141 – Sezione giurisdizionale Regione Emilia-Romagna; sentenza 12 agosto 2022; Pres. M. Pozzato, Est. A. Giordano, P.M. A. Mingarelli; Procura Emilia-Romagna c. A.D.

Con la sentenza n. 141 del 2022, la Sezione, dopo aver premesso che la ratio della somministrazione di lavoro si appunta nella promozione della flessibilità nel mercato del lavoro (venendo incontro alle peculiari esigenze del lato della domanda e, al contempo, alle prerogative degli offerenti forza lavoro) e che l’istituto fonda sul collegamento negoziale che avvince il contratto concluso dall’operatore societario con l’utilizzatore e quello stipulato dal primo con il lavoratore, ne ha delineato i limiti di ammissibilità con riferimento al comparto pubblico.

Come ha sottolineato la Sezione, un primo limite si rinverrebbe nell’espressione “a tempo determinato”, evidentemente ostativa alla formula negoziale a tempo indeterminato, incompatibile – per scelta inequivoca del legislatore – con la tipologia contrattuale in discorso nella sua applicazione al pubblico impiego.

Un secondo limite si ravviserebbe nel divieto di impiegare lo strumento in relazione alle figure dirigenziali e direttive.

Alle condizioni espressamente previste dall’ordito positivo si dovrebbero, quindi, aggiungere i limiti desumibili dall’ordinamento.

Se è vero che la somministrazione di lavoro è uno strumento di buona amministrazione nella misura in cui integri le dotazioni dell’Amministrazione con l’apporto di qualificato capitale umano, ciò non legittimerebbe indiscriminate deroghe all’ordinamento dell’impiego pubblico, mai del tutto assimilabile – per i principi che lo permeano (artt. 97 e 98 Cost.) – a quello privato.

Se ciò non fosse, come ha rilevato il Collegio, si farebbe della somministrazione un istituto estraneo alla generale ambientazione dei rapporti di lavoro pubblico, sostanzialmente vanificando, insieme ai criteri di selezione (art. 35 D. Lgs. n. 165/2001) e al novero dei diritti e obblighi dei soggetti impiegati alle dipendenze di Amministrazioni pubbliche, il regime vincolistico cui sono soggetti gli altri veicoli di flessibilità utilizzabili dalle medesime Amministrazioni.  

La stessa positiva disciplina dell’istituto avvalorerebbe tali conclusioni.

Dall’art. 30 D. Lgs. n. 81/2015 emergerebbe infatti che i lavoratori messi a disposizione dall’agenzia debbano svolgere la loro attività “nell’interesse” e “sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”; interesse, direzione e controllo che sottendono l’esercizio, da parte del datore di lavoro pubblico, del potere direttivo secondo le regole del proprio comparto (in primis, il dettato del D. Lgs. n. 165/2001).

Sempre con la sentenza n. 141 del 2022, la Sezione si è soffermata sui connotati dell’elemento psicologico della colpa grave.

Ha ricordato che tale coefficiente ricorre in presenza di una negligenza inescusabile della parte, per essere quest’ultima venuta meno ai minimali doveri correlati alla propria istituzionale funzione.

Ai fini della configurazione della colpa grave, è, in particolare, necessario che alla violazione delle specifiche regole del settore si aggiunga l’assenza di quel minimo di diligenza, prudenza o perizia richiesto dalla specifica attività svolta dal dipendente e dal peculiare settore dell’Amministrazione al quale lo stesso è preposto.

Come ha precisato il Collegio, la colpa grave si risolve, dunque, nella massima e inescusabile negligenza, nel non intendere, non tanto “ciò che tutti intendono” (secondo il brocardo ulpianeo), ma ciò che intendono i dipendenti pubblici addetti alle medesime mansioni (cfr., per tutte, Sez. Emilia-Romagna, sent. n. 207/2021).