Di Marco Mandato

In Italia, la sfiducia nelle pratiche elettive, la crisi dei partiti politici sfociata nel deficit fiduciario dei cittadini nella rappresentanza politica, nella personalizzazione e presidenzializzazione dei circuiti democratici, nell’indebolimento strutturale del Parlamento con il contestuale rafforzamento dell’Esecutivo, hanno favorito plurimi tentativi di riformare l’intero assetto istituzionale adeguandolo sul piano formale ai nuovi mutamenti intervenuti nella politica e allo scenario internazionale particolarmente esigente di poter contare su Governi forti e capaci, in grado di adottare il più velocemente possibile decisioni e provvedimenti.

Tutti questi aspetti sono comuni alle recenti esperienze che hanno coinvolto l’ordinamento costituzionale italiano dove nel giro di pochissimo tempo si sono approvate due leggi elettorali, si è celebrato un referendum confermativo su una riforma costituzionale poi bocciata(1), si sono avute due sentenze della Corte costituzionale le quali hanno censurato le formule elettorali approvate nel 2005 e nel 2015.

Qui non si vogliono esaminare gli aspetti tecnici e di merito del disegno di legge di revisione costituzionale per il quale si rimanda all’ampia dottrina presente sul tema(2), delle leggi elettorali e le sentenze del supremo organo di garanzia esterno del Testo costituzionale, ma semplicemente mettere in evidenza il profondo legame che sussiste tra la crisi dei partiti politici, del Parlamento e il rafforzamento dell’Esecutivo con la personalizzazione in senso leaderistico della politica, cui si è cercato di dare soluzione promuovendo la torsione maggioritaria della forma di governo parlamentare italiana con la speranza di favorire una corrispondente ristrutturazione del circuito politico-partitico in senso bipolare(3).

Si è tentato di riportare stabilità nel sistema costituzionale italiano in perenne e profonda transizione intervenendo, attraverso un’operazione di discutibile ingegneria costituzionale e di maquillage sul versante della Costituzione e del sistema elettorale, sul modello partitico esistente in Italia nel tentativo – l’ennesimo – di valorizzare quel famoso mito della governabilità che, costituendo il “valore ispiratore”(4) del disegno di legge di revisione costituzionale e della stessa legge elettorale, da anni si cerca ormai di inseguire a tutto svantaggio della rappresentatività così come ben evidenziato dal giudice delle leggi nelle sentenze nn. 1/2014(5) e 35/2017(6).

Ed è senz’altro evidente che, quando si interviene contestualmente sia sulla Costituzione sia sulla legge elettorale, il proposito che si cerca di realizzare è un mutamento del regime politico sotteso alla forma di Stato democratica stante l’intima connessione tra legge elettorale, forma di governo, forma di Stato e regime politico in virtù dell’ampia valenza e intimità politica delle leggi elettorali come strumento in grado di condizionare l’effettivo funzionamento dell’apparato istituzionale sia in termini di strutturazione della competizione elettorale che di selezione e formazione della rappresentanza politica e parlamentare(7).

Tutti questi tentativi sono di fatto falliti cosicché ci si ritrova all’interno di un sistema retto dal bicameralismo perfettamente paritario ove la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica continuano a godere di una posizione di assoluta parità sia sul versante del procedimento legislativo sia su quello del rapporto fiduciario con l’Esecutivo giacché entrambi i rami del Parlamento sono abilitati a conferire ed, eventualmente, a revocare la fiducia al Governo(8).

Per quanto concerne il sistema di trasformazione dei voti in seggi, le due leggi elettorali per le Camere non sono affatto omogenee a seguito della pronuncia con cui la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi alcuni aspetti del cd. Italicum originariamente pensato per la sola elezione della Camera dei deputati.

Sul versante partitico continua a persistere un sistema imperfetto retto su tre poli – di cui uno, il Movimento 5 Stelle di chiara matrice populista – ognuno dei quali non avrebbe, allo stato, un numero di voti sufficiente per poter contare su un’autonoma maggioranza parlamentare in entrambi i rami del Parlamento.

L’aspetto preoccupante su cui occorre, brevemente, effettuare una riflessione è, come detto, il legame funzionale che si è creato tra le riforme costituzionali, elettorali e il circuito partitico dando luogo a quelle che potremmo definire vere e proprie anomalie che di seguito cercheremo di evidenziare e motivare.

I fatti sono noti. Il Governo Renzi ha presentato un progetto di revisione costituzionale teso a modificare più di 40 articoli della Costituzione nel tentativo di razionalizzare il sistema parlamentare, valorizzare le autonomie e introdurre garanzie procedurali per il Governo nell’ambito dei lavori parlamentari.

Si è cercato di favorire la realizzazione di questi propositi facendo precedere il disegno di legge di riforma della Costituzione dall’approvazione della legge elettorale n. 52/2015, cd. Italicum(9) che avrebbe favorito un sistema in cui si sarebbe garantito, nelle intenzioni del Presidente del Consiglio, un vincitore certo già a chiusura delle urne.

Si può notare la prima anomalia, quella per la quale, è stato il Governo ad assumere l’iniziativa legislativa di presentare alle Camere un disegno di legge di revisione costituzionale(10).

Nonostante l’articolo 71 Cost. non esclude la possibilità che l’Esecutivo possa promuovere riforme costituzionali presentando sponte sua un apposito disegno di legge, sarebbe stato più consono che l’iter di revisionale costituzionale fosse partito da un’iniziativa parlamentare non solo perché si interviene in un settore particolarmente delicato – quale quello delle riforme costituzionali appunto – ma anche per valorizzare l’apporto inclusivo delle forze di opposizione e consentire loro di contribuire, già nelle prime fasi, alla stesura del testo(11).

Tutto questo, in realtà, non sorprende affatto in quanto il ribaltamento dei ruoli fra Legislativo ed Esecutivo si verifica non solo a livello delle fonti del diritto, ma anche su quello delle riforme costituzionali le quali entrano a far parte del programma di governo e della maggioranza che lo sostiene.

Si tratta di una logica tutta tesa al rafforzamento in senso maggioritario del rapporto tra gli organi attivi e all’accentuazione del ruolo di leader del Capo del Governo come si evince anche dalla predisposizione delle liste bloccate all’interno delle leggi elettorali.

Si badi, non si proponeva alcuna modifica formale della forma di governo, ma l’intero disegno riformatore costituito dalla revisione costituzionale ed elettorale avrebbe, di fatto, comportato uno stravolgimento materiale, sostanziale della forma di governo medesima a tutto vantaggio del Presidente del Consiglio con evidenti effetti squilibrati nel rapporto tra Governo e Parlamento(12).

La seconda anomalia è quella per la quale, seppur rispondenti alla medesima logica di favorire la governabilità, la riforma costituzionale è stata modellata sulla legge elettorale creandosi un ribaltamento gerarchico e valoriale tra la fonte costituzionale e quella ordinaria.

È la prima che si è adeguata alla seconda sia in termini cronologici – in quanto precedentemente è stata approvata la legge elettorale non senza criticità quali l’apposizione della questione di fiducia con evidente vulnus della riserva d’Assemblea ex articolo 72 Cost. – sia in termini contenutistici(13).

La terza anomalia è costituita dal rapporto tra la sentenza della Corte costituzionale n. 35/2017, che ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale n. 52/2015, e l’esito referendario. In un primo momento, infatti, l’udienza della Corte, fissata a seguito delle ordinanze di rimessione di costituzionalità presentate da cinque Tribunali italiani(14), doveva celebrarsi in una data anteriore la celebrazione del referendum confermativo.

Così non è stato, ma volutamente il Consesso dei giudici costituzionali ha rinviato la decisione a seguito del referendum comprendendone pienamente la valenza politica che un’eventuale pronuncia di incostituzionalità avrebbe spiegato laddove fosse stata emanata prima che si sapessero gli esiti del referendum(15).

Difatti, laddove la Consulta avesse censurato la legge elettorale cd. Italicum sarebbe stato ‘inutile’ il referendum in quanto sarebbe venuta meno una ragione fondamentale sottesa al contenuto della revisione costituzionale e al tentativo perseguito con ostinatezza e caparbietà dal Governo Renzi di riassestare le concrete dinamiche della forma di governo.

Altra ragione è data dal fatto che il rinvio dell’udienza si sarebbe reso politicamente opportuno per consentire alle forze politiche di provare a discutere e soprattutto di predisporre una legge elettorale armonica e armonizzante il procedimento di formazione della rappresentanza fiduciaria tra Camera e Senato.

La quarta anomalia è rappresentata dalla straordinarietà con cui, nel giro di soli tre anni, la Corte costituzionale è intervenuta su due leggi elettorali censurandone i profili di maggiore pregnanza che ne avevano ispirato la stesura.

Non è certamente fisiologico che un organo di garanzia intervenga a distanza di così pochissimo tempo sulle leggi elettorali approvate dalle Camere supplendo le medesime nel confezionare la legge più politica che esista. A ciò si aggiunga che l’eccezionalità e l’indubbia criticità istituzionale in cui ci troviamo, è rappresentata dalla circostanza che la Corte è intervenuta su due formule elettorali ispirate a criteri diversi.

La legge del 2005, approvata dall’allora Governo Berlusconi III, fu confezionata per tentare di ‘battere preventivamente’ le forze politiche avversarie; la seconda, la legge n. 52/2015, come detto, era ispirata alla necessità che ad essa si adeguassero le modifiche costituzionali proposte(16).

Le due sentenze, la n. 1/2014 e la n. 35/2017 sono perfettamente l’uno lo specchio dell’altra in quanto dettano in modo molto chiaro quali devono essere i principi ispiratori di un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi per garantire un equilibrato rapporto tra le esigenze sottese alla governabilità e quelle che riflettono le istanze tese alla valorizzazione di un rapporto di rappresentanza fiduciaria il più rappresentativo possibile.

Ed è per questo che le due pronunce del giudice delle leggi vanno a costituire una sorta di vadevecum, un vero proprio “Digesto della “buona” legge elettorale”(17) per mezzo della quale si deve formare la rappresentanza parlamentare.

Dalla lettura in combinato disposto delle due pronunce emerge che la legislazione elettorale in senso stretto si basa su alcune ‘fondamenta’ di principio18 fra le quali viene in rilievo, anzitutto, l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nell’approntare una formula elettorale.

Questa discrezionalità, tuttavia, pur essendo sufficientemente ampia in ragione sempre della circostanza che le leggi elettorali possiedono un’elevata dose di politicità, non è illimitata giacché deve poter sussistere un sindacato di costituzionalità da parte del giudice delle leggi atto a verificare la conformità delle disposizioni elettorali ai principi costituzionali.

Tra i quali vengono in rilievo quelli sottesi alla libertà e all’uguaglianza del diritto di voto il quale deve essere espresso presupponendo, non solo la chiara conoscenza e conoscibilità dei candidati da parte del corpo elettorale, ma anche la legittimità aspettativa da parte degli elettori, che si formi un modello di rappresentanza politica che rispecchi il più possibile le opinioni e, soprattutto, i voti espressi in maniera tale da contribuire alla formazione di Assemblee parlamentari effettivamente rappresentative.

La libertà del voto non sarebbe compromessa dall’inserimento nelle leggi elettorali delle cc. dd. liste bloccate le quali, però, non devono essere eccessivamente ampie sempre per l’esigenza di consentire all’elettore la previa conoscibilità del potenziale eletto.

La logica della rappresentatività non osta assolutamente alla predisposizione di meccanismi che mirano a formare una stabile maggioranza parlamentare a sostegno dell’Esecutivo, tale da consentire che nel corso della Legislatura vi sia un Governo forte o comunque sufficientemente stabile per tentare di realizzare il proprio indirizzo politico, all’insegna, non solo della governabilità in ambito interno, ma, aggiungiamo, anche della credibilità che lo stesso deve poter avere e rivendicare in occasione degli appuntamenti europei e internazionali.

Quella della governabilità è un’esigenza legittima che giustificherebbe anche la predisposizione di meccanismi tali da consentire, in rapporto al raggiungimento di una soglia minima di voti, un premio di maggioranza tale da consentire alle forze politica uscita vincitrice dalla competizione elettorale, di poter contare su un ‘surplus’ di parlamentari ulteriori rispetto a quelli che avrebbero ottenuto senza il premio di maggioranza.

Il quadro delineato non è certamente dei più rosei.

Il sistema politico italiano con i suoi attori istituzionali e politici sembra intrappolato dentro sé stesso.

Prigioniero della sua incapacità e degli sterili tentativi, all’interno di un sistema partitico ormai inesistente e dominato dai populismi e dall’assenza di culto e senso delle istituzioni da parte dei suoi protagonisti, di riformare l’architettura istituzionale secondo principi distanti da quelli sottesi al costituzionalismo e all’equilibrio tra i poteri.

L’Italia risente maggiormente della crisi dei partiti e del senso di sfiducia, profondo e acuto, che i cittadini nutrono nei confronti della classe politica. Le pressioni internazionali e il precario equilibrio dei conti pubblici, accompagnati da una crescita economica non ancora sufficiente e dagli elevati livelli di disoccupazione che si registrano – seppure mitigati da piccoli e bene auguranti segnali di ripresa – soprattutto tra le giovani generazioni, hanno condotto ad anomali, inaccettabili e ingiustificabili tentativi di riformare per via elettorale e costituzionale, non solo il sistema partitico, ma la stessa forma di governo. La quale, è bene dire, è una forma di governo caratterizzata da un profondo squilibrio tra Governo e Parlamento le cui prerogative vengono sempre più stuprate dal primo e dal tentativo ostinato, ormai ventennale, di sacrificare la rappresentatività a vantaggio della governabilità(19).

Si tratta di una tendenza giustificate dalle frequenti tensioni populiste e personaliste che sembrano inarrestabili.

Invece di promuovere riforme costituzionali ed elettorali equilibrate, in grado di valorizzare contestualmente governabilità e rappresentatività, nel rispetto delle logiche sottese alla forma di governo parlamentare dove non vi può essere, nemmeno de facto, l’elezione diretta del Capo del Governo(20), si è cercato di riformare il sistema intervenendo con riforme costituzionali ed elettorali queste ultime, soprattutto, legate alla logica della governabilità(21) intesa eccessivamente come “un pilastro della forma di governo parlamentare”(22), pensando che in questo modo si potessero avere effetti benefici sul concreto funzionamento dello Stato e di ricostituire lo stesso circuito partitico.

Ma così non è stato. Anzi, il tentativo, fallito, di riformare la Costituzione e di adottare leggi elettorali ispirate a principi iper-maggioritari, con liste bloccate eccessivamente lunghe, con la previsione di premi di maggioranza – vere e proprie anomalie(23) elettorali esistenti solo in Italia – sganciati da una soglia minima di voti e da ballottaggi che rischiavano di non garantire un’adeguata rappresentatività, hanno avuto l’effetto contrario di aumentare il distacco dei cittadini dalla politica, di far implodere l’intero sistema e di colorare di politicità la neutralità dei poteri del Presidente della Repubblica il quale, commissariando la classe politica, ha esteso la fisarmonica delle proprie prerogative ergendosi a supremo ‘reggitore dello Stato’(24).

In questo contesto – politico e istituzionale – caratterizzato da intese fallite e ripetuti tentativi di accordo reciproco sulle leggi elettorali, l’Italia si appresta ad affrontare il giudizio dell’Europa sulla legge di bilancio, in attesa che inizi la campagna elettorale e si rinnovino le Camere.

Da quel momento inizierà nuovamente un’altra partita, l’ennesima, nella speranza che si raggiunga quella stabilità da tutti auspicata.

Note:

1 Il No si è attestato al 59%, il Si al 40%. Subito dopo la sconfitta referendaria, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato in diretta da Palazzo Chigi, le dimissioni del Governo in carica. A seguito delle consultazioni saggiamente condotte dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si è formato il Governo presieduto dall’ex Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni.

 

2 Ex plurimiis cfr., anche per i riferimenti bibliografici, Aa. Vv.,‘Forum sul D.D.L. costituzionale “Renzi-Boschi”, Torino, Giappichelli, 2015; Aa. Vv.,,‘Perché Si: le ragioni della riforma costituzionale’, Roma-Bari, Laterza, 2016; Ceccanti, S., ‘La transizione è (quasi) finita: come risolvere nel 2016 i problemi aperti 70 anni prima: verso il referendum costituzionale’, Torino, Giappichelli, 2016; Crainz, G., Fusaro, C., Aggiornare la Costituzione: storia e ragioni di una riforma’, Roma, Donzelli, 2016; Rossi, E., ‘Una Costituzione migliore? Contenuti e limiti della riforma costituzionale’, Pisa, University Press, 2016.

 

3 A tal proposito si è parlato di doppio binario per indicare l’impiego strumentale della legge elettorale per favorire l’efficienza e la stabilità del Governo cercando di incentivare la creazione di un sistema bipolare che avrebbe favorito la governabilità con evidenti ripercussioni sulla forma di governo. cfr. Olivito, E., Le inesauste ragioni e gli stridenti paradossi della governabilità, in www.costituzionalismo.it, n. 3/2015, pp. 22 ss.

 

4 Così Beztu, M., Mistica della governabilità e sistema delle fonti: la riforma costituzionale Renzi-Boschi, in www.costituzionalismo.it, n. 3/2015, p. 5.

 

5 I profili censurati dalla Corte hanno riguardato il premio di maggioranza scollegato da una soglia minima di voti e le liste bloccate eccessivamente lunghe. Per i commenti si consultino gli atti del Seminario ‘Le Corti e il voto’ tenutosi il 29 gennaio 2014 presso la Facoltà di Scienze politiche, Sociologia e comunicazione dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma reperibili al seguente link http://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/wp-content/uploads/2016/06/NOMOS2013.pdf

 

6 I profili censurati dalla Corte hanno riguardato i capilista bloccati e il ballottaggio. In tema, cfr. ex plurimiis Carnevale, P., Leggendo in filigrana il comunicato-stampa della corte costituzionale del 25 gennaio scorso… sperando di non incorrere in allucinazioni. Note a prima (non lettura) sulla decisione relativa alla legge n. 52 del 2015, in Nomos, n. 1/2017; Ceccanti, S., Tre brevi riflessioni: motivazioni per il no al ballottaggio, auto-applicatività garantita, modifiche opportune per un’armonizzazione ragionevole, in Nomos, n. 1/2017; Trucco, L., “Sentenza Italicum”: la Consulta tra detto, non considerato e lasciato intendere, in www.giurcost.org, n. 1/2017.; Ruggeri, A., La Corte alla sofferta ricerca di un accettabile equilibrio tra le ragioni della rappresentanza e quelle della governabilità: un’autentica quadratura del cerchio, riuscita però solo a metà, nella pronunzia sull’Italicum, in Forum di quaderni costituzionali, 2017.; Troilo, S., Le liste (in tutto o in parte) bloccate e le candidature multiple dopo la sentenza costituzionale n. 35/2017: dall’arbitrio (soltanto) dei politici a quello (anche) della sorte, e poi di nuovo dei politici?, ivi, 2017.

 

7 Cfr. Lanchester, F., La Corte e il voto: riflettendo su un comunicato stampa, in Nomos, n. 1/2017;

 

8 Cfr. articolo 94 Costituzione italiana a mente del quale “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione”.

 

9 La legge elettorale prevedeva il sistema dei capilista bloccati, l’espressione delle preferenze per i candidati successivi, un premio di maggioranza che si sarebbe conseguito al raggiungimento della soglia del 40% dei voti e un eventuale ballottaggio fra le due forze politiche che non avessero conseguito il 40% dei voti.

 

10 A favore si v. Catellani, E., Il ruolo del Governo nella riforma costituzionale e nella prospettazione di soluzioni legislative attuative di tale riforma, in Federalismi.it, n.12/2016, pp. 4 ss. sia per ragioni storiche che procedurali in quanto non si potrebbe paragonare la stesura della Costituzione del 1948 affidata all’Assemblea Costituente con le mutate condizioni storiche e politiche attualmente vigenti. Inoltre, vi era una limitazione all’intervento normativo dell’Esecutivo sia perché tutti i poteri erano concentrati nell’Assemblea Costituente sia perché il Governo doveva occuparsi dell’attività normativa dato che non era stato ancora istituito il Parlamento.

 

11 Cfr. Villone, M., La riforma Renzi-Boschi: Governo forte, Costituzione debole, in www.costituzionalismo.it, n. 1/2016, p. 41, il quale spiega che “è stato per lungo tempo un principio convenzionalmente accettato che la riforma della costituzione fosse una questione essenzialmente parlamentare, nella quale il governo dovesse astenersi dall’intervenire. Il fondamento di tale principio si trovava anzitutto nella ragione che un’iniziativa governativa è geneticamente di parte, e tende a segnare uno spartiacque nel confronto parlamentare tra maggioranza e opposizione. Ponendo la riforma della Costituzione tra le questioni di indirizzo politico e di governo, favorisce che il contrasto al governo fisiologicamente messo in atto dalla opposizione diventi anche contrasto alla riforma. Una Costituzione che entra a far parte dell’indirizzo politico di governo non può che essere una Costituzione di maggioranza. E non può che esserne indebolita, essendo più difficile che abbia il largo riconoscimento e l’ampia condivisione che sono la misura prima della sua solidità”.

 

12 Come ha sottolineato Azzariti, G., Vento di cambiamento. Verso dove? in www.costituzionalismo.it, n. 3/2015, p. 3, la Costituzione è divenuta ormai uno “strumento della maggioranza”. Il combinato disposto tra riforma costituzionale e leggi elettorali andrebbe, quindi, ad innescare quella profonda e significativa “transizione” verso la leadership del Presidente del Consiglio a prescindere da una esplicita trasformazione della forma di governo e a dispetto delle ragioni storiche e filosofiche del costituzionalismo, alla ricerca di quel modello italiano di “premierato” più o meno forte, a seconda delle diverse declinazioni tentate, che si rinviene nelle riforme costituzionali del nuovo millennio, così Dickmann, R., Riforme costituzionali e legge elettorale, in www.dirittifondamentali.it, 2015.

 

13 Cfr. De Marco, E., Spunti di riflessione sulla riforma costituzionale “Renzi-Boschi”.Una riforma ormai improcrastinabile non priva peraltro di ambiguità e nodi irrisolti, in Rivista AIC, n. 2/2016, p. 3; Carnevale, P., Leggendo in filigrana il comunicato-stampa della corte costituzionale del 25 gennaio scorso… sperando di non incorrere in allucinazioni. Note a prima (non lettura) sulla decisione relativa alla legge n. 52 del 2015, in Nomos, n. 1/2017, p. 12, “la singolare inversione del rapporto fra legge e Costituzione, non tanto […] sul piano formale della relazione di gerarchia, quanto soprattutto sul piano del nesso funzionale: non è più la Costituzione ad esigere l’attuazione per via legislativa, ma è la legge di attuazione anticipata ad esigere una nuova Costituzione. La legge sembra così atteggiarsi ad atto di pre-conformazione […] dell’ordinamento alla modifica costituzionale incipiente”; Luciani, M., A lezione di storia, ivi, p. 2, per il quale “non era giuridicamente logica la scelta di approvare una legge elettorale chiaramente calibrata su un disegno costituzionale alternativo, diverso da quello vigente, prima che il nuovo vedesse la luce. Occorreva una clausola di salvaguardia”.

 

14 Reperibili su www.nomos-leattualitàneldiritto.it

 

15 Cfr. su questo Ceccanti, S., I sistemi elettorali per le elezioni politiche dopo la 35/2017: una sentenza figlia del referendum, ma per il resto deludente per i proporzionalisti, in Federalismi.it, n. 4/2017, p. 3, il quale mette ben in evidenza che “era indubbio che essa risentisse ora dei risultati del referendum costituzionale, al di là di quanto parzialmente ammettano esplicitamente le motivazioni. Del resto la decisione era stata rinviata, posponendola al referendum, ammettendo di fatto che il potenziale cambiamento del parametro avrebbe inciso sull’esito. In due punti la sentenza ammette il rilievo del voto. Anzitutto nel monito finale (punto 15,2) lo fa in modo esplicito, anche se delicato, dopo la correzione del cosiddetto refuso, che rivela in realtà un ammorbidimento del monito, come rivelato dai media: i sistemi diversi “non ostacolino..maggioranze parlamentari omogenee” rispetto all’originario “non devono ostacolare”. Al precedente punto 7 lo fa in modo significativo anche se non esplicito dove contesta il ballottaggio in una sola Camera rispetto “alla posizione paritaria” che mantengono Camera e Senato, che sembra obiettivamente l’argomento più forte tra quelli usati contro il ballottaggio”; Siclari, M., Prime considerazioni sul parziale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nei riguardi della legge n. 52 del 2015, alla luce del comunicato emesso dalla corte, il 25 gennaio 2017, in Nomos, n. 1/2017, pp. 1 ss., il quale nota che “il rinvio dell’udienza, nonostante le ingiustificate polemiche sollevate da qualche critico, era pienamente motivato dalla necessità di evitare di adottare una decisione che, qualunque ne fosse stato il contenuto, resa in piena campagna referendaria, avrebbe finito inesorabilmente per ricevere le accuse di aver voluto influenzarne gli esiti”.

 

16 Cfr. Serges, G., Prime riflessioni sul futuro della legislazione elettorale (in attesa delle motivazioni della sentenza costituzionale), in Nomos, n. 1/2017, pp. 3 ss.

 

17 Così Celotto, A., La legge elettorale: quali prospettive?, in Rivista Aic, n. 1/2017, p. 2.

 

18 Cfr. Luciani, M., Bis in idem: la nuova sentenza della corte costituzionale sulla legge elettorale politica, in Rivista Aic, n. 1/2017, pp. 2 ss.

 

19 Come è stato efficacemente notato “la crisi della rappresentanza politico-parlamentare si manifesta, sovente, come crisi di un sistema che predilige soprattutto le ragioni funzionali dell’efficienza dell’azione, legislativa e di governo, a quelle specifiche ed articolate, ma anche più difficili da realizzare, della rappresentanza degli interessi sociali”, Baldini, V., Parlamentarismo, democrazia e disciplina elettorale: quel che la sentenza n. 35/2017 dice e quel che (forse…) lascia intendere, in www.dirittifondamentali.it, n. 1/2017, p. 9.

 

20 Lo fa comprendere bene Caravita di Toritto, B., Questioni di metodo e questioni di contenuto nelle riforme costituzionali e elettorali, in Federalismi.it, n. 22/2014, p. 3.

 

21 Sul rapporto tra legge elettorale e governabilità cfr. Fusaro, C., Del rifiuto di rafforzare la governabilità per via elettorale, in Quad. cost., n. 3/2015, pp. 734 ss.

 

22 Ceccanti, S., Tre brevi riflessioni: motivazioni per il no al ballottaggio, auto-applicatività garantita, modifiche opportune per un’armonizzazione ragionevole, in Nomos, n. 1/2017, p. 4

 

23 Cfr. Rossano, C., Note su premio di maggioranza ed esigenze di omogeneità delle leggi elettorali della camera dei deputati e del senato della repubblica nella sentenza della corte costituzionale n. 35/2017, in Rivista Aic, n. 1/2017, p.2.

 

24 La nota espressione è da attribuirsi a Carlo Esposito.