di Carlo De Leo
Sommario: 1. Il caso in esame; 2. Il danno all’immagine nei confronti della Pubblica Amministrazione; 3. La prescrizione quinquennale per l’azione di risarcimento in caso di occultamento doloso; 4. L’efficacia della pronuncia di patteggiamento nel giudizio civile; 5. La retribuzione recepita sine titulo e il principio della compensatio lucri cum damno; 6. Il potere riduttivo della Corte.
1. Il caso in esame
Nella sentenza in commento[1], la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, ha deciso un procedimento originato da una citazione della Procura Contabile nei confronti di tre candidati a un concorso per insegnanti di sostegno, che avevano ottenuto l’incarico allegando falsi titoli di studio. La Procura contabile chiedeva che i (tre) convenuti fossero condannati al risarcimento in favore del Ministero dell’Istruzione e del Merito per il danno patrimoniale causato dalla retribuzione percepita sine titulo.
Invero, nella originaria citazione avanti alla Corte dei conti Sezione Giurisdizionale per la Puglia, la procura contabile aveva richiesto anche il risarcimento per il danno di immagine.
In sede di riassunzione avanti alla sezione Giurisdizionale per l’Emilia Romagna – a seguito di sentenza di incompetenza della prima Sezione adita – la Procura erariale non reiterava la domanda sul risarcimento da danno di immagine.
Con atto di citazione, depositato il 24 Marzo 2022, la Procura ha, dunque, riassunto il processo, con riferimento alle sole poste di danno patrimoniale, pari alle retribuzioni indebitamente corrisposte dalla Pubblica Amministrazione. La Corte all’esito del giudizio, ha accolto la domanda attorea e condannato i convenuti al pagamento, in favore del Ministero dell’istruzione e del merito, al risarcimento del danno patrimoniale, pari alle retribuzioni lorde conseguite senza titolo.
2. Il danno all’immagine nei confronti della Pubblica Amministrazione
I convenuti hanno evidenziato, nel corso del procedimento, che difetterebbe un danno all’immagine della P.A.
In merito al danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, in un primo momento, la dottrina ha ritenuto che riguardasse esclusivamente le persone fisiche e non potesse estendersi alle persone giuridiche.
Col tempo, il campo di applicazione si è esteso fino a comprendere anche l’insieme dei valori che si riferiscono a un ente e che ne attribuiscono l’immagine all’esterno.[2]
In caso di danno all’immagine della P.A., è riscontrabile una responsabilità amministrativa, la cui giurisdizione spetta alla Corte dei Conti.
Il presupposto affinché si possa configurare questo tipo di responsabilità è l’inosservanza di obblighi di servizio, caratterizzata da dolo o colpa grave di un dipendente dell’amministrazione, che provochi un danno economico all’erario.
È essenziale, secondo la giurisprudenza, che la condotta del dipendente pubblico sia grave e che la notizia si diffonda nel territorio in cui l’ente opera, tramite un clamore mediatico idoneo a pregiudicare la visibilità della P.A., ledendo il buon andamento dell’Amministrazione, che a causa della condotta illecita, perde la sua stessa credibilità.[3]
Per comprendere meglio il caso in esame, possiamo fare riferimento ad una sentenza della Corte dei Conti che conferma quanto detto finora, avvalorando l’interpretazione (invero contrastata da una diversa linea giurisprudenziale) secondo cui non si producono effetti negativi per l’immagine della P.A. laddove il comportamento del funzionario abbia avuto una rilevanza essenzialmente interna.[4]
In dottrina e in giurisprudenza si è discusso sulla natura della lesione del diritto all’immagine della Pubblica Amministrazione.
In particolare, tale lesione potrebbe determinare un danno morale, identificato nel pregiudizio di interessi non patrimoniali e risarcibile solo in caso di illecito penale, ovvero, un danno erariale, che comporta una lesione dell’apparato pubblico, suscettibile di valutazione economica, rimesso alla giurisdizione della Corte dei conti.
La tesi più accreditata è quella avvalorata dalla Corte costituzionale, che afferma la natura di danno non patrimoniale, di tipo erariale, del danno all’immagine.[5]
Relativamente all’accertamento della risarcibilità del danno all’immagine della P.A., la dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato che condizionare l’azione di risarcimento alla definizione del giudizio penale corrisponderebbe ad una violazione del giusto processo, in quanto è automatica la realizzazione di un danno all’immagine ogni volta che un dipendente venga condannato per delitti contro la Pubblica Amministrazione con sentenza irrevocabile di condanna.[6]
La normativa riguardante la perseguibilità del danno all’immagine e del suo risarcimento è stata oggetto di numerose controversie. Al riguardo, è stato osservato che, con il nuovo codice di giustizia contabile, “è possibile perseguire il danno all’immagine, in conseguenza dei delitti commessi in danno alla P.A. accertati con sentenza penale irrevocabile, senza che debba trovare applicazione la previgente disciplina che limitava la configurabilità del danno all’immagine ai soli delitti del pubblico ufficiale contro la Pubblica Amministrazione (reati contemplati al libro II, titolo II, capo I del Codice Penale), qualora l’istruttoria del PM contabile si sia conclusa sotto la vigenza del nuovo Codice di Giustizia Contabile e il giudizio sia stato introdotto dopo l’entrata in vigore del c.g.c.. In tal caso è quindi possibile promuovere l’azione risarcitoria per il danno all’immagine anche per reati previsti in altri titoli del Codice penale, purché commessi in pregiudizio della Pubblica Amministrazione.”[7]
Da ultimo, relativamente ai soggetti che possono provocare un danno all’immagine della P.A., un’altra pronuncia di legittimità afferma che il danno all’immagine può essere arrecato sia da un pubblico funzionario, sia da persona estranea all’amministrazione e sarà di conseguenza risarcibile in entrambi i casi[8], a prescindere dal fatto che il soggetto abbia beneficiato di quanto la P.A. rileva come danno emergente[9].
3. La prescrizione quinquennale per l’azione di risarcimento in caso di occultamento doloso
Nella sentenza in esame, la convenuta ha eccepito la nullità dell’azione di risarcimento per intervenuta prescrizione, in quanto la P.A. era a conoscenza di tutte le informazioni della fattispecie dannosa già dal 2011.
L’eccezione formulata è stata rigettata dalla Corte, la quale ha specificato che nonostante il diritto al risarcimento del danno si prescriva in cinque anni (ex. Art.1, comma 2, l. n. 20/1194), decorrenti dalla data in cui il danno si è verificato, è comunque innegabile che si debba considerare anche l’azione di occultamento doloso, in quanto “Il doloso occultamento integra una fattispecie rilevante non sotto il profilo soggettivo, vale a dire in relazione ad una specifica condotta posta in essere dal soggetto interessato, bensì sotto il profilo oggettivo, in relazione all’impossibilità per l’Amministrazione di conoscere il danno e quindi di agire per il recupero ai sensi dell’art. 2935 cod. civ.”[10]
La stessa giurisprudenza, in presenza di comportamenti che integrino la fattispecie dell’occultamento doloso, è incline a considerare, come dies a quo, la scoperta del danno[11], in quanto tale condotta impedisce oggettivamente al p.m. contabile di esercitare l’azione di responsabilità erariale e il giorno di decorrenza della prescrizione può essere individuato nella data del rinvio a giudizio in sede penale, che rende i fatti obiettivamente conoscibili.
Richiamando un proprio precedente giurisprudenziale, nel caso in esame, la Corte ha confermato che il termine di esordio della prescrizione doveva essere individuato “[…] nella percepibilità e conoscibilità obiettiva del danno da parte del danneggiato”, di conseguenza l’azione erariale non è stata considerata prescritta.
4. L’efficacia della pronuncia di patteggiamento nel giudizio civile
Durante il corso del processo, una delle convenute ha sottolineato che una pronuncia di patteggiamento non può avere efficacia di giudicato nel giudizio civile, determinando l’inversione dell’onere della prova.
La sentenza di applicazione della pena su richiesta di parte rappresenta un idoneo presupposto per l’esercizio dell’azione per il risarcimento del danno all’immagine della P.A.[12]
Il patteggiamento (art. 444 ss. c.p.p.) non può essere considerato come una sentenza di condanna nei confronti dell’autore; ciò trova conferma in diverse sentenze, che affermano che l’applicazione della pena su richiesta di parte non può configurare una condanna, ma un indizio in un giudizio civile.[13]
L’orientamento della giurisprudenza è orientato a considerare l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta di parte come un “provvedimento giurisdizionale senza giudizio”, anche se oggi ci ritroviamo delle sentenze che fanno acquisire al patteggiamento una qualche efficacia in sede civile, in quanto tale provvedimento racchiude un riconoscimento implicito di una condotta illecita.[14]
Infatti, il giudice civile può considerare anche le prove assunte in un procedimento penale che si è concluso con l’applicazione della pena su richiesta di parte.[15]
Il patteggiamento può assumere valenza di “prova” nel giudizio civile perché – come sottolineato anche antecedentemente – presuppone un’ammissione di colpevolezza, costituendo un indizio per il giudice civile, senza vincolarlo, utilizzabile assieme ad altri indizi, se ricorrono i requisiti che vengono contemplati dall’art. 2729 c.c.[16]
5. La retribuzione recepita sine titulo e il principio della compensatio lucri cum damno.
Oggetto principale della sentenza è il risarcimento del danno patrimoniale per la retribuzione percepita sine titulo.
La responsabilità erariale richiede un elemento essenziale: il dolo[17], restando invece esclusa la colpa lieve[18], evitando al funzionario il timore di imbattersi in responsabilità.[19]
Per quanto riguarda la “colpa grave”, la giurisprudenza la ricollega all’inosservanza dei doveri d’ufficio.[20]
Essa, quindi, deve essere valutata caso per caso, tenendo conto dei doveri del dipendente e del comportamento che viene tenuto.[21]
In merito alla nozione di dolo, la Corte dei conti ha richiamato vari orientamenti[22].
Il primo, più restrittivo, fa riferimento all’art. 43 c.p., secondo cui il comportamento “E’ doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione.”
Il secondo, di matrice civilistica, lo considera quale condotta tenuta volutamente in violazione di obblighi di natura comportamentale relativamente al rapporto di servizio che si è instaurato con l’ente[23].
Il giudice contabile ha individuato una nozione che si pone a metà strada tra le due ricostruzioni che precedono, identificando la condotta dolosa nello “stato soggettivo caratterizzato dalla consapevolezza e dalla volontà dell’azione o dell’omissione contra legem che abbia, peraltro, specifico riguardo alla violazione delle norme giuridiche che regolano e disciplinano l’esercizio delle funzioni amministrative ed alle sue conseguenze dannose per le risorse finanziarie pubbliche.”[24]
In tema di reati contro la fede pubblica, si configura il reato di falso ideologico da parte del privato quando “si attesta falsamente al pubblico ufficiale in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni”.
Il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico si realizza non nel momento in cui il privato rende la dichiarazione falsa, ma in quello della relativa percezione da parte del pubblico ufficiale[25].
Non si configurerà la situazione di falso ideologico quando la parziale falsità dell’autocertificazione non ha natura dolosa, ma è dipesa da difficoltà interpretative[26], o quando la falsità è dipesa da una leggerezza o ad una negligenza, non essendo prevista nel vigente sistema la figura del falso documentale colposo[27]; secondo la giurisprudenza, sarà configurabile il concorso materiale tra il reato di falso in atto pubblico e quello di truffa, quando la falsificazione costituisca artificio per commettere la truffa[28].
E’ consolidato in giurisprudenza che il fraudolento conseguimento dell’incarico sulla base di false dichiarazioni sul possesso dei titoli comporti la rottura del sinallagma contrattuale[29]; anche per l’accesso al pubblico impiego, nel caso di produzione di falsi documentali o dichiarazioni non veritiere, si verifica la decadenza del candidato dal concorso, posto che tali infedeltà comportano la carenza di un requisito che in ogni caso avrebbe impedito l’instaurazione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.[30]
Proprio per questo la Corte, nel caso in esame, ha rigettato l’eccezione proposta dai convenuti nel considerare i vantaggi compensativi nei confronti della P.A., motivando tale decisione facendo riferimento a quegli “standard qualitativi” che, in mancanza del titolo di studio richiesto dalla procedura concorsuale, non sono stati rispettati, in quanto i docenti preposti “alle classi delle scuole comuni che accolgono alunni portatori di disabilità devono essere forniti di apposito titolo di specializzazione da conseguire al termine di un corso teorico-pratico di durata biennale presso scuole o istituti riconosciuti dal Ministero della pubblica istruzione”[31], confermando che la prestazione lavorativa, resa in assenza di un titolo di specializzazione, non può essere espressione di capacità e preparazione professionale derivante da un percorso di studio completo. Per tale motivo, dunque, non vi sarà alcuna utilità per l’ente[32], facendo venir meno l’applicazione del principio della compensatio lucri cum damno , perché “la Pubblica Amministrazione non richiede e non remunera una prestazione qualsiasi, ma la specifica prestazione dedotta in contratto, discendente da norme imperative, con standards qualitativi, di professionalità e quantitativi predeterminati; la carenza di tali standard, nel caso specifico la professionalità richiesta, rende la prestazione lavorativa del tutto inadeguata alle esigenze amministrative e la controprestazione, ovvero la retribuzione corrisposta, non risulta correlata alla prestazione richiesta e pattuita”[33].
6. Il potere riduttivo della Corte.
La stessa Corte spiega che non ricorrono nemmeno i presupposti per l’esercizio del potere riduttivo della Corte: “la riduzione dell’addebito si fonda sulla valutazione di circostanze oggettive e soggettive rispetto all’ipotesi di danno contestata, e la giurisprudenza richiede che venga esplicitata una motivazione qualora venga esercitato tale potere riduttivo”[34].
La dottrina concorda affermando che la ratio del potere riduttivo si basa sulla estrema complessità dell’organizzazione amministrativa pubblica, che, salvo rare eccezioni, esclude che l’intera responsabilità di un fatto dannoso possa essere addebitata nei confronti del solo convenuto.
Ci sono vincoli e sussistono spesso anche delle responsabilità di altri soggetti nel giudizio di responsabilità amministrativa. Infatti, sarà opportuno operare una divisione del danno tra questi fattori, per stabilire quanto deve restare a carico dell’amministrazione e quanto deve essere addebitato al convenuto[35]; ed è stata considerato corretto evidenziare la gravità della colpa in sede di esercizio del potere riduttivo[36].
Nella fattispecie in esame, in considerazione di quanto detto, secondo la Corte non ricorrono i presupposti del potere riduttivo proprio per la gravità delle condotte addebitate ai convenuti.
In conclusione, si condivide l’articolato iter argomentativo seguito dalla Corte nel caso in esame.
[1] Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, 29 dicembre 2022, n. 199.
[2]Tribunale Rieti sez. I, 03/11/2021, n.573, in DE JURE “Il danno non patrimoniale è risarcibile in favore anche della persona giuridica, quando il fatto lesivo incide su una situazione giuridica che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione. Tra questi rientra senza dubbio il diritto all’immagine, costituito dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente, sia quale diminuzione della considerazione che attraverso i suoi organi è riferibile alla persona giuridica o all’ente, sia quale diminuzione della considerazione che dette persone giuridiche o enti hanno genericamente fra i consociati, indipendentemente da eventuali conseguenze economiche dirette.”.
[3] C. GIUSTI, Danno all’immagine e Pubblica Amministrazione, in Responsabilità Civile e Previdenza, 2019, pag. 998, in DE JURE. Cfr. anche Corte Conti, Campania sez. reg. giurisd., 05/09/2011, n.1397, in DE JURE secondo cui: “In tema di responsabilità del dipendente pubblico per danno all’immagine della P.A. derivante dalla violazione di obblighi e doveri nascenti dal rapporto di servizio, il nocumento è costituito dalla lesione di beni immateriali della persona giuridica pubblica, tale da comprometterne l’immagine nei confronti della collettività, ovvero, il diritto al conseguimento, al mantenimento e al riconoscimento della propria identità ad organizzarsi ed agire secondo i criteri, enucleabili dall’art. 97 Cost. e dalla l. n.241/1990, del buon andamento, imparzialità efficacia, efficienza, trasparenza nella cura degli interessi pubblici primari tutelati dall’ordinamento. Pertanto detto nocumento rientra nella categoria del danno esistenziale (danno-evento, risarcibile ex art.2043 c.c. e non già danno-conseguenza) non direttamente patrimoniale ma economicamente valutabile in una qualsiasi conseguenza pregiudizievole che, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, leda l’immagine, il prestigio e l’autorevolezza di una pubblica amministrazione.”.
[4] C. Conti, sez. reg. giurisd. Veneto, 19/01/2017, n.29, in DE JURE “Presupposto essenziale è il clamore mediatico (clamor fori) derivante dalla condotta illecita del soggetto agente, che rappresenta il modo attraverso il quale viene realizzato il nocumento alla reputazione dell’ente pubblico per effetto della condotta illecita del proprio dipendente”; cfr. anche sentenza della Corte Conti, Basilicata sez. reg. giurisd., 02/02/2005, n.14, in DE JURE.
[5] C. Cost. 15/12/2010, n. 355, in DE JURE: “I giudici costituzionali, di fronte ad una diversa interpretazione avanzata dalla Corte dei Conti, ritengono che l’azione risarcitoria per danni all’immagine di un ente pubblico davanti al giudice contabile, sia esperibile in presenza di un reato che rientra nella categoria dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. Rimane comunque valida la previsione del comma 2 del d.lgs 165/2001 sul danno all’immagine per false attestazioni o certificazioni”.
[6] G. MULLANO, Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, riv. Altalex, 26/08/2003, in ONE LEGALE.
[7]C. Conti, sez. reg. giurisd. Veneto, 15/02/2019, n. 26, in DE JURE e Corte dei Conti, sez. reg. giurisd. Veneto, 17/05/2019, n.73, in DE JURE. Vi è comunque una sentenza della Corte Costituzionale, che sottolinea che le limitazioni alla risarcibilità del danno all’immagine non sono incostituzionali: “È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, secondo periodo, d.l. 1 luglio 2009, n. 78, conv., con modif., in l. 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), d.l. 3 agosto 2009, n. 103, conv., con modif., in l. 3 ottobre 2009, n. 141, censurato per violazione degli artt. 3 e 97, comma 2, Cost. nella parte in cui prevede che le procure regionali della Corte dei conti esercitino l’azione per il risarcimento del danno all’immagine della p.a. in conseguenza di reati commessi da pubblici dipendenti nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 l. 27 marzo 2001, n. 97, che, a sua volta, fa riferimento alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate, nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica, per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal Capo I del Titolo II del Libro II del codice penale. La sentenza n. 355 del 2010 ha già ritenuto non manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di consentire il risarcimento soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione. La finalità della norma impugnata è infatti quella di dare coerenza alla disciplina del danno all’immagine all’interno di un complessivo disegno legislativo volto a ridurre i casi di responsabilità amministrativa, all’evidente scopo di consentire un esercizio dell’attività di amministrazione della cosa pubblica, oltre che più efficace ed efficiente, il più possibile scevro da appesantimenti, ritenuti dal legislatore eccessivamente onerosi, per chi è chiamato, appunto, a porla in essere. Tale scelta, peraltro, non esclude la ragionevolezza dell’identificazione, all’interno di tale disegno, di ulteriori e specifiche ipotesi di responsabilità, che si giustificano in ragione della loro specialità. Detti principi non sono posti in discussione dalle censure formulate, che non sottopongono argomenti e profili non considerati dal citato precedente (sent. n. 355 del 2010; ordd. nn. 219, 221 e 286 del 2011)”; anche C.Cost. 22/05/2019, n.168 e C. Conti, sez. reg. giurisd. Veneto, 17/05/2019, n.73, in DE JURE.
[8] Cass. Civ. sez. un. 12/10/2022, n. 29862; In questa sentenza, l’eccezione evidenziata dal convenuto, secondo cui soltanto soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione potrebbero essere condannati a risarcire il danno all’immagine contro la PA, non è corretto. Il danno civile può essere arrecato da qualunque soggetto e con qualunque condotta. Così, ad esempio, il funzionario di fatto, pur non appartenendo PA, con le loro condotte potrebbero comunque causare un danno nei confronti della PA. Il danno all’immagine dipende dalla natura della condotta illecita e dalle sue conseguenze e non dalla qualifica del suo autore.
[9] Cass. Civ. sez. lav., 05/11/2019, n.28436, in DE JURE.
[10] C. Conti sez. III, 14/01/2020, n.7, in DE JURE.
[11] C. Conti, sez. reg. giurisd. Molise, 28/07/2014, n. 40, in DE JURE.
[12] C. Conti, sez. giurisd. Veneto, 28/02/2017, n. 29, in DE JURE.
[13] Cfr. Cass. civile, sez. III, 05/05/2022, n.14278, in DE JURE; Cass. civile, sez. III, 07/10/2022, n.29319, in DE JURE.
[14] Cass. Civ., sez. lav., 10/06/1998, n. 5784, secondo cui il comportamento processuale ed extraprocessuale delle parti può avere efficacia probatoria. La Cassazione ritiene utilizzabile, come prova, il comportamento extraprocessuale di richiedere il c.d. patteggiamento nel processo penale che si è compiuto per le accuse che vengono mosse in sede Civile. Cfr. anche C. Cost, 02/07/1990, n. 313, dove viene evidenziato che “Se l’imputato ritiene di possedere elementi per l’affermazione della propria innocenza, nessuno lo obbliga a richiedere l’applicazione di una pena, ed egli ha a disposizione le garanzie del rito ordinario. In altri termini, chi chiede l’applicazione di una pena vuol dire che rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa e di dimostrare la sua non colpevolezza”.
[15] Cass. Civ., sez. III, 21/09/2021, n. 25503. Viene confermato che “Il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le cosiddette atipiche ed è, quindi, legittimato ad avvalersi delle prove raccolte in un processo penale e, segnatamente, delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale e delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali, e ciò anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento in quanto il procedimento penale è stato definito ai sensi dell’art. 444 c.p. potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale”.
[16] Cfr. Tribunale Torino sez. lav.,2022, n.211, in DE JURE.
[17] Pagliarin, Colpa grave ed equità nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte di conti, Padova, 2002, 199, in DE JURE.
[18] Nota a Corte dei conti, Sez. III, 1998, n.144, in Riv. amm., 1998, in DE JURE.
[19] Battini, Responsabilità e responsabilizzazione dei funzionari e dei dipendenti pubblici, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, l, 53 ss., in DE JURE.
[20] C. Conti, sez. giur. Reg. Veneto, 2008, n. 570, in DE JURE.
[21] C. Conti, Sez. I giur., 2019, n. 227/A, in DE JURE.
[22] L. Venturini, Il dolo erariale: natura ed incidenza; il potere sindacatorio: limiti e fine.
[23] C. Conti, sez. II App., 27/11/2017, n. 340, in in DE JURE.
[24] C. Conti, sez. III, 26/07/2010, n. 510, in DE JURE.
[25] Cass. Pen. Sez. VI, 16/01/2012, n. 12298, in DE JURE.
[26] Cass. Pen. Sez. V, 05/10/2020, n. 27565.
[27] Tribunale di Napoli, sez. uff. indagini prel., 30/12/2013, n. 1968, in DE JURE.
[28] Corte di Appello, Lecce, 15/09/2021, n. 993: “E’ configurabile il concorso materiale e non l’ assorbimento tra il reato di falso in atto pubblico e quello di truffa quando la falsificazione costituisca artificio per commettere la truffa; in tal caso, infatti, non ricorre l’ ipotesi del reato complesso, per la cui configurabilità non è sufficiente che le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino una occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati, ma è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro.”
[29] C. Conti, sez. I app., n. 482/2017, in DE JURE.
[30] Tribunale di Prato, sez. lav., 2022, n. 124: “In tema di accesso al pubblico impiego, nel caso di mancata prova della sussistenza del titolo di studio richiesto o nel caso di produzione di falsi documentali o dichiarazioni non veritiere si verifica la decadenza del candidato dal concorso, posto che tali infedeltà comportano la carenza di un requisito che in ogni caso avrebbe impedito l’instaurazione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. Una volta instaurato il rapporto, invece, il documento o la dichiarazione falsa comportano il licenziamento, ai sensi dell’art. 55 quater lett. d del d.lgs. n. 165 del 2001, in esito al relativo procedimento disciplinare.”
[31] D.lgs 297/94, art.325.
[32] C. Conti, sez. giurisd. Lombardia, 08/08/2022, n. 214, in DE JURE.
[33] C. Conti, Sez. giur. per la Regione Siciliana, sent. n. 2952/2010; confermata da Corte d’Appello per la Regione Siciliana sent. n. 243/A/2012, in DE JURE.
[34] C. Conti, SS.RR, n. 563/1987, in DE JURE.
[35] Exeo Edizioni, Danno Erariale: il potere di riduzione dell’addebito
[36] M. LASALVIA, La responsabilità amministrativa e contabile dei pubblici dipendenti, Roma, 2007, 49.