesi sanzionatoria presente nel nostro sistema di responsabilità civile si può rinvenire nella disciplina della stampa, in particolare nell’art. 12 della legge n. 47 del 1948.
La norma consente al soggetto danneggiato di domandare, oltre al risarcimento del danno, una somma a titolo riparatorio determinata in relazione alla gravità dell’offesa e alla diffusione dello stampato. In altri termini la norma espressamente da rilevanza alla condotta del danneggiante per la quantificazione della somma che si aggiunge alla compensazione dei danni subiti. Non si pone, perciò, un problema di duplicazione del risarcimento in virtù della differente natura (punitiva) che tale somma sembra assumere[96]. Nonostante si richiami il termine “riparazione”, il legame espressamente previsto con la condotta sembra far propendere per una funzione deterrente. La disposizione nel tentativo di bilanciare la libertà di espressione e il diritto alla riservatezza, quest’ultimo suscettibile di essere leso dall’attività giornalistica, introduce un criterio basato sulla gravità dell’azione o omissione del danneggiante, volto più che a riparare il danno che a dissuadere dal compimento di condotte gravi.
L’indifferenza per il danno effettivo si registra anche nell’ambito delle intercettazioni telefoniche (art. 4, d.l. 22 settembre 2006 n. 259[97]) in cui la legge determina una somma per rimediare alla pubblicazione degli atti indipendentemente da una concreta quantificazione delle conseguenze patrimoniali verificatesi nella sfera giuridica del danneggiato.
La funzione sanzionatoria diretta ad azzerare gli utili è presente anche all’art. 187 coma undecies Testo Unico Finanza (D.lgs. n. 58 del 1998) che consente alla Consob nel processo penale di costituirsi parte civile e richiedere, a titolo di riparazione dei danni cagionati dal reato all’integrità del mercato, una somma determinata dal giudice, anche in via equitativa, tenendo comunque conto dell’offensività del fatto, delle qualità personali del colpevole e dell’entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato. In tale ipotesi, oltre al richiamo per la liquidazione della somma, la finalità punitiva è accentuata dalla differenza tra il soggetto leso – che ai sensi dell’art. 184 e 185 T.U.F. è il mercato – e il soggetto che riceve la somma stabilita dal giudice. Emerge la finalità della norma volta a prevenire, in un settore di particolare rilevanza nazionale e comunitaria, forme distorsive del mercato tramite la prospettazione del dovere di pagare una somma connessa alla riprovevolezza della condotta. Anche in tale ipotesi deve fornirsi rilevanza marginale al dato nominale, poiché la norma rinvia in concreto a parametri sanzionatori.
Discussa è, altresì, la portata dell’art. 709 ter del c.p.c.[98] che prevede, in caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, la possibilità per il giudice di: ammonire il genitore inadempiente; disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di settantacinque euro a un massimo di cinquemila euro a favore della cassa delle ammende[99].
Sempre in ambito del diritto di famiglia significativo è l’art. 129 bis c.c.[100]. La norma consente il pagamento di una somma di denaro in favore del coniuge in buona fede e conseguentemente a carico del coniuge a cui sia imputabile la nullità del matrimonio, indipendentemente dalla prova del danno da questi sofferto, quantificato dalla legge nel mantenimento per tre anni. La disposizione prescinde dal danno provocato e presuppone l’accertamento della condotta pregiudizievole realizzata in mala fede. Anche in questo caso l’analisi della struttura della norma si discosta dal classico modello di responsabilità compensativa. Nonostante si faccia riferimento al concetto di “indennità” sono presenti numerosi indici che avvicinano la logica della norma maggiormente ai danni punitivi piuttosto che alla compensazione; difatti non occorre la prova del danno, il soggetto deve essere in mala fede, la nullità deve essere causa della condotta del coniuge, sussiste una presunzione circa l’ammontare risarcibile, la somma irrogata deve essere congrua, ossia parametrata al patrimonio del danneggiante.
Da entrambe le norme attinenti al diritto di famiglia risulta come l’esigenza legislativa è quella di introdurre un sistema di responsabilità che non si limiti a compensare ma che sia da stimolo per condotte diligenti in favore della famiglia[101].
Un’ulteriore settore in cui si registrano fattispecie sanzionatorie è il diritto del lavoro. L’art. 18 c.5[102] della legge n. 300 del 1970 in materia di risarcimento del danno da reintegrazione del lavoratore licenziato, afferma che il giudice può dichiarare risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, della dimensione dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione al riguardo. Il datore di lavoro non può fornire la prova dell’assenza del danno inferiore in capo al lavoratore.
La valenza sanzionatoria si deduce principalmente da due indici: l’indipendenza della misura dal danno effettivamente subito e conseguentemente l’impossibilità di poter detrarre da tale somma l’aliunde perceptum. La stessa Cassazione ha individuato l’art. 18 come una ipotesi in parte sanzionatoria, chiarendo che “Nè il diritto civile ignora la possibilità di sanzioni di carattere afflittivo destinate non soltanto a risarcire il danno subito dal creditore, ma a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento”[103].
La funzione sanzionatoria si può desumere anche dall’art. 28, comma 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 che, in tema di tutela del lavoratore a tempo determinato, chiarisce che nei casi di mancata trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo una indennità omnicomprensiva. L’indennità prescinde dalla prova del danno, rappresentando principalmente una sanzione per la condotta del datore di lavoro.
Anche nella disciplina degli interessi si rileva la logica sanzionatoria. In particolare si fa riferimento agli interessi moratori, ossia l’interesse dovuto per il ritardo nell’adempimento dell’obbligo restitutorio di una somma di denaro. A differenza dell’interesse corrispettivo che risponde ad una funzione di scambio ed equitativa, volta a compensare lo svantaggio che il creditore sopporta per non avere la disponibilità del denaro, gli interessi moratori non misurano il vantaggio del debitore rispetto al creditore, conseguendo tale interesse da un fatto illecito rappresentato dall’inadempimento della obbligazione restitutoria. Il fondamento degli interessi moratori è il principio di responsabilità non quello di equità; il debitore inadempiente risponde per il danno dovuto dal ritardo nella consegna della somma di denaro. Occorre evidenziare, tuttavia, che la logica sanzionatoria si rinviene nella mancanza di un accertamento circa l’effettivo danno causato al creditore per la mancata consegna del denaro. È, infatti, possibile che non sia accertabile alcun danno derivante dal ritardo, ciononostante la legge presume che dal mero ritardo derivi un danno per dissuadere e reprimere l’inadempimento delle obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro[104].
Un cenno deve essere svolto anche al fenomeno dell’abuso del diritto[105] in quanto possiede alcuni elementi di contatto con i danni punitivi[106]. È emblematica, inoltre, la circostanza che l’abuso del diritto sia riconosciuto nei paesi dove formalmente non vengono ammessi i danni punitivi e viceversa.
Il concetto di abuso, in passato individuato nel divieto di atti emulativi, si è gradatamente esteso ad ogni esercizio del diritto posto in essere in assenza di correlazione rispetto allo scopo attribuito dalla legge[107].
Gli istituti indicati rappresentano una reazione alle ipotesi di condotte volontarie o arbitrarie e presuppongono una valutazione non solo giuridica ma di correttezza sociale. A fronte di condotte oltraggiose il rimedio compensativo non è idoneo a essere uno strumento deterrente, tant’è che la risposta ordinamentale è, con riferimento ai danni punitivi, una sanzione pecuniaria, con riferimento all’abuso un rimedio atipico finalizzato a paralizzare la condotta lesiva (il giudice potrà quindi dichiarare la nullità del contratto, condannare al risarcimento, dichiarare l’inammissibilità della domanda, condannare alle spese)[108].
Dalle numerose ipotesi sanzionatorie[109] richiamate e dalla varietà dei settori in cui si registra l’esigenza di un rimedio svincolato dalla compensazione si può desumere come la funzione punitiva non sia estranea al nostro ordinamento. Il modello nazionale compensativo e quello di recente emersione con connotati sanzionatori presentano, perciò, dei punti di contatto.
La diffidenza mostrata da parte della giurisprudenza, che evidenzia il rischio della violazione del principio civilistico che impone spostamenti patrimoniali esclusivamente in presenza di una causa ritenuta meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, necessita una rivisitazione coerente con le ipotesi in cui il modello compensativo non è adeguato a tutelare la situazione giuridica lesa.
Le fattispecie sanzionatorie evidenziano l’esigenza di stimolo a comportamenti che non siano semplicemente legittimi, ma conformi a canoni di correttezza.
La legge, infatti, non può procedimentalizzare ogni comportamento antecedente o susseguente al rapporto intersoggettivo, competendo al sistema di responsabilità e, in particolare, alla logica sanzionatoria della responsabilità e alla sua efficacia deterrente superare i limiti alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive.
Il bilancio che si può trarre dall’approfondimento delle ipotesi sanzionatorie già presenti nel nostro sistema di responsabilità civile induce a confermare la polifunzionalità della responsabilità, che assume tratti più o meno sanzionatori in base alla rilevanza del tipo di interesse in gioco.
Ciò risulta avvalorato dal principio di ragionevolezza in ambito civile[110] il quale, rappresentando sia un canone di qualificazione di condotte giuridicamente rilevanti che uno strumento di bilanciamento tra interessi, impone la presenza di mezzi idonei[111] sia a riparare i danni cagionati che dissuadere condotte abusive.
Benché il nostro sistema codicistico di responsabilità sia strettamente ancorato alla struttura compensativa della responsabilità delineata dall’art. 2043 c.c., è condivisibile[112] l’impostazione che evidenzia come a fronte della impossibilità di attribuire all’istituto aquiliano funzioni radicalmente diverse rispetto a quelle che discendono dalla disciplina normativa, l’evoluzione del sistema normativo può fornire al singolo istituto “una curvatura diversa rispetto a quella di esso tradizionalmente propria: soprattutto, ed ancora una volta, quando questa lettura sia suggerita da un valore o principio costituzionale, qual è quello di effettività.”[113].
Strumenti di natura civile avente carattere punitivo non sono, perciò, estranei all’ordinamento italiano, possedendo una capacità dissuasiva e conformativa che attende di essere attuata a garanzia del principio di effettività della tutela[114].
- Una possibile chiave di lettura: la responsabilità con funzione sanzionatoria
L’esigenza di individuare nuovi strumenti di stimolo per l’agire amministrativo, coerenti con il concetto di buona amministrazione, ha permesso di approfondire un tema costantemente al centro del dibattito dottrinale, ossia la responsabilità.
Come emerso il concetto di responsabilità amministrativa assume delle caratteristiche mutevoli, basate sia sul contesto giuridico di riferimento sia sulla finalità che tramite il sistema rimediale l’ordinamento intende perseguire.
La capacità dell’istituto in esame di articolarsi con modalità differenti in base al settore di riferimento ha spinto a porsi l’interrogativo di individuare la direzione verso la quale il nostro sistema di responsabilità amministrativa si stia dirigendo.
La prospettiva posta alla base dello studio è quella della responsabilità con funzione sanzionatoria, ossia una logica rimediale idonea non semplicemente ad allocare i costi del danno ma a stimolare il buon andamento dell’amministrazione.
È stato precisato che spesso la trattazione del tema della responsabilità amministrativa è fortemente condizionata dall’impostazione aquiliana fornita dalla nota sentenza della Cassazione 500 del 1999 che nel riconoscere la risarcibilità degli interessi legittimi ha inteso porre un “punto fermo” sul dibattito[115].
Il “punto fermo” che deve essere preso in considerazione non è, quindi, l’aprioristica adesione all’impostazione della Cassazione o, diversamente, la lettura fornita dalla giurisprudenza sovranazionale, ma il principio di effettività della tutela. È bene precisare che nell’ambito della responsabilità tale principio non deve essere inteso solo come la necessaria presenza di uno strumento che soddisfi la pretesa azionata in giudizio a seguito della lesione subita dal privato, ma assume una portata più ampia estendendosi fino a richiedere una misura con efficacia dissuasiva e repressiva delle condotte pregiudizievoli, ossia sanzionatoria.
Specialmente con riferimento al tema della responsabilità, l’effettività della tutela rappresenta il principio che consente di ritenere soddisfacente o meno un determinato modello di responsabilità. L’approccio che individua l’effettività come canone di interpretazione si mostra necessario anche alla luce della mancanza, in ambito sovranazionale, della distinzione tra situazioni giuridiche soggettive tipica del nostro ordinamento, ossia la bipartizione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi. Ciò che rileva non è, quindi, l’analisi della tipologia di modello di responsabilità maggiormente compatibile con l’impostazione tradizionale, ma verificare quale sia il paradigma più vicino al principio di effettività della tutela, cui ogni ordinamento deve indirizzarsi.
Il frequente interesse da parte del legislatore a modificare o introdurre nuove disposizioni che direttamente o indirettamente incidono sul tema della responsabilità evidenzia l’inadeguatezza dell’attuale articolato normativo a fornire una risposta adatta alle istanze tanto pubblicistiche che privatistiche. La logica che rappresenta il punto di contatto tra l’esigenza di adeguamento a standard sovranazionali e il miglioramento dell’amministrazione è quella sanzionatoria. Quest’ultima, in realtà, non rappresenta semplicemente una prospettiva de iure condendo, ma se correttamente intesa può essere evidenziata in disposizioni già presenti che coinvolgono non esclusivamente il settore pubblicistico.
La rigidità di tale modello fondato sull’art. 2043 c.c. ha mostrato la sua inadeguatezza nel momento in cui il diritto interno si è dovuto confrontare con il concetto di responsabilità comunitario e con il graduale cambiamento della nozione di p.a., trasformatasi da amministrazione di servizio ad amministrazione di risultato.
Il processo di armonizzazione tra diritto interno e diritto nazionale ha evidenziato forti resistenze da parte del diritto nazionale; fenomeno quest’ultimo che non è si è registrato nelle esperienze giuridiche europee in cui il dibattito sulla responsabilità aveva condotto a norme favorevoli ad estendere la responsabilità ai poteri pubblici.
Si è chiarito nella parte dedicato allo stato attuale della responsabilità amministrativa come il principio di responsabilità comunitaria abbia quale finalità il ripristino della legalità violata e non la sola allocazione dei costi del danno.
Il sovrapporsi delle due differenti prospettive di responsabilità non ha prodotto una sostituzione del modello nazionale con quello europeo, ma ha dato vita ad un sistema di responsabilità misto.
In particolare il settore dove la giurisprudenza nazionale ha definitamente accolto l’impostazione comunitaria di responsabilità è rappresentato dagli appalti pubblici, ambito nel quale vengono il rilevo interessi nazionali e comunitari, sia pubblici che privati. Diversamente, in altri settori di interesse prevalentemente nazionale, permane la struttura aquilana.
In tale contesto si colloca, altresì, il concetto di responsabilità CEDU, prevalentemente rivolto alla tutela individuale, ma che produce effetti conformativi anche in ambito pubblicistico. La presenza della fonte internazionale di origine pattizia ha arricchito il dibattito sulla responsabilità. Anche nel sistema convenzionale, infatti, similmente a quanto accade a livello comunitario, il principio di responsabilità è riconosciuto per censurare ogni violazione che si pone non semplicemente in contrasto con il paradigma normativo, ma principalmente con la ratio della norma di riferimento.
Il principio di responsabilità CEDU assume, perciò, una logica sanzionatoria nella misura in cui impone il rispetto della legalità, quest’ultima intesa in senso sostanziale e non meramente formale. Lo Stato verrà sanzionato come inadempiente agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione in tutte le ipotesi in cui tramite il proprio comportamento abbia rispettato solo formalmente le garanzie poste a tutela dell’individuo[116].
Il quadro che emerge dall’approfondimento dell’approccio nazionale e sovranazionale non consente di poter definire il sistema di responsabilità come risultato di una integrazione tra ordinamenti.
La descrizione dell’attuale stato della responsabilità maggiormente condivisibile sembra, infatti, essere quella che evidenzia come i vari sistemi e le connesse logiche risultano affiancarsi e non integrarsi. In altri termini, risultano attualmente vari sistemi in base all’interesse che il criterio di responsabilità del singolo settore intende perseguire. In tutti i casi in cui il bene oggetto di tutela assume una rilevanza comunitaria il concetto di responsabilità si estende e ha come fine il ripristino della legalità violata, diversamente gli interessi di rilevo strettamente nazionale soggiacciono al principio compensativo.
In tale contesto, caratterizzato dalla logica compensativa e dalla spinta sovranazionale volta ad attribuire alla responsabilità una finalità indirizzata al ripristino della legalità, si colloca l’emersione della logica sanzionatoria nel nostro ordinamento.
Nonostante l’approccio giurisprudenziale abbia aderito parzialmente e solo in determinati settori all’indirizzo sovranazionale, al ricorrere di determinate condizioni la tendenza legislativa appare indirizzata ad accogliere un sistema di responsabilità sanzionatorio che si affianca a quello tradizionale.
Una logica sanzionatoria si rinviene, infatti, nella recente modifica apprestata alla legge sul procedimento amministrativo in tema di danno da ritardo. Il legislatore discostandosi dalla lettura aquiliana riconosce la responsabilità della pubblica amministrazione da mera violazione della legge, rappresentata dal rispetto dei termini procedimentali.
La base teorica che ha condotto a quella che, a primo impatto, sembra essere una eccezione rispetto alla regola della responsabilità tradizionale, si basa sul riconoscimento di più funzioni della responsabilità, tra cui quella sanzionatoria. Tale misura “riscopre” quella che era l’originaria funzione della responsabilità, ossia garantire il rispetto della legalità amministrativa e, quindi, il buon andamento.
L’interesse sotteso alla responsabilità non risulta essere solo rimediare dal punto di vista patrimoniale alla lesione cagionata, ma stimolare comportamenti amministrativi virtuosi.
Il buon andamento dell’amministrazione risulta essere un principio di rilevanza costituzionale che non esaurisce i suoi risvolti applicativi negli istituti di partecipazione amministrativa, pubblicità e trasparenza, ma si estende anche al sistema rimediale. Il legame tra il concetto di buon andamento e responsabilità conduce ad un sistema di responsabilità che non abbia come fine la sola riparazione del danno, ma la riduzione delle condotte amministrative che hanno portato all’obbligo risarcitorio o conformativo. Attribuire al sistema di responsabilità esclusivamente la funzione di tutela dell’interesse del privato leso significa svalutare il profilo pubblicistico del concetto stesso di responsabilità. L’esigenza di sanzionare i fenomeni di cattiva amministrazione non può essere soddisfatta limitandosi a riparare il costo del danno cagionato, mostrandosi coerente con il fine della responsabilità inteso come rispetto della legalità, un sistema che fornisca uno stimolo alla pubblica amministrazione, ossia la responsabilità in ottica sanzionatoria.
Tale processo di trasformazione del concetto di responsabilità amministrativa, in realtà, segue quanto è accaduto in ambito contabile, settore, anch’esso, in cui il principio di buon andamento è strettamente legato a quello di responsabilità.
Parallelamente a quanto visto in ambito amministrativo, in cui il concetto di buon andamento induce a forme di responsabilità idonee a migliorare l’apparato pubblico nel suo complesso, nel settore contabile il fine posto a fondamento del sistema di responsabilità è la tutela della finanza pubblica e l’equilibrio del bilancio. La risposta ordinamentale per soddisfare tale interesse si è basata sulla modifica dell’originaria struttura della responsabilità amministrativa anche attraverso la tipizzazione di forme di responsabilità. L’inosservanza di una determinata condotta viene qualifica come illecita poiché contra legem e da tale illiceità si fa discendere la sussistenza di una responsabilità amministrativa e di un correlato danno erariale.
L’approfondimento della responsabilità contabile ha consentito di comprendere come l’interesse pubblicistico sotteso al sistema di responsabilità comporta una diversa struttura rispetto a quella aquilana, che sfocia in forme sanzionatorie idonee a fornire una corretta efficacia deterrente.
L’efficacia dissuasiva della responsabilità emersa come risposta dell’ordinamento per soddisfare l’interesse pubblico al buon andamento in ambito amministrativo e alla finanza pubblica nel settore contabile non è, tuttavia, una prerogativa del diritto pubblico.
L’analisi trasversale del concetto di responsabilità ha condotto, infatti, ad approfondire il concetto di deterrenza e responsabilità sanzionatoria nell’esperienza giuridica in cui trova pacifico riconoscimento e non si pone in contrasto con la logica compensativa, integrandola. In particolare si fa riferimento al sistema di responsabilità civile presente nei paesi di common law e all’istituto dei punitive damages.
L’analisi dei danni punitivi consente, perciò, di comprendere come l’obiettivo della responsabilità, anche nei rapporti di di diritto privato, non sia esclusivamente rimediare al danno cagionato in un’ottica rivolta solo al passato. Il corretto perimetro della responsabilità impone di applicare una misura rivolta anche al futuro, idonea a reprimere le condotte che potrebbero essere integrate da altri soggetti in un momento successivo. L’istituto dei danni punitivi e la logica deterrente nelle relazioni tra soggetti privati ha permesso, perciò, di evidenziare come la logica compensativa e quella sanzionatoria non sono tra loro incompatibili; le due funzioni della responsabilità risultano connesse, la prima diretta ricollocare il danneggiante nella situazione patrimoniale antecedente al danno, la seconda diretta a tutelare le lesioni derivanti da fenomeni abusivi e a stimolare comportamenti coerenti con la finalità degli istituti che caso per caso vengono il rilievo.
Tale considerazione ha permesso di verificare se anche nel nostro sistema di responsabilità civile, tradizionalmente applicato anche al settore amministrativo, si assista a tale fenomeno o se, al contrario la logica deterrente sia riservata al diritto pubblico o privato dei sistemi di common law.
Il quadro che emerge dalla disamina dell’approccio della giurisprudenza sul tema evidenzia una forte resistenza a riconoscere varie funzioni alla responsabilità civile, nonostante si assista a recenti aperture da parte della Corte di Cassazione.
La diffidenza verso forme e finalità differenti di responsabilità sembra replicare quanto analizzato nel settore amministrativo con riferimento al recepimento del concetto di responsabilità comunitaria. A fronte di un dibattito dottrinale prevalentemente concorde nel riconoscere vari modelli di responsabilità, la giurisprudenza, fino al recente arresto delle S.U., ha fatto applicazione rigorosa della correlazione tra danno evento e danno conseguenza richiesta dall’art. 2043 c.c., da cui si desume la sola funzione compensativa conciliabile con l’illecito aquiliano.
Anche in ambito civile, tuttavia, un’analisi attenta alle norme che intendono sanzionare fenomeni abusivi presenti in differenti settori dell’ordinamento, accomunati tuttavia dalla rilevanza dell’interesse protetto, mostra come la logica sanzionatoria sia presente e risponde all’esigenza di indurre comportamenti coerenti con la buona fede e la correttezza dei rapporti intersoggettivi.
Ciò induce a confermare la polifunzionalità della responsabilità, che assume tratti più o meno sanzionatori in base alla rilevanza del tipo di interesse in gioco. La tipizzazione delle ipotesi sanzionatorie dimostra il tentativo dal punto di vista legislativo di introdurre un rimedio effettivo a situazioni in cui la tradizionale funzione compensativa non è idonea a garantire tutela.
Il presupposto teorico che consente di spiegare in un’ottica di sistema le ipotesi sanzionatorie è l’adesione alla finalità anche deterrente della responsabilità civile, non incompatibile con la compensazione poiché idonea a colmare le lacune che il sistema tradizionale non può tutelare.
Benché sia pacifico che non si possa riconoscere alla responsabilità aquiliana finalità estranee alla logica e struttura della norma, il principio costituzionale di effettività della tutela impone l’apertura a rimedi che completino la tutela delle situazioni giuridiche soggettive. Potrà, infatti, qualificarsi effettiva la tutela apprestata all’individuo non solo in caso di riparazione del danno, ma altresì se la condotta che lo ha leso non sia posta in essere nuovamente dallo stesso o da altri soggetti.
L’analisi delle ipotesi sanzionatorie presenti in vari settori dell’ordinamento e in altre esperienze giuridiche consente di affermare che, con l’intento di reprimere fenomeni pregiudizievoli non rimediabili attraverso la logica compensativa, tanto nei rapporti tra privati che tra quest’ultimi e la p.a. il legislatore abbia introdotto norme sostanziali, espressione della logica sanzionatoria.
L’analisi delle varie forme di responsabilità sanzionatoria in ambito pubblicistico, privatistico e processuale permette di evidenziare come tale funzione sia ancora latente nel nostro ordinamento, benché l’approccio giurisprudenziale sul tema sia ancorato alla concezione compensativa della responsabilità.
La logica sanzionatoria possiede una capacità dissuasiva e conformativa che si mostra particolarmente utile nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione, potendosi, perciò, estendere le considerazioni svolte in tema di danni punitivi anche all’ambito amministrativo. L’interesse che si intende soddisfare è il ripristino della legalità sostanziale, intesa come stimolo al buon andamento della pubblica amministrazione. Si è evidenziato come tale modello di responsabilità non sia incompatibile con quello tradizionale, affiancandosi a quest’ultimo in tutte le ipotesi in cui all’interesse privatistico segue quello pubblico. La praticabilità di tale forma di responsabilità, come approfondito in tema di rapporto tra danni punitivi e sistema italiano, non è preclusa dall’assetto normativo o costituzionale. Più precisamente la logica sanzionatoria può trovare una base normativa proprio nell’art. 97 Cost., che nell’enunciare il principio del buon andamento della pubblica amministrazione prevede una clausola di apertura e compatibilità con ogni strumento idoneo a realizzare tale fine.
Il concetto di responsabilità sanzionatoria consente, perciò, di soddisfare sia l’interesse privato ad essere ricollocato nella situazione antecedente al danno che l’interesse pubblico alla buona amministrazione. La duplice valenza, pubblicistica e privatistica, che la logica sanzionatoria sottintende evidenzia la potenzialità dell’adesione a tale impostazione.
Nello specifico il privato si intende tutelato in modo effettivo non solo attraverso il ristoro patrimoniale conseguente alla lesione subita, ma attraverso lo spontaneo adeguamento della pubblica amministrazione chiamata a garantire l’efficienza per non incorrere in sanzione. Parallelamente sotto il profilo pubblicistico si persegue l’obiettivo di stimolare l’amministrazione a perseguire l’interesse pubblico in ossequio ai principi dell’agire amministrativo. Sono, infatti, frequenti le ipotesi in cui il rispetto delle norme pubblicistiche poste a presidio sia dell’interesse pubblico che privato sono rispettate solo da un punto di vista formale, generando fenomeni di cattiva amministrazione.
È possibile affermare, quindi, che il modello di responsabilità attuale sia suscettibile di essere integrato con la logica sanzionatoria. La riscoperta dell’originario ruolo della responsabilità rappresentato dal ripristino della legalità, nonostante possa sembrare un ritorno al passato nell’evoluzione del diritto, in realtà si proietta verso il futuro se legato al concetto di buon andamento.
L’analisi fin qui condotta permette di dare una risposta affermativa all’interrogativo di partenza, ossia se possa la responsabilità sanzionatoria essere considerata uno strumento alternativo a quelli presenti al fine di contrastare fenomeni di cattiva amministrazione.
Il legame tra buon andamento e responsabilità evidenzia un fenomeno di graduale espansione della logica sanzionatoria, imposto sia dal principio di effettività della tutela che dai benefici che la stessa produce in ambito pubblicistico e privatistico.
Gli aspetti trattati consentono di giungere al termine del percorso di ricerca, dal quale emerge come la logica sanzionatoria della responsabilità non sia una mera prospettiva di analisi, ma un modello presente e in attesa di espansione. Le considerazioni svolte pongono, altresì, le basi per un successivo approfondimento sulla responsabilità della pubblica amministrazione che, muovendo dal riconoscimento della funzione sanzionatoria, possa verificarne il processo di avvicinamento dei sistemi giuridici di common law e civil law alla luce degli effetti prodotti dalla responsabilità sull’agire amministrativo.
Antonio Vincenzo Castorina
[1] Degno di nota è il recente incontro tenutosi presso L’Università degli Studi di Roma Tre dal titolo “Antidoti alla cattiva amministrazione: una sfida per le riforme” del 7 e 8 ottobre 2016. Solo nel 2016 vari sono stati gli incontri sul tema, tra i più significativi si può ricordare anche anche il convegno ”Cattiva amministrazione e responsabilita’ amministrativa” tenutosi presso l’Università degli Studi di Bergamo il 7 giugno 2016; “I rimedi alla cattiva amministrazione: autotutela, poteri sostitutivi e altro” tenutosi presso l’Università degli studi del Molise l’8 aprile 2016; “Trasparenza nella p.a. e norme anticorruzione: dalla prevenzione alla repressione”, presso l’Università degli Studi Roma Tre, il 13 ottobre; “Le misure di prevenzione della cattiva amministrazione: le garanzie procedimentali”, tenutosi presso la scuola universitaria superiore di Pisa Sant’Anna il 19 febbraio 2016.
[2] La tematica del buon andamento della pubblica amministrazione rappresenta un tema che ha da sempre interessato la dottrina e che non sembra dirigersi verso un punto di arresto, tant’è che si possono rivenire sia contributi risalenti nel tempo che recenti approfondimenti. Cfr G. FALZONE, Il dovere di buona amministrazione, Milano 1953; A ANDREANI, Il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, Padova, 1979; P. CALANDRA, Il buon andamento dell’amministrazione pubblica, in Studi in memoria di V. Bachelet, Milano 1987; W. MORGESE, Buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione: considerazioni in ordine al controllo dell’azione amministrativa, in La pubblica amministrazione nella Costituzione. Riflessioni e indicazioni di riforma, Giuffrè, 1995; G ARCONZO, Il dovere al buon andamento della pubblica amministrazione e il diritto alla buona amministrazione: la legislazione interna tra giurisprudenza costituzionale e principi comunitari, in Le Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana, a cura di N. Zanon, Napoli, 2006; R. FERRARA, L’interesse pubblico al buon andamento della pubblica amministrazione tra forma e sostanza, in Studi in onore di Alberto Romano, I, Napoli 2011; C. PINELLI, Il buon andamento dei pubblici uffici e la sua supposta tensione con l’imparzialità. Un’indagine sulla recente giurisprudenza costituzionale, in Studi in onore di Alberto Romano, I, Napoli, 2011, p.726 e ss.; G. NAPOLITANO, Liberalizzazioni e buona amministrazione, in Giornale di diritto amministrativo, 3/2015.
[3] Si rileva come si sia assistito ad un cambiamento funzionale del concetto di buona amministrazione. Si pensi all’istituto della partecipazione dei privati rivolta a migliorare la scelta amministrativa in base all’idea che il principio in esame sia rivolto alla sola amministrazione; diversamente si può ritenere finalizzato alla tutela privato prima che sia emanato il provvedimento qualora il principio sia rivolto al cittadino. Cfr S CASSESE, Il diritto alla buona amministrazione, Relazione in giornata sul diritto alla buona amministrazione per il 25 anniversario della legge sul “Sindic de Greuges” della Catalogna, Barcellona, Marzo 2009, in irpa.eu.
[4] A conferma della portata non esclusivamente nazionale del problema, già nel 1995 nella relazione annuale del mediatore europeo si tentava di circoscrivere il concetto di buona amministrazione chiarendosi come “(…) si è in presenza di un caso di cattiva amministrazione quando un’istituzione o un organo comunitario non opera conformemente ai trattati ed agli atti comunitari che sono vincolanti in materia o se non osserva le norme e i principi giuridici stabiliti dalla Corte di giustizia o dal Tribunale di primo grado. La cattiva amministrazione può comprendere molti altri aspetti, fra cui: irregolarità amministrative, omissioni amministrative, abuso di potere, negligenza, procedure illecite, iniquità, disfunzioni o incompetenza, discriminazione, ritardo evitabile, assenza o rifiuto d’informazioni. (…)”Il mediatore europeo svolge un ruolo prevalentemente preventivo, ciò consente di affermare come i rimedi alla cattiva amministrazione debbano collocarsi in una fase che precede il fenomeno in esame. Cfr la relazione A4-0211/97, relatore on. Nikolaos Papakryazis in ombudsman.europa.eu
[5] L’art. 41 recita: “1. Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione.
- Tale diritto comprende in particolare:-il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio, -il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale, -l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.
3.Ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte della Comunità dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri.
- Ogni individuo può rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue del trattato e deve ricevere una risposta nella stessa lingua” Cfr L. Ferrari Bravo, M. Di Majo, A. Rizzo (a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, commento all’art. 41 Diritto a una buona amministrazione, Milano, Giuffrè, 2001, p. 145 e ss.
[6] Nonostante la norma faccia riferimento al concetto di buona amministrazione della giustizia, riferendosi apparentemente alla sola fase contenzione, occorre ricordare come la Giurisprudenza della Corte di Strasburgo intenda il concetto di processo come ogni procedura che si pone il fine di risolvere una controversia, includendo in questa categoria anche i procedimenti amministrativi. Indipendentemente dalla sua qualificazione nazionale il principio si rivolge a tutte le procedure provocano la modificazione della realtà giuridica per il destinatario.
[7] Già nel 1979 Giannini evidenziava tra le principali criticità dell’attività amministrativa il sistema dei controlli di cui si riporta un passaggio particolarmente significativo e al tempo stesso attuale: “Sembra quindi si possa dire maturata la convinzione che occorre mutare radicalmente la specie di controllo, e che si possa affidare alla Corte dei Conti un controllo di efficienza; sarebbe svincolato dal controllo su atti, anche se l’esame successivo di legittimità degli atti ne costituirebbe un elemento, e avrebbe ad oggetto la efficienza nelle sue varie forme: come buon andamento, come produttività, come omissione (adeguatezza di organizzazione e di attività amministrativa).
Essendo affidato ad organo esterno agli apparati amministrativi, romperebbe le molto in pratica possibili collusioni interne di questi; essendo di efficienza, verrebbe ad estendersi a numerosi settori nei quali la legittimità formale di atti ha scarso rilievo, e invece il comportamento gestorio può essere illegittimo per omissione; non essendo legato ad atti, potrebbe esser sollecitato in ogni tempo anche dall’esterno; comportando, quanto alle misure di controllo, solo responsabilizzazioni di addetti agli uffici e di capi dei medesimi, potrebbe spesso risolversi in una guida di ordine amministrativa.” in M.S. GIANNINI, Rapporto sui principali problemi dell’Amministrazione delle Stato, trasmesso alle Camere il 16 novembre 1979, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 1982, p. 722 e ss.; M. S. GIANNINI, Controllo: nozioni e problemi, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 1974, p. 1263.
[8] F. MERLONI, La corruzione amministrativa. Cause, prevenzioni e rimedi, Passigli Editore, Firenze, 2010, p. 403 e ss; E. CARLONI, La “casa di vetro” e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in Dir. pubbl., 3, 2009, p. 779 e ss.; F. MERLONI, La trasparenza amministrativa, Giuffrè, Milano, 2008 p. 29 e ss; G. ARENA, Trasparenza amministrativa e democrazia, in AA.VV., Gli istituti di democrazia amministrativa, a cura di G. Berti e G.C. De Martin, Milano 1996, p. 16; G. ARENA, Accesso ai documenti amministrativi e circolazione delle informazioni, Relazione tenuta al convegno “La trasparenza amministrativa a due anni dalla legge 7-8-1990, n. 241, Siena 30-10-1992, in Mondo economico, 1993, p. 24.
[9] Per un approfondimento dei rapporti tra buona amministrazione e controlli Cfr G. BERTI, N. MARZONA, Controlli amministrativi, in Enc. Dir., Milano, 1999, vol. III, p 457 e ss; C. CHIAPPINELLI, Le innovazioni della Legge “Brunetta” al sistema dei controlli nel quadro della altre recenti riforme, in Rivista delle Corte dei Conti, n.4, 2010, p. 189; M. IMMORDINO, A. POLICE, Principio di legalita’ e amministrazione di risultati : atti del Convegno, Palermo, 27-28 febbraio 2003, Torino, Giappichelli, 2004;P. TANDA, Controlli amministrativi e modelli di governance della Pubblica Amministrazione, G. Giappichelli, Torino, 2012.
[10]Si fa riferimento al d. l. 31 agosto 2013, n. 101, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni.
[11] R. CANTONE, F. MERLONI, La nuova Autorità Nazionale Anticorruzzione, Giappichelli, Torino, 2015
[12] Ai controlli amministrativi si affianca, inoltre, la funzione di “controllo” giurisdizionale sugli atti amministrativi, settore anch’esso oggetto di dibattito alla luce delle indicazioni sovranazionali e del principio di effettività della tutela che richiederebbero, in determinati settori, un sindacato maggiormente incisivo e meno deferente
[13]F. MERLONI, La trasparenza come strumento di lotta alla corruzione tra legge n. 190 del 2012 e d.lgs. n. 33 del 2013, in La Trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n.33, a cura di B. Ponti, Santarcangelo, Maggioli, 2013; F. MANGANARO, Evoluzione del principio di trasparenza amministrativa, in AA. VV., Scritti in memoria di Roberto Marrama, Napoli, 2010, p. 3 e ss; C. MARZUOLI, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in La trasparenza amministrativa, a cura di F. Merloni, Milano, 2008, p. 45 e ss. R. CHIEPPA, La trasparenza come regola della pubblica amministrazione, in Dir. econ., 1994, III, p. 613 e ss; M. OCCHIENA, I principi di pubblicità e trasparenza, in M. RENNA, F. SAITTA (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, p. 141 e ss.
[14] E. CARLONI, Tendenze recenti e nuovi principi della digitalizzazione pubblica, in Giorn. dir. amm., 2, 2015, p. 148 e ss.
[15] . L’amministrazione potrà definirsi rispettosa del principio di buona amministrazione solo se il cittadino possa conoscere gli atti del procedimento, qualora la normativa di riferimento sia sufficientemente accessibile e comprensibile da parte dei più e se sia prevista la possibilità di incidere sull’esito del procedimento tramite la partecipazione.
[16] Si fa riferimento in particolare al recente “decreto trasparenza” d.lgs n. 97 del 2016, che si pone l’obiettivo: di ridefinire l’ambito di applicazione degli obblighi e delle misure in materia di trasparenza; prevedere misure organizzative per la pubblicazione di alcune informazioni e per la concentrazione e la riduzione degli oneri gravanti in capo alle amministrazioni pubbliche; razionalizzare e precisare gli obblighi di pubblicazione; individuare i soggetti competenti all’irrogazione delle sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza; introdurre una nuova forma di accesso civico ai dati e ai documenti pubblici, equivalente a quella che nei sistemi anglosassoni è definita Freedom of information act (Foia); precisare i contenuti e i procedimenti di adozione del Piano nazionale anticorruzione e dei piani triennali per la prevenzione della corruzione, nonché a ridefinire i ruoli, i poteri e le responsabilità dei soggetti interni che intervengono nei relativi processi.
[17] Resta chiaro che le novità legislative volte ad aumentare il livello di garanzia per i cittadini e, conseguentemente, rendere l’amministrazione maggiormente efficiente devono essere considerate con estremo favore, sicché il percorso che individua come possibile soluzione alle disfunzioni amministrative l’aumento o la modifica dell’attuale assetto dei controlli e della trasparenza rappresenta un importante e necessario contributo per rimediare alla cattiva amministrazione. Giova, inoltre, ricordare che il cambiamento del contesto socio-economico, tanto a livello nazionale che sovranazionale, spesso rende gli strumenti amministrativi non più attuali per rispondere alle esigenze dei cittadini e garantire una buona amministrazione, rendendosi necessario un aggiornamento Per un approfondimento sul percorso di trasformazione dei vari settori dell’amministrazione Cfr F. MERLONI, A. PIOGGIA, R. SEGATORI, L’amministrazione sta cambiando? Una verifica dell’effettività dell’innovazione nella pubblica amministrazione, Milano, Giuffrè, 2007.
[18] A ben vedere nonostante la sentenza Francovich(Corte di Giustizia 19 novembre 1991, cause riunite C 6/90 e C 9/90) esprima in modo esplicito il principio di responsabilità comunitaria, prima di tale pronuncia la Corte nelle sentenze nelle sentenza Humblet c. Belgio (16 dicembre 1960, C- 6/60) e Russo c. AIMA (22 gennaio 1976, C- 60/75) avevano espresso il principio secondo cui allo Stato inadempiente è imposto sia di revocare l’atto viziato sia di riparare gli effetti dannosi derivanti. Nella medesima ottica si registra anche la sentenza Van Gend & Loos, (5 febbraio 1963, C-26/62) in cui si riconoscono i cittadini come soggetti dell’ordinamento comunitario, derivando un insieme di diritti esercitabili da questi. Cfr E. SCONDITTI Profili di responsabilitàcivile per mancata attuazione di direttiva comunitaria: il caso “Francovich” in Cassazione, in Foro italiano, 1996, I, p. 503.
[19] Per un approfondimento Cfr. M. CONDINANZI, La responsabilità dello Stato per violazione del Diritto dell’Unione Europea: prime applicazioni dei recenti orientamenti della Corte di Cassazione, in Giur. mer., 2010, p. 3063; A. MALFITANO- F. PERSANO, Responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione europea e decorrenza del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1, 2012, p. 111 e ss; M.P. CHITI, La responsabilità dell’amministrazione nel diritto comunitario, in Rivista italiana di Diritto pubblico comunitario, 2009, p. 505
[20] La possibilità di proporre ricorso direttamente in capo ai singoli individui rafforza il sistema di specificazione dei diritti operato dalla Corte europea. Tale sistema, tuttavia, si caratterizza per non essere legittimato da una scelta democratica a cui i singoli partecipano e che dovrebbe legittimare il potere. L’interpretazione operata dalla Corte europea non si rivolge, quindi, al potere amministrativo dello stesso ordinamento convenzionale, ma ai Paesi membri. Per un approfondimento dei rapporti tra diritto e potere alla luce della Convenzione europea dei diritti dell’uomo Cfr F. MANGANARO,Il potere amministrativo nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in federalismi.it.
[21] Cons. Stato, Sez. VI, n. 5611 del 2015, in giustizia-amministrativa.it.
[22]Cons. Stato, Sez. VI, 29 maggio 2014, n. 2792, in giustizia-amministrativa.it.
[23]Cons. Stato, VI, 27 giugno 2013, n. 3521; id. 14 marzo 2005, n. 1047.
[24] La tesi della natura contrattuale della responsabilità amministrativa basa il proprio iter argomentativo sulla circostanza che la procedimentalizzazione dell’azione amministrativa ha provocato numerose occasioni di contatto tra tra cittadino e pubblica amministrazione (tra cui la comunicazione di avvio al procedimento o la partecipazione), sicché il rapporto tra amministratore ed amministrato non può essere qualificato dal semplice dovere del non ingerirsi nella sfera giuridica altrui, sussistendo un rapporto tra i due soggetti. Tale impostazione, quindi, non ricollega la responsabilità al mancato conseguimento dell’utilità finale a cui il privato tende, ma alla violazione dei doveri procedimentali posti a garanzia del privato. Cfr V. LANDI, Pregiudiziale amministrativa e responsabilità da contatto sociale della pubblica amministrazione, in Rivista trimestrale degli appalti, 2005, n. 1, p. 97
[25] Nello specifico si è osservato che il cambiamento dell’attività amministrativa rivolto a dare sempre maggiore spazio ai soggetti privati per lo svolgimento sisdi attività pubblicistiche non può non avere conseguenze sul sistema di responsabilità. Da tale premessa si ritene inadeguato ancorare il sistema di responsabilità amministrativa a norme destinate a regolare rapporti tra privati, dovendosi più propriamente riconoscere la responsabilità amministrativa come un sistema autonomo.
[26] L’evoluzione giurisprudenziale condotta fin oggi ha mostrato diffidenza ad accettare modelli diversi di responsabilità poiché ancorata alla tradizionale impostazione che richiede di collocare la tematica necessariamente all’interno di quella della tutela delle situazioni giuridiche soggettive.
In realtà il modello che sembra delinearsi non sembra poter essere spiegato ricorrendo solo all’impostazione domestica, potendosi descrivere più propriamente un modello nazionale a cui si affianca quello europeo. Oltre ad un fenomeno di integrazione del diritto nazionale con quello sovranazionale sembra emergere un quadro in cui sono presenti una pluralità di modelli non antitetici.
[27] Fermo restando la necessità che al soggetto leso si riconosca la titolarità di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela, la violazione di una norma posta a tutela di determinati interessi- rappresentati nel settore degli appalti dalla concorrenza- viene sanzionata con l’obbligo per il soggetto che ha posto in essere la violazione di rispondere del danno anche se non ascrivibile per colpa.
[28] la norma come modificata dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98 recita: . “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. 1-bis. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalita’ stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’ articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 . In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento “
[29]Cfr G. VESPERINI, L’indennizzo da ritardo: l’ennesima promessa mancata, in Giorn. dir. amm., 2014, p.445; A. VACCARI, Brevi cenni sulla responsabilità della pubblica amministrazione per ritardo nell’attività provvedimentale, in Foro Amm., 9, 2013, p. 2949.
[30] L’ambito di applicazione della norma risulta essere circoscritto, sono espressamente escluse le ipotesi di silenzio qualificato e i procedimenti d’ufficio. A titolo esemplificato rientrano, perciò, nell’ambito di applicazione della norma le istanze dirette a ottenere il certificato di destinazione urbanistica e i procedimenti diretti a ottenere intese o pareri obbligatori previsti dalle normative di settore, preventivi al rilascio del titolo abilitativo.
[31] L’utilizzo del termine indennizzo provoca delle perplessità nell’individuazione della natura di tale rimedio, infatti tradizionalmente il concetto di indennizzo è legato ad un ristoro monetario derivante da un danno che non sia qualificabile come ingiusto, ovvero da attività lecita. La norma, tuttavia, sanziona un comportamento amministrativo rappresentato dal mancato rispetto dei termini del procedimento amministrativo posto in violazione di un dovere procedimentale, qualificabile come comportamento antiguridico poichè posto in contrasto con la legge.
[32] La direttiva fornisce le linee guida in ordine alla procedura per ottenere l’indennizzo da ritardo Cfr funzionepubblica.gov.it
[33] BARTOLINI, PIOGGIA, La legalità dei principi di diritto amministrativo e il principio di legalità, a cura di Renna, Saitta, In studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2012, p. 79 e ss.
[34] La pubblica amministrazione nello svolgimento della sua attività preordinata all’interesse pubblico si relaziona necessariamente con i soggetti privati la cui situazione giuridica soggettiva deve essere tutelata non solo tramite il riconoscimento del bene della vita a cui tendono, ma anche tramite la possibilità che questi ultimi facciano affidamento sulla certezza del diritto, da intendersi tanto dal punto di vista sostanziale che temporale-procedurale.
Si spiega allora la logica di una misura rivolta non semplicemente ad allocare alla pubblica amministrazione il danno subito dal privato, ma rivolta a dissuadere i comportamenti che si discostino dal paradigma legislativo tramite la prospettazione del pagamento di una somma di denaro.
[35] La CEDU riconosce il principio di ragionevole durata del processo, ovvero tutela l’interesse del cittadino a non restare nell’incertezza dovuta ad una procedura che può incidere sulla sua sfera giuridica. Nonostante si faccia espressamente riferimento al termine “processo” la Corte EDU ha ribadito l’estensione di tale concetto anche a procedimenti amministrativi. La giurisprudenza ha infatti chiarito che ai fini della individuazione dell’ambito applicativo dell’art. 6 CEDU ed in particolare al concetto di “diritto e obbligazione di carattere civile”, è sufficiente la connotazione patrimoniale della situazione giuridica lesa, potendo rientrare, quindi, non solo i diritti soggettivi ma anche gli interessi legittimi. Art 6 paragrafo 1 CEDU: “Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente ed imparziale, costituito dalla legge, che deciderà sia in ordine alle controversie sui diritti ed obbligazioni di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale elevata contro di lei…”
[36] Cass.civ., Sez. I, n. 14188, 12 luglio 2016, in iusexplorer.it.
[37] Cass.civ., Sez. I, n. 14188, 12 luglio 2016 cit.
[38] C. Giust., 17/6/1992, C- 261/91, Handte, in curia.europa.eu.
[39] F.G. SCOCA, Sguardo d’insieme sugli aspetti sostanziali e processuali della responsabilità amministrativa, in AA.VV., La responsabilità amministrativa ed il suo processo” a cura di F.G. Scoca, Padova, 1997, p.156 e ss.
[40] M. SCIASCIA, Diritto delle gestioni pubbliche. Istituzioni di contabilità pubblica, Milano, 2007, p. 9 e ss.
[41] Per un approfondimento sulle varie tesi circa la natura della responsabilità Cfr. F. GARRI, Responsabilità amministrativa, in Enc. Treccani XXVI, Roma, 1999; F. STADERINI, La responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici tra risarcimento e sanzione, In Riv. C. Conti, 1996, 2, p. 293 e ss; S. PISANA, La responsabilità amministrativa, Torino, 2007, p. 23 e ss.
[42]A. POLICE, La disciplina attuale della responsabilità amministrativa, in Scoca, La responsabilità amministrativa, op. cit. p. 141 e ss.
[43] Alla base di tale potere è possibile evidenziare una ragione di carattere pratico. Le percentuali di riscossione dei crediti risultano essere particolarmente basse, tra il 1990 e 1993 i recuperi si sono attestati circa all’1,25%, sicché si è mostrata l’esigenza di introdurre sia una responsabilità con funzione di deterrente sia un potere di aggressione di somme concretamente ottenibili. Cfr. A. CORPACI, La responsabilità degli amministratori e dipendenti pubblici nella giurisprudenza della Corte dei Conti, in La responsabilità pubblica in pratica, D. Sorace (a cura di), Bologna, Il Mulino, 1994, p.393.
[44] Parte della giurisprudenza ritiene che il potere riduttivo non sia esercitabile nei casi di dolo o condanna penale, venendo meno in tali ipotesi le garanzie ammesse a condizione che l’agente agisca nell’esercizio delle sue funzioni Cfr. Corte dei Conti, S.R. 6 giugno 1990, n. 671, in Riv. Corte Conti 1990, 4, p.75. In senso contrario Cfr Corte Conti, Sez., I, 10 marzo 1997, n. 26/A in Ric. Corte Conti, 1997, 2, p.98.
[45] In tal senso Cfr F. G. SCOCA, Sguardo di insieme sugli aspetti sostanziali e processuali della responsabilità amministrativa, op cit., p. 8.
[46] Nella stessa ottica si colloca il giudizio monitorio, finalizzato a ridurre il contenzioso. Tale giudizio è applicabile nell’ambito di procedimenti che hanno ad oggetto addebiti non superiori a 5.000 euro e consente al Presidente di ridurre l’addebito tenendo conto dell’elemento soggettivo, dell’efficienza causale della condotta e la presenza di circostanze di attenuazione della responsabilità.
[47] Tra le varie cause che possono essere valutate dal giudice si ricordi a titolo esemplificativo la competenza tecnica del danneggiante, l’esecuzione di una prassi amministrativa, il contesto lavorativo, la complessità organizzativa della struttura. Cfr F. STADERINI, La responsabilità dei funzionari e dei pubblici dipendenti tra risarcimento e sanzione, D. Sorace (a cura di) in Le responsabilità pubbliche civile, amministrativa, disciplinare, penale dirigenziale, Padova, 1998. p.310.
[48] Ci si riferisce alle ipotesi di indebito arricchimento. Su tale aspetto la giurisprudenza ha chiarito che per poter citare gli eredi del danneggiante occorre: che il responsabile abbia aumentato le proprie disponibilità finanziarie per effetto delle violazioni di servizio e che gli eredi abbiano giovato di tale illecito Cfr. Cass. S.U. n. 14178 del 2004.
[49] In passato tale previsione si riferiva esclusivamente agli amministratori degli enti locali. Con legge n. 142 del 1990 fu estesa a tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione della corte dei Conti.
Il principio di intrasmissibilità agli eredi ha interrotto l’applicazione della tesi che, muovendo dalla natura risarcitoria della responsabilità, domandava agli eredi la somma dovuta dal danneggiante.
[50] O. SEPE, In tema di giurisdizione contabile e di limitazione della responsabilità degli eredi, in Giur. it., 1997, III, p. 58 e ss.
[51] Cons. St. Sez. VI, Sent. n. 423 del 28 gennaio 2014, in giustizia-amministrativa.it.
[52] Invero la giurisprudenza, nonostante la presenza di una disposizione normativa , riteneva che non fosse esclusa la solidarietà passiva prevedendo la norma solo un obbligo di ripartizione tra gli obbligati, in conformità alla natura civilistica della responsabilità .
Un definitivo chiarimento in ordine alla parziarietà dell’obbligazione è avvenuto con la legge 20 del 1994 che ha confermato l’impostazione della responsabilità in chiave sanzionatoria, volta, cioè, maggiormente a prevenire più che riparare il danno.
La norma, tramite l’espressa enunciazione del principio di parziarietà e l’introduzione di una deroga per i casi di ingiustificato arricchimento, ha individuato l’esatto contenuto e ambito della disposizione. Il giudice contabile sarà chiamato, quindi, prima a quantificare il danno subito e successivamente a ripartirlo tra i danneggianti, fermo restando il potere di riduzione.
[53] “L’azione del pocuratore contabile ha presupposti e caratteristiche completamente diverse dalle azioni di responsabilità sociale e dei creditori sociali contemplate dal codice civile: basta dire che l’una è obbligatoria, le altre discrezionali; l’una ha finalità essenzialmente sanzionatoria (onde non implica necessariamente il ristoro completo del pregiudizio subito dal patrimonio danneggiato dalla mala gestio dell’amministratore o dall’omesso controllo del vigilante), le altre hanno scopo ripristinatorio; l’una richiede il dolo o la colpa grave, e solo in determinati casi è esercitabile anche contro gli eredi del soggetto responsabile del danno; per le altre è sufficiente anche la colpa lieve ed il debito risarcitorio è pienamente trasmissibile agli eredi.” Cass. Civ. S.U., n. 26806 del 19 dicembre 2009, in dejure.it
[54] P. CERBO, Le sanzioni amministrative, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Diritto amministrativo speciale, Tomo I, Milano, 2003, 579 e ss.
[55] Con riguardo alle ipotesi di responsabilità “speciali”, alla tradizionale responsabilità si aggiunge una sanzione, svincolata dalla quantificazione del danno.
In questa categoria possiamo ricordare l’art. 30 c.15 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 che consente la condanna ad una sanzione pecuniaria tra cinque e venti volte l’indennità di carica percepita qualora l’ente ricorra all’indebitamento per finanziarie spese differenti da quelle di investimento.
Nella stessa ottica si ricorda anche la legge n. 244 del 2007 che all’art. 3 c.59 che sancisce, oltre la nullità dei contratti stipulati da amministrazioni che coprano la responsabilità dei propri amministristatori, il pagamento di una somma pari a dieci volte l’ammontare dei premi stabiliti nel contratto medesimo[55].
Ancora si pensi all’art. 8 del d.lgs n. 342 del 1997, riguardo il dissesto di comuni e delle province qualora non siano più in grado di garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, che prevede una sanzione per gli amministratori che sono stati riconosciuti responsabili di danni da loro prodotti nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto.
[56] Per un attenta analisi delle varie forme di responsabilità tipizzate Cfr L. REBECCHI, “Spendig Rewiew” atto secondo e responsabilità erariale tipizzata, in www.newsandsociety.net, 2012; G. ALBO, “La tendenza legislativa alla tipizzazione delle fattispecie”, relazione tenuta in occasione del Corso di formazione e aggiornamento sul tema “Evoluzione normativa e giurisprudenziale delle ipo- tesi di responsabilità sanzionatoria e di altre forme tipizzate di responsabilità introdotte dall’ordinamento e affidate alla cognizione del giudice contabile”, svoltosi a Roma, nell’Aula delle Sezioni Riunite, 1, 2 e 3 aprile 2008 corteconti.it; E. BOGETTI, Relazione anno giudiziario 2015, Genova, 27 febbraio, in corteconti.it.
[57] Si fa riferimento al dovere del giudice di valutare i vantaggi conseguiti dall’amministrazione in base al principio della compensatio lucri cum damno.
[58] Art. 1, c. 1-bis “Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.
[59] In tema di presunzione si ricordi anche all’affermazione ricorrente nella giurisprudenza della Corte dei Conti: “la decisione dell’imputato di chiedere il patteggiamento della pena può considerarsi come tacita ammissione di colpevolezza e, nei giudizi diversi da quello penale, pur non essendo precluso al Giudice l’accertamento e la valutazione dei fatti difforme da quello contenuto nella sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., tuttavia questa assume un valore probatorio qualificato, superabile solo attraverso specifiche prove contrarie.“ Cfr Sez. I d’Appello, sent. n. 406 del 13.3.2014, sent. n. 253 del 12.2.2014 e sent. n. 407 del 23.7.2012.
[60] Si pensi alle ipotesi di danno da disservizio, spesso derivante da reato. Spesso la Corte dei Conti tipizza delle condotte presumendo la verificazione del danno.
[61] È possibile richiamare anche l’art. 2, comma 9, legge n. 241 del 1990 che prevede come la mancata o tardiva emanazione del provvedimento amministrativo costituisca elemento di responsabilità amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.
L’art. 46, d.lgs. n. 33 del 2013, (obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle Amministrazioni pubbliche) prevede che l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione o la mancata predisposizione del programma triennale per la trasparenza e l’integrità costituiscono eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine[61] (e dunque di responsabilità per il danno erariale derivante dal danno all’immagine) dell’amministrazione.
[62] Tali ipotesi di responsabilità sono qualificate da parte della dottrina come sanzioni “nascoste” attesa la mancanza di un evidente diminuzione patrimoniale per la pubblica amministrazione.
Si è osservato che dalla lettura di tali ipotesi occorre domandarsi se: “(…) sussiste effettivamente, in ognuna di queste fattispecie, una deminutio patrimoniale certa e calcolabile? Una deminutio misurabile, e non invece soltanto “equitativamente” calcolabile, perché non è possibile, come sovente piace alla Corte dei Conti, invocare l’equità per determinare il quantum del danno: così operando, infatti, la Corte non si rende conto di fornirci proprio la prova di un’assenza (di un danno agevolmente quantificabile), e non invece, come essa reputa, di ovviare all’assenza di una prova;
b)un’altra domanda: quale è, al di là della mera violazione della stessa legge che introduce la fattispecie tipizzata-sanzione “nascosta” (ma leggasi allora alla voce “responsabilità formale”, se si sanziona la mera violazione di un precetto normativo, in assenza di un danno), quale è il bene giuridico protetto della norma? Quale è l’interesse pubblico mediatamente violato attraverso l’immediata violazione della norma?: La trasparenza amministrativa (nel caso degli obblighi di pubblicità ed informazione)? Il mancato utilizzo di denaro pubblico che si doveva utilizzare, in quanto disponibile, per pagare i debiti da troppo tempo scaduti e non onorati? L’obbligo di esclusività nella prestazione lavorativa (nell’ipotesi di attività esterne del pubblico dipendente svolte senza previa autorizzazione) ? Addirittura, e questo forse costituisce il caso-limite, il mancato controllo sulla corruzione o concussione altrui (e leggasi, in questo caso, alla voce responsabilità per fatto altrui e, o, oggettiva), nella fattispecie innanzi tratta dalla legge anticorruzione?
- c) ed un’ultima domanda: sono tutti questi (rectius, la violazione di tutti questi beni-interessi giuridici, sottesi alla norma, da essa “nascosti”, non esplicitati) danni certi, concreti ed attuali al patrimonio pubblico? O non sono piuttosto, essi stessi, indici eventualmente sintomatici di quelle che, se fossero autentiche fattispecie di responsabilità (e non invece sanzioni “nascoste”), richiederebbero comunque la prova del danno, dell’elemento psicologico (elevato, come noto, alla “colpa grave”), del nesso di causalità? “ Cfr G. BOTTINO, Le sanzioni “limpide” e le sanzioni “nascoste” nella responsabilità amministrativa, Intervento nell’Incontro di Studio “Riflessioni sull’incertezza delle regole: il dibattito sulle “sanzioni nascoste”, Roma, 6 febbrario 2014 in diritto-amministrativo.org.
[63] La norma recita: “Spirato il termine stabilito dalla Corte, questa, citato l’agente dell’amministrazione ad istanza del pubblico ministero, può condannarlo a ragione della mora, ad una pena pecuniaria non maggiore della metà degli stipendi, degli aggi e delle indennità al medesimo dovute, e quando esso non goda di stipendi, di aggi e di indennità può condannarlo al pagamento di una somma non maggiore di lire 2.000.000. (…).Nel caso che l’agente persista nella sua renitenza a dare il conto, questo, per decreto della Corte, ad istanza del pubblico ministero, sarà fatto compilare a spese dell’agente”.
[64] La stessa Corte Costituzionale n. 371 del 1998, cit. in tema di responsabilità amministrativa ha evidenziato che nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, al fine di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, la prospettiva della responsabilità deve avere una finalità di stimolo, e non di disincentivo
[65] Sezioni Riunite, n. 12/2007/QM, in corteconti.it.
[66] La corte dei conti evidenzia che “Il fatto che la sanzione prevista dall’art. 30, comma 15, della legge n. 289/2002 configuri una particolare fattispecie di responsabilità sanzionatoria devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti, non deve indurre, peraltro, a ritenere, sul piano teorico ricostruttivo, che la responsabilità amministrativa abbia, in via generale, una connotazione sanzionatoria piuttosto che risarcitoria.” Sezioni Riunite, n. 12/2007/QM, in corteconti.it.
[67]E. BOGETTI, Relazione anno giudiziario 2015, Genova, op. cit.
[68] Il cui confine con le sanzioni amministrative non è di tipo sostanziale ma dipende da una scelta legislativa.
La norma recita: “Nella determinazione dell’ammontare della multa o dell’ammenda il giudice deve tener conto, oltre che dei criteri indicati dall’articolo precedente, anche delle condizioni economiche del reo.
Il giudice può aumentare la multa o l’ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o diminuirle sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa”.
[70] Significative sono le parole del Presidente R. Squitieri in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2015, Roma, 10 febbraio 2015. Nella stessa ottica si colloca l’opinione del Procuratore Generale che nella medesima occasione evidenzia che “il ruolo della Corte nel contrasto alla corruzione può essere fondamentale, tanto con il controllo, per la sua capacità di conoscere a fondo il cuore della pubblica amministrazione, quanto con la giurisdizione, caratterizzata da una relativa rapidità, da scarsi rischi di prescrizione e da effetti di deterrenza di notevole efficacia”.
[71] Art. 4 legge 241 del 1990; “Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l’unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale.
- Le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli ordinamenti.”.
[72] Art. 5, legge 241 del 1990: “1. Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale.
- Fino a quando non sia effettuata l’assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell’articolo 4.
- L’unità organizzativa competente e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all’articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse.”.
[73] A. ATTANASIO, Le nuove prospettive della responsabilità amministrativo contabile: dal risarcimento del danno all’attività gestoria, in fondazionebrunovisentini.eu.
[74] Cons. Stato, Sez. VI, 847-02; Sez. IV, 6684-02 e già: Cons. Stato, Sez. V, 4 novembre 1996, n. 1293; Sez. V, 22 novembre 1996, n. 1396.
[75] Cass. civ., Sez. Un. 29 settembre 2003, n. 14488, in dejure.it.
[76] Invero originariamente la responsabilità patrimoniale amministrativa era inquadrata nella più ampia categoria della responsabilità civile di tipo extracontrattuale. La ragione di tale impostazione si basava sulla presenza di norme come l’art. 82[76] del r.d. 18 novembre 1023 n. 2440 che ricalcava l’illecito aquilano; il rapporto di servizio costituiva la mera occasione per l’illecito. Il contesto delineato mutò con l’introduzione del d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3 che ancorava la responsabilità all’esistenza di un obbligo contrattuale[76]. La scelta dell’impostazione contrattuale[76] fu criticata dalla dottrina[76] che evidenziò come gli obblighi e doveri di servizio non hanno carattere patrimoniale, requisito essenziale per ascrivere la responsabilità alla categoria dell’inadempimento obbligatorio.
L’analisi della natura della responsabilità erariale come sanzionatoria basa il proprio presupposto sulla considerazione della finalità pubblicistica di tale rimedio. Particolarmente rilevante è il rilievo che ricopre il requisito soggettivo, aspetto che ha perso d’importanza nel modello civilistico.
[77] F. STADERINI- A. SILVERI, La responsabilità nella pubblica amministrazione, Padova, 1998, p. 145.
[78]Art. 52 del t.u. delle leggi sulla Corte dei Conti.
[79] Art. 1, commi 231-233, della legge n. 266 del 2005, in dejure.it.
[80] Parte della dottrina, confermando la bontà della funzione preventiva di tale responsabilità, afferma che anche qualora venisse meno la giurisdizione della Corte dei Conti dovrebbero essere conservate le peculiarità sostanziali e processuali Cfr. F.G. SCOCA, La responsabilità amministrativa, op. cit., p. 12 e ss.
[81] P. SIRENA, La funzione deterrente della responsabilita’ civile. Alla luce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law. Atti Siena, 16-21 settembre 2007 , Giuffrè, op. cit.
[82]G. PONZARELLI, L’attualità del pensiero di Guido Calabresi. Un ritorno alla deterrenza, op. cit, p. 293 e ss.
[83] L’esigenza di reazione a condotte lesive che non generano una diminuzione patrimoniale apprezzabile dal punto di vista naturale è avvenuta anche con il danno non patrimoniale, in cui, nonostante la presenza di tabelle idonee a tradurre tale tipo di danno in somme di denaro, è evidente l’assenza di una compensazione nel senso tradizionale del termine. Anche il danno non patrimoniale, benché la giurisprudenza ribadisca la non risarcibilità del mero danno evento, ma solo delle danno conseguenza, risponde ad una logica punitiva e sanzionatoria, mascherata dalla presenza di parametri compensativi, ossia le tabelle.
[84]Corte di Giustizia, Sez. IV, 17 dicembre 2015, n. C-407/14 Cfr. C. SCOGNAMIGLIO, I danni punitivi e la funzione della responsabilità civile, in Il Corriere Giuridico, 7, 2016 p. 909 e ss.
[85] Infine occorre chiarire che la portata ampia del concetto di ordine pubblico non implica, tuttavia, una automatica compatibilità dei danni punitivi. Preso atto della flessibilità del concetto occorre rivolgere l’attenzione al secondo profilo che viene in rilievo nell’analisi della importazione di tale modello di tutela, ossia il rispetto delle garanzie delle parti del processo.
[86] La norma dispone: “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza [disp. att. 152]. Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata“.
[87] Significativo è il terzo comma dell’art. 96 c.p.c., introdotto nel 2009, che sancisce come “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”, confermando la funzione deterrente rispetto a condotte abusive M. FRANZONI, La lite temeraria e il danno punitivo, in Responsabilità civile e previdenza, 4, 2015, p. 1063B.
[88] Corte Cost. 23/06/2016 n. 152. in dejure.it.
[89] La norma prevede che ”l giudice condanna d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio, quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio. Nelle controversie in materia di appalti di cui agli articoli 119, lettera a), e 120 l’importo della sanzione pecuniaria puo’ essere elevato fino all’uno per cento del valore del contratto, ove superiore al suddetto limite. Al gettito delle sanzioni previste dal presente comma si applica l’articolo 15 delle norme di attuazione.”
[90] L. VIOLA, I danni punitivi nella responsabilità civile della pubblica amministrazione dopo la l. n. 69/2009, Resp. civ., 2010, 2, p. 85 e ss.
[91] Il d.lgs, n. 30 del 2005 all’art. 125, recependo la direttiva Direttiva 2004/48/CE, dispone che. “1. ll risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall’autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione.2. La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. In questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso. 3. In ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento.”.
[92] D. BARBIERATO, Risarcimento del danno e funzione deterrente, in Responsabilità Civile e Previdenza, 5, 2009, p. 1176B e ss.
[93] Emerge fin da subito l’intento della disposizione di derivazione comunitaria di introdurre un sistema volto a stimolare lo sviluppo ed il libero mercato nel settore della proprietà industriale; l’imprenditore intenzionato a ricoprire tale ambito del mercato sarà incentivato solo se consapevole che condotte lesive dei suoi diritti saranno sanzionate dall’ordinamento attraverso strumenti adatti.
[94] A. NERVI, Danni punitivi e controllo sulla circolazione della ricchezza, in Responsabilita’ Civile e Previdenza, fasc.1, 2016, pag. 323B.
[95] Nel tentativo di ricondurre la norma ai criteri tradizionali dell’illecito si è sostenuto che il parametro del profitto ottenuto dal danneggiante dovesse essere considerato solo come indice del calcolo del lucro cessante, non potendo il risarcimento eccedere il danno concretamente subito ed accertato. La norma andrebbe letta, perciò, come una ipotesi eccezionale rispetto al 2042 c.c., in quanto meno rigorosa circa gli elementi costitutivi consentendo di recuperare gli utili anche senza la prova del rapporto tra diminuzione patrimoniale e l’arricchimento del trasgressore.
L’impostazione prevalente sembra, tuttavia, leggere la norma in modo maggiormente coerente con la ratio comunitaria sottesa, ossia garantire al danneggiato di vedersi corrispondere il vantaggio economico ottenuto in violazione della normativa in materia di diritti di proprietà intellettuale.
La norma, differentemente dall’art. 2042 c.c. non presuppone una simmetria tra benefici ottenuti dal danneggiante e il mancato guadagno del danneggiato, ma considera i due parametri come autonomi. La possibilità di aggressione degli utili, inoltre, rappresenterebbe un ampio potere attribuito al giudice con funzione deterrente idoneo a privare i guadagni ottenuti secondo il principio di equità, la cui giustificazione è spiegabile solo affrancando tale potere dai rimedi tradizionali. Si è infatti rilevato che, in caso di uso illegittimo di marchio registrato, la quantificazione del risarcimento ai sensi dell’art. 125 c.p.i. non è connessa al danno cagionato ma agli utili conseguiti, non risultando rilevante il rapporto tra vendite del danneggiante e mancate vendite del titolare del diritto[95]. Il risarcimento del danno esprime una regola volta alla prevenzione e repressione della violazione dei diritti di proprietà industriale, scoraggiando condotte lesive[95] tramite la parametrazione del risarcimento ai benefici realizzati dall’autore della violazione.
A ciò si aggiunge la possibilità di cumulare la misura risarcitoria e restitutoria, qualora la prima, da sola, non consenta di ottenere un ristoro effettivo del pregiudizio subito e l’indicazione di una soglia minima per la quantificazione del lucro cessante, non inferiore al corrispettivo contrattuale che l’autore della violazione avrebbe dovuto riconoscere. Tanto il beneficio derivante dalla violazione che lo strumento di aggressione degli utili devono essere intesi come elementi aggiuntivi rispetto alla riparazione.
[96] A CATALANO, Limiti del diritto di cronaca e determinazione della misura della riparazione pecuniaria ex art. 12 legge n. 47/1948,in Il corrieregiuridico 1995, p.1392 ss.
[97]La norma dispone: “A titolo di riparazione può essere richiesta all’autore della pubblicazione degli atti o dei documenti di cui al comma 2 dell’articolo 240 del codice di procedura penale, al direttore responsabile e all’editore, in solido fra loro, una somma di denaro determinata in ragione di cinquanta centesimi per ogni copia stampata, ovvero da 50.000 a 1.000.000 di euro secondo l’entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico. In ogni caso, l’entità della riparazione non può essere inferiore a 10.000 euro.” Cfr E. NAVARETTA, Funzioni del risarcimento e quantificazione dei danni non patrimoniali, in Responsabilita’ Civile e Previdenza, 2008, p.507.
[98] G. CASSANO – C. MARVASI, Danno esistenziale e danni punitivi: profili risarcitori e quantificazione nella famiglia in crisi , in Danno e Resp., 2016, 7, p.685; A. D’ANGELO, L’art. 709 ter c.p.c. tra risarcimento e sanzione: un “surrogato” giudiziale della solidarietà familiare?, in Danno e resp., 2008, p. 1193; E. NAVARRETTA, I danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, Milano, 2010, p. 305.
[99] Il bene tutelato dalla norma è l’interesse del minore, messo a repentaglio da condotte che impediscono l’esercizio dei suoi diritti; in particolare vengono censurate azioni di tipo oltraggioso e ostruzionistiche aventi come unica finalità di non consentire la corretta relazione tra minore e genitore e non permettere la c.d. bigenitorialità (si pensi a titolo esemplificativo la condotta del coniuge che trasferendo arbitrariamente la residenza costringa l’altro coniuge a percorrere diverse centinaia di chilometri per vedere i propri figli). Gli obblighi in questione sono di natura infungibile, perseguendo la norma lo scopo di rendere maggiormente cogenti i provvedimenti giudiziali non suscettibili di esecuzione in forma specifica. Non esiste un decalogo di condotte ammesse o vietate, dovendo il giudice compiere una valutazione secondo l’id quod plerumque accidit, ovvero una valutazione di normalità sociale. Si noti che tale figura presenta molti profili di contatto con la struttura dei danni punitivi precedentemente analizzata, poiché anche con riferimento all’istituto di origine anglosassone viene svolta una valutazione su condotte non tipizzate, ritenute riprovevoli secondo la coscienza sociale e che presuppongono spesso la relazione non paritaria tra due soggetti.
La portata punitiva è accentuata dal risarcimento in favore del minore o del genitore, non riconducibile strutturalmente all’illecito aquilano ex 2043 c.c.[99] La finalità della norma è, perciò, di stimolare la risoluzione delle controversie familiari e dei doveri genitoriali tramite il rischio di una sanzione che intende indurre a comportamenti diligenti.
[100] La norma recita: “Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio [68, 117 ss. c.c.] è tenuto a corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. È tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati [156, 433]. Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l’indennità prevista nel comma precedente. In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio è solidalmente responsabile [1292 ss.] con lo stesso per il pagamento dell’indennità”.
[101] Particolare attenzione alla condotta più che al danno si rinviene, altresì, nel d.lgs n. 7 del 2016, artt. 3 e 5, che nell’abrogare taluni reati posti a tutela della fede pubblica, accanto al risarcimento del danno ha previsto l’applicazione di una somma aggiuntiva la cui quantificazione è legata alla gravità della violazione, la reiterazione dell’illecito, l’arricchimento ingiustificato. La gravità dell’offesa è stata, inoltre, recentemente valorizzata dalla Cassazione in tema di danno non patrimoniale. Si è chiarito che esso costituisce un elemento di indubbia rilevanza ai fini della quantificazione del danno, accentuandosi il profilo deterrente. D’altronde in tutti i casi in cui l’illecito ricade sui beni della persona il confine tra compensazione e sanzione non è di facile determinazione poiché il costante rinvio ad indici tabellari evidenzia l’impossibilità di una concreta individuazione dell’esatto danno da riparare.
[102]La norma recita: “Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche’ il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennita’ risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita’ lavorative, nonche’ quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennita’ risarcitoria non puo’ essere superiore a dodici mensilita’ della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e’ condannato, altresi’, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attivita’ lavorative. In quest’ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attivita’ lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennita’ sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma ” Cfr. A. MARESCA, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’art. 18 Statuto dei Lavoratori, in Riv. it. dir. lav., 2012, p.415 e ss.
[103]Cassazione civile, sez. lav., 06/06/2008 n. 15067, in dejure.it.
[104] Con riferimento alla disciplina degli interessi è possibile, inoltre, ricordare l’art. 1284 c. 4 c.c., come modificato dalla legge 162 del 2014, che individua come parametro di calcolo il saggio degli interessi previsto per gli interessi moratori dalla legislazione speciale in tema di transazioni commerciali. La norma ha una ratio sanzionatoria poiché, al fine di dissuadere la proposizione di domande giudiziali aventi come unico scopo dilatare i tempi di pagamento delle somme dovute, introduce un criterio di calcolo maggiormente gravoso rispetto a quello tradizionale. La previsione della deroga al calcolo ordinario degli interessi moratori è dovuta all’esigenza di fornire al giudice uno strumento idoneo a sanzionare forme di abuso (del processo), azionato per finalità differenti rispetto all’accertamento della situazione giuridica soggettiva
[105]V. CASTRONOVO, Abuso del diritto come illecito atipico?, in Europa e Dir. Priv., 2006, p. 1051.
[106] F. BENATTI, Danni punitivi e abuso del diritto, in Contr. e Impr., 2015, p. 862.
[107] Il fondamento dell’abuso del diritto, in assenza di una norma esplicita nel codice civile, è oggi rivenuto nella Costituzione. In particolare si fa riferimento all’utilità sociale richiamata dall’art. 41 secondo comma della Costituzione e all’art. 2 che sancisce il principio di solidarietà sociale. Strettamente connesso è inoltre la clausola di buona fede presente nel codice civile. In ambito sovranazionale sono, invece, presenti espliciti riferimenti al concetto di abuso del diritto nell’art. 57 della Carta di Nizza e nell’art. 17 CEDU.
[108] La casistica in tema di abuso del diritto è molto varia e ha consentito l’emersione di rimedi differenti in base al settore di riferimento. A titolo esemplificativo si ricordi il riconoscimento dell’abuso del diritto in tema di contratto autonomo di garanzia, ipotesi nella quale nonostante il garante non possa esperire le eccezioni relative al rapporto garantito, in presenza di una condotta abusiva, si consente di evitare l’escussione della garanzia attraverso la paralisi della pretesa che si sostanzia nell’eccezione di dolo generale. Altra ipotesi di abuso del diritto si registra in tema di frazionamento del credito in cui vengono proposte più domande per soddisfare un diritto di credito unitario. Nonostante il debitore sia inadempiente il creditore deve esercitare il proprio diritto con proporzionalità e rispetto dell’interesse del creditore per non incorrere in una pronuncia ostativa alla domanda frazionata in giudizio. Nella stessa ottica si colloca la giurisprudenza in tema di abuso della garanzia patrimoniale o di abuso della concessione del credito, fenomeni che consentono di ritenere integrati gli elementi dell’art. 2043 c.c. e, perciò, di ammettere il risarcimento del danno. Infine deve essere ricordare la recente norma prevista dall’art. 10 bis dello Statuto del contribuente (l. n. 212 del 2000) che qualifica la condotta abusiva in ambito fiscale inopponibile all’erario.
[109] Un ruolo sanzionatorio si rinviene anche nella disciplina dell’usura di cui all’art. 1815 c.2, c.c., in cui si stabilisce che in caso di pattuizione di interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. In tale ipotesi il disvalore, rappresentato dal superamento della soglia legale degli interessi, viene sanzionato non riducendo l’importo, ma azzerando gli interessi dovuti. Il debitore, considerato generalmente la parte debole del rapporto, non dovrà corrispondere alcun interesse qualora sia accertato il superamento della soglia massima consentita dalla legge. L’istituto svolge, quindi, una funzione deterrente in quanto alla dazione di una somma di denaro, bene considerato per sua natura fruttifero, non consegue la restituzione degli interessi, ovvero i frutti derivanti dal denaro stesso.
[110] Nonostante la giurisprudenza utilizzi spesso la clausola di buona fede come criterio di delimitazione dei limiti interni ed esterni del rapporto obbligatorio, il concetto di ragionevolezza è presente in varie norme del codice civile tra cui l’art. 49 c.c, 1365 c.c, 1711 c.c., 1783 c.c e nei Principles of European Contract Law. Cfr L. NIVARRA, Ragionevolezza e diritto privato, in Ars interpretandi, 2002, p. 373; G. CRISCUOLI, Buona fede e ragionevolezza, in Riv. Dir. Civ., 1984, I, p. 709 e ss.
[111]Sulla necessità di rimedi idonei ad assicurare l’effettività della loro protezione in tutti i casi in cui la condanna al risarcimento del danno risulti inadeguata allo scopo Cfr M. MAGGIOLO, Microviolazioni e risarcimento ultracompensativo, in Riv. dir. civ., 2015, I, p. 92.
[112] Le S.U. della Corte di Cassazione con sentenza 5 luglio 2017 n.16601 hanno, da ultimo, confermato la bontà dell’impostazione che sostiene la compatibilità dell’istituto dei danni punitivi con il nostro oridnamento.
[113] C. SCOGNAMIGLIO, Principio di effettività, tutela civile dei dei diritti e danni punitivi, in Responsabilità civile e previdenza, 4, 2016, p. 1120B.
[114] F. QUARTA, Illecito civile, danni punitivi e ordine pubblico, in Responsabilità civile e previdenza, 4, 2016, p. 1159B.
[115] Il rinvio alle norme civilistiche in tema di responsabilità extracontrattuale, imponendo il rispetto della sua struttura, preclude ogni tentativo di adeguamento indirizzato verso l’ampliamento della tutela delle situazioni giuridiche soggettive. La logica compensativa non è, infatti, sempre idonea a garantire l’adeguato ristoro, specialmente in presenza di condotte complesse o abusive in cui il profitto ottenuto dal danneggiante supera il danno cagionato.
[116] L’approccio della CEDU è significativo in quanto, in applicazione del principio dell’effettività della tutela, prescinde dalle varie classificazioni o categorie nazionali, ponendo un dovere di risultato che può essere realizzato con ogni modalità che lo Stato ritenga maggiormente adatta al proprio ordinamento. Ciò permette di evidenziare come il concetto di responsabilità CEDU abbia una particolare efficacia deterrente, inducendo gli Stati a prevedere procedure chiare, prevedibili e certe che verranno valutate tramite una verifica tarata sull’effettività della tutela. Ciò che rileva non è, quindi, il mero rispetto della legge, ma la “qualità” della previsione legislativa, la sola che permette un agire amministrativo coerente con il perseguimento dell’interesse pubblico e la tutela individuale.