Riflessioni a margine della riforma della legittima difesa.

di Tito Lucrezio Rizzo

Nell’attuale legislazione penale, in gran parte fondata sul codice Rocco, con gli aggiornamenti resisi necessari dal divenire socio-politico nell’arco dei quasi 90 anni trascorsi dalla sua redazione, l’art. 52 c. pen. testualmente recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.

Con la legge 26 aprile 2019, si è aggiornata  la c. d .legittima difesa domiciliare, al fine di consentire una maggiore tutela alle vittime dei furti in casa, alla quale è equiparato ogni altro luogo dove si eserciti un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Deve comunque sussistere l’evocata “proporzionalità” se l’aggredito, legittimamente presente in uno dei luoghi indicati, usa un’arma regolarmente detenuta o un altro mezzo idoneo, per difendere la propria o altrui incolumità,  i beni propri o altrui, purché non vi sia desistenza e vi sia pericolo d’aggressione.

La punibilità è altresì esclusa quando il reo aggressore abbia profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; nonché quando la vittima si trova “in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”.

Questa nuova normativa, impone una riflessione più ampia, nella cornice del contrattualismo tra cittadino e Stato, fondamento ideale e storico dello Stato medesimo.

Mezzo secolo fa (1969) si ebbe un’organizzata “conflittualità permanente” con scioperi a catena, e tafferugli come quello di Battipaglia, in seguito al quale la Sinistra più accesa chiese il disarmo delle Forze dell’Ordine. Disordini accaddero anche nelle Università, a partire dalla Sapienza di Roma, sino a quelli nella Statale di Milano, nei cui pressi il 19 novembre fu assassinato nel suo autoblindo il giovane agente di PS Antonio Annarumma, durante gli scontri con dei facinorosi di area marxista: le forze dell’ordine erano sì armate, ma con la consegna di non difendersi con i mezzi  che avevano in dotazione.

Nel 2001 durante il G8 di Genova, morì il giovane dimostrante Carlo Giuliani, mentre brandiva un estintore per scagliarlo contro un blindato dei Carabinieri, da dove il milite Mario Placanica sparando un colpo lo ferì mortalmente .

L’aggressore fu immortalato come un eroe – andandosi ben oltre l’umana pietas che merita sempre la morte-  mentre l’aggredito, che aveva agito nella  legittima difesa prevista dal codice penale, venne sottoposto non solo a procedimento giudiziario, ma anche a gogna mediatica, con un paradossale scambio di ruoli tra aggressore (soccombente) ed aggredito (reo di essere sopravvissuto difendendosi).

Nella medesima circostanza – per converso- alcuni appartenenti alle Forze dell’Ordine dopo l’irruzione nella scuola Diaz, compirono veri e propri atti di tortura nei confronti di alcuni manifestanti, cui seguirono altrettanti procedimenti penali a carico di detti appartenenti. Si trattò di un vero e proprio tradimento al giuramento prestato di fedeltà alla Repubblica ed alla Costituzione, nonché di una violazione dell’art.3 sul divieto d tortura e di trattamenti inumani e degradanti, richiamato nel 2015 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Nel nostro ordinamento sarebbe poi stato testualmente introdotto l’omonimo reato specifico, con legge del 14 luglio 2017 .

Tornando al tema dei tumulti di piazza, un particolare allarme sociale destarono   le “bravate” dei c. d . Black Bloc calati a Roma il 15 ottobre 2011, che  non furono il frutto di furia estemporanea, ma di un piano studiato nei minimi dettagli e meticolosamente preparato, anche attraverso viaggi di “istruzione” all’estero, per perfezionare la nobile arte della devastazione e del saccheggio, goffamente nobilitata da motivazioni economico –sociali.

Si ebbero eclatanti episodi di distruzione vandalica e di proditoria aggressione alle Forze dell’Ordine, allorché quei facinorosi organizzati misero a soqquadro la Città di Roma, realizzando l’inquietante ripetizione di sequenze già vedute, appartenenti ad un passato prossimo e remoto. La novità fu data dalla contestualità con una protesta planetaria, che aveva coinvolto giovani e meno giovani scesi a manifestare in ogni parte del mondo, per problemi universali come la generale crisi economica e la conseguente disoccupazione che aveva messo in crisi anche Paesi di consolidata solidità finanziaria, come gli USA.

“Mal comune, mezzo gaudio”, si sarebbe potuto dire all’indomani delle manifestazioni, che avevano condotto in piazza nella capitale circa 200.000 cittadini (70/80.0000 secondo le stime della Questura), se la protesta nostrana si fosse mantenuta – come era nelle rette intenzioni degli organizzatori- nell’ambito di una civile manifestazione, similmente ad  altre parti del  mondo.

Purtroppo così non fu, a causa di un gruppo di circa 2000 professionisti formati nella tecnica della guerriglia urbana, che crearono panico, terrore e sconcerto, non per l’insufficienza numerica dei tutori dell’ordine, quanto per la mancanza –in seno alle nostre forze di polizia- di poteri di prevenzione, di deterrenza e di repressione, analoghi a quelli di  forze loro omologhe operanti in altri Paesi liberi, dove l’energia della dissuasione non ha mai messo in discussione la stabilità delle Istituzioni democratiche , ma anzi le ha rafforzate.

Un giovane carabiniere, dileggiato ed aggredito da un bandito – studente a tempo perso, se non fosse riuscito a mettersi in salvo dal suo automezzo dato alle fiamme, avrebbe corso il rischio di restare intrappolato come il povero Annarumma e di farne la stessa fine, oppure –ove si fosse difeso- di trovarsi processato da criminale come Placanica.

In questi termini, nessun appartenente alle Forze dell’Ordine fu più in grado di operare a difesa, prima ancora che della propria incolumità ( il che è un diritto naturale, preesistente ad ogni codificazione scritta che lo legittimi formalmente), di quella dell’intera  collettività.

In tempi più recenti,  un agente di polizia che il 10 giugno 2018 aveva sparato con l’arma di ordinanza per salvare un collega accoltellato da un giovane ecuadoriano, lo uccise, si ritrovò incriminato per eccesso colposo di legittima difesa!

Qualcuno avrebbe dovuto spiegare ai comuni cittadini – ed a maggior ragione  ai tutori dell’Ordine- a fronte della percezione di una sorta di inesorabili  “automatismi”nelle incriminazioni a titolo di “eccesso colposo”, in che cosa consistesse la “fisiologia “della legittima difesa.

Procedendo per questa strada, si è progressivamente consolidato un sostanziale depotenziamento delle Forze di Polizia, che non sono state formalmente disarmate, ma che di fatto non possono difendere la collettività senza rischiare  un’ incriminazione.

A questa situazione di paralizzante operatività di coloro che sono chiamati a difenderci, si aggiunga l’ulteriore venir meno del’effetto crimino – deterrente del sistema penale: ciò che serve- lo insegnava il Beccaria – non sono nuove e più aspre sanzioni, bensì pene certe nel momento applicativo, senza sconti, amnistie, indulti, offerte premiali ed altro, che vanificano l’effetto dissuasivo delle pene medesime, dato non dalla loro gravità in astratto, ma dalla loro inesorabilità nel momento applicativo.

La ragione fondante di un’organizzazione istituzionale, è data prioritariamente dal fatto che coloro che ne fanno parte hanno rinunziato alla singola autotutela dei propri diritti fondamentali perché vi provveda lo Stato; ma nel caso che ciò risulti insufficiente per un oggettivo indebolimento delle Forze dell’Ordine, due sono le strade giuridicamente percorribili: ridare a dette Forze i poteri operativi originari, senza dover esse incorrere automaticamente in incriminazioni penali per “eccesso di ….”; oppure- e questa sembra la via scelta con la recentissima riforma del Codice penale- rafforzare l’ autotutela del singolo cittadino, sempre più frequentemente esposto a varie forme di criminalità, baldanzosa e fidente nella sostanziale impunità, fino ad esigere “risarcimenti del danno”da parte delle vittime che hanno avuto l’ardire di resistere ad un tentativo di furto o di rapina.

Nel promulgare la nuova legge in discorso lo scorso 26 aprile, il presidente Mattarella ha non casualmente voluto sottolineare che “la nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini, esercitata e assicurata attraverso l’azione generosa ed efficace delle Forze di Polizia.”

La novità  – ha proseguito-  è data dal rilievo decisivo assunto dallo allo stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto, oggettivamente determinato dalla situazione in cui si è venuto a manifestare. Un’anomalia  testuale rilevata dal Presidente è che mentre nella legittima difesa “domiciliare”, le spese del giudizio per le persone interessate siano poste a carico dello Stato, analoga previsione non è contemplata per le ipotesi di legittima difesa in luoghi diversi dal domicilio.

Il ridare fiducia e poteri alle Forze dell’Ordine- osserviamo conclusivamente- sarà giovevole per la civiltà della Nazione tutta, nella consapevolezza che non può esservi durevole libertà lasciando impunito il crimine e – peggio ancora- criminalizzando coloro che rischiano la vita senza aspettarsi nemmeno un “grazie”. Ma neppure di finire sotto processo, per cui la stessa parola di “Tutori dell’Ordine” rischia di apparire un guscio vuoto.