di Leonardo Bottazzi (Specialista in Professioni Legali)
e Julia Hasani (Dottoressa in Giurisprudenza)[1]
ABSTRACT: L’interesse manifestato dal legislatore in materia alimentazione potrebbe condurre all’introduzione di norme incriminatrici interessanti dal punto di vista applicativo. Il corretto contemperamento tra il diritto all’autodeterminazione del minore e lo ius educandi di coloro che esercitano la responsabilità genitoriale non è però sempre agevole, sopratutto in specifici casi particolari. In questo contributo si cercherà di esaminare le tutele penalistiche nei confronti di coloro che possono essere definiti come soggetti vulnerabili.
SOMMARIO: 1. Profili introduttivi: il diritto ad una sana alimentazione. – 2. Il contemperamento tra convincimento filosofico, credenze religiose e diritti del minore. – 3. Considerazioni finali in ordine alle tutele penalistiche nell’ordinamento italiano.
- Profili introduttivi: il diritto ad una sana alimentazione.
Una recente decisione resa dal Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino-Alto Adige[2] risulta uno spunto particolarmente interessante per quanto concerne la sfera dei diritti relativi all’alimentazione. Nel caso di specie la Corte ha accolto il ricorso di una madre, la quale si dogliava che il modulo di iscrizione alla mensa scolastica – predisposto dall’Amministrazione comunale – prevedeva la possibilità di scegliere alcune diete speciali, ma non quella vegana. Di converso, in un caso dell’ottobre 2016, il Tribunale di Roma – dato atto del disaccordo dei genitori relativamente al regime alimentare della figlia minore – dispose che la giovane dovesse seguire, nella scuola frequentata, una dieta priva di restrizioni[3]. Si tratta di due casi che sì presentano profili di similarità, i quali infine pervengono a una soluzione apparentemente antitetica. Tutto ciò è indice che l’analisi della materia è in divenire, ed è meritevole di approfondimento.
È notorio infatti che “il cibo è un grande patrimonio culturale. Il modo con cui coltiviamo la terra, ci procuriamo il cibo, lo distribuiamo, lo consumiamo definiscono le forme della nostra vita comune e disegnano persino il paesaggio. L’obiettivo di cancellare definitivamente la fame e la denutrizione dal mondo ci impone un salto nei rapporti politici, nell’organizzazione sociale, nella produzione industriale e agricola”; con queste parole il Presidente della Repubblica Italiana, intervenendo in occasione dell’EXPO a Milano[4], ha voluto sottolineare la quantomai rinnovata importanza dell’alimentazione[5] sana ed equilibrata che ciascuno di noi necessita. Il poter consumare cibo e bevande di qualità permette infatti a tutti i consociati di condurre un’esistenza libera e dignitosa, ed è compito degli Stati far sì che siano rimossi per quanto possibile gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono o limitano l’esercizio di questo diritto. Tale principio emerge chiaramente dall’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, ed è stato più volte ribadito in sede internazionale. Sotto un profilo comparatistico, il diritto al cibo e a una sana alimentazione è altresì garantito da circa cento costituzioni in tutto il mondo[6].
Sempre a livello internazionale l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta nel settembre 2015, ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs); segnatamente, il secondo obbiettivo dichiarato è quello di garantire a tutte le persone – in particolare ai poveri e ai più vulnerabili – un accesso sicuro a cibo nutriente e sufficiente per tutto l’anno, oltre al proposito di soddisfare le esigenze nutrizionali di minori, donne in gravidanza e allattamento nonché delle persone anziane[7].
Come icasticamente notava lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite nel proprio rapporto stilato nel gennaio 2014 “il diritto all’alimentazione si sovrappone al diritto al lavoro e alla sicurezza sociale previsti agli artt. 6 e 9 del Patto Internazionale dei Diritti Economici, Sociali e Culturali”[8].
Da recenti ricerche ISTAT è infatti possibile evincere che la responsabilizzazione degli individui e il ruolo positivo che i comportamenti possono avere sulle loro condizioni di salute rivestono un ruolo importante per la sostenibilità attuale e futura[9].
Tutto ciò considerato, è evidente che l’interesse del legislatore e del formante dottrinale per le tematiche concernenti alla corretta alimentazione è di certo apprezzabile, in prospettiva di un miglioramento delle condizioni di salute dei consociati. In particolare, come ricorda attenta dottrina, l’art. 32 è l’unico articolo della Carta Costituzionale[10] ad essere definito non solo inviolabile o inalienabile, bensì proprio fondamentale.
- Il contemperamento tra convincimento filosofico, credenze religiose e diritti del minore.
La Convenzione Europea per la salvaguardia delle libertà fondamentali prevede all’art. 9 che ciascuno ha diritto alla libertà di manifestazione del pensiero, di coscienza, di religione e che tale libertà non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie – in una società democratica – alla protezione della salute o della libertà altrui.
Orbene, il diritto all’autodeterminazione ben può esplicitarsi in relazione alla scelta del proprio regime alimentare; a guisa d’esempio – e senza volontà di essere esaustivi nell’elencazione – nella religione ebraica molto rilievo assumono i precetti della kasherut[11]. Ancora, i musulmani osservano le prescrizioni dettate dalla halāl[12], e infine è risaputo che gli induisti, ritenendo sacra ogni forma di vita animale, sono rigorosamente vegetariani[13]. La Corte Europea dei Diritti Umani si è espressa più volte in relazione al contemperamento tra il diritto alla salute e all’autodeterminazione[14], hic et nunc intesa come possibilità di scelta del proprio regime alimentare.
Le considerazioni fin qui svolte potrebbero, in linea di principio, applicarsi non solo agli adulti, ma anche ai soggetti minorenni; è evidente però che – data la posizione peculiare riservata a quest’ultimi – occorre porre come principio cardine il superiore interesse del minore.
Già con la Convenzione del 1989[15], all’art. 24, si sottolinea che gli Stati parte riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione, adottando ogni adeguato provvedimento per lottare contro la malnutrizione, in particolare mediante l’utilizzazione di tecniche agevolmente disponibili e la fornitura di alimenti nutritivi e di acqua potabile, tenendo conto dei pericoli e dei rischi di inquinamento dell’ambiente naturale.
Ancora, all’art. 27 è prescritto che gli Stati parte devono adottare adeguati provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e compatibilmente con i loro mezzi, per aiutare i genitori e altre persone aventi la custodia del minore ad attuare questo diritto e offrono, se del caso, un’assistenza materiale e programmi di sostegno, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario e l’alloggio.
Negli ultimi anni molta attenzione è stata infatti posta sulla necessità di continuare a sviluppare progetti a carattere preventivo nell’ambito dei Disturbi del Comportamento Alimentare, come anoressia e bulimia; l’obiettivo perseguito è complesso, soprattutto a causa della presenza di fattori di rischio e di diffusione molto difficili da contrastare, a fortiori qualora si agisca nei confronti di soggetti minori[16].
- Considerazioni finali in ordine alle tutele penalistiche nell’ordinamento italiano.
Una peculiare proposta di legge[17] presentata alla Camera dei Deputati nell’estate 2016, ancora in discussione, riguarda una norma incriminatrice relativa all’imposizione di una dieta alimentare priva di elementi essenziali per la crescita di un minore.
Nel codice penale, infatti, si vorrebbe inserire l’art. 572-bis a mente del quale “Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 572, impone o adotta nei confronti di un minore degli anni sedici, sottoposto alla sua responsabilità genitoriale o a lui affidato per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, una dieta alimentare priva di elementi essenziali per la crescita sana ed equilibrata del minore stesso è punito con la reclusione fino a un anno. Se dal fatto previsto dal primo comma comma deriva al minore una malattia o una lesione personale permanente, la pena è della reclusione da due anni e sei mesi a quattro anni; se deriva la morte del minore, la pena è della reclusione da quattro a sei anni”, mentre l’art. 572-ter dovrebbe prevedere una circostanza aggravante nel caso in cui le ora richiamate condotte siano adottate nei confronti di minori di anni tre.
Gli articoli in commento troverebbero la loro sedes materiae nel Libro II, Titolo XI del codice penale, rubricato nel capo ‘Dei delitti contro l’assistenza familiare’, e si tratterebbe di reati a forma libera, o causalmente orientati.
Segnatamente, al primo comma dell’art. 572-bis è distinguibile un reato di pura condotta, essendo bastevole che l’esercente la responsabilità non provveda ad alimentare in modo sano ed equilibrato il minore infrasedicenne, e inoltre si configura come un reato di pericolo astratto, in quanto mirante ad evitare che si verifichi l’evento esiziale.
Per quanto invece concerne il secondo comma, si tratterebbe di una autonoma fattispecie di reato di evento e di danno, in quanto occorre il verificarsi di una malattia o una lesione personale permanente.
Infine, i reati de quibus si configurerebbero come propri, in quanto il soggetto agente deve in qualche misura esercitare la propria responsabilità genitoriale o gestire il minore degli anni sedici affidatogli per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia. Tale precisazione lascia intendere che i rei possono essere i genitori, i parenti più prossimi, gli amici di famiglia, i docenti, finanche i datori di lavoro[18].
Orbene, la formulazione dell’art. 572-bis non sembra del tutto convincente.
In primis, perché il delitto di cui al primo comma risulterebbe vago e indeterminato, in quanto non è chiaramente definita la condotta incriminata, e potrebbe quindi porsi in contrasto con il principî di legalità e tassatività della norma penale.
In secondo luogo, la malattia o la lesione – anche psichica – dovrebbe essere permanente, ma è difficile che ciò si verifichi nel mondo fenomenico, in quanto generalmente nei casi patologici possono sussistere una serie di concause, e potrebbe essere difficile attribuire in via eziologica quanto l’alimentazione abbia effettivamente influito.
La norma prevede expressis verbis la parola ‘dieta’, e stando strettamente all’etimo si ricorda che nell’antica medicina greca era così definito il complesso delle norme di vita – relative all’alimentazione, all’attività fisica, al riposo – atte a mantenere (auspicabilmente) un buon stato di salute[19]. Pertanto, dalla formulazione dell’articolo parrebbe che il reato abbia natura abituale, in linea con quanto previsto ex art. 572 c.p., secondo cui potrebbero essere bastevoli anche solo due atti lesivi[20], anche commessi lo stesso giorno[21].
In quasi tutti i casi concreti l’esegeta si troverebbe di fronte a una probatio diabolica: sarebbe infatti molto difficile capire quando la condotta del reo possa essere sussunta nella fattispecie astratta. Ragionando per assurdo, ci si può interrogare se sarebbe incriminabile una baby sitter che accompagni il minore – affidato alle sue temporanee cure – a pranzo e a cena per due giorni di seguito in un fast food per consumare bevande gassate e zuccherate, oltre a panini hamburger con copiosa salsa. Di più. Come descritto si tratterebbe di un reato proprio, e pertanto ci si chiede se sempre il medesimo commesso del fast food, che in quei quattro frangenti ha consegnato il cibo, sia o meno incriminabile in concorso di persona. A quel punto, si potrebbe ragionevolmente sostenere in giudizio che l’illustrare il menù descrivendo le qualità dei prodotti – compito precipuo del commesso – possa essere considerato come atto capace di determinare (o rafforzare) il proposito criminoso della baby sitter?
Sempre a guisa d’esempio, qualora un ragazzino durante l’anno scolastico ordinasse quotidianamente al bar una tavoletta di cioccolato da 200 grammi, per consumarla seduta stante – e sempre la medesima barista a un certo punto non si rifiutasse di dargliela – l’evento lesivo si potrebbe (in potenza) verificare, ma il reato non sarebbe configurabile in quanto il giovanotto non è soggetto alla sua responsabilità genitoriale o a lei affidato per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia. Si tratta evidentemente di due situazioni antitetiche e contraddittorie, in quanto de facto una condotta probabilmente non lesiva della babysitter sarebbe punita, quella in potenza esiziale della barista no.
Tornando alla disamina dell’articolo, l’elemento soggettivo del reo consisterebbe nel dolo generico, quale coscienza e volontà di porre in essere una condotta vessatoria nei confronti del minore infrasedicenne, idonea a svilirne la personalità e ridurne la capacità di autodeterminazione. Ancora una volta è difficile pensare che il libero convincimento religioso o filosofico possa costituire in questo caso il sostrato dell’elemento psicologico. È evidente, ut supra argomentato, che osservare i dettami alimentari è parte integrante dell’esternazione del proprio credo o dottrina; pertanto comprimere oltremodo tale diritto parrebbe configurarsi come un atteggiamento dirigistico da parte dello Stato nei confronti dei consociati, in spregio a quanto previsto dagli articoli 5 e 9 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Dall’altro lato, è pur vero che l’art. 8 della Costituzione italiana prevede dei limiti individuati nel rispetto delle norme ordinamentali, sopratutto quando volte a preservare lo stato di salute e il benessere di soggetti più vulnerabili[22], quali i minori.
Ancora, recenti studi indicano come i soggetti ultraquattordicenni siano sufficientemente maturi in tema di alimentazione, anche se naturalmente necessitano della guida di chi è più esperto di loro per acquisire una maggiore consapevolezza sul punto[23]. Ebbene, considerato che anche sotto il profilo del diritto penale si riconosce una capacità di autodeterminazione in relazione a coloro che hanno compiuto i quattordici anni di età, sarebbe opportuno rimodulare anche tale limite anagrafico.
Dal punto di vista processuale, dato che la fattispecie in commento è relativa alla posizione di minorenni quali vittime di reato, è palmare che non sia necessaria la querela, ma la mera denuncia dei fatti a far scattare l’obbligo in capo all’Autorità di intervenire. Per quanto concerne i termini di prescrizione, ci si interroga se – considerati i profili di similarità con il reato di maltrattamenti in famiglia – sia necessaria anche una modifica dell’art. 157, comma 6 c.p..
Infine, per quanto riguarda il profilo sanzionatorio, a nostro sommesso avviso si dubita che la pena della reclusione prevista all’art. 572-bis, primo comma, sia la più ragionevole; questo anche in ragione del fatto che – in ossequio al principio statuito ex art. 27, comma 3 Cost. – nel caso di cui al primo comma dell’art. 572-bis i rei non dovrebbero essere privati della libertà personale, bensì dovrebbero essere rieducati. Ecco quindi che l’obbligatoria frequenza di un corso formativo relativo alla sana alimentazione, tenuto da competenti medici delle ASL locali, potrebbe essere idonea a estinguere il reato di pericolo ora richiamato come conseguenza di condotte riparatorie, così come indicato ex art. 35, d.lgs. 274 del 2000[24].
Sempre per quanto concerne il primo comma, nei casi più gravi la sanzione dovrebbe essere individuata nell’ammenda di poche centinaia di euro o, solo su richiesta dell’imputato, il giudice di pace potrebbe in alternativa applicare la pena del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 54 del decreto da ultimo richiamato, mutando così la natura da delitto a contravvenzione procedibile d’ufficio. Ancora, per quanto riguarda il secondo comma dell’art. 572-bis potrebbe essere una soluzione utile l’allontanamento temporaneo del minore dal nucleo familiare.
Per concludere, il quadro sopra delineato è confortante nella misura in cui venisse rimodulata l’età anagrafica da 16 a 14 anni, esclusa la sanzione penale della reclusione prevista dal primo comma dell’art. 572-bis, nonché qualora venisse valutata positivamente la frequenza obbligatoria da parte del reo di un corso formativo relativo alla corretta educazione alimentare, tenuto da esperti competenti. Per i motivi ora esposti, una riflessione funditus circa gli articoli 572-bis e ter – norme attualmente al vaglio della IIª Commissione Giustizia – potrebbe con buona probabilità essere utile, anche alla luce dei principî generali sopra richiamati.
[1] Lo scritto è frutto delle riflessioni condivise da entrambi gli autori. Tuttavia, in particolare, i paragrafi 1 e 2 sono principalmente attribuibili alla dott.ssa Hasani, il par. 3 è principalmente attribuibile al dott. Bottazzi.
[2] T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Bolzano, sent. 22 marzo 2017, n. 107, cui adde T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Bolzano, sent., 24 luglio 2015, n. 245. Si vedano anche il D.M. del 25 luglio 2011 – Allegato 1 “Criteri ambientali minimi per il servizio di ristorazione collettiva e la fornitura di derrate alimentari”, nonché le “Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica” formalizzate nel Provvedimento 29 aprile 2010 del Ministero della Salute. In proposito, appare interessante anche la decisione resa dalla Corte Appello di Torino il 21 giugno 2016, n. 1049. Un commento sul punto G. Virga, “Il giudice amministrativo alle prese con il genitore vegano”, Lexitalia.it, 26 marzo 2017.
[3] Trib. Roma, sez. Iª, ordinanza del 19 ottobre 2016.
[4] Discorso tenuto a Milano il 5 giugno 2015, consultabile in www.quirinale.it.
[5] Come ha osservato R. Bianchi in “Alimentazione sostenibile ed effetto serra: due normative collegate secondo l’ultima conferenza mondiale sul clima”, Ambiente e sviluppo, n. 4, 2010, “lo Swedish National Food Administration ha pubblicato, il 4 novembre 2009, una serie di linee guida che, oltre a indirizzare il consumo verso cibi con minor dispendio energetico, forniscono indicazioni sugli aspetti nutrizionali dei singoli alimenti e sulla disponibilità delle risorse per limitarne il consumo. In questo modo, una drastica riduzione del consumo di carne permetterebbe, a prescindere dai motivi etici, legati ai maltrattamenti e ai metodi di uccisione degli animali, non solo di contenere gli effetti devastanti degli allevamenti intensivi sul cambiamento climatico e di garantire un miglior livello qualitativo del prodotto, ma di assicurare indubbi vantaggi in termini economici”.
[6] F. Squillaci, “(H)ave cibus. Le nuove frontiere del diritto alimentare”, Primiceri Editore, 2017, pag. 34.
[7] Sul punto, si veda la pubblicazione “The Sustainable Development Goals – Report 2016”, United Nations Publications, New York, US.
[8] O. De Schutter “The transformative potential of the right to food”, Consiglio dei Diritti Umani, 25ª sessione, 24 gennaio 2014.
[9] Dettagliate informazioni possono essere tratte dalla consultazione del secondo rapporto sul “Benessere equo e sostenibile”, realizzato da un’iniziativa congiunta del CNEL e dell’Istat nel 2014.
[10] Al riguardo C. Magli in “Diritto alla salute e stili di vita: la condotta del singolo può condizionare la modulazione del trattamento sanitario?”, Contratto e impresa, n. 6, 2014 evidenzia che “se, da un lato, le abitudini di vita consapevolmente scelte dal singolo comportano dei costi sociali che si riversano sull’intera collettività – e, pertanto ci si è posti il problema di individuare quali strumenti giuridici possano orientare l’individuo verso scelte di vita maggiormente improntati alla prevenzione – dall’altro lato, occorre osservare come dette scelte non sono irrilevanti all’interno del nostro ordinamento giuridico posto che – in determinati ambiti – si tende a voler riconoscere in capo all’individuo medesimo un dovere di autoresponsabilità”.
[11] Cass. pen., sez. Iª, 28 maggio 2012, n. 20508.
[12] Si cfr. al riguardo F. Roggero “Note in tema di macellazione religiosa secondo il rito islamico” in Rivista di Diritto Alimentare, anno X, n. 2, 2016.; ancora, A. Germanò “Informazione alimentare halal: quale responsabilità per un’etichetta non veritiera?” in Rivista di Diritto Alimentare, anno IV, n. 3, 2010.
[13] In particolare, A. Gianfreda “La tutela delle prescrizioni alimentari religiose nella normativa del Regno Unito” in Cibo e Religione: Diritto e Diritti, a cura di A.G. Chizzoniti e M. Tallacchini, Quad. 1, 2010; ancora, Senato della Repubblica, Disegno di Legge titolato “Norme per garantire l’opzione per la dieta vegetariana nelle mense e nei luoghi di ristoro pubblici e privati” e datato 19 settembre 2006.
[14] G. Ferrando in “Diritto alla salute e autodeterminazione tra diritto europeo e costituzione”, Politica del diritto, n. 1, Il Mulino, 2012, pag. 8 ricorda che “Il principio di autodeterminazione […] è espressione del più generale principio di libertà personale (art. 13 Cost.) che, storicamente affermatosi sul terreno della difesa del singolo dall’arbitrio dei pubblici poteri, ha attualmente un più ampio ambito di applicazione. La libertà della persona implica un generale potere di autodeterminazione in relazione alle proprie vicende esistenziali, alle proprie scelte personali”. Si veda, a guisa d’esempio, anche Corte EDU, Jakobski v. Polonia, 7 dicembre 2010.
[15] La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989., è composta da 54 articoli e da tre Protocolli opzionali (sui bambini in guerra, sullo sfruttamento sessuale, sulla procedura per i reclami); si veda il Report tematico “Malnutrizione” a cura di Unicef Italia, 14 novembre 2016.
[16] Tratto da “Il coraggio di guardare: prospettive e incontri per la prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare (DCA)”, Atti del seminario ‘I giorni dispari – The odd days – ripensare la prevenzione nei disturbi del comportamento alimentare‘, tenuto a Todi il 16-17 ottobre 2009, revisione editoriale e stampa a cura dell’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito del progetto ‘Salute e benessere dei giovani‘, finanziato con il Fondo per le Politiche Giovanili, Anno 2010.
[17] Camera dei Deputati, Proposta di Legge n. 3972 del 11 luglio 2016.
[18] L. Zoli, “Sulla rilevanza penale del mobbing: i maltrattamenti sono configurabili anche all’interno di imprese medio-grandi”, nota a Cass. pen., sez. VIª, 22 ottobre 2014, n. 53416, contributo pubblicato in Diritto Penale Contemporaneo il 28 gennaio 2015.
[19] Dalla definizione consultabile sul sito www.treccani.it.
[20] Cass. pen., sez. VIª, 2 febbraio 2015, n. 4849.
[21] Al riguardo si veda A. Merli “Differenze e linee di continuità tra il reato di stalking e quello di maltrattamenti in famiglia dopo la modifica del secondo comma dell’art. 612-bis c.p. ad opera della legge c.d. sul femminicidio” in Diritto Penale Contemporaneo n. 4, 2016, pagg. 90-107; ancora, in tema di stalking, Cass. pen., sez. Vª, 16 giugno 2015, n. 33563.
[22] Si veda anche G. Bonilini “Designazione dell’amministratore di sostegno e direttive da seguire nello svolgimento dell’ufficio” in Fam. pers. succ., n. 2, 2007.
[23] Una interessante analisi su questi temi fu redatta da P. Vio, M. Mirandola “L’alimentazione degli adolescenti nella Regione del Veneto – Approfondimento dei risultati dell’indagine Health Behaviour in School-aged Children (HBSC 2006) dell’OMS sui giovani di 11, 13 e 15 anni”, pubblicazione finanziata dalla Regione Veneto nel 2010.
[24] Il reato di cui al primo comma dell’art. 572-bis a nostro avviso dovrebbe essere di competenza del Giudice di Pace, pertanto occorrerebbe anche una modifica dell’art. 4 del d.lgs. 274 del 2000.