di Sergio Scrufari

1. Introduzione

Il presente lavoro ruota attorno alla necessità di riflettere sul tema della valorizzazione del bene culturale, avuto particolare riguardo all’esperienza italiana.

Il bene culturale, infatti, nella sua proiezione qualificatoria, inteso quale “testimonianza materiale avente valore di civiltà”, necessita da parte dei pubblici poteri una pluralità di attività volte a consentirne la fruizione, intesa sia nel senso di tutela finalizzata alla corretta fruizione collettiva del bene che alla valorizzazione del patrimonio rappresentato dal bene culturale stesso (1).

Il concetto in esame, nato con l’istituzione del Ministero per i Beni culturali e ambientali, ha consentito di annettere tra le funzioni di pubblico interesse, in relazione al patrimonio storico e artistico, oltre alla tutela, anche il compito promozionale (2).

Partendo dal presupposto che la sola tutela – in ottica statica – non risulta oggi bastevole (3). L’art. 3 del d.lgs 42/2004, infatti, si occupa solo dell’esercizio delle funzioni e della disciplina delle attività dirette ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale al fine di garantirne la protezione e la conservazione.

Appare necessario – al fine di inverare le previsioni costituzionali in materia, in ottica mortatiana (4) – porre in essere funzioni ulteriori e rivolte a promuovere la conoscenza di detto patrimonio, nonché ad assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e di fruizione.

Ciò rivolgendo lo sguardo ad ogni tipo di pubblico, al fine di incentivare lo sviluppo della cultura.

Si aggiunge a tale impostazione, inoltre, una ulteriore sfaccettatura del concetto di valorizzazione che, proprio in ragione dell’ottica dinamica (contrapposta a quella statica sopra richiamata), ricomprende nel proprio alveo operativo le finalità educative strettamente collegate con il patrimonio, al fine di migliorare le condizioni di conoscenza e anche di conservazione dei beni culturali e ambientali attraverso l’incremento della fruibilità (5). Non bisogna poi dimenticare la promozione ed il sostegno alla conservazione dei beni culturali e, con riferimento al paesaggio, la valorizzazione riguardante la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposte a tutela, come pure la realizzazione di nuovi valori paesaggistici.

Gli interventi di tale portata devono essere realizzati sempre in una prospettiva di compatibilità con le istanze di tutela e in modo tale da non pregiudicare i beni oggetto di intervento.

Tale riflessione è sì ancillare, ma al contempo funzionale all’analisi del bene culturale, operando per consentire la tensione dell’ordinamento al fine di garantire – accanto alle azioni di tutela di detti beni – quel risalto alle attività di valorizzazione, che garantiscono uno sviluppo economico improntato sulla attrattività culturale del nostro Paese.

Tali considerazioni introduttive costituiscono la premessa per l’analisi di un tema che appare nodale e al contempo di natura trasversale, nell’ambito delle scienze sociali, quale è la valorizzazione. Quest’ultima opera rispetto ai valori che «in una prospettiva di glocalizzazione, divent(a)no un baluardo della provenienza e dell’evoluzione dei singoli aggregati sociali: connotandosi sul versante del valore oggettivo ed universale della cultura, quali catalizzatori di inclusione sociale atti a valicare i particolari» (6), per spaziare poi in considerazioni di ordine sistemico rispetto alla rete culturale italiana ed internazionale.

2. I recenti sviluppi concettuali della valorizzazione del bene culturale 

Il tema dei beni culturali è stato oggetto nel corso degli ultimi vent’anni di riforme, connotate da pregio, che vanno dal d.lgs. 369 del 20 ottobre 1998, con cui il Ministero di settore è stato rinominato come Ministero per i Beni e le Attività Culturali al 1999 con l’avvento del Testo Unico di settore, con il d.lgs. 490/1999, che ha assorbito le leggi Bottai e tutta la legislazione successiva in materia, dando alla materia una prima sistematica unitaria. A queste ha fatto seguito, nel 2001, la novella del Titolo V della Costituzione che, in relazione ai beni culturali – in materia di divisione di competenze legislative fra Stato e Regioni –, all’art. 117 ha stabilito l’esclusività della tutela in capo allo Stato, mentre la valorizzazione e tutto ciò che concerne la promozione degli eventi a carattere culturale sono state demandate alla legislazione concorrente.

A seguito di ciò, al fine di armonizzare la legislazione dei beni culturali rispetto alle modifiche costituzionali, con l’art. 10 della legge 137/2002, il Parlamento ha delegato il Governo per la predisposizione del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”.

Tale codificazione ha consentito di esplicitare una concezionevolta a consegnare l’idea di bene culturale, frutto del definitivo allontanamento dalla visione in chiave prettamente strumentale e di costo (7) e che, nel considerare il contemperamento con il versante valorizzativo, ha gettato le premesse per una elaborazione relazionale, che conferma l’idea di un patrimonio culturale quale generatore di sviluppo e di integrazione sociale (8).

In questa prospettiva, la valorizzazione, così come concepita nella legislazione vigente, viene contemplata all’art. 1 del Codice, dedicato ai principi e approfondito poi all’art. 3, che nei suoi tre commi ne chiarisce il significato.

Tale normativa di dettaglio analizza quanto contenuto nella riforma del Titolo V della Costituzione e ha creato, tuttavia, uno spazio di sovrapposizione tra il concetto di tutela e quello di valorizzazione: una situazione ben chiara dalla lettura degli artt. 1 e 3 del Codice, dalla quale emergono due definizioni talvolta coincidenti ed in cui il discrimen di competenze fra Stato e Regioni è legato ad un’ermeneutica labile.

Infatti, lo Stato è chiamato ad “individuare” e la regione a “promuovere”. Lo Stato “garantire” e la regione ad “assicurare”.

Dinanzi a siffatta criticità relativa alle competenze Stato/Regioni e dinanzi ai numerosi conflitti di attribuzione, la Corte Costituzionale è intervenuta con la sentenza n. 9/2004, che ha rigettato il ricorso della Regione Toscana, ribadendo come «la riserva di competenza statale della tutela» è «legata alla peculiarità del patrimonio storico-artistico italiano, da considerarsi nel suo complesso come un tutt’uno, anche a prescindere del valore del singolo bene isolatamente considerato».

Sicché, a fronte di una tutela riconducibile alle attività di catalogazione, controllo relativo alla circolazione nazionale e internazionale, e così via, alla valorizzazione si ascrivono un coacervo di attività alquanto eterogenee che spaziano dal miglioramento delle modalità e diffusione della conoscenza dei beni culturali all’organizzazione di studi, ricerche e iniziative scientifiche, e di attività didattico-divulgative, di eventi culturali connessi con la conservazione e gli itinerari culturali e ambientali.

Sicché, la valorizzazione, di cui all’art. 6 del Codice, nel qualificare tanto l’esercizio delle funzioni quanto della disciplina delle attività dirette alla promozione della conoscenza del patrimonio culturale, definisce, sotto un versante funzionalistico, il coacervo di attività volte ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio. In risposta ad una viva vox costitutionis diretta a rispondere all’art. 9 della Carta che, nel declinare un ruolo attivo della Repubblica in sede di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, mira ad esaltare la capacità del valore culturale ad influire sul sistema Paese.

Tutto ciò delinea un modello basato sulla rilevanza storica e sociale, prima ancora che economica, dei beni culturali, che consente un rapporto biunivoco tra comunità identitarie di riferimento e società (9), ingenerando un riequilibrio dei rapporti di collaborazione tra gli enti e società civile.

In conseguenza di ciò, la promozione e la gestione del patrimonio culturale possono assumere le vesti di fattore utile per determinare una differenziazione per gli enti il cui territorio presenta una offerta quantitativamente e qualitativamente rilevante di detti beni, con un effetto consequenziale sulle economie di scala (10).

In questa prospettiva, infatti, a fronte di un bene culturale concepito quale risorsa/servizio da rendere fruibile al consumatore/utente di cultura, la ponderazione degli interessi dell’attività amministrativa nel settore della cultura passa in via prioritaria al ruolo testimoniale che esso assume nei confronti dei consociati e della loro identità, in termini di diffusione concreta e funzionale della cultura e della conoscenza (11).

Un approccio che, dal versante del riconoscimento valoriale del bene e dalla sua condivisione legata all’unità storica che lo stesso determina, filtra dallo spirito di cooperazione che ne deriva per garantirne la conservazione. Ciò, sulla base di una tendenza relazionale dello stesso che ne conferma l’attitudine quale generatrice di sviluppo e di integrazione sociale, senza, peraltro, tralasciare l’ulteriore parametro di riferimento valutativo rappresentato dalla loro redditività.

In ragione delle considerazioni espresse, è possibile seguitare nell’anamnesi del concetto di valorizzazione (12) che, nel declinare la funzione volta a rilevare i processi che consentono di analizzare il patrimonio culturale rispetto ad una catena del valore, richiama il discrimen tra “valore d’uso”, inteso come capacità del bene di rispondere a un desiderio, e “valore di scambio”, nel senso invece di intercambiabilità del bene considerato con altri beni.

In siffatta prospettiva, la presenza dei beni culturali diventa il centro di approcci valorizzativi che, sullo sfondo di un’offerta integrata di risorse, assumono una valenza quali generatori economici diretti, con la gestione delle attività e dei servizi, e indiretti, incentivando lo sviluppo territoriale dell’industria turistica e la creazione di pertinenti reti economiche.

Tutto ciò anche al fine di fornire una possibile soluzione alla eventuale incapacità di intervento da parte delle amministrazioni, che spesso ha portato a relegare le dotazioni di particolare pregio in una sorta di limbo in termini di fruibilità da parte del grande pubblico (si pensi alle vicende che hanno interessato il Satiro danzante di Mazara del Vallo (13)).

Dall’analisi emersa scaturisce, dunque, l’immagine strutturale di una valorizzazione che, dinanzi alla propria attitudine dinamica e connotata per le anfibologie, si radica rispetto ad un fine certo e determinato dal legislatore del Codice, vale a dire la tensione di queste attività per garantire la fruizione pubblica del patrimonio culturale.

Una tensione incontrovertibile, come testimoniano già l’art. 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio laddove, a titolo meramente emblematico, prevede che lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni assicurano la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscano la pubblica fruizione e valorizzazione.

Una fruizione che per poter essere raggiunta deve essere filtrata dalla previa tutela degli stessi, che si traduce nella possibilità concreta di consentirne il godimento e, al contempo, il loro identificazione e la possibilità degli stessi di essere raggiunti da una platea la più ampia, attraverso la valorizzazione e la promozione degli stessi.

L’analisi sin qui proposta ha inteso passare in rassegna il versante oggettivo della valorizzazione, ma ciò impone di seguitare nella ricerca dei profili soggettivi e della ricchezza dei modelli che ne scaturiscono, per come si viene confortati dall’ art. 111 del Codice dei beni culturali, laddove recita che la valorizzazione si realizza attraverso la «costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all’esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalità», in ossequio all’art. 6 del Codice.

Nel novero di dette attività è dato rinvenire un meccanismo di previsione differenziato che emerge già agli artt. 6 e 7 del Codice. Tale ultima disposizione, infatti, nel dettare la disciplina relativa alle funzioni e ai compiti in materia di valorizzazione, riconosce (al comma 2) che il Ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici.

A ciò si aggiunge il già menzionato articolo 6 che, al comma 3, identifica la vera e propria platea degli attori del processo di valorizzazione, che sono identificati nei soggetti privati, singoli o associati, nei cui confronti la Repubblica è chiamata ad attivarsi al fine di favorirne e sostenerne la partecipazione.

Tale previsione non può e non deve essere letta in maniera slegata rispetto alle precedenti considerazioni esplicitate, posto che la previsione di detti attori mira a consentire il contemperamento di istanze che la valorizzazione porta con sé.

L’importante previsione di coinvolgimento dei privati consente di analizzare il bene culturale nel quadro dei commons, vale a dire dei “beni comuni”. Questi ultimi sono, infatti, qualificati dalla Commissione Rodotà come «cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona, e sono informati al principio della salvaguardia intergenerazionale delle utilità».

3. Brevi considerazioni conclusive

Dalla lettura sistematica del Codice emerge dunque una chiara tensione a mitigare la separazione tra tutela e valorizzazione che, all’indomani della riforma costituzionale, avrebbe potuto tradursi in una fonte di conflittualità nella realizzazione degli interventi, e ciò è avvenuto «proponendo un’interpretazione dell’art. 117, comma 3, che ne riduce il potenziale significato, quanto al ruolo spettante alle regioni in materia di valorizzazione» (15).

Il Codice, recependo orientamenti che il Governo aveva già palesato, mantiene l’impostazione del d.lgs. 112/1998, facendo propria l’idea che la valorizzazione spetti al soggetto che ha la disponibilità del bene, in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale (16).

Così in una prospettiva di sintesi e di ricostruzione è possibile rilevare come, in applicazione del comma 1 dell’art. 6 del Codice, le attività di valorizzazione sarebbero di spettanza dello Stato, per i propri beni, e delle Regioni, per gli altri beni. A ciò farebbero da corollario le previsioni relative al coinvolgimento dei privati che, nel recepire le istanze di matrice costituzionale relative al principio di sussidiarietà orizzontale, applica tale criterio di allocazione e di esercizio delle attività di interesse generale nel precipuo settore dei beni culturali, declinandole in apposite previsioni contenute nel Titolo II, Capo II del Codice ed in particolare agli artt. 111, 113 e 120 del Codice.

Ed ancora, ai sensi del comma 2, si ribadisce la valenza ancillare di tutte le attività di valorizzazione rispetto alla tutela del bene, riproponendo quanto già enunciato all’art. 1, comma 6, del Codice.

Pertanto, così come si è tentato di evidenziare nel presente lavoro appare chiara la tensione normativa a dare del bene culturale una lettura, oltre che ammantata dalle istanze di conservazione, altresì compendiata dalle esigenze di valorizzazione.

Tuttavia, tale istituto, nella sua complessità e ricchezza di contenuti (come si è tentato di dimostrare) si scontra con le istanze sociali o per lo meno con quelle che sono le tendenze in atto a livello sociale, posto che «le ragioni prime delle nostre difficoltà sono da ricercarsi in più generali aspetti della vita moderna crisi di civiltà e di cultura» (17).

Le testimonianze di civiltà, infatti, sono ben lontane da una logica di comprensione e di fruizione da parte di una società consumista in cui il valore mercantile ha sostituito quello estetico, riportando alla luce la ricchezza dell’affermazione nietzschiana, «di tutto conosciamo il prezzo, di niente il valore».

NOTE

  1. A.L. Tarasco, Diversità e immaterialità del patrimonio culturale nel diritto internazionale e comparato: analisi di una lacuna (sempre più solo) italiana, in Foro amm. CdS, 2008, pp. 2261 e ss.; Aa.Vv., Il patrimonio culturale intangibile nelle sue diverse dimensioni, (a cura di, T. Scovazzi, B. Ubertazzi E L. Zagato), Milano 2012.
  2. G. D’Auria, Il riordino del Ministero nel sistema dei beni culturali. L’organizzazione centrale, in Aedon, n. 1, 2005.
  3. E infatti, la nozione di bene culturale «non ha valore puramente nominalistico. Per un verso, infatti, in quanto rappresenta una istanza di reductio ad unitatem di diversificate nomenclature, essa esprime anche e, dialetticamente, convalida una spinta concettuale alla considerazione il più possibile unitaria della materia» in T. Alibrandi, Beni culturali. Beni culturali e ambientali, in Enc. Giur., V, Roma 1988, p. 1. Si v., anche, Aa.Vv., Codice dei beni culturali e del paesaggio, (a cura di, M.A. Sandulli), Milano 2012; A. Crosetti e D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, Torino 2011; G. Volpe, Manuale di diritto dei beni culturali, Padova 2007; C. Barbati, M. Cammelli e G. Sciullo, Diritto e gestione dei beni culturali, Bologna 2011; T. Alibrandi e P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano 1978; S. Pugliatti, Beni e cose in senso giuridico, Milano 1962; A.M. Sandulli, Beni pubblici, in Enc. dir., V, Milano 1959, p. 277.
  4. A. Spadaro, Contributo per una teoria della Costituzione, vol. I, Fra democrazia relativista e assolutismo etico, Milano 1994.
  5. P. Carpentieri, La tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione nell’articolo 9 della Costituzione, in www.giustizia-amministrativa.it. In tema di pubblica fruizione del valore culturale insito nelle cose di interesse storico-artistico, tutto ciò si è concretizzato dando luogo ad «un modello socio-istituzionale con riferimento alla società esistente da non seguire e da trasformare, cioè un modello di società rifiutata; indica un modello di società prefigurata, da seguire ed instaurare; pone una norma, con l’obiettivo di modificare la società esistente e di trasformarla secondo il modello della società prefigurata» A. Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, II, Firenze 1969, pp. 399 e ss.;
  6. D. Siclari, Il valore dei beni culturali nell’epoca glocale. Ovvero per una globalizzazione che non sommerga le culture locali, Reggio Calabria, 2013, p. 46.
  7. Per una radicale trasformazione d’ordine istituzionale che ha inevitabilmente travolto la nozione di bene nonché le finalità del settore pubblico rispetto al settore dei beni culturali, ex multis si vedano: M.S. Giannini, Uomini, leggi e beni culturali, in Futuribili, 1971; S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in L’amministrazione dello Stato. Saggi, Milano 1976; V. Cerulli Irelli, Beni culturali, diritti collettivi e proprietà collettiva, in Scritti in onore di M.S. Giannini, I, Milano 1988, pp. 140 e ss.; C. Barbati, Decentramento e beni culturali fra tutela e valorizzazione, in Le istituzioni del federalismo, n. 2/1997; G. Pitruzzella, Beni e attività culturali – commento all’art. 148, D.Lgs. n. 112/1998, in Lo Stato autonomista, (a cura di, G. Falcon), Bologna 1998; F. Barca, La valorizzazione della cultura, risorsa per lo sviluppo del Mezzogiorno, in Economia della cultura, 2000; A. Crosetti, La tutela ambientale dei beni culturali, Padova 2001; S. Cassese, Problemi attuali dei beni culturali, in Giorn. dir. amm., 10, 2001; C. Barbati, Tutela e valorizzazione dei beni culturali dopo la riforma del Titolo V: La separazione delle funzioni, in Gior. Dir Amm., n. 2/2003.
  8. Cfr. F. Lillo, Beni culturali tra materialità e immaterialità, competenze statali regionali (nota a Tar Calabria, Reggio Calabria, 10 ottobre 2003 n. 1285), in Foro Amm. T.A.R., n. 12, 2003, pp. 3629 e ss..
  9. R. Rolli e D. Siclari, Codice dei beni culturali e del paesaggio, Roma 2016.
  10. M.E. Porter, Il vantaggio competitivo delle nazioni, Milano 1991; ed. orig., The Competitive Advantage of Nations, New York 1986. Sul versante della valenza economica dei beni culturali si vedano ex multis, F. Forte e M. Mantovani, Manuale di economia e politica dei beni culturali, Soveria Mannelli 2004.
  11. D. Siclari, Il valore dei beni culturali…, cit..
  12. M. Amari, Progettazione Culturale – Metodologia e strumenti di cultural planning, Milano, 2006, p. 107.
  13. A proposito del caso del Satiro danzante di Mazara del Vallo: una statua bronzea del IV secolo a.C. che nel 2005 – nonostante le condizioni di conservazione non ideali – è stata scelta per rappresentare l’Italia all’Esposizione Universale ad Aichi (Nagoya) ed in seguito esposta al Tokyo National Museum, palesando un notevole interesse da parte del pubblico e, nonostante l’esordio avvenuto in sede internazionale, la statuetta «trova i migliori comfort quando è in trasferta, trattato come pezzo di assoluto prestigio, ma a casa “soffre” il caldo. Inevitabile, visto che nell’ex chiesa di S. Egidio di Mazara del Vallo in cui è esposto manca l’impianto di climatizzazione, con grave pregiudizio della sua conservazione»; tratto dall’articolo: Sicilia: Tra degrado e incuria: così marciscono i musei, inwww.beniculturali.it.
  14. Commissione Rodotà, elaborazione dei principi e criteri direttivi di uno schema di disegno di legge delega al governo per la novella del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile (14 giugno 2007).
  15. C. Barbati, La valorizzazione del patrimonio culturale (art. 6), in Aedon, n. 1, 2004.
  16. Corte cost. 19 dicembre-20 gennaio 2004, n. 26.
  17. P. Serravalle D’Addino, I beni culturali: la tutela italiana nel contesto europeo, Napoli, 1993, pp. 125-126.